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Marchio di fatto: la Cassazione sulla cessione d’azienda

La Corte di Cassazione ha rigettato un ricorso relativo a una disputa su un nome storico di un ristorante, utilizzato come marchio di fatto. La Corte ha confermato che, salvo prova contraria, il marchio di fatto si trasferisce insieme all’azienda. Le affermazioni del ricorrente riguardo a un presunto preuso del marchio sono state giudicate non provate dai tribunali di merito, una valutazione di fatto che non può essere riesaminata dalla Suprema Corte, la quale ha quindi respinto il ricorso.

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Marchio di Fatto e Cessione d’Azienda: Chi Ha Diritto all’Uso del Nome Storico?

La cessione di un’attività commerciale, specialmente se storica, porta con sé questioni complesse, prima fra tutte la sorte del nome e degli altri segni distintivi. Un marchio di fatto, ovvero un marchio non registrato ma noto al pubblico grazie all’uso, è uno degli asset più preziosi. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito chiarimenti cruciali su cosa accade a questo segno quando l’azienda viene venduta, delineando i confini tra i diritti dell’acquirente e le pretese degli eredi del fondatore.

I Fatti del Caso: Una Disputa su un Nome Storico

La vicenda trae origine da un’attività di ristorazione avviata nel 1963 e ceduta nel 1977 a nuovi titolari. Questi ultimi costituirono una società e continuarono l’attività sotto la denominazione storica, che di fatto fungeva da marchio. Anni dopo, nel 1984, il figlio del fondatore originale aprì un nuovo ristorante in un comune vicino, utilizzando un nome molto simile e costituendo, in un secondo momento, una propria società.
Il conflitto è esploso quando la società degli eredi ha registrato il nome come marchio nel 2018, seguita dalla registrazione di un marchio simile da parte della società acquirente dell’attività originale nel 2019. Quest’ultima ha citato in giudizio la società degli eredi, chiedendo la dichiarazione di nullità del loro marchio per difetto di novità e il divieto di utilizzarne il nome.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione alla società che aveva acquistato l’attività originaria. I giudici hanno stabilito che il marchio di fatto, essendo un segno distintivo legato all’azienda, era stato trasferito insieme ad essa nel 1977. Di conseguenza, la società degli eredi non poteva vantare alcun diritto di preuso sul segno, né poteva registrarlo legittimamente decenni dopo. Le corti hanno concluso che l’uso del nome da parte degli eredi costituiva una violazione dei diritti acquisiti dagli acquirenti.

L’Analisi della Cassazione sul Marchio di Fatto

La società degli eredi ha impugnato la decisione della Corte d’Appello davanti alla Cassazione, sollevando dieci motivi di ricorso. La Suprema Corte ha esaminato ciascun motivo, rigettando integralmente l’appello e confermando la decisione impugnata.

La Prova del Preuso e i Limiti del Giudizio di Legittimità

Uno dei punti centrali del ricorso era la presunta prova del preuso del marchio da parte della società degli eredi. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del proprio ruolo: essa è un giudice di legittimità, non di merito. Ciò significa che non può riesaminare le prove e i fatti già valutati dai giudici dei gradi precedenti. Poiché la Corte d’Appello aveva concluso, con un accertamento di fatto, che la prova del preuso non era stata fornita, la Cassazione non poteva che prenderne atto, dichiarando inammissibile ogni censura su questo punto.

Il Principio del Trasferimento del Marchio con l’Azienda

La Corte ha implicitamente confermato il principio secondo cui, in assenza di un patto contrario, la cessione d’azienda comporta il trasferimento di tutti i segni distintivi, incluso il marchio di fatto. L’acquirente dell’azienda del 1977 aveva quindi acquisito anche il diritto di utilizzare in esclusiva il nome storico. L’argomentazione del ricorrente, secondo cui l’azienda al momento della cessione era ‘inattiva’ e quindi il marchio non si sarebbe trasferito, è stata respinta, in quanto l’interpretazione del contratto di cessione è un’attività riservata al giudice di merito.

Inammissibilità delle Altre Censure

Gli altri motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili per ragioni procedurali. Tra questi, la richiesta di sospensione del processo è stata respinta per mancanza di adeguata documentazione, mentre le censure relative a presunti errori di valutazione delle prove sono state bloccate dalla regola della ‘doppia conforme’, che limita il ricorso in Cassazione quando due sentenze di merito giungono alla stessa conclusione sui fatti.

le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano sul rigoroso rispetto dei ruoli processuali e sulla distinzione tra giudizio di fatto e giudizio di diritto. La Corte ha stabilito che la valutazione circa l’esistenza di un preuso di un marchio è una questione di merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata dai giudici dei gradi inferiori. Allo stesso modo, l’interpretazione della volontà delle parti in un contratto di cessione d’azienda rientra nella discrezionalità del giudice di merito. La decisione riafferma che il sistema legale presume il trasferimento del marchio con l’azienda per garantire la continuità del valore commerciale e dell’avviamento, proteggendo l’affidamento dell’acquirente. La Cassazione ha inoltre precisato che le eccezioni procedurali, come quelle basate sulla novità della domanda o sulla non contestazione, devono essere sollevate e gestite secondo regole precise nei primi gradi di giudizio, non potendo essere invocate per la prima volta in modo efficace in sede di legittimità.

le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza della Cassazione consolida un principio fondamentale del diritto commerciale: chi acquista un’azienda, acquista anche i suoi segni distintivi, a meno che il contratto non preveda diversamente. Questa decisione sottolinea l’importanza di una chiara pattuizione contrattuale al momento della cessione d’azienda per evitare future controversie. Per gli eredi o i fondatori che intendono mantenere diritti su un nome storico dopo aver ceduto l’attività principale, è essenziale escludere esplicitamente il marchio dalla cessione. Per gli acquirenti, questa sentenza rappresenta una tutela importante, confermando che l’investimento fatto per rilevare un’attività include il diritto di sfruttarne la notorietà e la reputazione accumulate nel tempo.

Quando si cede un’azienda, il marchio non registrato (marchio di fatto) viene trasferito automaticamente?
Sì, la sentenza conferma il principio secondo cui, salvo un patto contrario tra le parti, la cessione dell’azienda include anche il trasferimento del marchio di fatto e degli altri segni distintivi ad essa associati. L’acquirente acquisisce quindi il diritto di utilizzarli.

È possibile continuare a usare un nome simile a un marchio altrui se quel nome era parte della propria ragione sociale registrata in precedenza?
No, la registrazione di una ragione sociale non conferisce di per sé un diritto prevalente su un marchio preesistente o acquisito legittimamente da altri. Come chiarito dalla Corte, l’articolo 22 del Codice della Proprietà Industriale vieta di adottare come ragione sociale un segno simile a un marchio altrui se ciò può creare confusione, a meno che non si possa dimostrare un diritto di preuso, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

In un processo civile, se una parte non si costituisce in primo grado (contumace), può poi basare l’appello sul principio di non contestazione dei fatti?
No. La Corte ha spiegato che l’onere di contestazione specifica dei fatti allegati dalla controparte opera unicamente nell’ambito del giudizio di primo grado. Una parte che rimane contumace in quella fase non può successivamente, in appello, lamentare la violazione del principio di non contestazione, poiché il thema decidendum (l’oggetto del decidere) si è già cristallizzato nel primo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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