Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21855 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Data pubblicazione: 29/07/2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21855 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Oggetto:
NOME COGNOME
Presidente
NOME
Consigliere
COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Beni immateriali – Marchio – Nullità del marchio per difetto di novità
Ad.19/06/2025
CC
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12770 R.G. anno 2024 proposto da:
Da RAGIONE_SOCIALE Costa RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME ;
ricorrente
contro
COGNOME, titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE di Ponzini Vandina , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 650/2024 della Corte di appello di Genova, pubblicata il 3 maggio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 giugno 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME, detto COGNOME, svolse dal 1963, in Portofino, la propria attività di ristorazione insieme con la moglie, titolare dell’impresa , NOME COGNOME. Questa ebbe a maturare il proposito di cedere l’azienda : la trasferì così in data 31 marzo 1977 a NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali acquistarono la piena ed esclusiva proprietà del compendio rappresentato dall’esercizio di ristorazione, allora denominato «Dau Battj». La società di nuova costituzione, recante la ragione sociale RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE (di seguito, la società RAGIONE_SOCIALE), iniziò quindi a svolgere, con decorrenza dal 21 novembre 1977, attività di ristorazione nei locali in cui era stata esercitata l’impresa di NOME COGNOME
Il figlio di NOME COGNOME aprì nel 1984 un locale nel Comune di Santa Margherita Ligure denominato «RAGIONE_SOCIALE Costa Giovanni», conferendolo in un secondo momento nella società RAGIONE_SOCIALE Costa RAGIONE_SOCIALE (di seguito, la società Costa). La ragione sociale dell’odierna appellante tra eva evidentemente origine dal diminutivo di NOME COGNOME, detto COGNOME, il quale, come rilevato, aveva inaugurato l’attività di ristorazione nel 1963 in Portofino: attività poi proseguita altrove dai figli e dai nipoti dopo la cessione dell’azienda.
La società Costa ottenne, in data 6 agosto 2018, la registrazione del marchio «RAGIONE_SOCIALE», mentre la società Foppiano conseguì il 9 settembre 2019 la registrazione del marchio «RAGIONE_SOCIALE».
2. – Quest’ultima ha convenuto in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Genova al fine di far accertare e dichiarare, in via principale, la decadenza o la nullità del marchio registrato da parte alla convenuta per difetto di novità, oltre che l’inibitoria quanto alla prosecuzione dell’utilizzo del segno «Da ö Battj», la condanna di controparte al risarcimento del danno e alla restituzione degli utili realizzati in violazione del diritto di privativa dell’attrice , il pagamento di una penalità per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza
e la pubblicazione della medesima. L’attrice ha sostenuto , in sintesi, che la società Costa aveva registrato un segno distintivo già in proprio uso da molti anni.
Nella contumacia della società Costa il Tribunale ha accolto la domanda di inibitoria, vietando alla convenuta la prosecuzione dell’utilizzo del segno «Da ö Battj», come marchio, ragione sociale, insegna e profilo identificativo del sito internet, ha fissato una penale di euro 200,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza e ne ha ordinato la pubblicazione su di un quotidiano. Ha escluso un diritto di preuso della convenuta sul marchio posto che il marchio di fatto era stato ceduto con la cessione di azienda del 1977.
– La sentenza è stata impugnata da lla società Costa.
La Corte di appello di Genova, con sentenza pubblicata il 3 maggio 2024, ha respinto il gravame. Ha osservato, per quanto qui rileva: che mancava la prova del preuso, da parte della convenuta, del segno «Battj»; che non risultava dimostrato che l’azienda ceduta a NOME COGNOME e NOME COGNOME, associata al segno «Da Ö Battj» fosse all’epoca inattiva; che il marchio di fatto destinato a contraddistinguere i servizi di ristorazione somministrati nei locali in Portofino era stato trasferito unitamente all’azienda nel 1977; che non risultava provato le parti contraenti avessero inteso escludere il marchio di fatto dalla cessione; che l’art. 2573 c.c. , in tema di trasferimento del marchio, riguardava anche il marchio di fatto; che risultava essere tardiva l’eccezione della stessa società Costa circa la nullità della registrazione del marchio dell’appellata per difetto di novità, avendo particolarmente riguardo all’anteriorità della registrazione della società appellante; che, conseguentemente, detta eccezione andava dichiarata inammissibile ex art. 345 c.p.c.; che esisteva interferenza tra il marchio dell’appellante e quello dell ‘app ellata.
4 . -Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione, con dieci motivi, la società Costa. Resiste con controricorso NOME COGNOME
successore de ll’estinta società Foppiano. Parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -I motivi di ricorso si riassumono come segue.
Col primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c. , per avere la Corte di appello rigettato, con pronuncia implicita, l’istanza di sospensione del processo proposta dall’appellante a fronte della comprovata pendenza davanti al Tribunale di Genova di una autonoma causa avente ad oggetto la declaratoria di nullità del marchio della società RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente oppone la violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 12, comma 1, lett. a), 20, primo comma, lett. b), e 22 c.p.i. (d.lgs. n. 30 del 2005), nonché degli artt. 2563, 2564 e 2571 c.c., per avere la Corte di appello escluso che la società Costa avesse la facoltà, a norma degli artt. 2563, 2564 e 2571 c.c., di utilizzare il segno ‘RAGIONE_SOCIALE‘ nei limiti in cui se ne era valsa anteriormente alla registrazione nel 2019 del marchio «RAGIONE_SOCIALE Batti» ad opera della appellata.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 20, comma primo, lett. b), e 22 c.p.i., nonché degli artt. 2563 e 2564 c.c., per non aver considerato la Corte di Appello che la ragione sociale della appellante risultava iscritta nel Registro delle imprese dal 2016, anteriormente alla registrazione nel 2019 del marchio della società Foppiano.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti, menzionando, in proposito, i l contestato acquisto nel 1977 dell’azienda con l’insegna «Da Ö Battj» e del conseguente marchio di fatto ad opera della Società attrice-appellata.
Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c. e il mancato rilievo ex officio del
difetto di legittimazione attiva dell’attrice appellata, per avere la Corte di appello omesso di rilevare che la Società attrice aveva fatto valere in giudizio in nome proprio un diritto spettante ad altri, con particolare riguardo all’acquisto nel 1977 del marchio di fatto.
Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c., per avere la Corte di a ppello violato, nella interpretazione dell’atto di cessione d’azienda del 1977, il canone ermeneutico della interpretazione letterale e quello che impone di apprezzare la comune intenzione delle parti.
Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2571 c.c., per avere la Corte di appello ritenuto non provato che la società appellante abbia fatto uso del segno «Battj» , all’epoca ancora non registrato, a partire dal 1984 , così negando l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 2571 c.c. .
Con l’ottavo motivo di ricorso la ricorrente prospetta la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c ., per avere la Corte di appello escluso essere stata data prova del preuso della ditta e insegna «RAGIONE_SOCIALE» da parte della società appellante.
Con il nono motivo di ricorso la ricorrente oppone l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti quanto all’uso dell’insegna «Da Ö Battj» sin dal 1963.
Con il decimo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 12, comma 1, lett. b), 20, comma 1, lett. b) e 21, comma 2, c.p.i, nonché agli artt. 2569 e 2571 c.c. nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto sussistere il rischio di confusione tra i contrapposti segni distintivi, non avvedendosi della ricorrenza nella fattispecie della c.d. preclusione per coesistenza dei segni medesimi.
2. Il primo motivo è infondato.
La ricorrente assume la pendenza di un giudizio avente ad oggetto l’accertamento della nullità del marchio di controparte , ma si limita a richiamare il deposito di proprie note scritte e la produzione
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d ell’ atto di citazione con cui sarebbe stato incardinato il detto giudizio. Ora, la parte che chiede la sospensione del giudizio, per assolvere all’onere di provare la pendenza di altra controversia, non può limitarsi alla produzione dell’atto di citazione relativo all’altro giudizio, dovendo piuttosto documentare la costituzione della parte più diligente, perché solo per effetto di tale ulteriore atto di impulso processuale diventano attuali l’obbligo del giudice di decidere la causa ed il potenziale conflitto di giudicati che l’istituto della sospensione tende ad evitare (Cass. 17 maggio 1997, n. 4399; Cass. 13 giugno 1987, n. 5209; in senso conforme, non massimate in CED , tra le tante: Cass. 8 giugno 2020, n. 10883; Cass. 19 gennaio 2016, n. 3850). La ricorrente non dimostra di aver documentato avanti alla Corte di appello la pendenza del giudizio di cui trattasi, dal momento che la citazione da essa richiamata non è corredata di alcuna attestazione che sia conto della (successiva, ma solo eventuale) costituzione in giudizio della parte. D’altro canto, il certificato di pendenza della lite prodotto avanti a questa Corte non costituisce un documento del giudizio di merito, dal momento che è stato rilasciato dopo la pubblicazione della sentenza di appello; né esso rientra tra i documenti suscettibili di rituale acquisizione da parte del Giudice di legittimità (art. 372, comma 1, c.p.c.).
3. -La ricorrente, col secondo motivo, deduce che la propria ragione sociale era stata registrata il 14 ottobre 2016, prima della registrazione di marchio da parte della società Foppiano, e che la Corte di appello avrebbe dovuto accordare tutela al segno da essa preusato; sostiene, inoltre, che anche nell’ipotesi in cui due imprese operino nello stesso mercato, è lecito inserire nella propria ditta una parola che già faccia parte di un marchio di cui sia titolare altro imprenditore.
Il motivo non ha fondamento.
La Corte di merito ha affermato non essere prova del preuso invocato dalla società Costa. Non si comprende quale preciso argomento, in tema di preuso, la ricorrente intenda trarre dalla mera
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registrazione della propria denominazione sociale; è però indubbio che, essendo stata reputata «fondata la controdeduzione avanzata da parte appellata in ordine alla carenza probatoria circa il preuso della ditta/marchio ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘» (se ntenza impugnata, pag. 16), la relativa questione, come ogni altra che inerisca al preuso del segno suddetto, è stata definita dalla Corte di appello con un accertamento di fatto che sfugge, come tale, allo scrutinio di legittimità. Il diritto della ricorrente di continuare a usare la propria ragione sociale nonostante l’esistenza del marchio «RAGIONE_SOCIALE» è poi insussistente: esso si fonda su di un dato -la registrazione nel 2016 della detta denominazione sociale -che non risulta accertato nella sentenza impugnata; esclusa la priorità di tale segno distintivo, occorre rilevare che risulta vietato, a norma dell’art. 22, comma 1, c.p.i., adottare come ragione sociale un segno simile al marchio di cui si è assunta titolare l’odierna controricorrente.
4 . -Il terzo mezzo contiene due doglianze. La prima si basa sui ciò: la Corte territoriale avrebbe accordato tutela al marchio registrato nel 2019 nonostante la registrazione della ragione sociale della ricorrente risalisse al 2016 e la stessa società Costa avesse adottato dallo stesso anno un imprecisato nome a dominio in conflitto col marchio di controparte, registrato successivamente. Tale censura riflette questioni di fatto -relative all’anteriorità dei richiamati segni distintivi -di cui la sentenza non parla e che la ricorrente non deduce siano state trattate avanti alla Corte territoriale: ma ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione
(Cass. 1 luglio 2024, n. 18018; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694). In buona sintesi, la sentenza di primo grado avrebbe dovuto essere impugnata per l’anteriorità rappresentata dalla ragione sociale e dal nome a dominio: ma non è specificamente dedotto che ciò sia avvenuto.
R iguardo all’ulteriore deduzione fatta valere col terzo motivo -deduzione incentrata sul rilievo per cui «nel conflitto tra ditte simili prevale colui che ha iscritto per primo la ditta nel Registro delle imprese» – va osservato che non risulta, né da ricorso, né dalla sentenza impugnata, che la società Foppiano abbia fatto valere il diritto di proprietà industriale rappresentato dalla propria ragione sociale.
Il motivo è inammissibile.
5 . – Col quarto motivo si deduce che la Corte di appello, pronunciando sul punto controverso e decisivo relativo all’acquisto dell’azienda com prensiva del marchio di fatto da parte della società attrice e appellata, avrebbe travisato la lettura del fatto probatorio (il documento contrattuale relativo alla cessione di azienda prodotto) «supponendo un non-fatto»: e cioè che l’azienda fosse stata acquistata dalla società attrice piuttosto che da terzi.
La ricorrente oppone, col motivo in esame, il travisamento della prova documentale: e tale travisamento va effettivamente denunciato con la deduzione dell’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. U. 5 marzo 2024, n. 5792); tuttavia, proprio in considerazione di ciò, trova applicazione il principio per cui nell’ipotesi di «doppia conforme» di cui all’abrogato art. 348 -ter , comma 5, c.p.c. (ipotesi ora prevista dall’art. 360, comma 4, c.p.c.), è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse (Cass. 20 settembre 2023, n. 26934; Cass. 28 febbraio 2023 n. 5947): onere nella specie non assolto.
Il motivo è perciò inammissibile.
6 . -Il quinto mezzo si lega a quello che precede; si rileva che in
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appello la società COGNOME «non poteva far valere in nome proprio la titolarità del marchio di fatto e dell’insegna asseritamente ricompresi nell’azienda venduta il 31 marzo 1977 dalla signora NOME COGNOME ai signori NOME COGNOME e NOME COGNOME perché la società attriceappellata non è il soggetto acquirente l’azienda, né ha allegato e provato di essere avente causa degli acquirenti l’azienda ».
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente imputa in definitiva alla Corte di appello di aver tratto dal documento contrattuale una erronea informazione probatoria: quella per cui l’azienda era stata acquistata dalla società appellata e non da due persone fisiche (NOME COGNOME e NOME COGNOME). Si discute, quindi, dell’esame delle risultanze di causa: esame che sfugge al sindacato di legittimità sal va la censura di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., articolata nel precedente motivo, e di cui si è detto.
Il tema della legittimazione ad agire, introdotto con la denuncia della violazione o falsa applicazione dell ‘art. 81 c.p.c., non è pertinente. Come è noto, infatti, la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza (tra le sentenze massimate al riguardo: Cass. 27 giugno 2011, n. 14177; Cass. 10 maggio 2010 n. 11284): e nel caso in esame è incontestabile che la società ricorrente abbia agito in giudizio assumendo la titolarità del diritto di marchio posto a fondamento dele proprie domande.
7 . – Il sesto mezzo prospetta una questione ermeneutica: la Corte di appello avrebbe « escluso che l’azienda oggetto di cessione nel 1977 fosse inattiva, con conseguente impossibilità del trasferimento ai
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cessionari del marchio di fatto, nonostante dal tenore letterale del contratto emerga che l’acquisto era volto a ‘ tentare la riattivazione dell’azienda’ (che quindi non era attiva per espressa affermazione delle parti) e che non esistevano merci (circostanza compatibile solo con un’azienda inattiva) ». La circostanza assumerebbe rilievo in quanto, si deduce, in presenza di un’azienda inattiva non opererebbe la presunzione del trasferimento del marchio con l’azienda.
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente pretende di ri cavare argomenti quanto all’inattività dell’azienda dalla circostanza per cui nel corpo dell’atto di cessione si era dato atto che NOME COGNOME per gravi motivi di salute aveva dovuto trascurare notevolmente l’esercizio di ristorazione che era restato «chiuso per lunghissimi periodi, con grave danno e conseguente notevolissima riduzione della clientela». A prescindere dal fatto che, sul piano logico, quanto trascritto dà ragione non già di una totale cessazione dell’impresa , ma, semmai, di un significativo ridimensionamento dell’ attività della stessa, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465), né le censure vertenti sull’interpretazione del neg ozio possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. 27 giugno 2018, n. 16987; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319).
8 . -Col settimo motivo la ricorrente deduce che, essendo circostanza di fatto non contestata la sussistenza di un periodo di ‘ coesistenza pacifica ‘ in merito all’utilizzo dei rispettivi segni distintivi dal 1984 al 2020, «la Corte di appello avrebbe dovuto, ex art. 115 c.p.c., porre a fondamento della sua decisione tale circostanza e
conseguentemente avrebbe dovuto accordare alla Società appellante la tutela ex art. 2571 c.c. in relazione al marchio registrato nel 2019 dalla appellata, dando atto della sussistenza di un regime di ‘ duopolio ‘ tra marchio di fatto e marchio successivamente registrato».
Il motivo è inammissibile.
La Corte di merito ha accertato, come si è detto, che il preuso del segno «Battj» da parte della società Costa non era stato provato. La ricorrente intenderebbe superare tale approdo della decisione di appello censurando la mancata osservanza, da parte della Corte distrettuale, del principio di non contestazione. La deduzione non è tuttavia concludente, visto che l’odierna istante è rimasta co ntumace in primo grado l’onere di contestazione specifica dei fatti opera unicamente nell’ambito del giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definiscono irretrattabilmente thema decidendum e thema probandum, sicché non rileva a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti in appello (Cass. 4 novembre 2015, n. 22461). La censura svolta risulta peraltro essere palesemente carente di specificità. L’onere del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – valido, oltre che per il vizio di cui all’art. 360, n. 5 anche per quello di cui all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. – sussiste anche quando si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum , in quanto non contestata (Cass. 23 luglio 2009, n. 17253). In particolare, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto dei pertinenti scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c. (Cass. 29 maggio 2024, n. 15058).
9 . – L a ricorrente oppone, con l ‘ottavo motivo , che dalla
Sez. I -RG 12770/2024 camera di consiglio 19.6.2025
produzione di un documento fotografico emergerebbe che l’attuale insegna del ristorante da essa gestito risalirebbe al 1963: a fronte di tale circostanza, la Corte di appello non avrebbe potuto affermare l’inesistenza di prova in ordine alla continuità aziendale tra l’impresa individuale «RAGIONE_SOCIALE Costa Giovanni» e l’impresa della società appellante.
Il motivo è inammissibile.
La censura investe l’accertamento di fatto, che sfugge al sindacato di legittimità. Del resto, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., norma indicata nella rubrica del motivo, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016)
10 . -La Corte di Genova, in base al nono mezzo, avrebbe « omesso di considerare che la circostanza di fatto che l’uso dell’attuale insegna del ristorante gestito dalla ricorrente risalga al 1963 risulta dalla produzione n. 6 dell’attrice in primo grado nella quale con riferimento al ‘ Ristorante da Ö COGNOME ‘ può leggersi ‘ il locale è stato aperto nel 1963 da NOME COGNOME e dalla moglie NOME a Portofino ‘ ».
Il motivo è inammissibile.
E’ stata proposta una censura e x art. 360, n. 5, c.p.c.. Oltre a ribadirsi quanto in precedenza osservato a proposito della «doppia conforme», occorre osservare, a monte, che la ricorrente non si duole tanto del mancato esame di un fatto storico, quanto, piuttosto, di una
lettura, per essa insoddisfacente, del materiale probatorio: profilo, questo, non deducibile avanti alla Corte di legittimità.
11 . – La ricorrente lamenta, col decimo motivo, che la Corte di appello non si sarebbe avveduta della c.d. preclusione per coesistenza» dei segni distintivi utilizzati dalle parti.
Il motivo è inammissibile, in quanto esso si fonda su di una situazione di fatto diversa da quella accertata.
La Corte territoriale ha infatti escluso che i segni della società Costa fossero stati preusati. La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesta dall’art. 366 n. 4 c.p.c., con conseguente inammissibilità del ricorso, la quale è rilevabile anche d’ufficio (cfr: Cass. 9 aprile 2024, n. 9450; Cass. 3 luglio 2020, n. 13735 e Cass. 7 settembre 2017, n. 20910, che richiamano principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte: cfr., infatti, già Cass. 13 ottobre 1995, n. 10695).
12 . – Nel complesso il ricorso è respinto.
13 . -Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione