Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15015 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15015 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20304/2021 R.G., proposto da
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
–
intimati – per la cassazione della sentenza n. 63/2021 della CORTE d’APPELLO di Cagliari pubblicata il 3.2.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17.2.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata il 14.2.2018 il Tribunale di Cagliari, accogliendo la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME dichiarò il primo proprietario dell’autovettura Audi TARGA_VEICOLO ordinando
Mandato senza rappresentanza -Vendita di autovettura -Insussistenza
alla convenuta di consegnare all’attore la carta di circolazione e rigettando la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno proposta da RAGIONE_SOCIALE
Rimasto contumace il Sebis, il Tribunale di Cagliari, sulla premessa che l’attore aveva acquistato l’autovettura da NOME COGNOME titolare dell’impresa RAGIONE_SOCIALE pagando il relativo prezzo di euro 9.700, giusta fattura 40 del 6.11.2011, rilevò che il convenuto aveva operato quale commissionario di RAGIONE_SOCIALE ben potendo, pertanto, trasferire validamente il bene al terzo in nome proprio e per conto del committente senza necessità di disvelare l’esistenza del mandato, né dover dar luogo ad un negozio di ritrasferimento. Osservò ancora il primo giudice che l’esercizio dell’attività di commissionario in forma professionale era avvalorato dal fatto che il Sebis operava mediante l’impresa RAGIONE_SOCIALE e dal numero di autovetture a lui affidate.
La Corte d’Appello di Cagliari con sentenza pubblicata il 3.2.2021, in accoglimento dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE e in riforma della sentenza gravata, rigettò la domanda svolta da NOME COGNOME e lo condannò alla restituzione dell’autovettura, della documentazione relativa (certificato di proprietà e carta di circolazione) , nonché dell’importo di euro 1.764,94 a lui bonificato in forza della sentenza riformata, gravandolo delle spese di lite di entrambi i gradi.
La Corte d’appello escluse che tra il Sebis e RAGIONE_SOCIALE diversamente da quanto sostenuto dal primo giudice, fosse intercorso un rapporto di commissione/mandato senza rappresentanza, dovendo, invece, considerarsi il primo quale semplice procacciatore d’affari per conto della seconda, la quale poi avrebbe provveduto alla vendita degli automezzi ai clienti segnalati dal primo. Tale conclusione poggiava sulla scrittura del 7.11.2011, nella quale il Sebis si obbligava a non vendere a terzi le autovetture a qualsiasi titolo, impegnandosi a dare immediata comunicazione ad RAGIONE_SOCIALE, previo accordo sul prezzo. A conforto di tale valutazione la Corte d’appello valorizzò il fatto che la documentazione delle autovetture (certificati di proprietà e carta di circolazione) fosse sempre rimasta nella disponibilità di RAGIONE_SOCIALE
Quello fatto dal Pompei, il quale aveva pagato il prezzo di euro 9.700, era da considerare come a non domino , sì che egli non avrebbe potuto acquistare la proprietà del bene in base al possesso di buona fede ex art. 1156 cod. civ., pur avendo provveduto alla trascrizione nel pubblico registro. Neppure gli assegni bancari prodotti dal Pompei avrebbero potuto provare il pagamento fatto dal Sebis a RAGIONE_SOCIALE, posto che gli assegni bancari dell ‘importo, rispettivamente, di euro 27.000 ed euro 26.370, erano risultati scoperti, e quello circolare di euro 10.000 era stato imputato a pagamento del maggior debito pregresso del primo verso la compagine societaria, né risultava alcuno specifico riferim ento all’autovettura Audi TARGA_VEICOLO
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di un motivo. RAGIONE_SOCIALE e Sebis NOME sono rimasti intimata.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente denuncia ‘violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia’.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia fondato la sua decisione sul documento del 7.11.2011, erroneamente indicato dal Tribunale come recante la data del 4.5.1982, poiché esso era successivo all’acquisto avvenuto il giorno prima come riportato nella fattura 40 del 6.11.2011. Circostanza, quest’ultima, non contestata da RAGIONE_SOCIALE
Il Pompei si duole per aver la Corte d’appello erroneamente interpretato il ragionamento fatto dal Tribunale nel pervenire all’inquadramento del rapporto come mandato senza rappresentanza. Infatti, il primo giudice avendo rilevato un contrasto tra il documento del 7.11.2011 ed il contenuto della memoria ex art. 183, comma sesto, n. 2, cod. proc. civ. della convenuta, nella quale si riferiva che il Sebis, una volta reperito l’interessato, pagava ad RAGIONE_SOCIALE il prezzo convenuto ed otteneva in favore dell’acquirente l’intestazione del bene ed il
trasferimento della proprietà e che ‘l’assegno di € 10.000 versato dal Sebis sarebbe stato incassato dalla prenditrice RAGIONE_SOCIALE in conto del maggior credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE per il corrispettivo dovutole per le sei autovetture consegnate nel novembre 2011, senza imputazione a taluna di esse’, aveva ritenuto essere intercorso per fatti concludenti un rapporto di mandato senza rappresentanza non richiedente forma scritta.
Il ricorrente, nel richiamare l’atto di appello di RAGIONE_SOCIALE e della comparsa conclusionale della stessa, ha rimarcato il contrasto tra l’affermazione secondo cui, una volta reperita una persona interessata all’acquisto, il pagamento sarebbe dovuto avvenire in favore della seconda, e quella riportata nella indicata memoria, ossia che il Sebis avrebbe dovuto versare ad RAGIONE_SOCIALE il corrispettivo. Vieppiù, proprio le deduzioni di RAGIONE_SOCIALE circa l’invio di due assegni bancari (risultati scoperti per assenza di fondi) e di un assegno circolare per il complessivo importo di euro 63.370, corroboravano la soluzione adottata dal primo giudice, posto che, diversamente, il corrispettivo della vendita sarebbe stato versato direttamente dal l’acquirente ad RAGIONE_SOCIALE e, non, come accaduto nel caso di specie, al Sebis, che aveva provveduto al trasferimento delle somme in capo alla convenuta.
1.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, mette conto notare come il ricorrente, che nell’intestazione del motivo non indica alcuna norma che sarebbe stata violata o falsamente applicata dalla Corte d’appello, senza neanche procedere alla relativa sussunzione nell’ambito delle diverse ipotesi indicate nell’art. dell’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., laddove denuncia ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia’ evochi impropriamente la vecchia formulazione dell’art. dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., mentre l’attuale indica ‘per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti’.
Quand’anche il motivo lo si volesse apprezzare alla stregua degli insegnamenti di Cass., Sez. Un., 24 luglio 2013, n. 17931, ritenendo che il fatto
omesso sia la circostanza che la scrittura valorizzata dalla Corte d’appello è datata 7.11.2011, l’esito non sarebbe differente.
Il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. nella sua attuale formulazione presuppone la sussistenza di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non considerato dal giudice del gravame. Il ricorrente non indica un fatto, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (e in tal senso va inteso, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, v., tra le molte, Cass., sez. VI-1, ord., 26 gennaio 2022, n. 2268, il fatto cui fa riferimento il n. 5 dell’art. 360 come novellato).
La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo ormai unanime, ha chiarito come non rientrino nella nozione di fatto: (a) le argomentazioni o deduzioni difensive; (b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; (c) una moltitudine di fatti e circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (v. Cass. civ., sez. I, ord., 29 febbraio 2024, n. 5375; Cass., sez. V, ord., 23 febbraio 2024, n. 4942; Cass., sez. III, ord., 15 febbraio 2024, n. 4163; Cass., sez. lav., ord., 22 gennaio 2024, n. 2226; Cass., sez. III, ord., 14 dicembre 2023, n. 35106). Da questo punto vista, pertanto, non avendo il ricorrente indicato il fatto decisivo pretermesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.), nei sensi sopra precisati, il motivo si configura come inammissibile in quanto piega verso un riesame del merito della decisione ben al di là del possibile controllo della motivazione limitato entro il «minimo costituzionale» ammesso dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053/8054 ‘ è denunciabile in cassazione solo
l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’).
Il ricorrente nel rimarcare come la scrittura valorizzata dalla Corte d’appello sia datata 7.11.2011, tende ad un riesame del giudizio di fatto sul rilievo della non opponibilità del documento, poiché l’acquisto sarebbe avvenuto il 6.11.2011 giusta la fattura n. 40 del 6.11.2011. Con il che è evidente che la denuncia svolta esuli dal paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
1.2. In secondo luogo, il motivo, nonostante la sua lunga e complessa articolazione da pagina 5 a pagina 12, è privo dell’identificazione della motivazione criticanda e, quindi, è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un “non motivo” del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c. (principio costante: si veda Cass. 11 novembre 2005, n. 359; ed in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; più di recente Cass. 24 settembre 2018, n. 22478; 12 gennaio 2024, n. 1341).
Il ricorrente ha omesso di indicare la motivazione criticanda, così delegando inammissibilmente questa Corte ad individuare a che cosa dovrebbe riferirsi, mentre è onere del ricorrente provvedervi, atteso che per svolgere qualsiasi
motivo di impugnazione, che si correli alla motivazione della decisione impugnata, è necessario identificare quest’ultima.
1.3. Fermo quanto appena indicato, ai fini dell’ammissibilità il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere dedotto non solo sulla base della specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata, ma anche deducendo motivatamente le ragioni per le quali esse siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v., Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313). In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle. Compito, quest’ultimo, al quale il ricorrente non ha ottemperato non formulando in modo debito una censura della motivazione in relazione allo sviluppo argomentativo, omettendo, persino, di indicare quale sarebbe la norma violata o falsamente applicata, salvo limitarsi a porre a confronto la motivazione resa dal primo giudice con la decisione della Corte d’appello, laddove ha optato per un diverso inquadramento della fattispecie, al fine di portare in esponente elementi di contraddizione.
Il motivo, pur rubricato come violazione e falsa applicazione di norme di legge, nasconde in realtà contestazioni di merito in ordine alle valutazioni condotte dalla Corte d’appello e quindi si sostanzia in censure in fatto sulla motivazione del provvedimento, senza tener conto degli strettissimi limiti, come già detto, in cui è consentito dedurre in cassazione il vizio della motivazione. Infatti, il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo,
censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (v. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429 e 10712 del 2024).
Conclusivamente, il motivo lungi dal denunciare un error in iudicando , tende a suscitare una ricostruzione dei fatti e una valutazione delle prove alternative a quelle compiute dalla Corte di merito.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese per essere rimasti intimati RAGIONE_SOCIALE ed NOME Sebis.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, del l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte