Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5664 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17778/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME e domiciliata presso il domicilio digitale del medesimo pec:
-ricorrente-
Contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliata presso il domicilio digitale del medesimo, pec:
-controricorrente-
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5664 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
nonché contro
COGNOME, COGNOME, NOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 910/2022 depositata il 11/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
la società RAGIONE_SOCIALE, con ricorso al Tribunale di Rovigo, proposto nei confronti delle locatrici NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché della mandataria di queste ultime NOME COGNOME espose di aver stipulato, in data 30/7/2018, un contratto di locazione commerciale di un immobile sito in Villamarzana (Rovigo), costituito da locale adibito a bar pizzeria della durata di anni 6 + 6 di proprietà delle COGNOME; di aver intrattenuto tutti i rapporti relativi al contratto con la mandataria COGNOME, qualificatasi quale figlia e nipote delle proprietarie, entrambe ultraottantenni; di aver avviato un’attività di ristorazione denominata ‘Pizzeria al Porfido’, di essersi poi determinata alla cessione dell’azienda al prezzo di € 30.000 trattabili e di aver subìto la perdita di più occasioni per responsabilità della RAGIONE_SOCIALE la quale, posta di fronte a concrete proposte commerciali, fece valere il divieto previsto dal contratto di cedere il contratto di locazione con la cessione dell’azienda, dovendo prima acquisire il consenso scritto delle locatrici.
Tutto ciò premesso, l’attrice chiese di accertare e dichiarare la nullità della clausola del contratto che escludeva la possibilità della cessione del contratto di locazione commerciale in uno con la cessione dell’azienda, dichiarare che il contratto di locazione si intendeva risolto per fatto, colpa ed inadempimento delle COGNOME, condannare le proprietarie o, ai sensi dell’art. 1711 c.c., la mandataria RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni cagionati alla ricorrente per perdita di chances, oltre interessi e danno da svalutazione.
Si costituirono in giudizio, con due distinti avvocati, sia le proprietarie COGNOME sia la COGNOME. Le prime affermarono che la conduttrice aveva dato disdetta al contratto di locazione e che, in ogni caso, esse locatrici non erano state mai edotte della volontà dell’attrice di ottenere la cessione del contratto di locazione, in una alla cessione dell’azienda, e che l’attività della COGNOME era limitata a
quella di mero nuncius. Questa, costituendosi in giudizio, contestò la propria legittimazione passiva evidenziando di non aver mai ricevuto alcun mandato dalle COGNOME e di aver svolto la funzione di mero nuncius.
Il Tribunale di Rovigo accolse le domande e per l’effetto dichiarò la nullità della clausola contrattuale che vietava al conduttore la cessione del contratto di locazione senza il consenso delle locatrici, ritenendola in contrasto con gli artt. 36 e 79 della legge 392/1978; dichiarò la risoluzione del contratto per inadempimento delle COGNOME, ritenendo che la COGNOME avesse agito quale mandataria delle medesime, non avendo le due sorelle ultraottantenni mai contestato di essersi personalmente disinteressate delle trattative negoziali; ritenne validamente conferito il potere rappresentativo senza bisogno di alcuna procura notarile e ritenne che il medesimo fosse altresì provato dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra le parti e versate in atti; che l’inadempimento era riconducibile a fatto delle locatrici, condannate al risarcimento del danno in favore della ricorrente.
Le sorelle COGNOME proposero appello, riconoscendo la nullità della clausola contrattuale sempre invocata dalla COGNOME per rifiutare proposte di cessione del contratto di locazione, insistendo per l’assenza dei presupposti della risoluzione del contratto per loro inadempimento, e negando di aver conferito alla RAGIONE_SOCIALE alcun mandato.
La RAGIONE_SOCIALE restò contumace mentre si costituì la New Dream la quale insistette per la conferma della sentenza di primo grado e, in via incidentale, chiese, per l’ipotesi di accoglimento dell’avverso appello, di condannare ai danni la mandataria RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 1711 c.c.
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 910 dell’11/5/2022, notificata in data 16/5/2022, ha accolto l’appello ritenendo: non sussistere alcuna contestazione sulla questione della nullità della clausola; non provato che le RAGIONE_SOCIALE avessero incaricato la RAGIONE_SOCIALE di trattare con i terzi, in assenza di elementi sufficienti per qualificare il rapporto quale mandato; sussistente un interesse personale della RAGIONE_SOCIALE e insussistenti, invece, i presupposti sia per la risoluzione del contratto proposta da New Dream sia per la domanda di risarcimento del danno da lucro cessante; altresì insussistenti i presupposti per
la condanna della COGNOME al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 1711 c.c. e per la domanda subordinata di RAGIONE_SOCIALE di pretendere 18 mensilità del canone. Sul punto osservò che la conduttrice aveva firmato il contratto in data 30/7/2018 per poi cederlo insieme all’azienda meno di un anno dopo (aprile 2019), non a causa della perdita di occasioni commerciali dovute all’inadempimento delle locatrici ma per ragioni puramente personali della socia e legale rappresentante della srl che conducevano la società a perdere interesse per il contratto di locazione.
Avverso la sentenza, che ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento delle locatrici e di condanna delle medesime al risarcimento del danno, la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
Entrambe le parti depositano memoria.
Considerato che:
Va preliminarmente scrutinata l’eccezione di improcedibilità del ricorso per avvenuta notifica del medesimo presso il procuratore costituito nel giudizio di merito per entrambe le sorelle NOMECOGNOME pur essendo il medesimo ricorso notificato solo nei confronti di NOME e non anche di NOME COGNOME
L’eccezione è manifestamente priva di fondamento: la posizione litisconsortile necessaria della NOME, di fronte al dato certo che la notificazione del ricorso è stata fatta, come si desume dal tenore della relata, esclusivamente alla NOME, comporterebbe, se il ricorso avesse prospettiva di essere accolto e non fosse inammissibile, l’ordine di integrare il contraddittorio nei riguardi della NOME. Palesemente errata è la prospettazione della ricorrente di voler considerare la notificazione fatta pure alla NOME sol perché le due sorelle avevano lo stesso difensore: decisivo è che la relata non è diretta alla medesima. Una seconda eccezione preliminare riguarda il difetto di procura ad agire nei confronti di una delle COGNOME, cioè NOME COGNOME.
Siccome la procura speciale non menziona affatto una delle due sorelle NOME nei cui confronti proporre il ricorso per cassazione, appunto la NOME, secondo
parte controricorrente ciò avrebbe determinato il passaggio in giudicato della sentenza di appello nei confronti della sorella non menzionata.
La seconda eccezione è fondata: la procura, secondo il suo tenore è data per proporre ricorso solo contro la NOME COGNOME e, dunque, il difensore è munito di ministero solo per essa, non potendosi, di fronte alla chiara riferibilità del conferimento a proporre ricorso solo contro la stessa, inferirsi conferimento di mandato pure per l’altra sorella.
A questo punto, ferma l’inammissibilità del ricorso ex art. 365 c.p.c. contro la NOME COGNOME se il ricorso non fosse inammissibile, come ora si dirà, si renderebbe necessario, stante l’esistenza del rilevato litisconsorzio necessario, ordinarne la notifica alla medesima, atteso che in ragione dei difetto di ministero del difensore il ricorso si deve intendere come non proposto nei suoi riguardi.
L’inammissibilità dei motivi rende, però, inutile l’ordine di notifica a costei.
Con il primo motivo – art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione degli artt. 1703, 1705, 1711 c.c. i quali ben consentono di configurare il rapporto di mandato (eventualmente nella forma ‘senza rappresentanza’) laddove il mandatario, anche se incaricato solo di riferire al dominus, in realtà abbia agito senza la spendita del nome di questo ed eventualmente per un ‘interesse proprio’ (mandato in rem propriam)- la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha escluso la riconducibilità della fattispecie al mandato, omettendo di considerare anche l’ipotesi del mandato senza rappresentanza.
Il motivo è inammissibile.
Riferisce di voler denunciare un vizio di falsa applicazione, sussumendo il fatto così come l’ha ritenuto la sentenza impugnata.
Senonché, assume come oggetto di critica solo una parte della motivazione, quella che nella pagina 7 la Corte esprime nel paragrafo 8, ma omette di considerare che il pur scarno tenore della motivazione va apprezzato al lume di quanto la sentenza osserva nel precedente paragrafo 7, a partire dal <>.
Ne discende che la critica svolta nel motivo è inidonea ad attingere il decisum della sentenza.
Si aggiunga che il riferimento all’interesse ‘proprio’, che nella sentenza non è indicato con tale aggettivo, ma con quello ‘personale’ è fatto senza considerata la frase successiva <>.
Del tutto assertoria è, poi, la prospettazione dell’esistenza del mandato senza rappresentanza, atteso che non è detto da quali elementi fattuali apprezzati dalla Corte si dovrebbe evincere la falsa applicazione. Tanto colloca la prospettazione al di fuori di tale vizio e rende la prospettazione del tutto generica.
Con il secondo motivo di ricorso – deducente in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 nullità della sentenza o del procedimento posto che il giudice di appello, per escludere l’esistenza del rapporto gestorio esistente tra Fanan e Fogagnolo, con grave violazione di legge (art. 115-116 c.p.c. in relazione ad artt. 1703,1705, 1711) non ha considerato fatti accertati in quanto pacificamente ammessi dalla parte o mai contestati – è parimenti inammissibile.
Il secondo motivo evoca infatti – pur non citandola – la violazione della norma dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., ma lo fa senza rispettare i criteri di deduzione indicati dalla giurisprudenza di questa Corte e ribaditi dalle note Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014: si basa, infatti, cosa che le Sezioni Unite hanno escluso nell’individuare le modalità di deduzione del vizio, su elementi aliunde rispetto alla motivazione e si sostanzia, in realtà, in una sollecitazione a valutare le emergenze fattuali senza rispettare i limiti discendenti sempre secondo dette sentenze dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è mal dedotta perché non osserva quanto prescritto da questa Corte (Cass. n. 11892 del 2016 ed, ex multis , Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020), impingendo in una richiesta di riesame della quaestio facti .
Con il terzo motivo di ricorso – prospettante ‘violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 per omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (la non contestazione della gestione del rapporto di locazione da parte di Fogagnolo; l’ammissione di averle affidato quantomeno funzione di nuncius ; le registrazioni della Fogagnolo) – si deduce l’omesso esame di una serie di circostanze, ma si omette di indicarne la decisività nei termini indicati sempre dalle sopra citate S.U. del 2014, sicché il motivo si colloca nella logica del vecchio testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma 1 n. 3 c.p.c. si prospetta invalidità derivata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1375 c.c., 1453 c.c. in relazione all’art. 36, 79 L. 392 del 1978.
Assumendo che la provata esistenza di un rapporto gestorio da mandato della RAGIONE_SOCIALE da parte delle Fanan importerebbe la riferibilità del comportamento della prima nella sfera giuridica delle seconde, cui dovrà essere imputata la responsabilità per la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, si contesta la sentenza nella parte in cui ha escluso la riconducibilità dell’attività della RAGIONE_SOCIALE alla sfera giuridica delle RAGIONE_SOCIALE.
Il quarto motivo, una volta consolidatasi la motivazione sulla mancanza di rappresentanza in capo alla COGNOME per la sorte dei primi tre motivi, resta assorbito, in quanto la corte di merito ha motivato sulla domanda di risoluzione e risarcitoria verso le locatici proprio dando rilievo a detta mancanza.
Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, 1 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 1375, 1175, 1337, 1336, 1374 e 1375 c.c. art. 1703, 1705, 1711 c.c., legittimo ed incolpevole affidamento della società sui poteri conferiti a COGNOME da COGNOME, responsabilità delle COGNOME per aver creato la c.d. ‘apparenza colpevole’.
Il motivo deduce l’apparenza del diritto evocando la valutazione di una serie di circostanze di fatto e solo all’esito di essa opina la violazione delle norme di diritto evocate.
Poiché quella valutazione è esclusa dal novero dei vizi deducibili con il ricorso per cassazione, avuto riguardo all’esegesi che del n. 5 dell’art. 360 c.p.c è stata
data dalle già evocate sentenze delle Sezioni Unite del 2014, il motivo è inammissibile.
Con il sesto motivo si denuncia – ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 in relazione agli artt. 1388 1389 1704, 1711 – responsabilità del falsus procurator per aver agito in difetto di mandato o eccedendo i limiti di questo.
Valgono le stesse considerazioni già espresse con il precedente motivo, giacché l’illustrazione presenta le stesse caratteristiche argomentative esiziali di esso.
Conclusivamente, il ricorso è dichiarato inammissibile. La ricorrente è condannata al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 1.800 (oltre € 200 per esborsi), più accessori e spese generali al 15 %.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile del 7