Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1824 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1824 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19287/2023 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME in proprio e quale titolare dell’omonima farmacia, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE soc. cooperativa in liquidazione, in persona dei liquidatori del concordato preventivo di tale società, RAGIONE_SOCIALEte domiciliata presso l’avv. NOME COGNOME rappres. e difesa dall’avvocato NOME COGNOME in virtù del provvedimento del g.d. del 5.10.2023, per procura speciale in atti;
-controricorrente-
-nonché-
RE.RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t.; -intimata- avverso la sentenza del la Corte d’appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto- n. 246/2023, depositata in data 16.06.2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3.12.2024 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Taranto, NOME COGNOME, quale titolare dell’omo nima farmacia in Tursi (MT), esponendo che: con contratto stipulato in data 30 maggio 2007, la RAGIONE_SOCIALE aveva conferito mandato alla RAGIONE_SOCIALE per la conclusione, in nome proprio e per conto della mandante, di un contratto di associazione in partecipazione con la dott.ssa COGNOME; in pari data la RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato con la COGNOME un contratto di associazione in partecipazione finalizzato all’attuazione di un programma di sviluppo dell’attività (di durata fino al 31 dicembre 2011, termine poi prorogato in virtù di successivo accordo sino al 31 dicembre 2013), con la previsione di un apporto finanziar io di € 1.000.000,00 da parte della RAGIONE_SOCIALE oltre che di supporto all’attività di impresa, da restituirsi senza interessi alla scadenza, e la partecipazione agli utili di gestione in misura pari al 45%, senza partecipazione alle perdite; la RAGIONE_SOCIALE come da mandato, versava alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 1.000.000,00 attraverso plurimi bonifici (specificamente indicati e documentati), effettuati tra il 30 maggio 2007 ed il 27 settembre 2007, e la RAGIONE_SOCIALE a sua volta, in esecuzione del mandato e di
quanto convenuto con la dott.ssa COGNOME con il contratto di associazione in partecipazione, a far data dall’1 giugno 2007 al 29 settembre 2007 versava una pari somma alla farmacista; a seguito di ricorso ex art. 671 c.p.c. ante causam presentato dalla esponente, con ordinanza del 22 gennaio 2019 il Tribunale di Taranto autorizzava il sequestro conservativo di beni mobili, immobili e crediti della COGNOME sino alla concorrenza di euro 1.150.000,00, sulla base della (ritenuta) probabile fondatezza della domanda e del positivo apprezzamento del requisito del periculum in mora , la cui sussistenza veniva affermata sulla scorta degli oggettivi elementi rappresentati dalla notevole sproporzione rilevata tra l’importo del credito insoddisfatto e l’ammontare del patrimonio aziendale-personale della Camardo; tanto premesso, parte attrice, affermata la propria legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 1705, co. 2, c.c., chiedeva la condanna della convenuta al pagamento in proprio favore della somma di euro 1.181.048,00, di cui euro 1.000.000,00 a titolo di restituzi one dell’apporto ricevuto e di euro 181.048,00 a titolo di quota degli utili di esercizio conseguiti dalla farmacia COGNOME nel periodo dal 2007 al 2011, con rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonché la condanna della medesima al pagamento della quota da calcolarsi sugli utili di esercizio relativi agli anni 2012-2013, oltre rivalutazione ed interessi legali.
NOME COGNOME si costituiva in giudizio nel giorno antecedente rispetto alla prima udienza di comparizione (e quindi non tempestivamente); a seguito di ordinanza del 25 giugno 2019, con cui si ordinava l’integrazione del contradditorio, ai sensi dell’a rt. 102 c.p.c., nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, l’ Unioneffe citava in
giudizio quest’ultima società per sentire accogliere le conclus ioni rassegnate in atti. Si costituiva in giudizio la predetta società fiduciaria, chiedendo il rigetto della domanda nei propri confronti, eccependo che: l’attrice disponeva della legittimazione ad agire direttamente nei confronti della convenuta RAGIONE_SOCIALE Camardo, deponendo in tal senso il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 8 del mandato fiduciario, che attribuivano alla mandataria il potere di agire in giudizio a tutela dei diritti della mandante sulla base di istruzioni scritte, che peraltro non erano mai pervenute, non avendo l’ Unioneffe mai impartito ordini o conferito specifico mandato alla stessa RAGIONE_SOCIALE per il recupero delle somme oggetto di giudizio; a norma del medesimo regolamento contrattuale sottoscritto ed accettato dalle parti (art. 14 del mandato fiduciario), aveva diritto di essere manlevata e tenuta indenne da ogni onere e responsabilità connessa al giudizio, posto che la COGNOME aveva assunto i suoi obblighi solo formalmente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, ma che sostanzialmente la stessa doveva ritenersi giuridicamente obbligata nei confronti della mandante RAGIONE_SOCIALE. La RAGIONE_SOCIALE spiegava poi domanda riconvenzionale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, asserendo di essere a sua volta creditrice verso quest’ultima (in forza di mandato fiduciario del 30.05.2007 intercorso con RAGIONE_SOCIALE, in seguito RAGIONE_SOCIALE a seguito della fusione con detta società) delle commissioni dovute a fronte delle prestazioni rese relativamente al periodo 2009-2019, il cui importo veniva quantificato in Euro 29.200,00;
Preso atto della comparsa di costituzione di RAGIONE_SOCIALE, all’udienza del 10 dicembre 2019, L’Unioneffe, nell’espressa impugnativa dell’avversa domanda riconvenzionale, insisteva per l’accoglimento
della domanda già spiegata nei confronti di entrambe le convenute, ed eccepiva gravi inadempienze contrattuali in capo alla fiduciaria, concludendo per la risoluzione del mandato ex art. 1453 c.c. e la condanna della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno patito, in via gradata con compensazione tra le somme dovute a titolo di risarcimento e le eventuali somme dovute in dipendenza del rapporto negoziale dedotto in causa.
Con sentenza n. 2133/2021 pubblicata in data 29 settembre 2021, il Tribunale condannava la Camardo al pagamento in favore del c oncordato dell’Unioneffe della somma di Euro 1.203.079,00, con interessi legali dalla data di esigibilità del credito al saldo, nonché alla rifusione delle spese di lite nei confronti dell’attrice e della terza chiamata; rimaneva assorbito l’esame della domanda subordinata proposta dalla Unioneffe anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; rigettava le domande proposte dalla Unioneffe in corso di causa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE condannando l’attrice al pagamento in favore di quest’ultima della somma di Euro 21.700,00; condannava, infine, la COGNOME alla rifusione delle spese di lite nei confronti delle altre due parti, mentre dichiarava integralmente compensate le spese della fase cautelare.
Avverso tale sentenza proponeva appello NOME COGNOME si costituivano anche in questa fase entrambe le parti appellate, Unioneffe e RAGIONE_SOCIALE che, reiterando le difese già formulate in primo grado, concludevano per l’inammissibilità – improcedibilità dei motivi di impugnazione ( ex artt. 342-345 c.p.c.) e, in ogni caso, per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza im pugnata. l’appello,
Con sentenza del 16.6.23, la Corte d’appello rigettava osservando che: erano infondate le eccezioni di inammissibilità
sollevate dalle parti appellate, ai se nsi dell’art. 342 c.p.c., poichè l’atto di appello conteneva una critica puntuale della decisione impugnata, avendo la COGNOME, con specifiche argomentazioni volte ad incrinare nel suo complesso il fondamento logico-giuridico delle statuizioni assunte, censurato sotto diversi profili la motivazione della sentenza appellata; l’appellante adduceva quale primo mot ivo di gravame l’errore nel quale il giudice di prime cure sarebbe incorso per aver ritenuto inammissibile l’e ccezione di improponibilità dell’azione, sollevata dalla convenuta in ragione della clausola di arbitrato irrituale contenuta nel contratto di associazione in partecipazione del 30 maggio 2017; sotto tale profilo era stata censurata la valutazione compiuta dal Tribunale nel ritenere che l’eccezione de qua non fosse rilevabile d’ufficio, e che come tale la stessa avrebbe dovuto essere proposta, a pena di decadenza, con comparsa di costituzione da depositarsi tempestivamente nel termine di venti giorni fissat o dall’art. 166, co. 1, c.p.c., mentre la COGNOME si era costituita in giudizio solo in data 24 giugno 2019, vale a dire lo stesso giorno in cui era fissata la prima udienza in citazione; secondo la tesi sostenuta dall’appellante, a differenza dell’eccezio ne di compromesso per arbitrato rituale, senz’altro assoggettata al medesimo regime previsto per quella di incompetenza, l’eccezione fondata sull’esistenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, involgerebbe una questione di proponibilità della domanda, quindi attinente al merito (trattandosi di un’eccezione di natura sostanziale), sicché siffatta valutazione, omessa in primo grado, avrebbe dovuto indurre il giudicante a ritenere detta eccezione rilevabile d’ufficio, posto che l’art. 819 ter c.p.c., a differenza
dell’art. 38 c.p.c., si limita a stabilire che l’eccezione di compromesso deve proporsi a pena di decadenza nella comparsa di risposta, senza alcun richiamo al combinato disposto degli artt. 38167 c.p.c.; tale gravame era infondato, in quanto l’arbitrato irrituale costituisce uno strumento di risoluzione contrattuale delle contestazioni insorte o che possono insorgere tra i contraenti in ordine a determinati rapporti giuridici, ed è imperniato sull’affidamento a terzi del compito di ricercare una composizione amichevole, conciliante o transattiva; premessa la distinzione con l’arbitrato rituale, non era censurabile la decisione del Tribunale di ritenere tardiva l’eccezione di improponibilità della domanda, posto che trattava si di un’eccezione riservata alla volontà della parte, come ammesso dalla stessa appellante, ed in quanto tale doveva ritenersi non rilevabile d’ufficio, in quanto eccezione in senso stretto; il versamento in favore della COGNOME della somma di un milione di euro e la provenienza di detta somma da ll’ Unioneffe costituivano circostanze documentate (si veda in particolare gli allegati 5-11 fasc. parte Unioneffe in primo grado) e non contestate dalle parti, e l’appellante non aveva allegato (e tanto meno provato) di aver provveduto, come era suo preciso obbligo, alla restituzione del capitale ottenuto dalla associata RAGIONE_SOCIALE in qualità di mandataria fiduciaria, unico fatto impeditivo che avrebbe potuto rilevare al fine di far ritenere ormai insussistente la posizione debitoria della COGNOME nei confronti non solo della società fiduciaria, ma anche della mandante RAGIONE_SOCIALE; non appariva, dunque, particolarmente significativa l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dalla convenuta, peraltro infondatamente, posto che il mancato riferimento nel contratto di
associazione in partecipazione al mandato conferito dalla RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE non costituiva circostanza idonea ad escludere l’esistenza di detto rapporto fid uciario e con essa il diritto della Unioneffe di agire ex art. 1705, co. 2, c.c. per l’esercizio dei diritti di credito derivanti dall’associazione in partecipazione; per il resto, l’esame degli atti difensivi di primo grado (si vedano la comparsa di costituzione, la memoria ex art. 183, co. 6 n. 2, c.p.c., la comparsa conclusionale) evidenziavano che la COGNOME non aveva mai contestato l’ammontare della quota di utili rivendicata dall’attrice (corrispondente al 45% degli utili complessivi conseguiti dalla farmacia nel periodo 2007-2011), non avendo in alcun modo preso posizione sulla relativa quantificazione ed essendosi ancora una volta limitata ad eccepire la carenza di titolarità del rapporto nel lato attivo, senza dare alcuna prova in ordine all’adempimento degli obblighi contrattuali su di essa incombenti; non poteva sottacersi che la COGNOME era stata edotta, non fosse altro che per le vicende processuali che l’avevano coinvolta nell’ambito del procedimento cautelare ante causam , del rapporto esistente tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE a nulla rilevando che tale accordo non fosse stato esteso per adesione alla RAGIONE_SOCIALE e da quest’ultima formalmente sottoscritto, e tuttavia nulla fece per procedere alla restituzione della somma fornitale da RAGIONE_SOCIALE ed al versamento della quota di utili, come convenuto nel contratto di associazione in partecipazione, né alla RAGIONE_SOCIALE, né alla Unioneffe; era infondata anche la doglianza relativa all’ordine istruttorio, poiché adottato nel rispetto delle previsioni della disposizione avendo ad oggetto documenti in possesso della COGNOME la cui acquisizione al processo si presentava necessaria; d ‘altra parte, l’appellante non ha dedotto
che le altre parti avrebbero potuto procurarsi in altro modo la documentazione posta a fondamento della pretesa.
La Corte territoriale rilevava altresì che, secondo quanto puntualmente eccepito dalla difesa della mandataria fiduciaria, la COGNOME non aveva mai dimostrato, come era suo onere: a) la mancata esecuzione dell’obbligo di assistenza gestionale da parte della RAGIONE_SOCIALE; (b) che il contratto di associazione in partecipazione (all. 3 fasc. Unioneffe del primo grado) prevedeva al punto D) che l’associante avrebbe accettato l’affiancamento di una persona designata dalla associata, con funzioni di mero controllo, c on spese a carico dell’associata, proprio al fine di apprestare detto supporto nella direzione amministrativa e gestionale della farmacia; (c) che il mandato fiduciario concluso tra la RAGIONE_SOCIALE e l’ RAGIONE_SOCIALE in data 30 maggio 2007, definito statico, ossia avente ad oggetto il compimento di atti di amministrazione nell’interesse dalla mandante solo ed esclusivamente a seguito di sue istruzioni impartite con atto scritto, prevedeva espressamente (all. 1 fasc. parte RE.SERAGIONE_SOCIALECO. di primo grado) l’assu nzione, a nome della RAGIONE_SOCIALE, per conto ed a spese esclusive della mandante, dell’amministrazione fiduciaria dell’associazione in partecipazione della farmacia della dott.ssa COGNOME, sita in Tursi (MT); quanto poi all’esclusione della RAGIONE_SOCIALE dalle perdite, tanto è avvenuto in linea con quanto consentito dall’art. 2553 c.c., come ritenuto dal primo giudice (si veda Cass. 1 ottobre 2008, n. 24376), con l’ulteriore notazione che la sola partecipazione agli utili comportava comunque un rischio per l’associato; pertanto, non vi era ragione per discostarsi dall’insegnamento della S.C., richiamato dal giudice a quo (si veda Cass. s.u. n. 24772/2008 cit.), secondo cui – sulla
base di una interpretazione peraltro restrittiva dell’art. 1705, co. 2, c.c. – in tema di mandato senza rappresentanza detta norma assume carattere eccezionale nella parte in cui consente al mandante di esercitare i diritti di credito derivanti dal rapporto tra il mandatario e il terzo, rispetto al quale il mandante è completamente estraneo e che l’espressione ‘ diritti di credito ‘, contenuta nella richiamata disposizione, deve essere in via interpretativa ‘ rigorosamente circoscritta all’esercizio dei soli d iritti sostanziali acquistati dal mandatario, con conseguente esclusione delle azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione e risarcimento) ‘; appariva dunque chiaro che l’azione promossa da ll’ RAGIONE_SOCIALE si collocava correttamente nel solco innanzi delineato, avendo la medesima rivendicato la restituzione (ed ancor prima la titolarità) delle somme corrisposte alla RAGIONE_SOCIALE in esecuzione dell’associazione in partecipazione, nonché il diritto al conseguimento della quota di utili spettanti in forza del contratto stipulato dalla fiduciaria nell’interesse della mandante; in conclusione, era da ravvisare la sussistenza della legittimazione attiva dell’ Unioneffe avendo essa, nel presente giudizio, inteso esercitare del tutto legittimamente i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, in aderenza al disposto di cui all’art. 1705, co. 2, c.c.; né alcuna rilevanza poteva essere riconosciuta alla mancanza di richiamo nel contratto di associazione in partecipazione al mandato fiduciario, posto che la mandante non era affatto tenuta alla spendita del nome della mandataria, né a dare diversamente atto dell’esistenza del sottostante rapporto negoziale.
NOME COGNOME, in proprio e quale titolare dell’omonima farmacia, ricorre in cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria. Il concordato della Unioneffe resiste con controricorso; non si è costituita la RAGIONE_SOCIALE
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 1372 c.c., 166, 167, c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto tardiva l’eccezione d’improponibilità dell’eccezione di compromesso irrituale, sebbene l’art. 819 ter qualifichi l’eccezione in questione in senso stretto solo con riguardo al compromesso rituale, e senza tener conto del fatto che tale questione avrebbe potuto riguardare la sola RAGIONE_SOCIALE e non l’ Unioneffe, estranea al contratto di compromesso.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 1705, c.2, c.c., nonché, in relazione all’art. 360, n.4, degli artt. 132, c.2, n.4, 118 disp. att., c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che l’ Unioneffe fosse legittimata a richiedere la restituzione della provvista relativa al contratto di AIP funzionale alla gestione della farmacia, in quanto esorbitante dai limiti del mandato di cui all’art. 1705, c.2, c.c.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 2697 c.c., nonché omesso esame di fatti decisivi, e violazione degli artt. 115, 116, 210, c.p.c., circa la questione dell’eccezione di legittimazione attiva della Union effe e dell’obbligo di restituzione della somma per cui è causa.
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 1346, 1417, 1418, 2553, 2697, c.c., per aver la Corte d’appello, applicando erroneamente il principio del riparto dell’onere della prova sulla simulazione assoluta del contratto, omesso l’ esame di fatti decisivi, in violazione degli artt. 115, 116, 132, c.p.c., con erronea
valutazione degli elementi istruttor i, affermando l’ obbligo di restituzione della somma e degli utili in mancanza della conclusione dell’affare.
Il primo motivo è infondato. Dagli atti di causa emerge che il Tribunale aveva dichiarato inammissibile l’eccezione d’improponibilità della domanda, sollevata dalla ricorrente, in ragione della clausola di arbitrato irrituale contenuta nel contratto d’associazione in partecipazione stipulato dalla stessa ricorrente con la RAGIONE_SOCIALE il 30.5.17, finalizzata all’attuazione di un programma di sviluppo dell’impresa della Camardo, sulla cui base quest’ultima aveva ricevuto la somma di un milione di euro quale finanziamento, senza interessi, con accordi di corrispondere il 45% degli utili senza partecipazione alle perdite.
La Corte d’appello ha confermato tale statuizione d’inammissibilità, per tardiva deduzione dell’eccezione di compromesso, dopo aver premesso la distinzione tra arbitrato irrituale e rituale, e richiamando giurisprudenza di questa Corte.
Invero, la Corte territoriale, pur avendo premesso la suddetta distinzione, e senza esaminare la norma contrattuale, ha affermato che l’eccezione di compromesso era inammissibile perché proposta tardivamente nella comparsa di risposta depositata nello stesso giorno della prima udienza, in violazione degli artt. 166 e 167, c.p.c. La ricorrente assume che l’eccezione d’arbitrato irrituale attiene all’improponibilità della domanda e, pertanto afferisce al merito della causa, con la conseguenza che ad essa non s’applicherebbe il termine di decadenza di 20 gg. prima dell’udienza, ex a rt. 166 c.p.c. In giurisprudenza s’afferma che: ‘l’eccezione di compromesso ha natura processuale, inerendo a questione di competenza, peraltro
non rilevabile d’ufficio in quanto di natura non funzionale, perlomeno nei casi nei quali non afferisce a diritti indisponibili, e deve essere eccepita nella comparsa di risposta e nel rispetto del termine fissato ex art. 166 c.p.c., a pena di decadenza e conseguente radicamento presso il giudice adito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta” (Cass. Civ. – sez. VI -06/11/15 n.22748 conforme Cass. Civ. Sez. I – 17/03/20 n.7399). In considerazione della natura giurisdizionale dell’arbitrato, l’eccezione di ritualità o irritualità dello stesso non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere proposta dalla parte interessata, la quale, versandosi in materia di facoltà e diritti disponibili, ben può rinunciare ad avvalersene, anche tacitamente, ponendo in essere comportamenti incompatibili con la volontà di giovarsi del compromesso (Cass., n. 1097/16).
L’improponibilità della domanda a causa della previsione d’una clausola compromissoria per arbitrato irrituale è rilevabile, in conclusione, non già d’ufficio, ma solo su eccezione della parte interessata e, deve essere qualificata come eccezione in senso stretto. ( vedi anche Cass., n. 5265/2011).
Nella specie, alla luce del richiamato consolidato orientamento, l’eccezione d’improponibilità della domanda, in quanto eccezione in senso stretto non rilevabile d’ufficio, risulta proposta tardivamente, come indiscutibilmente accertato dalla Corte di merito. L’applicazione della decadenza non è impedito dalla natura irrituale dell’arbitrato, essendo condivisibile il consolidato assunto della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, si tratta di un’eccezione nella esclusiva disponibilità della parte, l a quale unica può decidere se avvalersene, nel termine di decadenza previsto per
le eccezioni in senso stretto o lasciare alla giurisdizione, anche con comportamenti incompatibili con la formulazione dell’eccezione, la decisione del caso.
Il secondo motivo è ugualmente infondato ed in parte inammissibile.
Anzitutto, la ricorrente si duole che la sentenza impugnata avrebbe pronunciato in violazione dell’art. 1705, c.2, c.c., nella parte in cui contempla la condanna alla restituzione della somma conferita all’associante ricorrente, in quanto esorbitante dall’ambito dell’art. 1705 c.c. Invero, al riguardo, la ricorrente invoca il principio per cui, in tema di mandato senza rappresentanza, la previsione di cui all’art. 1705, comma 2, c.c. -secondo cui, in deroga alla regola generale per cui i terzi non hanno alcun rapporto col mandante, quest’ultimo “può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato” – va circoscritta all’esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, rimanendo escluse le azioni di annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno.
Invero, va rilevato che né la società mandante, né la mandataria affermano che la restituzione, oggetto di condanna, operi in funzione di una domanda demolitiva del contratto di associazione in partecipazione, e la Corte d’Appello ha invece argomentato significativamente che il mancato riferimento nel contratto di associazione in partecipazione al mandato conferito dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE non costituiva circostanza idonea ad escludere l’esistenza del rapporto fiduciario, e con essa il diritto della mandante di agire ex art. 1705, co. 2, c.c. per l’esercizio dei diritti di credito derivanti dall’associazione in partecipazione .
Nel caso di specie sono stati esercitati diritti di credito casualmente derivanti dal rapporto fiduciario. Ne consegue che pur condividendo il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’art. 1705 c.c. è di stretta interpretazione e le azioni esercitabili dal mandante riguardano i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato (art. 1705, secondo comma, cod. civ.), nella specie la richiesta di restituzione della provvista si colloca all’interno della nozione normativa per ché deriva in via diretta dall’esercizio del mandato ed ha carattere sostanziale, mentre la censura solo astrattamente prefigura una qualificazione giuridica diversa.
Pertanto, in mancanza di specifiche allegazioni contrarie, anche la restituzione della provvista deve ritenersi un obbligo contenuto nel contratto associativo, come statuito dalla sentenza impugnata.
Peraltro non risulta assolto neppure adeguatamente l’onere di autosufficienza, in quanto non è allegato o trascritto il contratto di associazione in partecipazione, invocato al fine di escludere l’operatività dell’art. 1705, c.2, c.c., senza essere state formulate azioni caducatorie del mandato.
Il terzo motivo è del pari inammissibile, in quanto la Corte di merito ha svolto un puntuale accertamento di fatto sulla natura endocontrattuale dei crediti azionati dal mandante (restituzione provvista ed utili, questi ultimi sostanzialmente riconosciuti pure dalla ricorrente seppure in via eventuale), e perciò il motivo tende al l’insindacabile riesame dei fatti.
Ne discende parimenti, per connessione logico-sistematica, l’inammissibilità delle doglianze riguardanti l’esame degli elementi istruttori e la motivazione della sentenza impugnata.
In particolare, circa la critica relativa all’ordine di acquisizione dei documenti contabili della Camardo, va osservato che il provvedimento di cui all’art. 210 cod. proc. civ. è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto ad indicare le ragioni per le quali ritiene di avvalersi, o no, del relativo potere, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (Cass., n. 223196/2020; n. 4375/2010).
Al riguardo, la Corte d’appello ha peraltro, ritenuto correttamente adottato l’ordine in questione, nel rispetto della legge, avendo ad oggetto documenti in possesso della COGNOME la cui acquisizione al processo si presentava necessaria, ponendo in evidenza anche che la ricorrente non aveva dedotto che le altre parti avrebbero potuto procurarsi in altro modo la documentazione posta a fondamento della pretesa.
Invero, come precisato dalla controricorrente, la farmacia COGNOME era gestita sotto forma di impresa individuale, con contabilità semplificata, senza obbligo di deposito dei bilanci presso gli uffici finanziari competenti, con conseguente impossibilità di reperire altrimenti i dati contabili.
Se ne deve, pertanto, inferire anche l’inammissibilità della critica riguardante il difetto di motivazione.
Allo stesso modo è inammissibile la doglianza sull’asserito errore di percezione della prova, in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, in quanto generica ed astrattamente valutativa.
D’altra parte, non va sottaciuto che le predette critiche non sono neppure munite di decisività, in quanto la ricorrente non ha mai
formulato contestazioni in ordine alla ricezione dell’apporto iniziale ed al mancato pagamento degli utili di esercizio.
Il quarto motivo, infine, è del pari inammissibile, introducendo una questione nuova, relativamente alla prova della simulazione del contratto di associazione in partecipazione, non emersa nei gradi di merito.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 10.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024.