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Mandato irrevocabile all’incasso: revocatoria sicura

La Corte di Cassazione conferma che il pagamento ottenuto da una banca tramite un mandato irrevocabile all’incasso, conferito da una società poi fallita, è soggetto a revocatoria. Tale strumento, utilizzato per estinguere un debito preesistente, costituisce un mezzo di pagamento anormale che lede la parità di trattamento dei creditori, anche se coevo alla concessione di un finanziamento. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso della banca, ribadendo che l’atto revocabile è la materiale riscossione della somma nel periodo sospetto, non il conferimento del mandato in sé.

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Mandato Irrevocabile all’Incasso: Un Mezzo di Pagamento a Rischio Revocatoria

L’utilizzo del mandato irrevocabile all’incasso come strumento di garanzia per finanziamenti è una prassi comune, specialmente nei rapporti tra banche e imprese. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che questa operazione, sebbene lecita, nasconde un’insidia significativa in caso di successivo fallimento dell’impresa mandante. La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: la riscossione di un credito tramite tale mandato, se avvenuta nel cosiddetto ‘periodo sospetto’, costituisce un pagamento con mezzi anormali ed è quindi soggetta a revocatoria fallimentare.

I Fatti di Causa

Una società, prima di essere dichiarata fallita, aveva ottenuto da un istituto di credito delle anticipazioni su futuri rimborsi di crediti IVA. A garanzia della restituzione delle somme anticipate, la società aveva conferito alla banca due mandati irrevocabili a riscuotere tali crediti direttamente dall’amministrazione finanziaria.

Successivamente, la banca incassava le somme e le utilizzava per estinguere il debito derivante dalle anticipazioni concesse. Pochi mesi dopo, la società veniva dichiarata fallita.

Il curatore del fallimento agiva in giudizio per ottenere la revoca di tali pagamenti, sostenendo che fossero stati eseguiti con mezzi ‘anormali’ e che avessero leso la par condicio creditorum, ovvero il principio di parità di trattamento di tutti i creditori. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano la domanda del Fallimento. L’istituto di credito, soccombente, ricorreva quindi in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della banca inammissibile, confermando integralmente le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno chiarito che l’operazione nel suo complesso, pur apparendo come un meccanismo di auto-liquidazione di un finanziamento, si traduce in un pagamento di un debito preesistente con uno strumento anomalo, e come tale è revocabile ai sensi della legge fallimentare.

Le Motivazioni: Analisi del mandato irrevocabile all’incasso

Il cuore della decisione risiede nella qualificazione giuridica del mandato irrevocabile all’incasso e dei suoi effetti. La Corte ha spiegato che, a differenza della cessione del credito, il mandato non trasferisce la titolarità del credito stesso, che rimane in capo al mandante (la società poi fallita). Il mandato conferisce al mandatario (la banca) solo la legittimazione a riscuotere.

L’effetto solutorio, ovvero l’estinzione del debito, si verifica solo nel momento in cui la banca materialmente incassa le somme dal terzo debitore (in questo caso, l’Agenzia delle Entrate) e le trattiene. È questo specifico atto di pagamento, se avvenuto nel periodo sospetto (nei due anni antecedenti la dichiarazione di fallimento), ad essere considerato anormale e quindi revocabile.

La Corte ha sottolineato che strumenti come il mandato all’incasso, quando usati per estinguere un debito, si discostano dalle normali pratiche commerciali (come bonifici, assegni, etc.). Essi precostituiscono un mezzo sicuro di pagamento a favore del creditore-mandatario, alterando la parità di trattamento tra i creditori. In pratica, la banca si garantisce una via preferenziale per il recupero del proprio credito, sottraendo risorse che, in caso di fallimento, dovrebbero essere distribuite equamente tra tutti i creditori.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Banche e Imprese

La sentenza ribadisce un importante monito per gli operatori finanziari e le imprese. Per le banche, l’utilizzo del mandato irrevocabile all’incasso come garanzia per finanziamenti, pur essendo una pratica diffusa, comporta un elevato rischio di inefficacia in caso di fallimento del cliente. La garanzia si rivela fragile proprio nel momento del bisogno. Le somme incassate nel periodo sospetto possono essere richieste indietro dal curatore fallimentare, costringendo la banca a insinuarsi al passivo come un qualsiasi altro creditore chirografario.

Per le imprese, è fondamentale essere consapevoli che la concessione di tali mandati non mette il creditore al riparo dalle conseguenze di una futura insolvenza. Questo strumento, pur facilitando l’accesso al credito, crea una preferenza di fatto che l’ordinamento fallimentare tende a neutralizzare per proteggere l’intero ceto creditorio.

Un mandato irrevocabile all’incasso è un pagamento sicuro in caso di fallimento del debitore?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la riscossione delle somme da parte del creditore-mandatario nel periodo sospetto (due anni prima del fallimento) è un atto di pagamento eseguito con mezzi anormali, e pertanto è soggetto all’azione revocatoria fallimentare. Di conseguenza, il curatore può chiedere la restituzione delle somme incassate.

Qual è la differenza tra un mandato irrevocabile all’incasso e una cessione del credito ai fini della revocatoria?
Nel mandato all’incasso, la titolarità del credito rimane al mandante (debitore), e l’effetto solutorio si verifica solo con la materiale riscossione. È questo momento che rileva per la revocatoria. Nella cessione del credito in pagamento, invece, la titolarità del credito viene trasferita subito al cessionario (creditore), e il momento rilevante per la revocatoria è quello della stipula dell’atto di cessione, non quello del successivo incasso.

Perché la riscossione tramite mandato irrevocabile all’incasso viene considerata un “mezzo anormale” di pagamento?
Perché non rientra tra gli strumenti di pagamento comunemente utilizzati nelle relazioni commerciali (come denaro, assegni, bonifici). Si tratta di una forma negoziale indiretta e mediata che precostituisce una garanzia atipica, risolvendosi in un mezzo sicuro di pagamento in favore del mandatario a scapito degli altri creditori, alterando così la par condicio creditorum.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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