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Mandato in rem propriam: l’obbligo di rendiconto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7888/2024, ha stabilito che la concessione di ampi poteri al mandatario non è sufficiente a qualificare il mandato come ‘in rem propriam’ e, di conseguenza, a esonerarlo dall’obbligo di rendiconto. Nel caso esaminato, un padre, mandatario del figlio per la vendita di alcuni immobili, si era trattenuto i proventi sostenendo che il mandato fosse anche nel suo interesse. La Corte ha rigettato il ricorso del padre, confermando che l’interesse del mandatario deve risultare in modo esplicito e che la semplice dichiarazione di aver ricevuto somme non prova l’esistenza di un mutuo a compensazione.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Mandato in rem propriam: quando il rendiconto è obbligatorio?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un delicato caso familiare che ruota attorno alla corretta esecuzione di un mandato e alla controversa figura del mandato in rem propriam. La vicenda vede contrapposti un figlio e un padre, con quest’ultimo accusato di non aver adempiuto ai suoi obblighi di mandatario dopo aver venduto alcuni terreni per conto del figlio. La decisione offre importanti chiarimenti su quando un mandato si possa considerare conferito anche nell’interesse del mandatario e quali siano le conseguenze sull’obbligo di rendiconto.

I fatti del caso: un mandato tra padre e figlio

Un figlio aveva conferito al padre un mandato per la vendita di cinque terreni edificabili. Successivamente, il figlio lo citava in giudizio sostenendo che il padre, pur avendo venduto gli immobili, non avesse mai fornito un rendiconto dell’attività né restituito il corrispettivo incassato.

Il padre si difendeva avanzando diverse argomentazioni:
1. Sosteneva che i terreni fossero stati acquistati con denaro da lui fornito, configurando una donazione indiretta a favore del figlio.
2. Affermava che il mandato fosse in rem propriam, ovvero stipulato anche nel proprio interesse, in quanto egli era creditore del figlio per somme derivanti dalla gestione di una precedente società. Questo, a suo dire, lo esonerava dall’obbligo di presentare il rendiconto.
3. In subordine, chiedeva che il debito derivante dal mandato fosse compensato con un credito maggiore che vantava nei confronti del figlio per un mutuo concesso in passato.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione al figlio, condannando il padre alla restituzione delle somme e rigettando le sue difese. La questione giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione e il mandato in rem propriam

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso del padre, confermando le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno analizzato punto per punto i motivi di ricorso, fornendo preziose indicazioni sull’interpretazione del contratto di mandato e sulla ripartizione dell’onere della prova.

Le motivazioni: l’onere della prova e l’interpretazione del contratto

La Corte ha basato la sua decisione su alcuni principi cardine del diritto civile e processuale.

Il primo e secondo motivo: cosa rende un mandato ‘in rem propriam’?

Il ricorrente sosteneva che i giudici avessero errato nell’interpretare l’atto, dal quale, a suo avviso, emergeva la natura di mandato in rem propriam. La prova, secondo lui, risiedeva negli ampi poteri conferitigli (libertà di determinare prezzo e condizioni di vendita). La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che l’ampiezza dei poteri definisce solo l’ambito di operatività del mandatario, ma non dimostra di per sé che l’incarico sia stato conferito anche per soddisfare un suo specifico interesse giuridico. La valutazione dell’esistenza di un interesse del mandatario è un accertamento di fatto che, se adeguatamente motivato dal giudice di merito, non può essere censurato in sede di legittimità. Di conseguenza, non essendo stato provato il mandato in rem propriam, non poteva nemmeno sussistere l’esonero dall’obbligo di rendiconto.

Il quarto motivo: la prova del mutuo e il riconoscimento di debito

Per provare il suo presunto credito da mutuo da opporre in compensazione, il padre aveva prodotto una dichiarazione con cui il figlio ammetteva di aver ricevuto una serie di assegni per un importo totale considerevole. Il ricorrente sosteneva che tale dichiarazione costituisse un riconoscimento di debito, invertendo l’onere della prova. Anche su questo punto, la Corte ha dato torto al padre. Ha infatti affermato che la mera dichiarazione di aver ricevuto del denaro non equivale a un riconoscimento di debito. Tale somma avrebbe potuto essere versata per qualsiasi titolo (ad esempio, a saldo di un debito pregresso o per altre ragioni). Spettava quindi al padre, che invocava il mutuo, dimostrare il titolo specifico per cui quelle somme erano state consegnate, prova che non era stata fornita.

Il quinto motivo: la donazione indiretta e l’onere di allegazione

Infine, la Corte ha ritenuto inammissibile anche il motivo relativo alla presunta donazione indiretta. I giudici di merito avevano già stabilito che non solo non vi era prova della donazione, ma che la stessa non era stata nemmeno allegata in modo chiaro e preciso. La Cassazione ha ribadito che non si può contestare la mancata ammissione di un fatto (per non contestazione della controparte) se questo fatto è stato esposto in termini generici e non specifici.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza ribadisce alcuni principi fondamentali in materia di mandato e prova dei crediti. In primo luogo, chi intende avvalersi della natura di mandato in rem propriam per essere esonerato da obblighi come il rendiconto deve assicurarsi che l’interesse del mandatario emerga chiaramente dal contratto o da altri elementi inequivocabili; la sola ampiezza dei poteri non è sufficiente. In secondo luogo, una semplice quietanza o dichiarazione di ricezione di somme non è di per sé sufficiente a provare l’esistenza di un mutuo; chi afferma di essere creditore deve provare il titolo contrattuale da cui nasce il suo diritto.

Quando un mandato si considera conferito anche nell’interesse del mandatario (in rem propriam)?
Non è sufficiente che al mandatario siano conferiti ampi poteri. È necessario che dal testo del contratto o da altri elementi emerga in modo chiaro che il mandato è stato attribuito anche per soddisfare un interesse giuridico specifico del mandatario, distinto da quello del mandante. La valutazione di tale volontà è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito.

La semplice dichiarazione di aver ricevuto una somma di denaro costituisce un riconoscimento di debito per un mutuo?
No. La mera affermazione di aver ricevuto una somma di denaro non costituisce automaticamente un riconoscimento di debito, in quanto potrebbe trattarsi di una quietanza di pagamento o riferirsi a qualsiasi altro tipo di rapporto. Spetta a chi sostiene l’esistenza di un mutuo fornire la prova specifica del titolo per cui la somma è stata versata.

L’inerzia del mandante nel richiedere il rendiconto equivale a un’approvazione tacita dell’operato del mandatario?
No. Secondo la Corte, l’inerzia non può essere considerata approvazione tacita se il mandante non era a conoscenza dell’avvenuta esecuzione del mandato. L’obbligo di richiedere il rendiconto sorge solo dal momento in cui il mandante viene a conoscenza che l’incarico è stato espletato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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