Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7888 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7888 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11868/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 139/2020 depositata il 06/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Ritenuto che
1.-NOME COGNOME ha citato in giudizio il padre NOME COGNOME, sostenendo di aver conferito a quest’ultimo mandato per la vendita di cinque terreni edificabili, obbligo che però il genitore non avrebbe adempiuto correttamente, nel senso che non ha mai fornito rendiconto dell’attività svolta e soprattutto ha venduto i terreni ma non ha rimesso il corrispettivo al mandante, salvo che per un appezzamento di minore rilevanza incluso nel mandato.
NOME COGNOME ha chiesto dunque la condanna del padre alla rendicontazione, nonché alla restituzione dei soldi incassati con le vendite e al risarcimento dei danni.
2.- Davanti al Tribunale di Lecce, il padre NOME COGNOME si è costituito ed ha eccepito che quei terreni erano in realtà stati acquistati con denaro che lui aveva dato al figlio e dunque che erano oggetto di una donazione indiretta; ha altresì eccepito che il mandato era in rem propriam , ossia stipulato anche nel suo interesse, in quanto era finalizzato per l’appunto ad una vendita il cui ricavato doveva andare anche a suo beneficio essendo egli creditore del figlio per delle somme risultanti dalla gestione di una società; che infine, anche nell’ipotesi in cui fosse stata accolta la tesi del figlio, le somme eventualmente a costui dovute erano da compensare con un credito di entità maggiore che egli aveva nei confronti di costui per avergli a suo tempo concesso un mutuo.
3.-Il Tribunale ha accolto la domanda ritenendo dunque il padre inadempiente agli obblighi assunti con il mandato ed ha altresì
rigettato la domanda riconvenzionale di compensazione del debito da mandato con il credito da mutuo.
4.- Questa decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Lecce avverso la cui decisione NOME COGNOME propone ricorso con cinque motivi. Il figlio, NOME COGNOME, si è costituito ed ha chiesto il rigetto del ricorso, con controricorso e memoria.
Considerato che
5.La ratio della decisione impugnata
La tesi dei giudici di appello è che non risulta dal testo del mandato, né da altri elementi, che esso sia stato conferito anche nell’interesse del mandatario, con la conseguenza che non possono essere accolte le argomentazioni difensive volte a sostenere che non c’era obbligo di rendiconto nei confronti del mandante. Allo stesso modo, i giudici di appello hanno ritenuto non provata la donazione indiretta e dunque la circostanza che gli immobili sarebbero stati acquistati con denaro fornito dal padre. Infine, hanno pure ritenuto non provato che il padre avesse concesso dei soldi a titolo di mutuo al figlio nonostante in corso di causa fosse stato depositato un atto con il quale il figlio stesso dichiarava di aver ricevuto quelle somme.
6 .- I motivi di ricorso.
Questa ratio è contestata dal ricorrente con cinque motivi di ricorso.
Il primo motivo prospetta violazione degli articoli 1723 e seguenti del codice civile in tema di mandato.
La tesi del ricorrente è che la Corte di merito ha interpretato erroneamente il testo dell’atto controverso, da cui invece risultava chiaramente che il mandato era conferito anche nell’interesse del mandatario.
Il ricorrente ricava questa conclusione dalla circostanza che nella procura si conferivano a lui ampi poteri quanto alla vendita, nel senso che era prevista libertà di determinarne il contenuto , di stabilire il prezzo, di concedere il possesso all’acquirente e di compiere tutto quanto utile all’esecuzione del mandato.
Il motivo è infondato.
Infatti, si tratta di circostanze che definiscono il potere del mandatario e lo definiscono in senso ampio, ma non indicano che il mandato è stato conferito anche nell’interesse del mandatario stesso. In altri termini, il fatto che al mandatario siano dati ampi poteri quanto all’attività da compiere, nella specie la vendita dei terreni, non significa affatto che quei poteri siano attribuiti per il soddisfacimento di un interesse che è anche del mandatario stesso. Va comunque sottolineato che la circostanza se il mandato è conferito o meno anche nell’interesse del mandatario, in quanto costituisce un elemento della volontà delle parti, ossia in quanto dipende da ciò che le parti hanno voluto, è oggetto di un accertamento in fatto che è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito e che può essere censurato in cassazione solo per difetto di motivazione (Cass. 2560/ 2007).
Il secondo motivo prospetta violazione dell’articolo 1712 del codice civile.
La tesi del ricorrente, già discussa nei gradi precedenti, è che egli era comunque esonerato dal rendiconto sia perché il mandato era in rem propriam e dunque era un tipo di mandato che, di suo, esonera il mandatario dall’obbligo di rendere il conto, sia in quanto vi sarebbe stata comunque approvazione tacita da parte del mandante dell’attività compiuta dal mandatario, posto che il mandante non ha mai richiesto la suddetta rendicontazione per molto tempo dimostrando in tal modo di averla implicitamente accettata.
Alla tesi dei giudici di merito secondo cui l’inerzia del mandante si spiega con il fatto che egli non era messo al corrente dell’espletamento del mandato, e che solo a partire dal momento in cui ne ha avuto conoscenza poteva richiede il rendiconto, il ricorrente replica che il mandante avrebbe potuto avvedersi dell’avvenuta esecuzione del mandato usando l’ordinaria diligenza.
Il motivo è infondato.
Innanzitutto, lo è per via dell’infondatezza del motivo precedente, ossia per via del fatto che esso postula una esenzione dall’ obbligo di rendiconto in ragione della natura del mandato in rem propriam: negata questa ovviamente viene meno quella esenzione.
Ad ogni modo, la tesi della Corte d’appello, secondo cui il mandante avrebbe potuto richiedere il rendiconto solo dopo che fosse stato a conoscenza del fatto che il mandato era eseguito, non è qui smentita sul piano giuridico: piuttosto si mira a contestare il presupposto di fatto di essa, vale a dire che il mandante era di fatto a conoscenza dell’avvenuta esecuzione del mandato, o avrebbe potuto esserlo se avesse usato l’ordinaria diligenza.
Ma i giudici di merito hanno negato tale presupposto di fatto ed il loro accertamento non può essere messo in discussione in questa sede per trarne effetti giuridici diversi.
Il terzo motivo è riferito ad una questione processuale e prospetta violazione dell’articolo 2719 del codice civile oltre che dell’articolo uno della legge 183 del 93.
Nel giudizio di merito si era fatta questione della conformità di memorie difensive che un difensore aveva inviato all’altro in via telematica.
La Corte d’appello ha ritenuto che la conformità delle copie ricevute, rispetto a quelle inviate telematicamente, non era stata eccepita tempestivamente . né specificamente, nel senso che il ricorrente non aveva contestato correttamente la conformità di tali
copie, e dunque non aveva messo la controparte nell’obbligo di produrre l’originale.
Invece il ricorrente sostiene che, a prescindere da ciò, la copia poteva essere depositata solo se il difensore che la riceveva aveva un’apposita procura ex articolo 83 del codice civile.
Il motivo è inammissibile.
A prescindere dal rilievo che un tale censura elude per certi versi la ratio della decisione impugnata, la quale ha sottolineato che la contestazione di questo vizio non è stata fatta tempestivamente ed adeguatamente; a prescindere da ciò, non è dato comprendere quale fosse il contenuto della memoria difensiva da ritenere inammissibile o rispetto alla quale erano rivolte le eccezioni del ricorrente e soprattutto non è dato comprendere quale sia la rilevanza, qui, di questa censura: nel senso che non è chiaro cosa sarebbe cambiato nella decisione di merito se, anziché ammettere quella memoria difensiva, l’avessero espunta: con la conseguenza che il motivo qui proposto non è autosufficiente nel senso che non illustra le ragioni per le quali quelle memorie difensive, eventualmente illegittimamente depositate, sarebbero state decisive nel giudizio di merito ed anzi questa decisività neanche viene qui prospettata.
Il quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 2697 codice civile.
Come si è detto in precedenza, il ricorrente aveva proposto la questione della compensazione del suo eventuale debito da mandato con un credito che egli aveva nei confronti del figlio per avere a costui concesso un mutuo consistente.
Questa eccezione di compensazione era altresì suffragata da una dichiarazione prodotta in giudizio con la quale il figlio dichiarava di aver ricevuto dal padre una serie di assegni per un totale di 971.000 €.
I giudici di merito avevano ritenuto che, anche ammessa la dazione della somma di denaro, non era provato che fosse avvenuta a titolo di mutuo, e la prova del mutuo spettava, per l’appunto, al ricorrente ossia a colui che l’esistenza del mutuo, in quel giudizio, aveva invocato.
Il ricorrente contesta questa ratio sostenendo che la semplice dichiarazione del figlio, in quanto riconoscimento di debito, lo poneva nelle condizioni di aver dimostrato il mutuo, con la conseguenza che spettava poi alla controparte dimostrare il contrario. E ciò senza togliere che la prova del mutuo derivava dalle deposizioni testimoniali assunte in giudizio.
Il motivo è infondato.
Intanto non è riprodotta in ricorso la dichiarazione del figlio del ricorrente di aver ricevuto gli assegni, con la conseguenza che non se ne conosce il contenuto e soprattutto con la conseguenza che non si può ritenere errata l’interpretazione che di quella dichiarazione ha fornito la Corte di merito.
Inoltre, e comunque, la mera dichiarazione di aver ricevuto degli assegni non costituisce riconoscimento di debito, trattandosi della mera affermazione di aver ricevuto una somma di denaro che potrebbe essere dovuta a qualsiasi titolo, compreso quello solutorio e dunque ben potrebbe quella dichiarazione costituire una ricevuta di un pagamento effettuato, così come essere prova di un qualsiasi altro tipo di rapporto intercorso tra le parti.
L’inversione dell’onere della prova invocato dalla ricorrente presuppone che la dichiarazione fatta dalla controparte costituisca un riconoscimento di debito, qualificazione che però è stata dalla Corte di merito correttamente esclusa.
Il quinto motivo prospetta violazione degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile.
Esso attiene alla questione della donazione indiretta: come si è detto, un argomento difensivo del ricorrente era costituito dalla
affermazione secondo cui i beni oggetto del mandato a vendere in realtà erano stati acquistati interamente con denaro dello stesso ricorrente che aveva in tal modo effettuato una donazione indiretta a favore del figlio.
I giudici di merito hanno ritenuto del tutto priva di prova questa tesi, non essendo emerso alcun collegamento tra dazione di denaro e intestazioni dei beni.
Il ricorrente assume invece che la natura indiretta della donazione, ossia il fatto che i beni erano stati acquistati con denaro proprio, non era stata contestata dalla controparte e dunque doveva ritenersi come provata.
Il motivo è inammissibile.
Esso mira a contestare un accertamento di fatto adeguatamente motivato dal giudice di merito il quale ha peraltro osservato che, non solo non c’era prova della donazione indiretta, ma che altresì essa non era stata neanche adeguatamente allegata, ossia il ricorrente non aveva in modo chiaro e preciso indicato sulla base di quali elementi si potesse arrivare a dire che i beni intestati al figlio erano stati acquistati con denaro dal padre. Il che non solo incide sulla corretta interpretazione della ratio da parte del ricorrente, ma rende fondata l’eccezione del controricorrente secondo cui una contestazione specifica dei fatti presuppone che questi ultimi siano a loro volta specifici e che quindi non si può prospettare una mancata contestazione, avente gli effetti di ammissione, rispetto a fatti che sono solo genericamente allegati.
Il ricorso va dunque rigettato e le spese, che seguono la soccombenza, vanno distratte a favore del procuratore costituito che ha dichiarato di averle anticipate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 8000,00 euro, oltre 200,00 euro per esborsi ed oltre accessori e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 04/03/2024.