Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15016 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15016 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26053/2022 R.G., proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e di fesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e di fesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
–
contro
ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOMERAGIONE_SOCIALE
–
intimati – per la cassazione della sentenza n. 945/2022 della CORTE d’APPELLO di Ancona pubblicata il 15.7.2022;
Mandato -Mandato senza rappresentanza per l’acquisto di un terreno -Natura fiduciaria -Obbligo di trasferimento Insussistenza
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17.2.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 144/2019, pubblicata il 18.2.2019, il Tribunale di Pesaro rigettò le domande proposte da NOME COGNOME contro NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME (questi ultimi chiamati in giudizio quali eredi di NOME COGNOME) in relazione al contratto dell’1.12.200 4 avente ad oggetto un terreno sito in Fano, località Metaurilia. Il Tribunale statuì che il mandato fiduciario senza rappresentanza invocato dall’attrice non includesse il trasferimento del terreno pro quota in suo favore, ma solamente i proventi dallo sfruttamento degli inerti affidato all ‘i mpresa RAGIONE_SOCIALE (successivamente denominata RAGIONE_SOCIALE e in seguito dichiarata fallita).
La Corte d’Appello di Ancona con sentenza pubblicata il 15.7.2022 rigettò l’appello proposto da NOME COGNOME gravandola delle spese del grado in favore degli appellati.
La Corte di Appello ribadì, così confermando la valutazione fatta dal primo giudice, che il contratto a base della domanda attorea conteneva una limitazione dell’obbligo fiduciario alle sole obbligazioni e ai diritti successivi al contratto con l ‘impresa COGNOME (di cessione e poi, a lavori di escavazione eseguiti, di ritrasferimento in capo alla sola NOME COGNOME), ‘ esulando dall’accordo in esame la questione del trasferimento della proprietà del bene ed il suo uso agricolo, facenti capo alla sola appellata ‘. La Corte d’appello, inoltre, dichiarò inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ., oltre che assorbita dal rigetto del motivo d’appello, la (mutata) domanda di trasferimento ex art. 2932 cod. civ. formulata in ragione dell’asserito diritto di accrescimento per la quota di 1/2.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di tre motivi. Risponde con controricorso NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME e il RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, violazione ed errata applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ.
La ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia effettuato una scorretta e incompleta indagine della comune intenzione espressa dalle parti nel contratto stipulato il 1°.12.2004 come risultante anche dal comportamento complessivo da loro tenuto sia precedentemente che successivamente alla sua conclusione, nonché per aver omesso di procedere ad una valutazione complessiva del testo contrattuale e di coordinarlo alle articolate, ma evidenti, finalità dallo stesso emergenti.
In particolare, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 7 e 8 delle premesse del contratto, dichiarate ‘parte integrante e sostanziale dell’accordo’, degli artt. 4.01 e 12.01, 12.02 e 2.04 del contratto, da cui si trae la comune intenzione delle parti di considerare l’intera operazione come stipulata a carico ed a benef icio di tutti ‘i fratelli contraenti’, i quali, come emerso dall’istruttoria, avevano concordato di gestire congiuntamente le comuni proprietà ereditarie suddividendosi fra loro i compiti gestionali, ma facendo confluire in un comune coacervo di conti correnti cointestati, ‘ mutui con garanzie reali comuni ‘ , sia le entrate sia le spese delle diverse gestioni, per poi suddividersi fra loro gli utili rivenienti dall’intero comune patrimonio secondo le quote di eredità.
Il contesto e la condotta dei tre fratelli esplicavano adeguatamente le ragioni per le quali essi si fossero determinati allo sfruttamento congiunto dei terreni di proprietà comune, aggiungendo a questi anche quello di proprietà della sorella NOME , anch’esso compendio ereditario , ma da questo stralciato, e confinante con quelli comuni. Con il che si spiega la ragione per la quale anche i fratelli NOME e NOME COGNOME abbiano voluto partecipare, insieme alla sorella NOME, alla stipula del contratto di sfruttamento a fini estrattivi del terreno e garantire ogni obbligazione che la stessa andava assumendosi, nonostante che il loro intervento non sarebbe stato n ecessario se effettivamente l’acquisto in prelazione
e la retrocessione a fine escavazione fossero stati convenuti con l’ impresa COGNOME ad esclusivo beneficio della sola NOME e lasciato ai fratelli solo lo sfruttamento a fini estrattivi. A questo limitato fine sarebbe stato sufficiente che la relativa pattuizione fosse stata oggetto di un separato contratto fra loro tre soli. Anche nella scrittura privata del 29.2.2012, a definizione del contenzioso insorto tra i tre fratelli, a integrazione dell’atto pubblico di divisione , era ribadito il carattere fiduciario delle ridette pattuizioni.
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1366, 1367, 1369 e 1371 cod. civ.
La ricorrente censura la sentenza della Corte d’appello per non aver proceduto ad una interpretazione del contratto secondo buona fede in senso soggettivo e oggettivo: NOME COGNOME aveva contribuito all’acquisto del terreno da parte della sorella NOME, rendendosi garante a fronte di un finanziamento di euro 1.800.000.
La Corte d’appello non aveva considerato cosa sarebbe accaduto nel caso in cui il giudizio di retratto agrario si fosse risolto in favore dei sigg.ri COGNOME e COGNOME: i fratelli NOME e NOME avrebbero dovuto garantire la restituzione all’impresa COGNOME dell’importo di euro 1.800.000 . Ma anche in caso contrario, qualora fosse stato effettuato lo scavo da parte dell’ impresa COGNOME, era del tutto evidente che il prezzo della retrocessione avrebbe comportato un conguaglio a carico di tutti e tre i fratelli, o in ogni caso garantito anche da NOME e NOME COGNOME e in favore della impresa escavatrice, poiché il valore degli inerti estratti non sarebbe mai stato corrispondente alla notevole somma anticipata a NOME COGNOME dall’ impresa COGNOME.
Sul piano della buona fede oggettiva NOME COGNOME resistendo ingiustificatamente alla richiesta della sorella, aveva assunto un comportamento non commendevole volendo conseguire ella sola il beneficio della piena proprietà del terreno acquisito a titolo del tutto gratuito per effetto dell’inadempimento dell’ impresa RAGIONE_SOCIALE, poi fallita), e della conseguente assenza
di ogni richiesta da parte di questa di restituzione di tutta o parte della somma anticipata.
2.1. La ricorrente lamenta, inoltre, che la Corte d’appello non ha interpretato talune clausole del contratto ed alcune esplicite definizioni utilizzate, che facevano espresso riferimento alla volontà delle parti di dare compimento anche nell’interesse dei fiducianti al mandato relativo all’acquisizione del bene oggetto dell’accordo ed alla sua retrocessione alla fine delle operazioni di escavazione di inerti, nel senso di assegnare ad esse un effetto giuridicamente vincolante, privando pertanto le stesse di ogni significato nel contesto contrattuale (art. 1367 cod. civ.). La Corte d’appello , altresì, non ha valutato le medesime clausole nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto dell’intero rapporto contrattuale (art. 1369 cod. civ.) e, in ogni caso e là dove tali clausole fossero apparse ancora oscure, nel senso di attribuire al rapporto negoziale la realizzazione di un equo contemperamento degli interessi delle parti, trattandosi di contratto a titolo oneroso (art. 1371 cod. civ.).
La limitazione del mandato fiduciario ai soli effetti obbligatori e ai soli vantaggi economici derivanti dalla concessione del terreno per lo sfruttamento estrattivo appare assolutamente sbilanciata rispetto alla garanzia solidalmente rilasciata dagli altri due fratelli alla ditta escavatrice per il considerevole importo di euro 1.800.000,00, là dove escluso il diritto a vedersi retrocedere pro quota la proprietà del terreno. La sproporzione poi appare ancora più esorbitante se rapportata alla fase esecutiva dello stesso contratto in concreto a oggi realizzata: l’inadempimento della società escavatrice ed il conseguente venir meno del suo potenziale diritto alla restituzione del prezzo corrisposto per l’acquisto in prelazione, ha messo la sorella NOME COGNOME nella condizione di aver acquisito la piena proprietà del bene a titolo del tutto gratuito senza aver corrisposto alcun prezzo ad alcuno, nonostante gli impegni e le garanzie rilasciatele dai fratelli. Solo il trasferimento pro quota , e più correttamente per un mezzo alla sola odierna ricorrente, avendo gli eredi dell’altro fratello rinunciato ad ogni diritto e pretesa al riguardo, consentirebbe di riequilibrare le rispettive posizioni contrattuali e di
realizzare quell’equo contemperamento di interessi imposto dall’art. 1371 cod. civ.
I due motivi, in quanto strettamente connessi, sollevando la ricorrente problemi di natura interpretativa dell’accordo contrattuale, possono essere esaminati congiuntamente e sono entrambi inammissibili.
3.1. In primo luogo, i motivi, nonostante la loro lunga e complessa articolazione da pagina 14 (riga 19) a pagina 19 (riga 22), sono privi dell’identificazione della motivazione criticanda.
Il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un “non motivo” del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c. (principio costante: si veda Cass. 11 novembre 2005, n. 359; ed in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; più di recente Cass. 24 settembre 2018, n. 22478; 12 gennaio 2024, n. 1341).
La ricorrente , salva l’indicazione della sintesi ‘ai soli effetti economici ed (ai) vantaggi economici derivanti dalla concessone del terreno per lo sfruttamento estrattivo’ (v. pagina 19, primo capoverso, del ricorso), ha omesso di indicare la motivazione criticanda, così delegando inammissibilmente questa Corte ad individuare a che cosa dovrebbe riferirsi, mentre è onere del ricorrente provvedervi, atteso che per svolgere qualsiasi motivo di impugnazione, che si correli alla motivazione della decisione impugnata, è necessario identificare quest’ultima.
3.2. Entrambi i motivi, inoltre, sono inammissibili, perché non adeguatamente articolati, limitandosi a contrapporre apoditticamente a quella svolta dalla Corte d’appello una diversa interpretazione del contratto intercorso il 1°.12.2004 tra i tre fratelli COGNOME e l’impresa RAGIONE_SOCIALE .
3.3. Il sindacato di legittimità deve avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti e non può investire il risultato interpretativo in sé, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31 marzo 2006, n. 7597; 1° aprile 2011, n. 7557; 14 febbraio 2012, n. 2109; 10 febbraio 2015, n. 2465; 29 luglio 2016, n. 15763; 5 dicembre 2018, n. 31512; 12 maggio 2020, n. 8810; 2 luglio 2020, n. 13620; sez. un., 21 gennaio 2021, n. 2061). Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (v. Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; 11 marzo 2014, n. 5595; 27 febbraio 2015, n. 3980; 19 luglio 2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consen tito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044).
3.4. I rilievi sollevati dalla ricorrente, come già detto, ruotano in merito all’interpretazione del contratto intercorso il 1°.12.2004 tra i tre fratelli Passi e l’impresa RAGIONE_SOCIALE, con il quale, per un verso affidavano a quest’ultima lo scavo e la vendita di inerti da estrarsi da un terreno comune, e, per un altro, si impegnavano a concedere alla ridetta impresa gli stessi diritti di scavo su un diverso terreno della sorella NOME, sul quale avendo notificato il preliminare (intercorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME) alle sorelle NOME ed NOME
COGNOME quali proprietarie confinanti, l’imprenditrice agricola NOME COGNOME vantava migliori titoli per esercitare il diritto di prelazione agraria.
Infatti, entrambe le censure in esame, come detto, si limitano a contrapporre apoditticamente a quella svolta dalla corte d’appello una diversa interpretazione del contratto in questione, peraltro, così chiedendo a questa Corte di effettuare una valutazione di merito, al fine di sostenere che dalla (asserita) corretta interpretazione si sarebbe dovuto ritenere che l’estensione dell’accordo fiduciario non fosse limitato ai soli effetti economici ed ai relativi vantaggi derivanti dalla concessione del terreno per lo sfruttamento estrattivo, ma anche a quello reale di retrocessione del terreno in favore di tutti e tre i fratelli e non della sola NOME COGNOME
Quella sostenuta dalla Corte d’appello è una delle possibili interpretazioni del contratto in questione e non per questo del tutto implausibile e contrastante con la comune intenzione delle parti. La ricorrente , nell’enunciare i propri rilievi, ha sì indicato le regole legali di interpretazione asseritamente violate e i principi in esse contenuti, ma ha omesso di precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Ciò è ancor più significativo se si considera che la ricorrente ha omesso di indicare la motivazione criticanda, sì che le censure svolte appaiono del tutto svincolate dal percorso motivazionale esplicato articolatamente dalla Corte d’appello, ri solvendosi nella mera contrapposizione della diversa interpretazione dell’accordo caldeggiata dalla prima.
Conclusivamente, i motivi, pur rubricati come violazione e falsa applicazione di norme di legge, nascondono in realtà contestazioni di merito in ordine alle valutazioni condotte dalla Corte d’appello e, quindi, si sostanziano in censure in fatto sulla motivazione del provvedimento, senza tener conto degli strettissimi limiti in cui è consentito dedurre in cassazione il vizio della motivazione. Infatti, il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi
e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (v., Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34476; sez. I, 4 marzo 2021, n. 5987).
Con il terzo motivo è denunciata la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. per aver la Corte d’appello dichiarato inammissibile la domanda di trasferimento ex art. 2932 cod. civ. , formulata dall’appellante in ragione del diritto di accrescimento per la quota di ½, poiché tale domanda era stata ritualmente formulata dalla ricorrente già in primo grado come risulta dagli atti processuali.
4.1. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ., ‘oltre che assorbita dal rigetto del motivo d’appello in esame, la (mutata) domanda di trasferimento ex art. 2932 cod. civ. formulata in ragione dell’asserito diritto di accrescimento per la quota di ½)’.
La ricorrente si duole che la Corte d’appello, erroneamente, abbia dichiarato la domanda inammissibile non avendo considerato che era stata proposta in primo grado per aver integrato le proprie conclusioni già in occasione della prima udienza successiva alla costituzione degli eredi di NOME COGNOME Tali conclusioni erano state confermate in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, nell’atto d’appello e nelle conclusioni ivi rassegnate.
La ricorrente, pertanto, ha dedotto che ‘è tuttavia manifesto l’interesse della ricorrente alla cassazione anche di detta pronuncia di inammissibilità atteso che, ove venisse finalmente accertato il rapporto fiduciario in questione, l’assoluto disinteresse e la rinuncia espressa dai suddetti Eredi nella loro comparsa di risposta in primo grado e nei loro successivi scritti difensivi, imporrebbe che la loro quota si accresca alle due altre comproprietarie che tale interesse hanno invece attivamente dimostrato e sia suddivisa fra di esse in parti uguali ‘ .
La ricorrente correttamente non ha impugnato l’assorbimento della domanda, dichiarato ad abundantiam dalla Corte d’appello dopo il rilievo dell’ inammissibilità ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. , poiché con tale ultima pronuncia la Corte d’appello si era spogliata della ” potestas iudicandi ” in relazione al merito della controversia (v. Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2007, n. 3840; sez.
lav., 15 giugno 2007, n. 13997; sez. III, 5 luglio 2007, n. 15234; sez. II, 2 maggio 2011, n. 9647; 20 agosto 2015, n. 17004; sez. 6-X, 19 dicembre 2017, 30393; sez. I, 16 giugno 2020, n. 11675; sez. un., 1° febbraio 2021, n. 2155; 19 settembre 2022, n. 27388).
Sennonché, l’inammissibilità dei primi due motivi di impugnazione vertenti sull’interpretazione del rapporto fiduciario in questione , determina il venir meno dell’interesse ad agire della ricorrente e rende il motivo inammissibile.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 7.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte