LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Mandato avvocato e compenso: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15792/2024, ha esaminato il caso di un legale che aveva trattenuto parte di una somma ricevuta da una cliente per un acquisto immobiliare a titolo di compenso professionale. La Corte ha stabilito che l’attività svolta rientrava in un regolare mandato avvocato e non in una mediazione immobiliare, vietata ai legali. Di conseguenza, ha ritenuto legittima l’operazione di ‘compensazione impropria’ tra il debito del legale (restituzione della somma) e il suo credito (onorari), poiché entrambi derivanti dal medesimo rapporto. L’ordinanza rigetta sia il ricorso della cliente sia quello incidentale del legale sulla ripartizione delle spese.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Mandato avvocato e compenso: lecito trattenerlo dalle somme del cliente?

La gestione delle somme dei clienti è uno degli aspetti più delicati della professione forense. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui confini tra illecito e lecito, analizzando un caso in cui un legale aveva trattenuto parte di una somma ricevuta per un acquisto immobiliare a titolo di compenso. La questione centrale ruota attorno alla natura del mandato avvocato e alla possibilità di operare una compensazione tra i crediti reciproci. Analizziamo la vicenda e la decisione della Suprema Corte.

I fatti del caso

Una cliente conferiva a un avvocato un incarico per l’acquisto di un appartamento, consegnandogli la somma di 25.000 euro per ‘trattare e compromettere’ l’affare. L’operazione immobiliare non andava a buon fine e la cliente chiedeva la restituzione dell’intera somma. Il legale, tuttavia, ne restituiva solo una parte, trattenendo il resto a titolo di compenso per l’attività professionale svolta.

La controversia approdava in tribunale. La Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione di primo grado, stabiliva che l’avvocato doveva sì restituire i 25.000 euro, ma aveva anche diritto al pagamento dei suoi onorari per l’attività svolta, quantificati in circa 11.400 euro. La Corte operava quindi una compensazione e condannava il legale a versare alla cliente la differenza, pari a circa 13.600 euro. Insoddisfatta, la cliente proponeva ricorso in Cassazione.

I motivi del ricorso e il ruolo del mandato avvocato

La ricorrente basava la sua impugnazione su quattro principali motivi:
1. Errata qualificazione del rapporto: Sosteneva che l’avvocato avesse agito come mediatore immobiliare, attività vietata ai legali, e che quindi non avesse diritto ad alcun compenso.
2. Violazione del mandato: Affermava che il legale avesse ecceduto i poteri conferitigli e non avesse adempiuto correttamente ai suoi doveri di informazione e rendiconto.
3. Errata liquidazione del compenso: Contestava l’applicazione delle tariffe forensi, ritenendo che l’attività non fosse di natura legale.
4. Divieto di ritenzione: Invocava il divieto per l’avvocato di trattenere somme del cliente per soddisfare i propri crediti professionali.

Dal canto suo, l’avvocato proponeva un ricorso incidentale, lamentando di essere stato ingiustamente condannato a pagare una parte delle spese legali pur essendo risultato, a suo dire, vittorioso in appello.

La distinzione tra mandato avvocato e mediazione immobiliare

Il cuore della controversia risiede nella corretta qualificazione dell’incarico. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, la quale aveva accuratamente distinto le attività svolte. L’attività di mediazione vera e propria, ovvero mettere in contatto due o più parti per la conclusione di un affare, era stata svolta da un altro soggetto. L’avvocato, invece, aveva agito nell’ambito di un tipico mandato avvocato, occupandosi di trattare, redigere il contratto preliminare e ricercare un mutuo. Queste attività, ha chiarito la Corte, rientrano pienamente nell’alveo delle prestazioni professionali legali.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi del ricorso principale. In primo luogo, ha stabilito che la qualificazione del rapporto come mandato avvocato e non come mediazione era una valutazione di fatto, ben motivata dalla Corte d’Appello e non sindacabile in sede di legittimità. Essendo l’attività di natura legale, era corretto liquidare il compenso sulla base delle tariffe professionali per l’attività stragiudiziale.

Il punto più interessante della decisione riguarda il quarto motivo, relativo al divieto di ritenzione. La Corte ha spiegato che in questo caso non si trattava di una ‘ritenzione’ in senso tecnico, vietata dalla legge professionale, ma di una ‘compensazione impropria’ o ‘atecnica’. Poiché sia il credito della cliente (restituzione della somma) sia il debito della stessa (pagamento degli onorari) nascevano dal medesimo e unitario rapporto (il mandato), il giudice poteva legittimamente procedere a un semplice accertamento contabile delle reciproche poste di dare e avere, determinando il saldo finale. Questa operazione non viola le norme deontologiche, in quanto si risolve in una mera verifica contabile.

Anche il ricorso incidentale dell’avvocato sulle spese è stato respinto. La Corte ha ribadito il principio della soccombenza complessiva: la valutazione del giudice di merito sulla ripartizione delle spese è corretta se tiene conto dell’esito finale della lite. Poiché l’avvocato era comunque risultato debitore di una somma significativa, la sua soccombenza parziale giustificava la condanna al pagamento di una quota delle spese.

Le conclusioni

La sentenza offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, traccia una linea netta tra l’attività di assistenza legale in una compravendita immobiliare, che rientra a pieno titolo nel mandato avvocato, e l’attività di mediazione, preclusa ai legali. In secondo luogo, chiarisce che, all’interno di un unico rapporto di mandato, è possibile per il giudice operare una compensazione contabile tra le somme dovute al cliente e gli onorari spettanti al professionista, senza che ciò configuri un’illegittima ritenzione. Questa decisione sottolinea l’importanza di definire con chiarezza l’oggetto dell’incarico professionale per evitare future controversie.

Un avvocato può svolgere attività di mediazione immobiliare?
No, la Corte ribadisce che per gli avvocati vige il divieto di svolgimento dell’attività di mediazione immobiliare. Tuttavia, un incarico che preveda di trattare le condizioni, redigere un contratto preliminare e assistere nella ricerca di un mutuo rientra nel legittimo esercizio del mandato professionale e non costituisce mediazione.

L’avvocato può trattenere somme del cliente per pagare il proprio compenso?
La Corte chiarisce che non si tratta di un ‘diritto di ritenzione’ in senso stretto. Si parla invece di ‘compensazione impropria’: se il credito del cliente (es. la restituzione di una somma) e il suo debito (es. il pagamento del compenso) derivano dallo stesso rapporto di mandato, il giudice può effettuare un calcolo contabile per determinare il saldo finale dovuto da una parte all’altra.

Chi paga le spese legali se un appello viene accolto solo in parte?
Le spese processuali seguono il principio della ‘soccombenza complessiva’. Il giudice valuta l’esito finale dell’intera lite. Anche se una parte ottiene ragione su alcuni punti in appello, ma risulta comunque la parte debitrice nel rapporto finale, può essere legittimamente condannata a pagare una parte delle spese legali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati