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Mancato guadagno: prova e liquidazione equitativa

La Corte di Cassazione si pronuncia su un complesso caso di risarcimento per mancato guadagno derivante dalla violazione di un accordo di subappalto. La sentenza chiarisce importanti principi procedurali, stabilendo che l’annullamento della decisione sull’importo del danno (quantum) non inficia la precedente sentenza, passata in giudicato, che accertava il diritto al risarcimento (an). Viene inoltre confermata la legittimità del ricorso alla prova presuntiva e alla liquidazione equitativa per determinare il danno da mancato guadagno, basandosi sulla normale aspettativa di profitto di un’impresa.

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Mancato Guadagno in Appalto: la Cassazione tra Prova Presuntiva e Giudicato

La richiesta di risarcimento per mancato guadagno rappresenta una delle questioni più complesse nel diritto dei contratti, specialmente nel settore degli appalti. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su come provare e liquidare tale danno, affrontando anche delicate questioni procedurali legate alla stabilità delle decisioni giudiziarie. Il caso analizza la vicenda di due società di costruzioni e un accordo di subappalto per opere all’estero, sfociato in un contenzioso durato anni.

I Fatti di Causa

La controversia nasce da un accordo tra due imprese italiane, l’Impresa Alfa S.r.l. e l’Impresa Beta S.p.A., per l’esecuzione congiunta di lavori di costruzione di due dighe in Libia. A seguito dell’aggiudicazione dell’appalto, l’Impresa Alfa, secondo Beta, non avrebbe rispettato gli impegni assunti, escludendola dall’esecuzione dei lavori.

L’Impresa Beta avviava quindi un’azione legale per ottenere il risarcimento dei danni, in particolare per il mancato guadagno che avrebbe realizzato partecipando all’appalto. Il percorso giudiziario è stato estremamente tortuoso:

1. Primo Grado (Tribunale di Trento): La domanda di risarcimento viene inizialmente respinta.
2. Appello (Corte d’Appello di Trento): La sentenza viene riformata. Con una prima sentenza parziale, la Corte riconosce il diritto dell’Impresa Beta al risarcimento (an debeatur), e con una successiva sentenza definitiva, ne quantifica l’importo (quantum debeatur).
3. Primo Ricorso in Cassazione: La sentenza sul quantum viene annullata (cassata senza rinvio) per un difetto di procura, mentre la sentenza sull’an diventa definitiva, poiché il relativo ricorso era stato rigettato.
4. Nuovo Giudizio (Tribunale di Milano): Forte della sentenza definitiva sul diritto al risarcimento, l’Impresa Beta avvia un nuovo giudizio per la determinazione del quantum. Il Tribunale accoglie la domanda e condanna l’Impresa Alfa al pagamento.
5. Secondo Appello (Corte d’Appello di Milano): L’Impresa Alfa impugna la decisione, ma la Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado.

L’Impresa Alfa ricorre nuovamente in Cassazione, contestando la stessa ammissibilità della nuova domanda e i criteri utilizzati per la prova e la liquidazione del danno.

La Decisione della Corte di Cassazione e il mancato guadagno

Con la sua ordinanza, la Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Impresa Alfa, confermando la condanna al risarcimento del mancato guadagno. La Corte ha affrontato e risolto tre questioni giuridiche fondamentali.

Stabilità del Giudicato sull’An Debeatur

Il primo motivo di ricorso si basava sull’idea che l’annullamento della sentenza sul quantum dovesse travolgere l’intero giudizio, rendendo inammissibile una nuova domanda per la liquidazione del danno. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo un principio fondamentale dell’efficacia delle sentenze: l’annullamento di una decisione dipendente (quella sul quantum) non ha un effetto “espansivo inverso” sulla decisione presupposta (quella sull’an) che è già passata in giudicato. Pertanto, il diritto al risarcimento dell’Impresa Beta era ormai un punto fermo e indiscutibile.

La Prova Presuntiva del Mancato Guadagno

Il secondo e più rilevante motivo riguardava la prova del danno. L’Impresa Alfa sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere provato il mancato guadagno basandosi su una semplice presunzione. La Cassazione ha invece convalidato l’approccio dei giudici di merito. Si è affermato che, sebbene spetti all’impresa danneggiata provare il danno, tale prova può essere anche indiziaria o presuntiva. È del tutto ragionevole presumere che un’impresa specializzata, già operante in un determinato territorio, assuma un appalto con il fine di trarne un profitto. L’inadempimento della controparte, che le ha impedito di eseguire i lavori, ha quindi causato un danno patrimoniale la cui esistenza può essere logicamente inferita dalle circostanze.

La Liquidazione Equitativa del Danno

Infine, la Corte ha confermato la legittimità del ricorso alla liquidazione equitativa del danno, come previsto dall’art. 1226 c.c. Quando è impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, il giudice può determinarlo secondo un criterio di equità, basandosi sugli elementi a disposizione, come in questo caso le risultanze di una consulenza tecnica svolta nel precedente giudizio. La Corte ha ritenuto irrilevante che un’altra società, che aveva poi eseguito i lavori, avesse chiuso i bilanci in perdita, poiché le condizioni operative e di rischio dell’Impresa Beta (che sarebbe intervenuta come subappaltatrice) sarebbero state diverse.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’attenta distinzione tra i vari stadi del processo e sulla valorizzazione dei principi di ragionevolezza e logica nella valutazione delle prove. Il rigetto del primo motivo si basa su una corretta interpretazione dell’art. 336 c.p.c. sull’efficacia espansiva della riforma o della cassazione, che opera dalla sentenza principale a quella dipendente e non viceversa.

Per quanto riguarda la prova del mancato guadagno, la Corte ribadisce che il danno patrimoniale da lucro cessante richiede un rigoroso giudizio di probabilità, non di mera possibilità. Tuttavia, tale probabilità può essere raggiunta anche tramite presunzioni. Nel caso specifico, elementi come la specializzazione dell’impresa, la sua già consolidata presenza sul territorio libico e la natura stessa del contratto di appalto (volto al profitto) costituivano una base fattuale sufficiente per presumere l’esistenza di un danno. Questo ragionamento evita di imporre al danneggiato una prova “diabolica”, spesso impossibile da fornire quando il lavoro non è mai stato eseguito.

Infine, la Corte ha ritenuto inammissibili le censure relative a errori di calcolo e alla mancata considerazione dell’embargo sulla Libia, poiché sollevate per la prima volta in appello e quindi tardive.

Conclusioni

Questa ordinanza della Corte di Cassazione offre tre importanti lezioni pratiche:

1. Stabilità delle decisioni: Una sentenza parziale che accerta il diritto a una prestazione (an debeatur), una volta passata in giudicato, è un pilastro solido su cui costruire le successive fasi del giudizio, anche se la prima determinazione dell’importo viene annullata per vizi procedurali.
2. Valore della prova presuntiva: Nel contenzioso commerciale, la prova del mancato guadagno non richiede necessariamente bilanci e calcoli analitici. Un ragionamento logico basato su fatti noti e sulla normale pratica commerciale può essere sufficiente a dimostrare l’esistenza del danno.
3. Tempestività delle difese: Tutte le eccezioni e le contestazioni devono essere sollevate nei tempi e nei modi previsti dal codice di procedura. Le argomentazioni introdotte tardivamente nel corso del giudizio sono destinate a essere dichiarate inammissibili, indipendentemente dalla loro potenziale fondatezza.

Se una sentenza che stabilisce l’importo del risarcimento (quantum) viene annullata, viene invalidata anche la precedente sentenza che aveva già accertato il diritto al risarcimento (an)?
No. Secondo la Corte, se la sentenza sull’esistenza del diritto (an) è passata in giudicato, essa rimane valida e definitiva. L’annullamento della successiva sentenza che determina l’importo (quantum) non ha un effetto retroattivo sulla prima, la quale continua a essere vincolante tra le parti.

Come può un’impresa dimostrare di aver subito un danno da mancato guadagno se non ha mai eseguito il lavoro oggetto del contratto?
La prova può essere fornita anche in via presuntiva. Il giudice può logicamente dedurre l’esistenza del danno basandosi sulla presunzione che un’impresa assume un lavoro per trarne profitto. Questa presunzione è rafforzata da elementi concreti, come la specializzazione dell’impresa e la sua presenza sul mercato di riferimento.

È legittimo che un giudice determini l’importo del mancato guadagno in via equitativa?
Sì. Quando la prova del preciso ammontare del danno è impossibile o particolarmente difficile, il giudice può procedere a una liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 del codice civile. Questa valutazione, basata su un apprezzamento ponderato delle circostanze, è ammessa per superare le difficoltà probatorie del danneggiato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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