Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20626 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20626 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
R.G.N. 31457/20
C.C. 10/07/2025
ORDINANZA
Appalto -Impegno assegnazione subappalto -Risarcimento danni patrimoniali da mancato guadagno sul ricorso (iscritto al N.R.G. 31457/2020) proposto da: RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (C.F.: P_IVA), già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente all’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale autenticata con atto notarile del 1° dicembre 2020, rep. n. 18.636;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale autenticata con atto notarile dell’11 gennaio 2021, rep. n. 27.482, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 842/2020, pubblicata il 1° aprile 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 luglio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
viste le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, secondo periodo, c.p.c., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, terzo periodo, c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 2 ottobre 2013, la RAGIONE_SOCIALE conveniva, davanti al Tribunale di Milano, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, chiedendo che la convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni patrimoniali sofferti per l’inadempimento di quest’ultima agli impegni assunti tra le parti con gli accordi del 12 maggio 1993 e del 10 giugno 1993, in ordine all’esecuzione congiunta dei lavori di realizzazione di due dighe nell’area di Bengasi (Libia) all’esito dell’aggiudicazione della gara di appalto indetta dal Ministero dell’Agricoltura libico secondo i criteri di riparto ivi fissati (aggiudicazione poi avvenuta con il contratto d’appalto stipulato il 18 novembre 1995 in favore della COGNOME).
In proposito, l’attrice esponeva: – che aveva già intrapreso la medesima azione con citazione notificata il 23 novembre 1999 davanti al Tribunale di Trento, che aveva rigettato la domanda con sentenza n. 635 depositata il 15 luglio 2002; che, all’esito del gravame proposto con citazione notificata l’8 ottobre 2003, la Corte d’appello di Trento, con sentenza parziale sull’ an debeatur n. 256 depositata il 15 luglio 2005, in riforma della pronuncia impugnata, aveva dichiarato il diritto di Con.i.cos. al risarcimento del danno patrimoniale per l’inadempimento dei richiamati accordi da parte della COGNOME, rimettendo la causa in istruttoria per la determinazione del danno; – che, con sentenza definitiva sul quantum debeatur n. 12 depositata il 19 gennaio 2008, la Corte d’appello di Trento aveva condannato la Del Favero al pagamento, a titolo risarcitorio, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 1.096.918,41, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese di lite; – che, in esecuzione di detta pronuncia, la Del Favero aveva corrisposto alla RAGIONE_SOCIALE il 29 settembre 2008 la somma di euro 1.380.522,10 e, a garanzia della futura eventuale restituzione della somma corrisposta, era stata rilasciata in favore della Del Favero fideiussione per un pari importo; -che, all’esito dell’impugnazione a cura della Del Favero della sentenza d’appello parziale sull’ an n. 256/2005, questa Corte, con sentenza n. 23949 depositata il 22 settembre 2008, aveva rigettato il ricorso di legittimità, dichiarando l’inammissibi lità del motivo articolato nella memoria illustrativa sull’asserita nullità della citazione in appello per difetto di valida procura alle liti; – che, in conseguenza dell’impugnazione a cura della COGNOME della sentenza definitiva sul quantum n. 12/2008, questa Corte, con sentenza n. 4740
depositata il 25 febbraio 2011, aveva accolto la censura sulla dedotta assenza di una valida procura per la proposizione dell’appello da parte di RAGIONE_SOCIALE cassando senza rinvio la sentenza impugnata; – che, proposto ricorso per revocazione avverso tale ultima pronuncia, questa Corte, con ordinanza n. 9762 depositata il 23 aprile 2013, ne aveva dichiarato l’inammissibilità.
Inoltre, la ConRAGIONE_SOCIALE, con ricorso cautelare d’urgenza proposto davanti al Tribunale di Cuneo, aveva chiesto che fosse inibita l’escussione della fideiussione rilasciata a garanzia della ripetizione della somma corrisposta dalla COGNOME, procedimento cautelare che era stato accolto con l’adozione della misura cautelare inibitoria. All’esito, con citazione del 15 luglio 2011, era stato instaurato il giudizio di merito per l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti per l’escussione della fideiussione, giudizio che era stato sospeso per pregiudizialitàdipendenza con ordinanza del 27 febbraio 2014, in attesa della definizione della causa instaurata davanti al Tribunale di Milano. Avverso l’ordinanza di sospensione era stato proposto dalla Del Favero regolamento di competenza, che era stato rigettato da questa Corte con ordinanza n. 9092 depositata il 6 maggio 2015, la quale aveva rilevato che la sentenza sull’ an debeatur era passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso di legittimità, con la conseguente integrazione del rapporto di pregiudizialitàdipendenza, tale da legittimare la sospensione del giudizio sull’accertamento dell’insussistenza del diritto ad escutere la garanzia fideiussoria nelle more della definizione della causa
pendente davanti al Tribunale di Milano sulla condanna al risarcimento dei danni per il titolo dedotto.
Si costituiva nel giudizio intrapreso davanti al Tribunale di Milano la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, la quale contestava la fondatezza, in fatto e in diritto, della domanda spiegata e, in via riconvenzionale, chiedeva che la RAGIONE_SOCIALE fosse condannata alla restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza sul quantum debeatur n. 12/2008 della Corte d’appello di Trento.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 6890/2016, depositata il 3 giugno 2016, in parziale accoglimento della domanda proposta, accertato il diritto della RAGIONE_SOCIALE a percepire dalla Del Favero la somma di euro 1.456.198,55, di cui euro 1.006.964,81 per capitale e il resto per accessori (rivalutazione monetaria ed interessi legali calcolati sulle somme via via rivalutate), a titolo risarcitorio, condannava la Del Favero al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 75.676,45, all’esito della detrazione della somma già corrisposta, oltre accessori con decorrenza dal 30 settembre 2008, rigettando la spiegata riconvenzionale.
2. -Con atto di citazione notificato il 6 luglio 2016, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) l’inammissibilità della domanda di RAGIONE_SOCIALE in ragione della formazione del giudicato in esito alle sentenze n. 4740/2011 di questa Corte e n. 635/2002 del Tribunale di Trento; 2) in ogni caso, la non fondatezza della pretesa risarcitoria azionata, attesa l’inefficacia del giudicato sull’ an nel separato giudizio sul quantum , con la conseguente spettanza del diritto alla restituzione della somma corrisposta,
stante che vi era stata violazione del riparto dell’onere probatorio, vi era stato l’erroneo accertamento della sussistenza di un preteso lucro cessante, sebbene fosse stata fornita la prova documentale che l’appalto non aveva generato alcun utile e si era chiuso in perdita, e vi era stata altresì la violazione delle clausole del contratto di appalto che quantificavano il compenso dovuto all’appaltatore, con errori di calcolo nella liquidazione del lucro cessante.
Si costituiva nel giudizio d’impugnazione la RAGIONE_SOCIALE che concludeva per il rigetto dell’appello, con la conferma della sentenza impugnata, e -in via incidentale -per la condanna della COGNOME al pagamento del maggior importo di euro 5.264.893,27 o, in subordine, di euro 4.646.376,40 per il titolo emarginato.
All’esito del rigetto dell’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione, la COGNOME corrispondeva il 28 febbraio 2017 l’ulteriore importo di euro 123.750,16, a saldo di quanto dovuto per capitale e accessori in forza della pronuncia impugnata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello principale e l’appello incidentale e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la sentenza sull’ an della Corte d’appello di Trento aveva acquisito gli effetti di giudicato in ordine alla sussistenza di un fatto lesivo e potenzialmente produttivo di danno, effetto che si sarebbe
prodotto anche quando il giudizio sull’ an si fosse svolto sin dall’inizio in modo separato rispetto a quello sul quantum , ossia allorché fosse stata proposta un’unica domanda in un unico processo; b ) che la successiva sentenza della Corte d’appello di Trento sul quantum , cassata senza rinvio per difetto della procura alle liti con sentenza di questa Corte n. 4740/2011, era passata in giudicato esclusivamente sulla statuizione riguardante il quantum , senza alcun riferimento o pregiudizio sulla pronuncia relativa all’ an ; c ) che, sebbene nel giudizio sul quantum svolto in sede diversa rispetto al giudizio sull’ an il giudice fosse libero di valutare anche la concreta esistenza del danno e perciò di negarne l’integrazione, laddove non fosse stata raggiunta la prova del pregiudizio, tuttavia, il giudicato formatosi sull’ an escludeva che potessero essere riesaminate tutte le questioni relative al valore impegnativo degli accordi tra le parti, alla titolarità passiva degli obblighi nascenti da tale accordo, alla valutazione in ordine all’inadempimento di tale società, alle obbligazioni nascenti da tali scritture, così come statuito dal giudice di primo grado; d ) che non vi era stata alcuna lesione del principio di distribuzione dell’onere probatorio, in quanto il danno risultava pienamente dimostrato dal comportamento inadempiente tenuto dalla COGNOME, che aveva impedito che RAGIONE_SOCIALE potesse eseguire le opere stabilite in base agli accordi intercorsi e trarne i conseguenti profitti, con il correlato danno patrimoniale subito; e ) che la valutazione del danno doveva compiersi ex ante , sicché occorreva guardare all’utile di RAGIONE_SOCIALE e non di altri, utile che sarebbe stato ottenuto dall’esecuzione delle opere oggetto degli accordi tra le parti, se la Del Favero vi avesse adempiuto; f ) che il danno da
mancato guadagno poteva ritenersi provato nella sua oggettiva esistenza sulla base della presunzione ricorrente che un’impresa assume lavori che formano oggetto della sua attività imprenditoriale al fine di trarne profitto; g ) che, infatti, RAGIONE_SOCIALE, impresa specializzata nel settore edilizio già presente sul territorio libico, avrebbe certamente tratto profitto da tale attività, se la COGNOME le avesse conferito le quote stabilite dell’appalto, con la conseguenza che il danno da mancato guadagno esisteva e poteva porsi in relazione all’inadempimento della COGNOME, la quale aveva affidato ad un’impresa terza la realizzazione delle opere che doveva eseguire RAGIONE_SOCIALE ed aveva ricevuto il pagamento per l’attività espletata; h ) che restava, pertanto, superata la censura relativa al fatto che il giudice di prime cure avesse ritenuto l’impossibilità o comunque la particolare difficoltà nella determinazione e prova della misura del danno, pur sulla base della consulenza d’ufficio espletata, e avesse proced uto alla sua quantificazione in via equitativa, in violazione dell’onere della prova; i ) che il fatto che la società esecutrice dei lavori RAGIONE_SOCIALE avesse chiuso i bilanci in perdita, peraltro nella misura minima di euro 3.965,68, non poteva essere richiamato, in quanto erano del tutto irrilevanti, nel caso di specie, le vicende relative all’esecuzione del contratto da parte di altra società, quale soggetto estraneo al giudizio; l ) che, nella veste di subappaltatore, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto operare in autonomia nell’ambito dei lavori subappaltati, gestendo le proprie maestranze, le proprie strutture e il proprio rischio, con la probabilità di ottenere un utile maggiore di quello ottenuto dalla Nuova Del Favero, in quanto già presente sul territorio libico, con
il conseguente esonero dall’onere di sostenere i costi di avviamento e impianto relativi all’insediamento, che la Nuova Del Favero aveva dovuto invece sostenere; m ) che le censure inerenti al fatto che il giudice di primo grado avesse utilizzato criteri diversi di calcolo del compenso rispetto a quelli previsti dall’art. 10 del contratto di appalto e in ordine alla mancata considerazione degli oneri fiscali gravanti sul contratto nonché dell’embargo a carico della Libia erano inammissibili, in quanto formulate per la prima volta dall’appellante e, dunque, tardive.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Ha resistito, con controricorso, l’intimata RAGIONE_SOCIALE
4. -Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte, come trascritte in epigrafe.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 336, secondo comma, 324 e 358 c.p.c. nonché dell’art. 2909 c.c., per avere la Corte di merito mancato di rilevare l’inammissibilità della domanda risarcitoria proposta per effetto del passaggio in giudicato della sentenza della Suprema Corte n. 4740/2011 e conseguentemente della sentenza del Tribunale di Trento n. 635/2002.
Osserva l’istante che, all’esito della rilevazione del difetto della procura in ragione dell’impugnazione della sentenza
definitiva d’appello sul quantum , sarebbe stata accertata la nullità della sentenza e dell’intero processo sino ad allora celebrato, a partire dalla proposizione dell’unitario atto d’appello, per mancanza della parte processuale, con la conseguenza che sarebbe stato invalidato l’intero processo d’appello, con la formazione del giudicato formale della sentenza di Cass. n. 4740/2011 e del giudicato sostanziale di cui alla sentenza del Tribunale di Trento n. 635/2002, che aveva rigettato la domanda risarcitoria, contro la quale, di fatto, alcun valido appello sarebbe stato giuridicamente proposto; e questo perché la pronuncia sul quantum sarebbe stata dichiarata nulla per un vizio comune alla pronuncia sull’ an , ossia per la nullità della medesima procura alle liti rilasciata da un soggetto privo di titolarità attiva per la proposizione dell’appello nato come unitario.
Deduce, ancora, la ricorrente che, alla stregua dell’effetto espansivo esterno della sentenza di questa Corte n. 4740/2011 (che aveva cassato senza rinvio per improponibilità del gravame in difetto di procura), l’assenza di una valida procura alle liti avrebbe dovuto impedire lo svolgimento del giudizio d’appello, il quale avrebbe dovuto perciò ritenersi nullo, con la conseguente trasmissione della sua invalidità anche alla sentenza, quale atto terminale dipendente, intervenuta all’esito del gravame che aveva costituito oggetto del ricorso in sede di legittimità.
In ultimo, obietta l’istante che, quand’anche si ammettesse che fosse stata invalidata solo la pronuncia sul quantum , la consumazione dell’impugnazione avrebbe determinato, in ogni caso, l’impossibilità di domandare ex novo il quantum risarcitorio fondato sugli stessi fatti, negato per effetto della pronuncia della
Corte di legittimità n. 4740/2011, che aveva cassato senza rinvio la sentenza sul quantum , con ciò precludendo, in via definitiva, che detta domanda potesse essere rimessa in discussione.
1.1. -Il motivo è infondato.
E ciò perché la cassazione senza rinvio della pronuncia definitiva d’appello sul quantum n. 12/2008, per difetto di procura alle liti dell’appellante, ha lasciato comunque ferma la statuizione passata in giudicato formale e sostanziale (per effetto del rigetto del ricorso di legittimità) che ha riconosciuto l’ an -di cui alla sentenza parziale d’appello n. 256/2005 (che aveva riformato la sentenza di primo grado n. 635/2002) -, sicché ben poteva essere proposto autonomo giudizio per l’accertamento del quantum .
L’efficacia espansiva esterna di cui all’art. 336, secondo comma, c.p.c. opera, infatti, solo ai fini caducatori riflessi della pronuncia passata in giudicato sul quantum , allorché sia riformata la pronuncia sull’ an , e non nel caso inverso in cui, passata in giudicato la sentenza sull’ an , sia riformata la sentenza sul quantum .
E questo perché il passaggio in giudicato della sentenza sull’ an non pregiudica comunque l’esistenza di tale pronuncia, benché in sede di cassazione della pronuncia sul quantum sia stata accertata la carenza dello ius postulandi del difensore dell’appellante in base ad un unitario atto d’appello introduttivo del giudizio di gravame.
1.1.1. -Ora, andando per ordine, si evidenzia che, allorché la vittima di un illecito aquiliano chieda l’accertamento dell’ an debeatur separatamente da quello del quantum debeatur ,
occorre distinguere due ipotesi: a ) se nel medesimo processo sia dapprima pronunciata condanna al risarcimento, e quindi venga disposta la prosecuzione del giudizio per l’accertamento del quantum , ai sensi dell’art. 278, primo comma, c.p.c., il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva sull’ an preclude la possibilità di contestare, nel prosieguo del giudizio, i presupposti del risarcimento, quali l’esistenza del credito o la proponibilità della domanda; b ) se, invece, il giudizio si sia limitato all’accertamento dell’ an , rinviando ad un nuovo e separato giudizio l’accertamento del quantum , quest’ultimo sarà del tutto autonomo rispetto al primo, con la conseguenza che il passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica al risarcimento non genera effetti vincolanti, per il giudice del quantum , né sull’esistenza del credito né sulla proponibilità della domanda (Cass. Sez. L, Sentenza n. 9290 del 24/04/2014; Sez. 3, Sentenza n. 19453 del 15/07/2008; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 35188 del 15/12/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 24074 del 03/08/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 19459 del 03/08/2017; Sez. 1, Sentenza n. 17198 del 19/08/2016).
Nella fattispecie, nonostante la cassazione senza rinvio (per improponibilità del gravame) della sentenza d’appello definitiva di determinazione del quantum , il passaggio in giudicato della sentenza parziale sull’ an ex art. 278, primo comma, c.p.c. è rimasto fermo e non è stato travolto, benché tale pronuncia di condanna generica non avesse effetti vincolanti nel separato giudizio instaurato per la quantificazione del danno.
1.1.2. -D’altronde, l’efficacia espansiva esterna non opera nel senso ‘invertito’ presagito dalla ricorrente, poiché la sentenza
pregiudiziale sull’ an (che ha riformato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda risarcitoria), già passata in giudicato, non è stata rimossa in conseguenza del venir meno della sentenza dipendente sul quantum .
Al riguardo, si rammenta che solo il passaggio in giudicato della sentenza definitiva sul quantum debeatur è condizionato al permanere della precedente sentenza parziale sull’ an , sicché il sopravvenuto passaggio in giudicato della sentenza sul quantum non fa venir meno l’interesse all’impugnazione già proposta contro la sentenza sull’ an , la cui riforma travolge gli effetti della pronuncia dipendente (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19745 del 25/07/2018; Sez. 1, Sentenza n. 13915 del 18/06/2014; Sez. U, Sentenza n. 2204 del 04/02/2005; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 31301 del 10/11/2023).
La sentenza che si pronuncia sull’ an non ha, infatti, natura provvisoria, ma si tratta di decisione idonea al passaggio in giudicato (formale e sostanziale), il cui esito non dipende dalle sorti della successiva decisione definitiva sul quantum .
1.1.3. -Inoltre, gli effetti prodotti nel mondo esterno, in esito al passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica al risarcimento dei danni, non sono stati caducati in ragione del fatto che l’appello sia stato proposto in forza di una procura invalida (difetto non rilevato nel giudizio di cassazione che ha confermato la sentenza parziale sull’ an ).
Infatti, il mancato rilascio di procura alle liti determina l’inesistenza soltanto di tale atto, ma non anche dell’atto di citazione, non costituendone requisito essenziale, atteso che, come si evince anche dall’art. 163, secondo comma, n. 6, c.p.c.,
sulla necessità di indicare il nome ed il cognome del procuratore e la procura, se già rilasciata, il difetto non è ricompreso tra quelli elencati nel successivo art. 164 c.p.c., che ne producono la nullità. L’atto di citazione privo della procura della parte è, quindi, idoneo ad introdurre il processo e ad attivare il potere-dovere del giudice di decidere, con la conseguenza che la sentenza emessa a conclusione del processo introdotto con un atto di citazione viziato per difetto di procura alle liti è nulla, per carenza di un presupposto processuale necessario ai fini della valida costituzione del giudizio, ma non inesistente, sicché detta sentenza, pur viziata come ‘sentenza contenuto’, per effetto del principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione, di cui all’art. 161, primo comma, c.p.c., è suscettibile di passare in cosa giudicata in caso di mancata tempestiva impugnazione nell’ambito dello stesso processo nel quale è stata pronunciata, non essendo esperibili i rimedi dell’ actio o dell’ exceptio nullitatis , consentiti solo nel caso di inesistenza della sentenza (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26996 del 17/10/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 8104 del 23/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 20934 del 12/10/2011; Sez. 3, Sentenza n. 20348 del 28/09/2010; Sez. 3, Sentenza n. 4020 del 23/02/2006; Sez. 2, Sentenza n. 22292 del 26/11/2004; Sez. 3, Sentenza n. 7186 del 16/05/2002; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 26070 del 04/10/2024; Sez. 2, Sentenza n. 21533 del 22/10/2015).
Nel caso di specie, il difetto della procura del difensore dell’appellante non è stato tempestivamente fatto valere con l’impugnazione in cassazione della sentenza parziale d’appello
sull’ an (posto che la censura è stata tardivamente prospettata nella sola memoria illustrativa), sicché il rigetto del ricorso di legittimità ha determinato il definitivo passaggio in giudicato di tale pronuncia n. 256/2005 (e della riforma della sentenza di rigetto della domanda risarcitoria del Tribunale n. 635/2002).
Con l’effetto che, benché la sentenza definitiva d’appello sul quantum n. 12/2008 sia stata cassata senza rinvio (per l’improponibilità dell’appello in ragione del difetto dello ius postulandi ), non vi è stata alcuna reviviscenza della sentenza di rigetto della domanda risarcitoria pronunciata in primo grado.
1.1.4. -All’esito, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che la sentenza passata in giudicato sull’ an rilevasse nel separato giudizio sulla determinazione del quantum solo in ordine all’accertamento dei fatti presupposti su cui si innestava la domanda, ossia in ordine al valore impegnativo degli accordi tra le parti, alla titolarità passiva degli obblighi nascenti da tale accordo, alla valutazione dell’inadempimento di tale società, alle obbligazioni nascenti da tali scritture.
Con ciò escludendo che essa generasse effetti vincolanti, per il giudice del quantum , sull’esistenza del credito e sulla proponibilità della domanda.
1.1.5. -Da ciò discende che la domanda proposta davanti al Tribunale di Milano era ammissibile.
Questo perché la cassazione senza rinvio della sentenza definitiva sul quantum ha rimosso tale ultima pronuncia per ragioni di mero rito (per il difetto di ius postulandi dell’appellante), con effetti endo -procedimentali e con la
formazione del solo giudicato formale, senza effetti caducatori della sentenza parziale passata in giudicato sull’ an .
2. -Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1223 e 1226 c.c., per avere la Corte territoriale confermato la condanna al risarcimento dei danni per la somma liquidata dal Tribunale in assenza di alcuna prova della sussistenza di detti danni ed in via equitativa, nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, e 115 c.p.c., sotto il profilo dell’affermata sussistenza della prova del mancato guadagno della danneggiata.
Assume l’istante che la sentenza impugnata non avrebbe potuto ricavare la prova del danno dal comportamento inadempiente della COGNOME in base ad un inammissibile automatismo e sulla scorta della presunzione secondo cui un’impresa che assume lavori che formano oggetto della sua attività imprenditoriale ne tragga profitto, poiché la liquidazione del danno avrebbe richiesto un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) che avrebbe potuto essere equitativamente svolto solo in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice avesse potuto sillogisticamente desumere l’entità del danno subito.
E segnatamente -aggiunge la ricorrente -la prova del danno da mancato profitto avrebbe dovuto essere rigorosa, senza che vi fosse spazio per alcuna assoluzione o sconto o alleggerimento del relativo onere, tantomeno in ragione di una mera presunzione.
Del resto, ad avviso dell’istante, sarebbe incomprensibile ed oscuro l’assunto della sentenza d’appello secondo cui il mancato guadagno avrebbe potuto essere desunto dall’affidamento a cura della COGNOME -dei lavori che avrebbe dovuto eseguire la RAGIONE_SOCIALE ad un’impresa terza e il ricevuto pagamento del corrispettivo per l’attività espletata, dovendo farsi riferimento all’utile che la società danneggiata avrebbe potuto percepire e non alla situazione di soggetti terzi, senza tenere conto che lo svolgimento dei lavori in subappalto avrebbe implicato l’indissolubile dipendenza dalle vicende e dagli sviluppi inerenti all’appalto principale.
2.1. -Il motivo è infondato.
Al riguardo, nell’ordine, la pronuncia impugnata ha sostenuto, con riferimento all’esistenza ( an ) del danno da mancato guadagno, che esso poteva ritenersi provato nella sua oggettiva esistenza sulla base della presunzione ricorrente che un’impresa assume lavori che formano oggetto della sua attività imprenditoriale al fine di trarne profitto. Infatti, la RAGIONE_SOCIALE, impresa specializzata nel settore edilizio già presente sul territorio libico, avrebbe certamente tratto profitto da tale attività, se la COGNOME le avesse conferito le quote stabilite dell’appalto, con la conseguenza che il danno da mancato guadagno esisteva e poteva porsi in relazione all’inadempimento della COGNOME, la quale aveva affidato ad un’impresa terza la realizzazione delle opere che doveva eseguire RAGIONE_SOCIALE ed aveva ricevuto il pagamento per l’attività espletata (ossia dal Ministero dell’Agricoltura libico per il corrispettivo concordato).
La quantificazione ( quantum ) di tale danno patrimoniale è invece stata determinata in via equitativa, in ragione dell’impossibilità o comunque della particolare difficoltà nella determinazione e prova della misura del danno, anche alla stregua della consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio davanti alla Corte d’appello di Trento.
Quindi, la sentenza impugnata ha escluso che la chiusura dei bilanci in perdita da parte della società esecutrice dei lavori RAGIONE_SOCIALE, peraltro nella misura minima di euro 3.965,68, avesse rilievo, in quanto erano del tutto irrilevanti, nel caso di specie, le vicende relative all’esecuzione del contratto da parte di altra società, quale soggetto estraneo al giudizio.
Per contro, nella veste di subappaltatore, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto operare in autonomia nell’ambito dei lavori subappaltati, gestendo le proprie maestranze, le proprie strutture e il proprio rischio, con la probabilità di ottenere un utile maggiore di quello ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE, in quanto già presente sul territorio libico, con il conseguente esonero dall’onere di sostenere i costi di avviamento e impianto relativi all’insediamento, che la RAGIONE_SOCIALE aveva dovuto invece sostenere.
Pertanto, per un verso, la Corte ha desunto l’esistenza del danno da mancato guadagno della società esclusa dall’appalto, nonostante gli impegni assunti, da un ragionamento presuntivo e, per altro verso, la quantificazione di tale pregiudizio è avvenuta in via equitativa, avvalendosi delle risultanze peritali svolte in altro giudizio vertente tra le stesse parti come innanzi evocato.
2.2. -Ora, l’utilizzazione della prova indiziaria ai fini dell’affermazione della ricorrenza di tale voce riparatoria è ben ammissibile.
2.2.1. -Precisamente il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi i mancati guadagni meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte, sicché la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno subito (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 29486 del 15/11/2024; Sez. 6-2, Ordinanza n. 5613 del 08/03/2018; Sez. 3, Sentenza n. 24632 del 03/12/2015; Sez. 2, Sentenza n. 11254 del 20/05/2011).
Ebbene, benché spetti all’impresa danneggiata l’onere di offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito qualora avesse partecipato all’appalto, utile non altrimenti raggiunto o raggiungibile attraverso altri appalti contratti nella fase storica in cui avrebbe dovuto essere eseguito l’appalto di specie, nello specifico, il danno patrimoniale da lucro cessante è stato puntualmente correlato -in modo tale da escludere l’ aliunde perceptum -alla particolarità della commessa, ossia alla realizzazione di due dighe ( recte la ristrutturazione di una e la nuova costruzione dell’altra), a cura di imprese italiane, nel
territorio libico, con l’apposita predisposizione delle maestranze e dei mezzi tenuti a disposizione in vista della commessa e non altrimenti utilizzabili in quel territorio, sebbene la RAGIONE_SOCIALE operasse in quell’area, con il conseguente esonero dall’onere di sostenere i costi di avviamento e impianto relativi all’insediamento.
L’insieme di queste condizioni ha supportato il giudizio di probabilità sul mancato guadagno conseguito alla mancata concessione della commessa, in spregio degli accordi raggiunti.
Né è escluso il ricorso alla presunzione ricorrente secondo cui, se l’appaltatore riceve l’appalto, ne trae profitto: pur non essendo un principio giuridico codificato in modo esplicito, tale asserto inferenziale non contrasta con i canoni di cui all’art. 2729 c.c., quale conseguenza logica del contratto di appalto, ove corroborato da elementi sintomatici che ne avvalorino il costrutto (Cons. Stato, Sez. VI, Sentenza n. 6734 del 20/11/2006).
In sostanza, in base al ragionamento inferenziale svolto, l’appaltatore, acquisendo l’incarico, avrebbe ottenuto un guadagno dall’esecuzione dell’opera non surrogabile alla stregua del puntuale apprestamento di risorse connesse alla specificità dell’appalto, che si sarebbe concretizzato nella differenza tra i costi sostenuti per la realizzazione e il corrispettivo pattuito con il committente, sicché è ragionevole presumere -come avvenuto da parte della sentenza impugnata -che l’acquisizione dell’appalto avrebbe permesso di ottenere un guadagno economico non diversamente ottenibile, quale componente fondamentale del contratto d’appalto dal lato dell’artefice.
2.2.2. -Al contempo, con specifico riferimento al mancato guadagno dell’appaltatore, è ammesso il ricorso al criterio equitativo allorché sia difficile dimostrare specificamente l’entità del mancato guadagno (con riferimento al mancato guadagno quale voce dell’indennizzo spettante all’appaltatore a causa del recesso unilaterale del committente ex art. 1671 c.c., Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30494 del 26/11/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 16346 del 12/06/2024; Sez. 2, Sentenza n. 15304 del 17/07/2020; Sez. 2, Sentenza n. 5368 del 07/03/2018; Sez. 2, Sentenza n. 28402 del 28/11/2017; Sez. 2, Sentenza n. 8853 del 05/04/2017; Sez. 6-2, Ordinanza n. 9132 del 06/06/2012; Sez. 2, Sentenza n. 2608 del 14/04/1983; Sez. 3, Sentenza n. 1189 del 09/05/1966; quanto alla prova presuntiva ai fini della quantificazione del lucro cessante dell’appaltatore escluso, Cons. Stato, Sez. V, Sentenza n. 3457 del 22/04/2025; Sez. VI, Sentenza n. 6997 del 06/08/2024; Sez. V, Sentenza n. 5803 del 23/08/2019).
2.2. -D’altronde, i rilievi del giudice di merito superano il vaglio sulla motivazione che deve rispettare la soglia del minimo costituzionale, ai fini di esentare la pronuncia dalla critica mossa circa l’asserita incomprensibilità delle argomentazioni esposte.
3. -Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 111, sesto comma, Cost., per avere la Corte distrettuale rilevato la tardività delle ulteriori censure mosse dall’appellante contro la sentenza di primo grado, relative agli errori di calcolo nella quantificazione del lucro cessante, con argomentazioni obiettivamente inidonee a far
conoscere il ragionamento seguito per la formazione del proprio convincimento.
Adduce l’istante che a fronte dei rilievi in forza dei quali: (a) il compenso non aveva rispettato i criteri stabiliti dall’art. 10 del contratto di appalto; (b) non si era tenuto conto degli oneri fiscali gravanti sul contratto; (c) non si era preso in considerazione l’embargo a carico della Libia le censure erano state considerate tardive, senza ulteriore specificazione, benché fossero state tempestivamente sollevate dall’appellante con il proprio atto di gravame, mentre per l’embargo tale obiezione sarebbe stata sollevata sin dalla costituzione nel giudizio di primo grado.
3.1. -Il motivo è infondato.
3.1.1. -Infatti, con motivazione del tutto comprensibile, la Corte d’appello ha obiettato che tali censure erano state sollevate tardivamente solo con l’atto introduttivo del giudizio d’appello (censure sollevate per la prima volta dall’appellante, si intende, con la proposizione dell’impugnazione).
Si tratta, infatti, di fatti impeditivi o modificativi della pretesa azionata, ossia di eccezioni non rilevabili d’ufficio (eccezioni in senso stretto) che, ai sensi dell’art. 345, secondo comma, c.p.c., non possono essere proposte per la prima volta in sede di gravame.
3.1.2. -Quanto al fatto impeditivo dell’utile contrattuale rappresentato dall’embargo della Libia, deve escludersi che esso sia stato fatto valere nel giudizio di primo grado, in cui genericamente si richiamavano il contesto e le condizioni politiche
ed economiche della Libia, senza alcuno specifico riferimento allo stato di embargo.
E peraltro senza che sia stato dedotto alcuno specifico collegamento tra tale fatto e la sua incidenza sul mancato guadagno (oltre che sui termini quantitativi di tale incidenza).
4. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 14.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 10 luglio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME