Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11885 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11885 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24261/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso; -ricorrente- contro
COGNOME NOME, quale erede beneficiato di RAGNI ERMIDA e di COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), per procura in calce al controricorso;
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO GENOVA n.583/2020 depositata il 26.6.2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.3.2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1) In data 7.2.2006 COGNOME NOME, quale procuratore di RAGIONE_SOCIALE, conferiva incarico irrevocabile in esclusiva alla RAGIONE_SOCIALE, a decorrere dal 7.2.2006 e fino al 31.12.2006, di reperire acquirenti di circa una trentina di costruendi box dell’immobile di RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, con esclusione delle eventuali vendite effettuate a favore dei condomini del INDIRIZZO di INDIRIZZO, con previsione di rinnovo tacito per un pari periodo di tempo, salvo disdetta da comunicarsi con raccomandata 15 giorni prima della scadenza. La RAGIONE_SOCIALE aveva studiato il mercato immobiliare di zona e predisposto una tabella con l’indicazione specifica del prezzo di vendita di ogni singolo box auto, che costituiva l’obiettivo che l’agenzia doveva raggiungere per adempiere il mandato, e tale tabella era stata sottoscritta dall’COGNOME per accettazione e benestare, oltre ad essere allegata al contratto. La RAGIONE_SOCIALE in esecuzione del contratto aveva svolto pubblicità su riviste specializzate e attività di divulgazione tramite operatori dislocati nel quartiere, rivolgendosi ai soggetti che potevano essere maggiormente interessati all’acquisto dei box, ed era riuscita a raccogliere nelle settimane immediatamente successive alla stipula otto proposte irrevocabili di acquisto ai prezzi indicati nella tabella, con versamento da parte dei proponenti degli acconti destinati a diventare caparra in caso di conferma del loro acquisto. Dopo
appena 21 giorni dalla stipula COGNOME NOME nella sua qualità, con fax dell’1.3.2006 del suo legale, aveva manifestato all’agenzia la volontà di revocarle l’incarico, sostenendo che malgrado il tempo trascorso l’agenzia non gli aveva ancora sottoposto alcuna proposta di acquisto, per cui l’agenzia era stata costretta ad interrompere la sua attività, in attesa di chiarimenti del mandante, e ad aprile 2006 a restituire ai proponenti che li avevano versati gli acconti ricevuti in vista dell’acquisto dei box, per non incorrere in responsabilità risarcitoria verso di essi. Il 4.5.2006 l’COGNOME ribadiva la sua volontà di revocare l’incarico, ascrivendo all’agenzia un inadempimento contrattuale, puntando in realtà al risultato di vendere agevolmente i box a terzi acquirenti senza dover pagare la provvigione all’intermediaria.
Iniziavano così due separati giudizi, poi riuniti, nei quali COGNOME NOME nella qualità, aveva chiesto la risoluzione di diritto ex art. 1454 cod. civ. ed in subordine ex art. 1453 cod. civ. del contratto di mediazione atipica per grave inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, ed il risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale di quest’ultima per avere trascritto sui box auto la sua contrapposta domanda di risoluzione del medesimo contratto per grave inadempimento del mandante, mentre la società suddetta, in aggiunta a tale domanda, aveva chiesto la condanna della controparte al risarcimento dei danni subiti per il mancato guadagno, parametrando il proprio compenso sfumato alle provvigioni del 6% previste per i mediatori immobiliari dagli usi di piazza della RAGIONE_SOCIALE, calcolate sui prezzi di vendita previsti nella tabella allegata al contratto del 7.2.2006 per tutti i box auto che era stata incaricata di vendere. In corso di causa decedevano, prima, COGNOME NOME e poi COGNOME NOME, ai quali subentrava l’erede che aveva accettato con beneficio d’inventario, COGNOME NOME.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con la sentenza n. 1065 del 27.3.2013 dichiarava la risoluzione del contratto di mediazione atipica del 7.2.2006 per grave inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, confermava il provvedimento cautelare adottato il 14.10.2006 che aveva ordinato a quest’ultima la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale di risoluzione del medesimo contratto, rigettando però le richieste risarcitorie dell’COGNOME, respinte le domande di risoluzione per inadempimento, risarcimento danni ed arricchimento senza causa avanzate dalla società suddetta e compensava le spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale la RAGIONE_SOCIALE, e appello incidentale l’COGNOME, la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, per quanto ancora qui rileva, con sentenza n. 1243/2016 del 29.9/28.11.2016, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava risolto il contratto di mediazione atipica del 7.2.2006 per grave inadempimento di RAGIONE_SOCIALE rappresentata dal procuratore COGNOME NOME, per avere ingiustificatamente revocato l’incarico all’agenzia d’intermediazione, condannava COGNOME NOME quale erede dei predetti, e nei limiti dell’attivo ereditario, a risarcire alla RAGIONE_SOCIALE i danni da inadempimento subiti, che liquidava in € 135.300,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali ed alla rifusione delle spese del doppio grado.
Contro tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’COGNOME, contestando sia la risoluzione per inadempimento, sia la quantificazione del risarcimento danni posto a suo carico, e la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5613/2018 dell’8.3.2018, confermava la pronunciata risoluzione del contratto di mediazione atipica del 7.2.2006 per grave inadempimento di RAGIONE_SOCIALE rappresentata dal procuratore COGNOME NOME, e in accoglimento del secondo motivo relativo alla violazione di legge
dell’art. 1223 cod. civ., cassava l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE. A sostegno della decisione la Suprema Corte rilevava che nella quantificazione del danno per mancato guadagno subito dalla RAGIONE_SOCIALE non poteva essere compiuto un giudizio di mera possibilità, ma di probabilità nell’individuazione delle utilità patrimoniali che il creditore avrebbe potuto conseguito se la controparte avesse adempiuto l’obbligazione a suo carico, anche mediante utilizzo degli elementi indiziari forniti, con esclusione dei danni soltanto ipotetici per i quali non risultasse comprovata un’alta probabilità di verificazione. In particolare, la Suprema Corte riteneva che il danno per mancato guadagno non potesse nella specie essere parametrato alla mancata percezione delle provvigioni del 6% sui prezzi di vendita riportati nelle tabelle allegate al contratto di mediazione atipica per tutti i box auto per i quali la RAGIONE_SOCIALE era stata incaricata di vendere per il solo fatto che in tre settimane, su una durata di incarico prevista di ulteriori dieci mesi, la suddetta società avesse già raccolto otto proposte di acquisto dei box, in quanto le proposte di acquisto avrebbero potuto anche non essere accettate dalla mandante -venditrice e quindi automaticamente determinare la vendita dei box.
5) Riassunto il giudizio davanti alla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE, la stessa chiedeva che il danno per mancato guadagno, ad essa spettante in conseguenza dell’illecita risoluzione anticipata del contratto di mediazione atipica del 7.2.2006 ad opera della controparte, fosse quantificato secondo i parametri già utilizzati (provvigione del 6% uso piazza, prezzo dei box riportati nella tabella firmata dalle parti ed allegata al contratto di mediazione) nella misura minima di € 68.640,00 (indicata dalla controparte come risarcimento minimo nel precedente ricorso in cassazione) e massima di € 135.300,00 (parametrata all’ipotizzata vendita di tutti i box di cui
all’incarico illecitamente revocato), con condanna di COGNOME NOME nei limiti dell’attivo ereditario dell’inventario.
Il giudice del rinvio, nella resistenza di COGNOME NOME, con sentenza n. 583/2020 del 25/26.6.2020, condannava quest’ultimo nella qualità di erede di COGNOME NOME e COGNOME NOME e nei limiti dell’attivo ereditario, a risarcire alla RAGIONE_SOCIALE i danni per mancato guadagno, liquidati in € 36.360,00, con la rivalutazione monetaria dal giorno della domanda (15.6.2006) al 28.11.2016 e con gli interessi legali sulla somma anno per anno rivalutata, oltre interessi legali dal 28.11.2016 al saldo; dichiarava compensate per 2/3 le spese del giudizio di cassazione e di rinvio, condannando l’COGNOME al pagamento alla controparte del terzo residuo ed al pagamento per intero delle spese relative alla procedura ex art. 373 c.p.c.
Contro tale sentenza ha proposto nuovamente ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso COGNOME NOME quale erede beneficiato di COGNOME NOME ed COGNOME NOME, che ha altresì depositato memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
7) Col primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. Si duole la ricorrente che l’impugnata sentenza abbia ignorato le conclusioni da essa stessa formulate nel giudizio di rinvio, in cui aveva chiesto il risarcimento del danno per mancato guadagno in misura ricompresa tra un massimo di € 135.300,00 (parametrato all’ipotizzata vendita di tutti i box auto per i quali aveva ricevuto l’incarico il 7.2.2006) ed un minimo di € 68.640,00 (parametrato all’ipotizzata vendita dei 13 box auto per i quali aveva effettivamente raccolto le proposte di acquisto).
Tali conclusioni erano state così formulate in quanto lo stesso COGNOME alla pagina 9 del ricorso in cassazione, aveva sostenuto che la provvigione del 6% doveva essere calcolata sul corrispettivo complessivo di € 1.144.000,00, relativo ai 13 box auto per i quali la controparte aveva raccolto le proposte di acquisto, e non su quello di € 2.255.000,00 che era stato utilizzato per la liquidazione dalla sentenza in quella sede impugnata della Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE n. 1243/2016 del 29.9/28.11.2016, con determinazione del danno da mancato guadagno in € 68.640,00 nell’ipotesi in cui l’inadempimento contrattuale fosse ritenuto imputabile ad COGNOME NOME quale procuratore di RAGIONE_SOCIALE NOME, anziché nella misura inizialmente liquidata a suo carico di € 135.300,00.
Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione dell’art. 384 comma 2° c.p.c. Ritiene la ricorrente che l’impugnata sentenza non si sarebbe attenuta al principio di diritto enunciato dall’ordinanza della Suprema Corte n. 5613/2018, che aveva cassato con rinvio la precedente sentenza della Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE n.1243/2016 del 29.9/28.11.2016 per violazione dell’art. 1223 cod. civ., e non per un vizio di motivazione, per cui il giudice del rinvio non avrebbe potuto modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo (in tal senso si richiama Cass. 14.1.2020 n. 448) attraverso la valutazione della bontà, o meno dei contratti preliminari ( rectius proposte di acquisto) prodotti.
I due motivi, attinenti all’asserito travalicamento da parte della sentenza impugnata del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e dei limiti propri del giudizio di rinvio, vanno esaminati congiuntamente e sono infondati. L’impugnata sentenza si è perfettamente attenuta al principio di diritto espresso dall’ordinanza della Corte di Cassazione n.
5613/2018 dell’8.3.2018, che le imponeva, quale giudice di rinvio, di quantificare il danno per mancato guadagno subito dalla RAGIONE_SOCIALE per l’illecita risoluzione anticipata, dopo appena 21 giorni, del contratto di mediazione atipica concluso con COGNOME NOME quale procuratore generale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il 7.2.2006, utilizzando gli elementi indiziari forniti per esprimere un giudizio in termini di alta probabilità, e non di mera possibilità, circa il danno che la società suddetta avrebbe subito se la mandante non le avesse illecitamente revocato l’incarico di vendita, escludendo, nel compiere tale liquidazione, che fosse ritenuta dimostrata, perchè in realtà meramente ipotetica, la conclusione di contratti di vendita per tutti i box auto ricompresi nell’incarico a suo tempo conferito, che era stata riconnessa dalla sentenza cassata alla mera insufficiente circostanza indiziaria che la RAGIONE_SOCIALE in soli 21 giorni, rispetto ai dieci mesi previsti dell’incarico, era riuscita ad ottenere otto proposte di acquisto dei box auto, proposte che in realtà non era detto che sarebbero state accettate dalla proprietaria -venditrice, a prescindere dal prezzo di vendita proposto, e di per sé non avevano costituito in capo ad essa alcun vincolo giuridico.
L’impugnata sentenza, partendo dalle otto proposte di acquisto raccolte dalla RAGIONE_SOCIALE alle quali ha fatto riferimento la Suprema Corte, le sole recanti l’espressa indicazione del prezzo di acquisto e da ritenere seriamente intervenute per l’avvenuto rilascio per esse di assegni per il pagamento di congrui acconti destinati a diventare caparre confirmatorie in caso di accettazione da parte della proprietaria -venditrice, ha ritenuto probabile che le vendite relative sarebbero state concluse senza l’illecita risoluzione anticipata del contratto di mediazione atipica, solo per quelle tra dette proposte che recassero un prezzo uguale, o addirittura superiore a quello riportato nella tabella firmata dalle parti, allegata al contratto di
mediazione atipica, determinando quindi il danno, ferme le statuizioni non impugnate sugli accessori, in € 36.360,00, applicando la provvigione del 6% prevista dagli usi della piazza di RAGIONE_SOCIALE per le mediazioni immobiliari sul prezzo di vendita che sarebbe stato così realizzato di € 606.000,00, e si è quindi perfettamente conformata a quanto richiesto in sede di legittimità.
La circostanza che l’attuale ricorrente in sede di rinvio avesse chiesto la liquidazione di un risarcimento danni compreso, tra la somma già liquidata prima della cassazione di € 135.300,00, e quella minima di € 68.640,00, che era stata indicata dalla controparte alla pagina 9 del precedente ricorso per cassazione, non poteva certo vincolare la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE a non liquidare a titolo risarcitorio una somma inferiore ad € 68.640,00, posto che in quel ricorso COGNOME NOME non aveva solo richiesto una riduzione ad € 68.640,00 del risarcimento danni posto a suo carico nella superiore misura di € 135.300,00 dalla sentenza poi cassata, ma aveva anche richiesto di respingere la domanda di risoluzione del contratto di mediazione atipica del 7.2.2006 avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE, e di accogliere invece la sua domanda di risoluzione dello stesso contratto per inadempimento di quest’ultima, richieste che se fossero state accolte avrebbero condotto alla negazione alla RAGIONE_SOCIALE di qualsivoglia risarcimento danni per mancato guadagno.
La giurisprudenza della Suprema Corte insegna, del resto, che può ritenersi violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato dell’art. 112 c.p.c. ogni volta che il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione ( petitum e causa petendi ), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e compreso, almeno
implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste della parte (Cass. 13.5.2020 n.8870; Cass. 26.10.2009 n. 22595; Cass. 19.6.2004 n. 11455). Nella specie non vi è dubbio che la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE in sede di rinvio non abbia modificato il petitum e la causa petendi della pretesa risarcitoria avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE, essendo palesemente ricompreso nella domanda risarcitoria riproposta da tale società in sede di rinvio anche l’importo riconosciuto come dovuto, benché inferiore a quello richiesto (vedi sull’esclusione della violazione dell’art. 112 c.p.c. in caso di attribuzione di un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato rispetto a quello richiesto Cass. 15.6.2020 n. 11466; Cass. ord. n. 13383/2020; Cass. 6.3.2020 n. 6480; Cass. ord. n.513/2019).
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico della ricorrente.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate a favore del controricorrente nella somma di € 200,00 per spese e di € 5.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%.
Visto l’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile