Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8119 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8119 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 10924/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE p.i. P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE c.f. 02355610151, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME controricorrente, ricorrente in via incidentale nonché contro
RAGIONE_SOCIALE c.f. 00794070342, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME controricorrente
OGGETTO:
compravendita di cosa mobile
RG. 10924/2020
P.U. 13-3-2025
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
intimata avverso la sentenza n. 3083/2019 della Corte d’Appello di Firenze, depositata il 19-12-2019,
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13-32025 dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile o comunque rigettare il ricorso principale e quello incidentale,
udito l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dei difensori per RAGIONE_SOCIALE, udito l’avv. NOME COGNOME in sostituzione de i difensori per RAGIONE_SOCIALE
FATTI DI CAUSA
1.Con atto di citazione notificato il 28-91994 l’acquirente RAGIONE_SOCIALE ha convenuto avanti il Tribunale di Firenze la venditrice RAGIONE_SOCIALE chiedendo la risoluzione del contratto di compravendita concluso il 30-6-1992 avente a oggetto due carrelli magazzinieri automatizzati di marca Samag modello Max 2 al prezzo di Lire 193.640.000 oltre iva, in quanto inidonei a svolgere la funzione loro propria, di gestione anche automatizzata del magazzino; ha chiesto la restituzione del prezzo, pagato per Lire 168.384.962 pari a Euro 86.963,57, e il risarcimento dei danni.
La convenuta si è costituita, contestando la domanda, chiedendo in via riconvenzionale il pagamento di ulteriori servizi forniti e chiedendo la chiamata in causa per la manleva di RAGIONE_SOCIALE quale
produttrice materiale dei carelli. RAGIONE_SOCIALE a sua volta ha chiamato in garanzia RAGIONE_SOCIALE quale fornitrice della componentistica elettronica.
Esperita consulenza tecnica d’ufficio sui carrelli oggetto della compravendita, il Tribunale di Firenze con sentenza del 19-3-2004 ha dichiarato risolto il contratto di compravendita, in quanto si era trattato di vendita di aliud pro alio, e ha condannato in solido la convenuta e le chiamate in causa alla restituzione del prezzo e al risarcimento del danno quantificato in Euro 51.654,69.
Interposti appelli, con sentenza n. 890/2009 depositata il I-92009 la Corte d’appello di Firenze ha integralmente riformato la sentenza di primo grado; escludendo l’ipotesi di vendita di aliud pro alio, ha rigettato le domande principali, la domanda riconvenzionale e ha dichiarato assorbite le domande di manleva.
Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, e RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, hanno proposto ricorso incidentale.
Con sentenza n. 13286/2015 depositata il 26-6-2015 la Corte Suprema ha rigettato il terzo e il quarto motivo di ricorso principale con i quali la ricorrente aveva dedotto la violazione delle disposizioni in punto di vendita di aliud pro alio. Ha accolto il sesto motivo di ricorso principale in punto di erronea interpretazione della domanda, qualificato come volto a denunciare omissione di pronuncia, rilevando che era fondata la doglianza della ricorrente secondo la quale la Corte d’appello aveva ritenuto che fosse stata proposta esclusivamente domanda di risoluzione ex art. 1453 cod. civ. per consegna di aliud pro alio, dichiarando che «già nell’atto introduttivo del giudizio la s.p.aRAGIONE_SOCIALE aveva esposto fatti, svolto argomentazioni e formulato richieste compatibili non solo con l’ipotesi dell’ aliud pro alio, ma anche, in implicito subordine, con quelle dei vizi redibitori e della
mancanza di qualità promesse: difetti ‘minori’, in rapporto di minus a maius rispetto agli altri. Nel costituirsi in giudizio in secondo grado, d’altra parte, la s.RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE l grafix Italiana, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., aveva poi espressamente ribadito, per il caso di accoglimento delle impugnazioni principali, la tesi secondo cui i carrelli elevatori consegnatile presentavano malfunzionamenti e carenze di qualità». La sentenza ha dichiarato assorbiti gli altri motivi di ricorso principale, con i quali la ricorrente deduceva, sotto vari aspetti, che l a Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare e accogliere la domanda relativamente ai vizi redibitori; ha dichiarato assorbito il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE in quanto relativo alla regolamentazione delle spese disposta dalla sentenza impugnata e ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE perché si risolveva nella superflua affermazione che nel giudizio di rinvio avrebbe potuto essere riproposta la domanda di garanzia; ha cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e ha rinviato a diversa sezione della Corte d’appello di Firenze anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
RAGIONE_SOCIALE ha riassunto la causa avanti la Corte d’appello di Firenze, tutte le altre parti si sono costituite e in corso di causa è intervenuta in giudizio RAGIONE_SOCIALE quale successore a titolo particolare di RAGIONE_SOCIALE cancellata dal registro delle imprese.
Con sentenza n. 3083/2019 pubblicata il 19-12-2019 la Corte d’appello di Firenze ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento di Euro 21.740,89 a favore di RAGIONE_SOCIALE a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, con gli interessi legali dal 28-9-1994 al saldo; ha compensato integralmente le spese di ogni fase processuale nel rapporto tra queste due parti e ha posto a carico di queste due parti per la metà ciascuna le spese di
c.t.u.; previa compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle ulteriori spese processuali a favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, liquidate a favore di ciascuna in Euro 9.000,00 oltre accessori.
2.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto due motivi di ricorso incidentale.
RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso e successivo controricorso in replica al ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE
E’ rimasta intimata RAGIONE_SOCIALE alla quale il ricorso principale e il ricorso incidentale sono stati notificati al difensore domiciliatario avv. NOME COGNOME con consegna del piego in data 11-32020 per il ricorso principale e in data 23-6-2020 per il ricorso incidentale.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 13-3-2025 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e hanno depositato memoria illustrativa la ricorrente incidentale e la controricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente deve essere rilevata la nullità della costituzione dei nuovi difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME in aggiunta all’avv. NOME COGNOME e all’avv. NOME COGNOME depositata per la ricorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE in data 17-2-2024 e, di conseguenza, della memoria depositata il 3-3-2025 sottoscritta solo dagli avv. COGNOME e COGNOME ciò in quanto la procura ai nuovi difensori è stata rilasciata in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore con autenticazione degli stessi difensori.
Infatti, al presente giudizio, in quanto iniziato nel 1994, si applica l’art. 83 co.3 cod. proc. civ. nella formulazione previgente all’art. 45 legge 18 giugno 2009 n.69, secondo il quale nel giudizio di cassazione la procura speciale non poteva essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi del ricorso o del controricorso; per espressa previsione dell’art. 58 co.1 legge 69/2009 le disposizioni della legge che hanno modificato il codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, avvenuta il 4-7-2009 (Cass. Sez. 3 27-8- 2014 n. 18323 Rv. 632092-01, Cass. Sez. 5 26-3-2010 n. 7241 Rv. 61221201, per tutte). Secondo l’indirizzo unanime della giurisprudenza di legittimità, in base alla disposizione previgente, se la procura speciale non è rilasciata a margine o in calce di ricorso o di controricorso, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dall’art. 83 co. 2 cod. proc. civ., e cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio (Cass. Sez. 2 19-4-2022 n. 12434 Rv. 664786, Cass. Sez. 2 9-8-2018 n. 20692 Rv. 650007-01, Cass. Sez. 3 18-4-2013 n. 9462 Rv. 626050-01, Cass. Sez. 3 24-11-2010 n. 23816 Rv. 615160-01).
2.Con il primo motivo la ricorrente RAGIONE_SOCIALE deduce ‘ violazione di legge in punto di violazione dell’art. 384 c.p.c., in correlazione con l’art. 360 n. 3 c.p.c., per palese, omessa osservanza da parte del Giudice di rinvio del principio di diritto stabilito nella sentenza di Cassazione n. 890/09’; la ricorrente, continuando anche nel corpo del motivo a fare erroneamente riferimento alla sentenza che ha disposto il rinvio come n. 890/2009, ne trascrive però il contenuto esatto e lamenta che la sentenza impugnata abbia completamente trascurato il principio posto dalla sentenza medesima, in quanto ha deciso soltanto sulla presenza di vizi redibitori, ritenendo che non fossero così gravi da giustificare la risoluzione ma giustificassero una semplice riduzione del prezzo, poi riconosciuta in misura irrisoria.
Sostiene che, in questo modo, la sentenza abbia completamente travisato il principio di diritto, che disponeva di verificare anche se sussistesse l’ipotesi della risoluzione contrattuale per difetto delle qualità promesse ex art. 1497 cod. civ.; evidenzia che, se la Corte d’appello avesse adottato tale prospettiva decisoria, avrebbe concluso che la ‘funzione di aggiornamento della disponibilità dei prodotti in magazzino’, accertata mancante dal c.t.u., era stata dedotta nel contratto concluso il 30-6-1992 e quindi avrebbe dovuto sussumere la fattispecie oggetto di causa nell’ambito dell’art. 1497 cod. civ., con la conseguente risoluzione del contratto di compravendita e il correlativo risarcimento dei danni.
3 .Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce ‘ omessa pronuncia, rilevante ex art. 112 c.p.c. e 360 n. 4 c.p.c., su parte della domanda proposta in sede di riassunzione e concernente l’applicazione al caso di specie dell’art. 1497 c.c. in punto delle qualità promesse nella cosa compravenduta’; dichiara che la sentenza impugnata è contestualmente censurata sotto il profilo dell’omessa pronuncia sulla domanda attorea fondata sulla violazione dell’art. 1497 cod. civ.
4.Il primo e secondo motivo, esaminati unitariamente stante la stretta connessione, sono infondati, in quanto si fondano su una lettura della sentenza impugnata parziale ed erronea.
La sentenza impugnata, da pag. 7 par.13, ha preso analiticamente in esame le inadempienze del venditore sulla base delle valutazioni tecniche eseguite dalla consulenza d’ufficio . In primo luogo ha considerato che il sistema, dal punto di vista hardware, era conforme alle specifiche del contratto e che anche l’unico aspetto critico in un primo tempo rilevato, relativo all’installazione delle apparecchiature radiotrasmittenti, era spiegato dal fatto che l’installazione era solo provvisoria e destinata a essere completata in fase di collaudo; ha evidenziato che anche i consulenti di parte acquirente avevano
segnalato guasti nella minuteria componentistica, facilmente eliminabili, ed ha espressamente dato atto che si trattava di guasti che, tutt’al più, giustificavano un deconto dal prezzo e non certo la risoluzione del contratto. In ordine al software di collegamento tra il PC di terra e i carrelli , la sentenza ha considerato che il consulente d’ufficio aveva accertato che non vi era stato il collaudo, ma che il programma di collegamento era esistente ed erano stati forniti al committente anche tutti i programmi e protocolli di comunicazione del sistema previsti dal contratto. Per quanto riguardava l’effettivo funzionamento dell’apparato elettronico -informatico, la sentenza ha considerato che il c.t.u. aveva denunciato l’impossibilità di una verifica al momento del sopralluogo, ma aveva accertato che in data 21-4-1994 era stata eseguita una prova di funzionamento in modalità simulata e il sistema era risultato funzionante. Quindi, ha considerato che, secondo la tesi dell’acquirente , la fornitura avrebbe dovuto garantire una gestione del magazzino merci del tutto automatizzata ma che, in base a quanto accertato dal c.t.u., le apparecchiature costituivano un sistema semiautomatico, che richiedeva in ogni caso la presenza di un operatore a bordo dei carrelli elevatori. A fronte di questi dati, la sentenza è giunta alla conclusione, pag. 9 par. 18, che sussistevano esclusivamente due profili di inadempimento, riferiti dal c.t.u. al fatto che il manuale d’uso del sistema era risultato non idoneo e al fatto che il siste ma non poteva svolgere una delle funzioni indicate nell’offerta, relativa alla funzione di aggiornamento della disponibilità di magazzino dei prodotti; ha dichiarato che si trattava di aspetti minori ma non trascurabili ai fini del buon funzionamento del sistema perché, se la funzionalità del software fosse stata meglio spiegata al cliente anche attraverso la predisposizione di un esauriente libretto di istruzioni, necessario nella vendita di un sistema gestionale così complesso, era presumibile che il cliente non avrebbe interrotto bruscamente il
programma negoziale e le parti avrebbero potuto collaborare per far funzionare il sistema e arrivare al collaudo; quindi, pag. 10 par. 19, ha dichiarato che tali difetti, sebbene apprezzabili nell’economia dell’adempimento, non erano tanto gravi da giustificare la risoluzione del contratto, non solo perché non erano disfunzionali (stante il giudicato interno sulla domanda di risoluzione per vendita di aliud pro alio) , ma anche perché con opportuni rimedi e accorgimenti i macchinari si sarebbero potuti impiegare nel ciclo lavorativo. Dichiarato che la responsabilità era esclusivamente del venditore, ha aggiunto, pag. 10 par. 20, che tale responsabilità non assorbiva interamente il valore della fornitura, capace di svolgere una apprezzabile utilità residua, tanto più in considerazione della parzialità del corrispettivo versato, e ha concluso riconoscendo all’acquirente il risarcimento del danno pari al 25% del prezzo effettivamente pagato.
Con questo contenuto la sentenza, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, ha preso in esame anche la domanda di risoluzione del contratto per i vizi della cosa compravenduta e per mancanza delle qualità promesse; in sostanza, ha escluso che ricorressero i presupposti per tale pronuncia, in quanto il sistema era funzionante, i guasti giustificavano al più una riduzione del prezzo e il risarcimento del danno e gli unici due profili di inadempimento accertati incidevano su aspetti minori, che non comportavano la mancanza di qualità promesse -in quanto il sistema corrispondeva alle specifiche del contratto- e non escludevano l’utilità residua della fornitura. E’ evidente che i motivi di ricorso, così come proposti, non incidono su tale accertamento in fatto, che avrebbe potuto essere soltanto oggetto di motivo ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., al fine di sostenere e dimostrare che la funzione mancante nel sistema fosse una qualità promessa in forza degli accordi intercorsi tra le parti.
Infatti, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, la sentenza ha preso espressamente e specificamente in esame anche il profilo che, secondo la tesi della ricorrente, era stato omesso, riferito alla funzione di aggiornamento della disponibilità di magazzino dei prodotti, qualificandolo come aspetto minore ma non trascurabile ai fini del buon funzionamento del sistema; la ricorrente non offre, in termini ammissibili nel giudizio di legittimità, elementi in fatto utili a ritenere che si trattasse di qualità promessa mancante, né offre elementi utili a ritenere che vi fossero altre qualità promesse mancanti non considerate dalla sentenza impugnata, per cui neppure sotto questo profilo individua nella sentenza impugnata un qualche vizio rilevante in questa sede. Infatti, ove venga esperita l’azione di risoluzione ex art. 1497 cod. civ. per mancanza delle qualità promesse della cosa venduta, vale la regola dell’onere della prova a carico del compratore (Cass. Sez. 2 29-5-2023 n. 14895 Rv. 667961-01); ciò comporta che il compratore debba dimostrare non solo l’esistenza del difetto di qualità nella cosa, ma anche che tale difetto inerisse a qualità promessa in base agli accordi intercorsi tra le parti.
5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto -ex art. 360 n. 3 c.p.c.- in relazione agli artt. 1490 e/o 1497 c.c. laddove la Corte d’Appello ha ritenuto non ‘gravi’ i vizi che afflig gono il macchinario oggetto di compravendita senza neppure analizzare se i requisiti funzionali mancanti fossero dedotti in contratto e quale rilevanza essi avessero nella complessiva economia contrattuale’; ulteriormente lamenta che la sentenza impugnata abbia completamente omesso di considerare l’ipotesi di cui all’art. 1497 cod. civ. , quanto alla rilevanza dell’assenza nel macchinario delle qualità promesse; ulteriormente evidenzia che la ‘funzione di aggiornamento della disponibilità dei prodotti in magazzino’ era contrattualmente dedotta e ciò comportava che fosse
irrilevante ogni valutazione sulla gravità dei difetti e sussistesse il diritto del compratore a ottenere la risoluzione del contratto, per cui deduce l’omessa pronuncia sul punto. Aggiunge che avere voluto svilire a mero vizio redibitorio la ‘funzione di aggiornamento della disponibilità dei prodotti in magazzino’, che costituiva un elemento imprescindibile del sistema compravenduto, ha comportato non avere compreso il senso dell’operazione economica e concretizza anche violazione dell’art. 1490 cod. civ. ; ciò perché l’accertata mancanza di manuale d’uso idoneo e l’impossibi lità di svolgere la funzione di aggiornamento avrebbero dovuto essere valutati come vizi che rendevano il macchinario inidoneo all’uso o ne diminuivano in modo apprezzabile il valore.
5.1.Il motivo è inammissibile, perché il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione da parte della sentenza impugnata della fattispecie astratta recata da una disposizione di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’alle gazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile in sede di legittimità so lo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. Sez. 1 13 -10-2017 n. 24155 Rv. 645538-01, Cass. Sez. L 11-1-2016 n. 195 Rv. 63842501).
Nella fattispecie, la circostanza che la Corte d’appello -dichiarando che il sistema corrispondeva alle specifiche del contratto ed era funzionante, mentre la funzione di aggiornamento della disponibilità di magazzino dei prodotti era un aspetto minore- abbia svolto un apprezzamento in fatto delle inadempienze della venditrice non rispondente alle tesi e alle aspettative della società ricorrente non è
utile a fare emergere un qualche vizio di violazione o falsa applicazione di legge.
6.Con il quarto motivo la ricorrente deduce ‘ in subordine. Violazione degli artt. 1490 e 1492 c.c., in relazione al disposto dell’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché contestuale violazione dell’art. 112 c.p.c. in correlazione col disposto dell’art. 360 n. 4 c.p.c.’; evidenzia che la società acquirente aveva chiesto, fin dall’atto di citazione richiamato nell’atto di riassunzione, la risoluzione del contratto di compravendita e, richiamando Cass. 17138/2015 in ordine all’obbligo di scegliere tra l’azione di risoluzione e l’azione di riduzione del prezzo, sostiene che la sentenza impugnata abbia violato il principio che non consente il passaggio automatico dalla risoluzione richiesta alla riduzione del prezzo, in violazione anche dell’art. 112 cod. proc. civ.
6.1.Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Come già esposto, la sentenza ha espressamente e compiutamente escluso che i vizi della cosa venduta giustificassero la risoluzione del contratto di compravendita. A fronte di questa pronuncia, non attinta in modo ammissibile né da questo né dagli altri motivi di ricorso, è evidente che la ricorrente non ha interesse a censurare la sentenza impugnata per averle riconosciuto una tutela con riferimento alla riduzione del prezzo a quello effettivamente pagato e al risarcimento del danno- che, secondo la sua tesi, non sarebbe neppure stata spettante.
7 .Con il quinto motivo la ricorrente deduce ‘ in subordine. Omessa pronuncia su un profilo essenziale di diritto in violazione dell’art. 1494 c.c., rilevante in questa sede ex art. 360 n. 4 c.p.c. e contestualmente ex art. 112 e 360 n. 4 c.p.c. ‘; lamenta che, nonostante la sua espressa domanda, ribadita anche in sede di riassunzione, e il chiaro disposto dell’art. 1494 cod. civ., la sentenza non si sia pronunciata sulla
domanda di risarcimento dei danni lamentati e richiesti dalla società compratrice, incorrendo nel vizio di omessa pronuncia.
7.1.Il motivo è evidentemente infondato, in quanto la sentenza (par. 20), affermata la responsabilità contrattuale del venditore, ha espressamente riconosciuto alla compratrice il diritto al risarcimento del danno, che ha quantificato equitativamente nell’i mporto pari al 25% del prezzo effettivamente pagato. Quindi, si deve escludere l’omissione di pronuncia lamentata, senza affrontare alcuna altra questione, che il motivo non pone.
8 .Con il sesto motivo la ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione degli art. 1362, 1363 e 1366 c.c. e contestuale omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., rilevante in questa sede ex art. 360 n. 4 c.p.c., laddove la Corte d’appello non ha proceduto, o ha erroneamente proceduto, alla disamina dell’accordo contrattuale di compravendita del macchinario onde attribuire la corretta rilevanza al difetto funzionale accertato dal c.t.u.’; dichiara di contestare la violazione dei canoni ermeneutici del contratto, laddove la sentenza impugnata ha inteso sminuire il rilievo della ‘funzione di aggiornamento della disponibilità dei prodotti in magazzino ‘; sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto procedere a una puntuale disamina del testo contrattuale e appurare se tale funzione risultasse o meno contrattualmente dedotta, sebbene sul punto si fosse formato un giudicato interno a fronte della mancata contestazione delle controparti e in difetto di apposita impugnazione su tale specifica circostanza.
8.1.Il motivo è inammissibile sotto distinti profili.
In primo luogo, si impone di rilevare la violazione dell’art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ. in quanto la ricorrente, seppure sostiene che secondo il contenuto del contratto la funzione di aggiornamento fosse una qualità promessa, non richiama in alcun modo il contenuto del testo contrattuale sul quale fonda la propria affermazione; ugualmente,
la ricorrente non richiama in alcun modo il contenuto degli atti delle controparti necessari a sostenere la sua tesi secondo la quale le stesse non avevano contestato che la funzione costituisse qualità promessa.
Inoltre la ricorrente, limitandosi in sostanza a sostenere che il giudicante avrebbe dovuto interpretare il testo contrattuale nel senso da essa sostenuto non considera che, al fine di denunciare la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale, la parte non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., ma ha l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, e in particolare il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia dagli stessi discostato o li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche; infatti, le censure non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata , poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. Sez. 1 94-2021 n. 9461 Rv. 661265-01, Cass. Sez. 1 27-6-2018 n. 16987 Rv. 649677-01, Cass. Sez. 3 28-11-2017 n. 28319 Rv. 646649-01).
9. Prima di procedere all’esame del settimo e ultimo motivo di ricorso principale, relativo alla statuizione sulle spese di lite, devono essere logicamente esaminati i due motivi di ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo di ricorso incidentale è intitolato ‘ ex art. 360 comma 1 c.p.c. n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti -violazione dell’art. 12 preleggi e art. 111 della Costituzione’ e con esso la ricorrente incidentale lamenta che la sentenza non si sia pronunciata sulla domanda di manleva proposta da RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE Richiamando il contenuto dei propri documenti 1,6,7,8,9,11, la ricorrente incidentale rileva come l’apparato elettronico era stato
fornito da RAGIONE_SOCIALE e sostiene che il manuale d’uso dell’impianto elettronico e la funzione di aggiornamento della disponibilità di magazzino rientravano nella fornitura di RAGIONE_SOCIALE e quindi le inadempienze dovevano essere imputate alla stessa, chiamata in causa da COGNOME. Aggiunge che si trattava di vendita a catena e che perciò la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare la domanda di manleva proposta da RAGIONE_SOCIALE prima e da RAGIONE_SOCIALE poi nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Il secondo motivo di ricorso incidentale è intitolato ‘ per violazione dell’art. 360, primo comma n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di manleva richiesta da COGNOME NOME avverso RAGIONE_SOCIALE, error in procedendo’; la ricorrente incidentale evidenzia che COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME già in primo grado aveva formulato la domanda di manleva a carico di RAGIONE_SOCIALE, che aveva fornito i carrelli già corredati dell’impianto elettronico.
9.1.I due motivi di ricorso incidentale, esaminati unitariamente stante la stretta connessione, sono ammissibili. Diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente RAGIONE_SOCIALE, la sentenza della Suprema Corte che ha disposto il rinvio ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, in quanto volto a ottenere la «superflua affermazione della riproponibilità, nell’eventuale sede di rinvio, della domanda di garanzia»; quindi, la Suprema Corte ha dichiarato che non era necessaria la proposizione di ricorso incidentale, in quanto la domanda di garanzia sarebbe stata riproponibile nel giudizio di rinvio, come ha legittimamente fatto RAGIONE_SOCIALE in quanto succeduta a RAGIONE_SOCIALE estinta.
Invece, i motivi sono infondati.
In primo luogo, non è configurabile l’ omissione di pronuncia sulla domanda di manleva lamentata con il secondo motivo, in quanto non
ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, nonostante la mancata esplicita decisione su un punto specifico, comporti una statuizione di rigetto implicito (Cass. Sez. 2 13-8-2018 n. 20718 Rv. 650016-01, Cass. Sez. 1 8-3-2007 n. 5351 Rv. 59528801, Cass. Sez. L 21-7-2006 n. 16788 Rv. 592097-01).
La sentenza impugnata, con riguardo alle uniche carenze della fornitura che ha accertato -genericità del manuale e mancanza della funzione di aggiornamento- ha dichiarato (pag. 19) che si trattava di difetti imputabili in via esclusiva all’immediato vendit ore, in quanto tenuto a rilasciare il manuale d’uso e a garantire la funzionalità all’ordine. La sentenza ha aggiunto che perciò nessuna responsabilità diretta nei confronti della committenza poteva essere configurata a carico dei subfornitori Samag e COGNOME in tal senso ha pronunciato sulla base del dato che già la sentenza di primo grado aveva ritenuto l’estensione della domanda nei confronti dei terzi chiamati e aveva condannato in solido convenuta e terzi chiamati. La circostanza che la sentenza non abbia provveduto anche a rigettare espressamente la domanda di garanzia proposta dalla venditrice nei confronti della sua fornitrice non comporta che la sentenza abbia omesso di pronunciare sulla domanda di garanzia, perché l’affermazione dell’esclusione di qualsiasi responsabilità dei subfornitori comportava anche l’esclusione dell’esistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di garanzia.
Invece, le deduzioni svolte dalla ricorrente nel primo motivo al fine di sostenere che sussistesse la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE risultano inammissibili in primo luogo perché, anziché individuare i fatti dei quali sia stato omesso l’esame, propongono una complessiva diversa rilettura delle risultanze istruttorie, in termini inammissibili nel giudizio di legittimità. La sentenza impugnata ha accertato in fatto che spettava al venditore RAGIONE_SOCIALE il rilascio del manuale d’uso e la garanzia
sulle funzionalità del sistema; al fine di criticare la pronuncia, la ricorrente incidentale si limita a richiamare una serie di documenti indicanti che la predisposizione del software era a carico di COGNOME, ma non indicanti alcunché né in ordine al manuale né in ordine agli accordi intercorsi tra RAGIONE_SOCIALE e la sua venditrice con riguardo alla ‘funzione di aggiornamento’ risultata mancante. Del resto, le deduzioni sono comunque irrilevanti, in quanto finalizzate a individuare la responsabilità di COGNOME senza dedurre in quali termini in fatto tale responsabilità comportasse la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE e cioè della società nei cui confronti RAGIONE_SOCIALE aveva proposto l’azione di garanzia.
10.Si deve quindi procedere a esaminare il settimo motivo di ricorso principale, con il quale la ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione al caso di specie dell’art. 91 e 92 c.p.c., rilevanti in questa sede ex art. 360 n. 3 c.p.c., in punto di condanna del soccombente alle spese processuali e loro compensazione tra attore e convenuto originario e contestuale violazione di principio di diritto ex art. 384 c.p.c. in correlazione con l’art. 360 n. 3 c.p.c. ‘ . In primo luogo la ricorrente lamenta che la società acquirente sia stata condannata alla rifusione delle spese processuali a favore delle due società chiamate in causa, nonostante non fosse stata questa società a chiamarle in causa e nonostante la domanda attorea sia stata, sia pure limitatamente, accolta; aggiunge che la sentenza non ha neppure chiarito a quale soggetto debbano ascriversi i vizi accertati e quindi ha lasciato impregiudicata la questione delle varie chiamate in causa. In secondo luogo, la ricorrente sostiene che non sia dato capire il motivo per il quale le spese di lite siano state integralmente compensate tra l’acquirente e la venditrice, considerando che l’acquirente è pur sempre risultata sostanzialmente vincitrice nel processo di rinvio e che la soccombenza deve essere valutata globalmente con riferimento
all’esito del giudizio. In terzo luogo, dichiara che la sentenza impugnata, in spregio della sentenza che ha disposto il rinvio, non si è pronunciata sulle spese del giudizio di cassazione.
10.1.Il motivo è infondato nella parte in cui prospetta una omessa pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione: le spese del giudizio di cassazione sono state compensate tra società acquirente e società succeduta alla società venditrice, essendo tali spese comprese nelle spese di ogni fase processuale per le quali la sentenza ha pronunciato la compensazione, come esplicitato anche al punto 21 della motivazione. Le spese di cassazione sono state integralmente compensate anche nei confronti delle società terze chiamate, in forza di espressa pronuncia in tal senso.
10.2.Il motivo è infondato laddove censura la pronuncia di integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio tra l’acquirente e la società succeduta alla venditrice. La sentenza ha giustificato la compensazione in considerazione della parziale reciproca soccombenza, che effettivamente sussiste in quanto è stata rigettata la domanda di risoluzione del contratto ed è stata accolta la domanda di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno; infatti, è acquisito che il giudice può ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ. compensare in tutto in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa anche in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi (Cass. Sez. U 31-10-2022 n. 32061 Rv. 666063-01, Cass. Sez. 2 17-5-2024 n. 13827 Rv. 671356-01).
Per il resto, le doglianze in ordine alla compensazione delle spese sono inammissibili in quanto, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; esula da tale sindacato, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione
dell’opportunità di compensare le spese in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri motivi che giustifichino la compensazione (Cass. Sez. 6-3 17-10-2017 n. 24502 Rv. 646335-01, Cass. Sez. 5 31-3-2017 n. 8421 Rv. 64347702, Cass. Sez. 5 19-6-2013 n. 15317 Rv. 627183-01).
10.3.Invece, il motivo è fondato laddove censura la statuizione in forza della quale la società acquirente è stata condannata alla rifusione delle spese di lite delle società terze chiamate.
La sentenza impugnata (pag. 10 par. 19) ha espressamente statuito che unica responsabile era la venditrice; quindi, non ha alcun fondamento neppure la tesi della controricorrente RAGIONE_SOCIALE secondo la quale la causa non avrebbe dovuto essere riassunta nei confronti delle terze chiamate, perché anche le terze chiamate erano parti necessarie del giudizio di rinvio e la sentenza pronunciata in sede di rinvio ha proceduto all’accertamento della responsabilità nei confronti di tutte le parti in causa. Però la sentenza, ponendo le spese delle terze chiamate a carico della società acquirente, vittoriosa seppure parzialmente, non solo ha violato il principio secondo il quale le spese di lite non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, ma non ha considerato che la regola secondo la quale l’attore deve rifondere le spese del terzo chiamato, salvo che la chiamata non sia stata effettuata arbitrariamente, presuppone una piena soccombenza dell’attore (Cass. Sez. 1 18-4-2023 n. 10364 Rv. 667650-01, Cass. Sez. 3 6-12-2019 n. 31889 Rv. 655979-02). Specificamente, in tema di spese processuali sostenute dal chiamato in causa, deve essere data continuità al principio secondo il quale tali spese salva l’ipotesi della compensazione integrale- devono essere addossate alla parte che ha azionato una pretesa rivelatasi infondata o a quella che ha resistito a una pretesa rivelatasi fondata; ne consegue che l’attore, il quale abbia visto accolta la propria domanda nei confronti di almeno uno dei convenuti, non può
essere condannato alla rifusione delle spese di lite sostenute dal terzo chiamato in causa, qualora venga rigettata la domanda di manleva formulata dal convenuto nei confronti del chiamato (Cass. Sez. 3 1511-2023 n. 31868 Rv. 669481-01, Cass. Sez. 3 9-4-2001 n. 5262 Rv. 545779-01).
Quindi, la Corte d’appello avrebbe dovuto porre le spese di lite delle terze chiamate a carico della società succeduta alla venditrice, in applicazione del principio di soccombenza e di causalità; infatti, la parte soccombente era la venditrice, la quale aveva eseguito la prima chiamata in causa, che aveva determinato anche la seconda chiamata in causa, della quale non è emerso alcun elemento di arbitrarietà.
11.In conclusione, è parzialmente accolto nei termini esposti solo il settimo motivo di ricorso principale, cassando la relativa pronuncia; poiché non sono necessari altri accertamenti in fatto, si decide nel merito ex art. 384 co. 2 cod. proc. civ., condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese processuali a favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nell’importo già liquidato dalla sentenza impugnata, ferma la compensazione delle spese del giudizio di cassazione conclusosi con la sentenza n. 13286/2015.
Sono rigettati i motivi di ricorso principale dal primo al sesto ed è integralmente rigettato il ricorso incidentale.
12.In ragione della parziale reciproca soccombenza, sono interamente compensate le spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente principale e la ricorrente in via incidentale.
La ricorrente principale e la ricorrente incidentale devono essere condannate alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, in dispositivo liquidate, per la quota della metà ciascuna ex art. 97 co. 1 cod. proc. civ.
In considerazione dell’esito del ricorso incidentale , ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie parzialmente il settimo motivo di ricorso principale, rigetta per il resto il ricorso principale e rigetta integralmente il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento a favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE delle spese processuali di cui al capo C) della sentenza, nell’importo ivi liqui dato a favore di ciascuna di queste di Euro 9.000,00 oltre accessori;
compensa le spese del giudizio di legittimità tra la società ricorrente principale e la società ricorrente incidentale;
condanna la società ricorrente principale e la società ricorrente incidentale, per la quota della metà ciascuna, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE che liquida complessivamente in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione