Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 35069 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 35069 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19066/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in SAVONA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, NOMERAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 58/2022 depositata il 18/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 18 luglio 2022, illustrato da memoria, la RAGIONE_SOCIALE impugna per cassazione la sentenza n. 58/2022 della Corte d’appello di Genova pubblicata il 18 gennaio 2022, pronunciata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME Trustee del trust NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME, quale erede di COGNOME NOME, e del fallimento RAGIONE_SOCIALE L’intimata RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso, illustrato da memoria, chiedendo la condanna ex art. 96, co. 3, c.p.c. e la cancellazione delle iscrizioni pregiudizievoli collegate alla domanda.
Per quanto ancora di interesse, la Corte d’appello ha confermato la sentenza di rigetto delle domande di accertamento delle nullità negoziali/annullamento per dolo e revocatoria ordinaria dedotte dalla società RAGIONE_SOCIALE in relazione al contratto preliminare dell’8/3/2011 e al successivo atto definitivo del 13/04/2011 con cui RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato da RAGIONE_SOCIALE il compendio immobiliare sito in Varazze, denominato Portigliolo.
La controversia è stata avviata dalla società RAGIONE_SOCIALE per fatti riferibili al suo ex amministratore, Sig. COGNOME che aveva venduto al prezzo vile di € 400.000,00 (mai incassato) il compendio immobiliare societario detto ‘Portigliolo’ alla RAGIONE_SOCIALE che, subito dopo, l’aveva rivenduto a RAGIONE_SOCIALE al prezzo di euro 1.450.000,00, mai saldato dopo un iniziale acconto. La ricorrente aveva agito in primo grado e poi in appello per chiedere la nullità e/o l’inefficacia e/o l’invalidità e/o l’annullamento e/o la revoca degli atti di vendita stipulati da La Piana, ritenendo sussistere un disegno fraudolento intercorso tra il sig. COGNOME, il sig. NOME COGNOMEsocio minoritario della Mugiarina e socio maggioritario al 99% della Chimera) e il sig. COGNOME legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE per sottrarre il patrimonio alla RAGIONE_SOCIALE
In primo grado il Tribunale di Savona respingeva le domande di RAGIONE_SOCIALE che, pertanto, proponeva appello. La Corte di Appello di Genova, esaminando congiuntamente i primi tre motivi di impugnazione, li rigettava sulla base delle seguenti argomentazioni: a) non sussiste nullità degli atti pubblici di trasferimento della proprietà immobiliare perché il motivo illecito comune non è configurabile nell’ipotesi in questione, in quanto il contratto non è teso a realizzare una finalità vietata dall’ordinamento né il consenso prestato dall’ex amministratore risulta viziato per dolo; b) non sussiste dolo o malafede in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, stante la mancanza di riscontri circa la partecipazione della società RAGIONE_SOCIALE al progetto di spoliazione dei beni in danno dell’Immobiliare RAGIONE_SOCIALE, essendo terza rispetto al primo passaggio da questa a Chimera; la congruità del prezzo, in parte versato per € 500.000,00, e la disponibilità di RAGIONE_SOCIALE a versare il residuo importo; la mancata richiesta di provvedimenti cautelari nei
confronti di RAGIONE_SOCIALE, inoltrata invece nei confronti di COGNOME e COGNOME
Motivi della decisione
Il ricorso è affidato a seguenti tre motivi:
EX ART. 360, COMMA 1 NR.4 C.P.C. PER VIOLAZIONE DELL’ART.132 COMMA 2 n.4) C.P.C. E DELL’ART.118 DISP. ATT. C.P.C.
La società ricorrente assume che, in assenza di un’effettiva motivazione, la Corte di Appello di Genova avrebbe escluso la sussistenza della malafede in capo alla società RAGIONE_SOCIALE e censura la sentenza là dove ha ritenuto che i motivi di nullità non integrano alcuna delle tassative ipotesi previste dall’art. 1418 c.c.; anche per il mancato annullamento del negozio di trasferimento per dolo, deduce l’erroneità della statuizione pur in presenza della produzione degli atti di indagine della Guardia di Finanza che attesterebbero l’ appropriazione indebita di COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME in danno della RAGIONE_SOCIALE
EX ART. 360, COMMA 1, NR. 3 C.P.C., PER VIOLAZIONE DELL’ART.132 COMMA 2 n.4) C.P.C. E DELL’ART.118 DISP. ATT. C.P.C. PER OMESSA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA.
Sotto diverso profilo la società ricorrente deduce i medesimi vizi eccepiti sub il motivo n. 1, assumendo che potrebbero essere qualificati sub art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., nonché il vizio di omessa motivazione della sentenza,
EX ART. 360, COMMA 1 NR. 5 C.P.C. PER OMESSO ESAME DI FATTI DECISIVI DISCUSSI FRA LE PARTI.
La società ricorrente deduce che ‘ non è ostativo ai fini dell’ammissibilità del ricorso quanto statuito dall’art. 348 ter cpc, in
quanto l’eccepito omesso esame di fatti decisivi non configura per l’appunto le stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a fondamento della sentenza di primo grado, nella decisione qui impugnata, perché nel caso in questione si è al di fuori dell’ambito della valutazione dei fatti e degli elementi istruttori (Cfr. Cass. 28174/2018), non esaminati neanche in primo grado e per cui è stato proposto appello; inoltre, l’omesso esame dei verbali della GdF, prodotti in corso d’appello, costituiscono sicuramente un elemento fattuale determinante e ulteriore rispetto alle statuizioni di primo grado; comunque la sentenza di appello in alcun modo riporta di confermare le valutazioni pure non effettuate dal giudice di primo grado ‘.
Le suddette censure, concernendo diversi profili di nullità della sentenza relativamente alla medesima statuizione di infondatezza della domanda di declaratoria di nullità negoziale o di annullamento dei contratti per dolo, vanno trattati unitariamente.
I motivi sono inammissibili.
La Corte di merito ha respinto i motivi di doglianza attinenti alle nullità/vizi del consenso prestato relativamente al trasferimento di immobili appartenenti alla società RAGIONE_SOCIALE, sull’assunto che le responsabilità dell’ ex amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, per quanto accertate nel giudizio innanzi al Tribunale delle Imprese di Genova, non determinano la nullità dei negozi stipulati nell’esercizio del suo mandato, in quanto l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri non potrebbe ritenersi illecito, non rinvenendosi nell’ordinamento una norma che sancisca in via generale la nullità del contratto ‘in frode dei terzi’ , per il quale, invece, sussistono rimedi specifici. Ha rilevato inoltre, che RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato da RAGIONE_SOCIALE l’ immobile a un prezzo congruo, come anche ritenuto dalla società attrice che ha rinunciato all’istanza di CTU finalizzata all’accertamento del
valore dei beni immobili oggetto di compravendita, così riconoscendo la corrispondenza del prezzo di vendita indicato nel rogito notarile al prezzo di mercato.
Il primo motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c. in quanto non è in grado di attingere la ratio decidendi desumibile dalla sentenza di merito, la quale si dimostra tutt’ altro che supportata da una motivazione apparente o intrinsecamente contradittoria (nel senso indicato da Cass.SU 8053/2014). La censura, invero, riporta l’ istruttoria per testi e il contenuto dei verbali della GdF in tesi non considerati dal giudice dell’appello, nell’intento di mettere in rilievo che, in realtà, la vendita era intervenuta tra COGNOME quale amministratore infedele della società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, mentre la società NOMERAGIONE_SOCIALECOGNOME sarebbe stata solo fittiziamente interposta in tale vendita al solo fine di perpetrare la spoliazione in danno della società RAGIONE_SOCIALE e di ottenere un ulteriore profitto fiscale, essendo avvenuta a Vercelli, proprio dove è stato stipulato e trascritto il contratto preliminare tra COGNOME e NOME/COGNOME.
La censura, lungi dal rappresentare un vizio di apparenza della motivazione o di omessa pronuncia sulla dedotta illiceità dei negozi, nel suo argomentare dimostra come essa non abbia colto il fulcro del ragionamento giuridico utilizzato dai giudici di merito nel respingere la domanda di accertamento di nullità/annullamento dei negozi di compravendita del cespite immobiliare de quo , sul condivisibile assunto che i vizi dedotti non possano inficiare la causa dei negozi di compravendita validamente stipulati dalle società RAGIONE_SOCIALE per mezzo dei loro amministratori, per quanto negoziati da amministratori, di fatto o in carica, in tesi infedeli e in danno del patrimonio della società prima venditrice, a tutela del quale la società dispone di idonei rimedi giudiziali, di tipo personale, nei confronti dei soggetti agenti, del tutto distinti dall’azione demolitoria del negozio giuridico che
impone di considerare esclusivamente il vizio incidente sulla causa del contratto, nella fattispecie non ravvisato dalla Corte di merito.
Il caso in esame, per come ampiamente considerato nella sentenza impugnata, rientra piuttosto nella tipica ipotesi di mala gestio societaria compiuta per mano di amministratori (in tesi) infedeli e in conflitto d’interessi, ove per mezzo della stipula di validi negozi di trasferimento di assets societari sono stati presumibilmente commessi dagli amministratori e da terzi atti di spoliazione del patrimonio della società. L’ipotesi de qua , pertanto, differisce da quella collegata, ad esempio, a un negozio di vendita stipulato a titolo di corrispettivo di un prestito usurario, dove è la società acquirente del cespite a porsi quale parte sostanziale di un negozio di vendita avente evidente causa illecita (cfr. Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 886 del 17/01/2020). In altri termini, nella fattispecie considerata dal giudice dell’appello, non è prospettabile una illiceità insita nella causa del contratto di compravendita, né un dolo incidente sulla volontà dell’ ex amministratore, poiché il negozio era stato validamente stipulato dal legale rappresentante che, all’epoca, rappresentava legittimamente la società e aveva, di contro, certamente voluto stipulare il negozio de quo , partecipando anche alle successive fasi, anche se risultate in danno del patrimonio sociale e dei creditori della RAGIONE_SOCIALE
Quanto sopra mette altresì in luce la inammissibilità del secondo motivo attinente alla assunta violazione delle norme in tema di nullità ex art. 1418 c.c. o annullamento per dolo del negozio ex art. 1439 c.c., argomentato in termini che ne dimostrano prima facie l’inammissibilità, giusta il disposto di cui all’art. 366, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ. sopra richiamato. Come riguardo alla dedotta nullità negoziale, così anche nel vizio del consenso dedotto manca la specifica indicazione delle argomentazioni contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse, al
fine di consentire a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., Sez un., 05/05/2006, n. 10313). In particolare, va osservato che in sede di giudizio di legittimità non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina la sussistenza del vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.
Quanto al terzo motivo, inerente alla mancata valutazione dei documenti attinenti ai riscontrati illeciti tributari prodotti nel giudizio di appello, manca, al riguardo, ogni riferimento alla eventuale istanza di ammissione o al diniego di ammissione di detta nuova documentazione in fase di appello, nonché una qualsivoglia argomentazione tratta dalla disposizione contenuta nell’art. 345 c.p.c., che prevede una preclusione processuale all’ingresso di nuove prove in appello, a meno che non riguardino fatti sopravvenuti o che la parte non ha potuto produrre nella fase anteriore, ciò in violazione del principio di autosufficienza (cfr. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019) .
Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in merito alle spese processuali, liquidate come in dispositivo sulla base delle tariffe vigenti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 02/12/2024.