Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15609 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15609 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8694/2021 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE , in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura su foglio separato allegato al ricorso;
pec:
EMAIL; EMAIL;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, domiciliati in Roma, INDIRIZZO, in virtù di procura in su foglio separato allegato al controricorso; pec EMAIL;
contro
ricorrenti – per la cassazione della sentenza n. 177/2021 della CORTE d’APPELLO di L’Aquila pubblicata il 4.2.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24.4.2004 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 805/2019 pubblicata il 19.9.2019 il Tribunale di Teramo, in accoglimento per quanto di ragione della domanda svolta da RAGIONE_SOCIALE, quale conduttrice di un immobile sito in Martinsicuro e destinato alla vendita ed assistenza di autovetture, condannava i locatori COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME al risarcimento del danno in favore della prima, liquidato in euro 35.300, oltre interessi legali, a titolo di ‘lucro cessante’ corrispondente alle spese sostenute per lo spostamento delle autovetture, nonché a titolo di mancato guadagno per lo sgombero illegittimo dei locali, ma respingeva la domanda tesa al riconoscimento in favore della compagine societaria dell’indennità di avviamento ex art. 34 l. 392/1978.
Con sentenza n. 177/2021 pubblicata il 4.2.2021 la Corte d’Appello di L’Aquila, in accoglimento dell’appello principale proposto dai locatori e con il rigetto dell’appello incidentale svolto dalla conduttrice, in parziale riforma della sentenza impugnata, respingeva tutte le domande proposte in primo grado da RAGIONE_SOCIALE e compensava le spese di entrambi i gradi del giudizio sulla base dei seguenti rilievi:
I -premesso che la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE seguiva altro procedimento promosso dai locatori e definito dal Tribunale di Teramo -sezione dist. di Giulianova con sentenza del 7.6.2002, con cui era stato ordinato alla conduttrice il rilascio dei locali, in cui esercitava l’attività di commercio di auto, ma tale pronuncia era stata riformata dalla Corte d’Appello di L’Aquila con sentenza n. 559/04 del 24.8.2004 sul rilievo della validità della cessione del contratto di locazione (sentenza passata in giudicato a seguito di Cass. 5077/2010), la responsabilità per i danni reclamati
dalla conduttrice (costo per il trasporto di 106 autovetture presso un centro di demolizione per il mancato reperimento di locali ed il danno correlato alla demolizione di 87 autovetture del valore capitale di euro 75.024,98, oltre il mancato guadagno pari al 10%) a seguito del rilascio forzoso fatto eseguire dai locatori era loro riferibile in via esclusiva; di qui il rigetto del primo motivo dell’appello principale;
II il secondo motivo d’appello, con riferimento all’assenza di prova in ordine al danno emergente correlato allo spostamento delle autovetture, riconosciuto in primo grado nella misura complessiva di euro 5.300,00 (euro 50 per autovettura), era accolto sul rilievo che dalle prove orali emergeva che l’importo base era stato solamente pattuito, ma ancora non pagato, e che in ogni caso, vertendosi in materia di rapporti fra società commerciali, RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto produrre le relative fatture;
III- quanto al lucro cessante, pure oggetto delle doglianze di cui al secondo motivo di gravame, riconosciuto in primo grado nella misura di euro 30.000 assumendo che lo spostamento forzoso avrebbe compromesso la commerciabilità del 30% delle autovetture e che il guadagno medio era da indicare in euro 1.000 per autovettura, erroneamente era stata fatta applicazione del potere di valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. in assenza di prova da parte del creditore della stessa esistenza del danno;
IV- quanto alla domanda per la condanna dei locatori al pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, rigettata in prime cure ‘in quanto non ipotizzabili sono le successive vicende che avrebbe avuto il contratto se fosse continuato’, l’appello incidentale era rigettato in assenza di elementi per discostarsi dalla valutazione fatta in primo grado, aggiungendo ‘ a seguito della illegittima estromissione, non risulta che la società conduttrice abbia avviato alcuna iniziativa volta ad ottenere la prosecuzione del
rapporto di locazione. Imputet sibi, quindi, la società conduttrice, la lamentata definitiva cessazione del rapporto ripassato fra le parti’.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila ricorre RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sulla base di tre motivi. Rispondono con controricorso COGNOME NOME, NOME
NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380-bis.1. cod. proc. civ..
Il pubblico ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo viene denunciata ‘ Violazione di legge: art. 360 n. 4 c.p.c. -Error in procedendo con riferimento agli artt. 342 e 324 c.p.c. -violazione del principio del tantum appellatum quantum devolutum -inesistenza di specifica impugnazione in ordine all’inesistenza del danno da lucro cessante ed alla sua valutazione equitativa – conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, con riguardo all’esistenza del danno da lucro cessante: nullità della decisione ‘.
La ricorrente assume che erroneamente il giudice di secondo grado ha ritenuto essere intervenuta l’impugnazione in appello della pronuncia di primo grado anche in relazione al profilo del lucro cessante, liquidato in via equitativa, mentre gli appellanti si erano lamentati esclusivamente dell’eccessiva valutazione delle autovetture, ma non pure della valutazione equitativa, sì che le doglianze svolte investivano solo la misurazione del danno e non anche la sua esistenza; in base al principio devolutivo il giudice di secondo grado non sarebbe potuto intervenire in punto lucro cessante, né sulla valutazione equitativa fatta in primo grado.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Diversamente da quanto denunciato dalla ricorrente, la Corte d’Appello, dopo aver rigettato il primo motivo dell’appello principale
proposto dai locatori a proposito del mancato riconoscimento dell’apporto colposo, asseritamente dato dalla conduttrice alla verificazione del danno, ha preso in esame il secondo motivo della medesima impugnazione con la quale gli appellanti ‘… adducono che il primo giudice -in violazione dell’art. 2967 c.c. non aveva valorizzato la mancata prova, da parte della conduttrice, dei fatti costitutivi della pretesa risarcitoria azionata dalla stessa, con riferimento sia al danno emergente che al lucro cessante ‘.
Di là dalla riferita discrasia tra il profilo censurato dagli appellanti ed il parametro scelto dal primo giudice per liquidare il danno da lucro cessante per la mancata vendita delle autovetture, non pare revocabile in dubbio che l’impugnazione svolta abbia riguardato i danni reclamati dalla conduttrice nella loro interezza, comprendendo non solo il quantum ma anche l’ an debeatur , sì che in nessun modo vi è stata violazione del principio devolutivo da parte della Corte d’Appello di L’Aquila.
2. Con il secondo motivo viene denunciata ‘ Violazione di legge -Art. 360 n. 4 error in procedendo -nullità della sentenza con riferimento all’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c. e art. 111 cost. per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia: ritenuta inesistenza del danno da lucro cessante, in difetto totale di motivazione sul punto ‘.
La ricorrente sempre con riferimento al profilo del lucro cessante lamenta che la Corte d’Appello non ha in alcun modo esplicitato le motivazioni a sostegno della riforma della sentenza di primo grado, essendosi limitata a riportare soltanto il passo della motivazione articolato dal tribunale e ad enunciare che la conduttrice non aveva dato la prova dell’esistenza del danno.
2.1. Il motivo per come formulato tende ad operare una crasi tra i nn. 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., assumendo che l’asserita omessa motivazione in relazione al profilo del lucro cessante, rileverebbe tanto come nullità della sentenza per la mancata enunciazione delle
ragioni della decisione rilevante ex art. 132, comma 1°, n. 4, c.p.c., quanto come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
2.2. Entrambi i denunciati profili sono infondati.
Infatti, ‘ La riformulazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al « minimo costituzionale » del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione»’ (cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; 25 settembre 2018, n. 22598; 3 marzo 2022, n. 7090).
Nel caso di specie, il riferimento all’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia appare del tutto improprio, posto che il lucro cessante di per sé non indica un fatto, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico (e in tal senso va inteso, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, v. Cass., ord., n. 2268 del 26 gennaio 2022, il fatto cui fa riferimento il n. 5 dell’art. 360 come novellato), ma la conseguenza, in termini di mancato guadagno e, quindi, di sbilancio patrimoniale, di uno o più fatti
ascrivibili al preteso danneggiante o al debitore inadempiente. Da questo punto vista, pertanto, non avendo la ricorrente indicato il decisivo fatto pretermesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.), nei sensi sopra precisati, il motivo si configura come inammissibile.
Sotto altro profilo, per quel che riguarda la pretesa violazione dell’art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c. mette conto rilevare che nella decisione di appello risulta enunciata la ragione della riforma della pronuncia di primo grado in punto lucro cessante. Infatti, sul rilievo che il giudice del primo grado aveva fatto ricorso al criterio equitativo ex art. 1226 c.c., la Corte d’Appello, richiamando la ratio decidendi di Cass. 22 febbraio 2017, n. 4354, nonché quanto riportato in Cass. 22 febbraio 2018, n. 4310, sia pure in obiter , ha rilevato come il ricorso al criterio equitativo serva a supplire l’impossibilità di esatta computazione del danno da parte del creditore, ma questo non esclude che il richiedente sia gravato dall’onere della prova del danno.
Da ciò consegue l’infondatezza, sotto tale profilo, del secondo motivo di impugnazione, fermo restando che in questa sede non è possibile una rinnovazione della valutazione del merito della questione.
3. Con il terzo motivo viene denunciata ‘Violazione di legge art. 360 n. 3 falsa ed erronea applicazione di norme di legge con riferimento all’art. 34 della legge 392/1978 -mancato riconoscimento del diritto del conduttore a vedersi corrispondere l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale a seguito di rilascio di immobile destinato ad uso rivendita di autovetture, avvenuto forzosamente sulla base di titolo esecutivo
successivamente dichiarato illegittimo – diritto all’indennità di cui all’art. 34 della legge 392/78 non subordinato a condizioni diverse da quelle ivi previste – irrilevanza di ipotetiche vicissitudini del rapporto locatizio e della mancata richiesta di ricostituzione dell’originario rapporto locatizio ‘.
La ricorrente lamenta l’erronea applicazione dell’art. 34, comma 1°, l. 392/1978, prevedente, in favore del conduttore, una indennità per il solo fatto della cessazione del rapporto di ricollegabile al fatto del locatore e, comunque, non riferibile ad inadempimento o decisione del conduttore.
La ricorrente rileva, altresì, che al momento del rilascio a seguito della sentenza 136/2002 del Tribunale di Teramo -sez. dist. Giulianova non avrebbe potuto avanzare alcuna pretesa, ma, solo una volta riformata tale pronuncia per effetto della sentenza 559/2004 della Corte d’Appello di L’Aquila, sarebbe stato possibile far constatare la perdita dell’avviamento.
Quanto sostenuto nella sentenza impugnata, sia in relazione alla conferma della valutazione fatta dal primo giudice, sia per l’inerzia serbata rispetto alla possibilità di ripresa del rapporto, contrasta con il dato normativo, tanto più che dopo il rilascio forzoso dei locali avvenuto il 4.9.2002 i locatori li cedettero a soggetto terzo, nonostante la pendenza del procedimento di appello avverso la sentenza del Tribunale di Teramo -sez. dist. di Giulianova, precludendo qualsiasi possibilità di ricostituzione del rapporto.
3.1. Il terzo motivo è inammissibile per violazione del principio di specificità, laddove in violazione dell’art 366, comma 1°, n. 6, c.p.c. la ricorrente non riporta debitamente nel ricorso i richiamati atti e documenti (in particolare, il verbale di rilascio del 4.9.2002, la sentenza di secondo grado del 24.8.2004, l’atto AVV_NOTAIO del 2.8.2004 di alienazione dei locali), limitandosi ad mero richiamo e senza riprodurli nel ricorso, ovvero laddove in tutto in parte prodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della
relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16 marzo 2012, n. 4220). Infatti, sulla parte ricorrente grava l’obbligo di precisazione anche dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 4 marzo 2021, n. 5999; sez. un., 23 settembre 2019, nn. 23552 e 23553; Cass., 18 giugno 2020, n. 11892; 6 novembre 2012, n. 19157; 23 marzo 2010, n. 6937; 12 giugno 2008, n. 15808; 25 maggio 20007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. 27 dicembre 2019, n. 34469; 19 aprile 2016, n. 7701), poiché il compito dei giudici della corte è quello di procedere a una ‘verifica degli atti stessi, non già alla loro ricerca’ (v. Cass. 20 luglio 2021, n. 20753; 24 giugno 2020, n. 12498; 20 marzo 2017, n. 7048).
Il rilevato vizio impedisce la valutazione della asserita violazione di legge in relazione al rigetto della domanda diretta alla condanna al pagamento dell’indennità per perdita dell’avviamento commerciale.
Il ricorso proposto, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 24 aprile 2024