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Lucro cessante immobile: la prova presuntiva basta

Una società proprietaria di un immobile ha citato in giudizio il condominio per i danni derivanti da infiltrazioni che hanno reso i locali inutilizzabili, chiedendo il risarcimento sia per i costi di ripristino sia per il lucro cessante dovuto alla mancata locazione. La Corte d’Appello aveva negato il risarcimento per il lucro cessante, ritenendo non fosse stata fornita una prova diretta. La Corte di Cassazione ha ribaltato questa decisione, affermando che la prova del mancato guadagno può essere fornita anche in via presuntiva, deducendola dalla totale inagibilità del bene, e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Lucro Cessante per Immobile Inagibile: Basta la Prova Presuntiva

Quando un immobile subisce un danno che lo rende inutilizzabile, il proprietario ha diritto non solo al rimborso delle spese di riparazione, ma anche al risarcimento per il mancato guadagno, noto come lucro cessante. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale su come dimostrare tale danno, stabilendo che la prova presuntiva può essere sufficiente, senza la necessità di esibire contratti di locazione sfumati. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una società, proprietaria di un locale commerciale situato all’interno di un condominio, si è trovata a fronteggiare gravi problemi di infiltrazioni d’acqua provenienti dal marciapiede. Tali infiltrazioni hanno compromesso la stabilità del solaio, rendendo di fatto l’immobile completamente inagibile. A seguito di un’ordinanza comunale, il condominio ha installato un ponteggio per la messa in sicurezza, che è rimasto in essere per un lungo periodo.
La società proprietaria ha quindi agito legalmente contro il condominio, chiedendo il risarcimento sia per il danno emergente (i costi per il ripristino dei locali) sia per il lucro cessante, rappresentato dai canoni di locazione che non aveva potuto percepire a causa dell’inagibilità dell’immobile.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Corte d’Appello

In primo grado, il Tribunale ha riconosciuto alla società un risarcimento per entrambe le voci di danno. Tuttavia, la Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione, ha negato completamente il risarcimento per il lucro cessante. La motivazione dei giudici d’appello si basava su un presunto difetto di prova: secondo la Corte, la società non aveva dimostrato concretamente il danno, ad esempio producendo il precedente contratto di locazione per attestarne l’importo o provando di aver cercato attivamente nuovi inquilini.

Il Ricorso in Cassazione e la Questione del Lucro Cessante

La società ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, concentrando il proprio ricorso sulla questione del lucro cessante. La tesi difensiva era chiara: la Corte d’Appello aveva errato nel richiedere una prova diretta e specifica del mancato guadagno. Secondo la ricorrente, la totale e prolungata inagibilità del bene era un fatto noto e provato dal quale si sarebbe dovuto presumere, logicamente, l’impossibilità di ricavarne un reddito.
In sostanza, si contestava l’approccio eccessivamente restrittivo dei giudici di merito, che avevano escluso la possibilità di ricorrere alla prova presuntiva, uno strumento previsto dall’ordinamento per risalire da un fatto noto a un fatto ignoto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno riaffermato un principio di diritto cruciale: chi invoca un mancato guadagno per la perdita di disponibilità di un bene deve certamente provare il proprio assunto, ma questa prova può essere fornita anche per presunzioni.
Il ragionamento della Corte è impeccabile: la Corte d’Appello ha preteso esclusivamente una prova diretta (come un contratto di locazione non concluso), ignorando del tutto la possibilità che la prova presuntiva fosse già presente negli atti. La ricorrente aveva infatti evidenziato i fatti noti (l’inagibilità totale e il ritardo nelle riparazioni) da cui era logico e ragionevole indurre il fatto ignoto, ovvero il mancato guadagno.
L’errore della Corte d’Appello è stato quello di applicare una regola probatoria non necessaria e troppo restrittiva, senza considerare che dalla prova della totale inutilizzabilità del bene si può presumere l’impossibilità di ricavarne un guadagno.

Le Conclusioni

La Suprema Corte ha cassato la decisione impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, affinché riesamini la questione attenendosi al principio di diritto enunciato. Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche: rafforza la tutela dei proprietari di immobili danneggiati, chiarendo che per ottenere il risarcimento del lucro cessante non è sempre indispensabile fornire la prova di specifiche trattative di locazione fallite. Laddove l’inagibilità dell’immobile sia totale e provata, il giudice deve considerare la possibilità di desumere il danno da mancato reddito tramite prova presuntiva, rendendo più equo e accessibile il percorso per ottenere un giusto risarcimento.

È necessario presentare un contratto di locazione non concluso per dimostrare il lucro cessante per un immobile danneggiato?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la prova del lucro cessante può essere fornita anche tramite presunzioni, senza la necessità di una prova diretta come un contratto, specialmente quando l’immobile è totalmente inagibile.

Cosa si intende per prova presuntiva nel contesto di un danno immobiliare?
Significa che il giudice può dedurre il mancato guadagno (il fatto da provare) da un altro fatto già accertato, come la totale e prolungata inagibilità dell’immobile, basandosi su un ragionamento logico e di comune esperienza.

Qual era l’errore della Corte d’Appello secondo la Cassazione?
L’errore è stato quello di richiedere esclusivamente una prova diretta del danno (come l’esibizione di un contratto), ignorando la possibilità di utilizzare la prova presuntiva, che era pienamente ammissibile e desumibile dai fatti già provati nel corso del giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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