Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12750 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12750 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2081/2024 R.G. proposto da :
NOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME e NOMECOGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n.1879/2022 depositata il 27.12.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 8.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso possessorio depositato al Tribunale di Foggia in data 29.10.2007, COGNOME NOME e NOME Antonio, essendo in corso dei lavori edilizi sul confinante fondo di Dinunzio INDIRIZZO di Vieste, INDIRIZZO che assumevano lesivi del loro possesso delle vedute asseritamente esercitate da due finestre al secondo piano del loro fabbricato di Vieste, INDIRIZZO, chiedevano la reintegrazione, o manutenzione nel possesso delle vedute, la cessazione e/o sospensione dell’attività edilizia del confinante e qualsiasi altro provvedimento idoneo ad assicurare il ripristino ed il pieno e pacifico godimento del possesso delle vedute, col ripristino dello status quo ante e la rimozione delle impalcature presenti.
Costituitosi, il COGNOME spiegava domanda riconvenzionale per ottenere la manutenzione nel proprio possesso dei diritti violati dai ricorrenti Minervino-Clemente attraverso la realizzazione della sopraelevazione con un terzo piano del manufatto di Vieste, INDIRIZZO ritenuta pericolosa sul piano statico, nonché la demolizione della sopraelevazione, col ripristino dello stato dei luoghi e con l’eliminazione di ogni ostacolo, mediante esecuzione delle attività necessarie a tal fine.
Disposta in via provvisoria la sospensione dei lavori del COGNOME, il ricorso possessorio veniva inizialmente respinto con l’ordinanza del 23.12.2014, al pari delle riconvenzionali del Dinunzio, che non più rilevano, ma poi veniva accolto il 4.8.2015 in sede di reclamo, con ordine al Dinunzio di ripristino dello stato dei luoghi, previo riconoscimento come vedute delle due finestre poste al secondo piano del fabbricato dei ricorrenti.
A seguito della prosecuzione del giudizio possessorio nel merito, su richiesta di entrambe le parti, con sentenza n. 2196/2018, il
Tribunale di Foggia confermava le statuizioni rese con l’ordinanza collegiale del 4.8.2015, e compensava le spese di lite e della CTU espletata.
COGNOME NOME proponeva appello avverso la predetta sentenza, chiedendo, per quanto qui interessa, di accertare e dare atto che non vi era stato alcun occultamento di parte delle finestre del secondo piano degli appellati, che dovevano qualificarsi come luci irregolari e non come vedute e per le quali quindi non era invocabile la tutela possessoria. Costituitisi, i COGNOME e NOME contestavano le pretese degli appellanti, spiegando peraltro appello incidentale per ottenere anche il risarcimento dei danni subiti.
Con la sentenza n. 1879/2022 del 7/27.12.2022, la Corte di Appello di Bari riformava la gravata sentenza e, per l’effetto, rigettava la domanda di reintegrazione, e/o manutenzione nel possesso delle vedute di Minervino NOME e NOME, qualificando le due aperture del secondo piano dei ricorrenti come luci irregolari, e non come vedute, revocava l’ordine di immediato ripristino dello status quo ante impartito in precedenza al Dinunzio e rigettava l’appello incidentale, compensando le spese processuali del doppio grado e di CTU.
Avverso questa sentenza, COGNOME NOME e NOME hanno proposto tempestivo ricorso a questa Corte, affidandosi a tre motivi e COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
E’ stata formulata proposta di definizione accelerata ex art. 380 bis comma 1° c.p.c. nuova formulazione per inammissibilità del ricorso in quanto asseritamente tardivo, ed il difensore dei ricorrenti, munito di procura speciale, ha presentato tempestiva istanza di decisione in base al secondo comma della norma citata.
Fissata conseguentemente l’adunanza in camera di consiglio dell’8.5.2025, sia i ricorrenti che il controricorrente hanno depositato memorie ex art. 380 bis .1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
È utile anzitutto evidenziare che a seguito della decisione di questa Corte resa a sezioni unite (Cass. sez. un. 10.4.2024 n. 9611), e per le ragioni ivi chiarite, la partecipazione del Consigliere Delegato proponente, ex art. 380 bis c.p.c., come componente del Collegio che definisce il giudizio, non rileva quale ragione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 4 e dell’art. 52 c.p.c..
In via preliminare occorre rilevare, in contrasto con la proposta di definizione accelerata, l’infondatezza dell’eccezione di tardività del ricorso di COGNOME NOME e NOME, sollevata da COGNOME NOME nel controricorso, per l’asserita proposizione dello stesso oltre la scadenza del termine lungo d’impugnazione di sei mesi previsto dall’art. 327 c.p.c..
E’ vero, infatti, che la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1879/2022, impugnata in questa sede, non notificata ad istanza di parte, é stata pubblicata il 27.12.2022, e che il ricorso contro la stessa é stato notificato il 24.1.2024, ma poiché il ricorso possessorio é stato depositato in primo grado il 29.10.2007, e quindi in data anteriore al 4.7.2009, in base all’art. 58 comma 1 della L. 18.6.2009 n. 69, il termine lungo d’impugnazione, applicabile ex art. 327 c.p.c., era quello di un anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata, previsto da quella norma prima che fosse ridotto a sei mesi dall’art. 46 comma 17 della legge citata. Ne deriva, che tenendo conto del termine annuale decorrente dal 28.12.2022, e della sospensione feriale dall’1 al 31.8.2023, il termine per la notificazione del ricorso a questa Corte sarebbe scaduto il 26.1.2024 ed é stato quindi rispettato dai ricorrenti.
1) Col primo motivo, articolato in riferimento ai nn. 3) e 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c., i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 della Cost. e dell’art. 2909 cod. civ., nonché del principio del ne bis in idem , oltre che dell’art. 111 Cost.,
in quanto la Corte distrettuale non avrebbe considerato il fatto che le aperture oggetto di causa dovevano essere qualificate come vedute e non come luci irregolari, come acclarato fra le parti con la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 1301/2022 passata in giudicato.
Il primo motivo, col quale si lamenta la violazione del giudicato esterno, che si sarebbe formato, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, col passaggio in giudicato, attestato dalla cancelleria della Corte d’Appello di Bari il 7.11.2023 (documento B1 prodotto in questa sede ex art. 372 c.p.c.), della sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1301/2022 del 9.9.2022, che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Foggia n. 2307/2018, che aveva respinto la domanda introdotta da COGNOME Umberto nel giudizio petitorio iniziato il 25.3.2009, di condanna di Minervino NOME alla regolarizzazione delle due luci aperte al secondo piano del suo fabbricato di Vieste, INDIRIZZO qualificando le stesse come vedute e non come luci irregolari, deve ritenersi infondato.
Anzitutto va ritenuta ammissibile la produzione della sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1301/2022 ai sensi dell’art. 372 c.p.c..
Costituisce infatti jus receptum , come affermato dalle sezioni unite di questa Corte e ribadito più volte in successive decisioni, che ” nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto.
Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato “. È stato aggiunto che ” la produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione’ (Cass. ord. 16.3.2024 n. 7130; Cass. 18.1.2024 n.1928; Cass. n.1534/2018; Cass. n. 8607/2017; Cass. sez. un. n.13916/2006).
Il giudicato formatosi sulla sentenza della Corte d’Appello di Bari n.1301/2022, che ha rigettato l’azione di regolarizzazione delle luci poste al secondo piano del fabbricato di Minervino Raffaela esercitata da COGNOME NOME, in disparte la problematica dell’influenza di un giudicato petitorio negativo sul rigetto di un’azione possessoria, basato su una situazione di fatto e non di diritto, non può giovare a parte ricorrente nel presente giudizio, in quanto uno dei due ricorrenti che ha introdotto il giudizio possessorio, NOMECOGNOME non ha partecipato al giudizio petitorio, sicché difetta il requisito della coincidenza soggettiva delle parti di questo giudizio con le parti del giudizio petitorio.
2) Col secondo motivo, articolato in riferimento ai nn. 3) e 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c. i ricorrenti prospettano la
violazione dell’art. 900 cod. civ., considerato che le aperture oggetto di causa configurerebbero delle vedute e non delle luci irregolari ai sensi dell’art. 900 cod. civ., tenendo conto dei principi giurisprudenziali in materia.
Col secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., l’erronea sussunzione delle due aperture al secondo piano del fabbricato nel possesso di Minervino NOME e NOME e NOME NOME NOME, sito in Vieste INDIRIZZO nella previsione degli articoli 901 e 902 cod. civ. relativi alle luci irregolari, anziché in quella dell’art. 900 cod. civ., relativa alle vedute, per non avere la Corte d’Appello verificato la possibilità di guardare obliquamente e lateralmente da quelle aperture, in modo da assoggettare il fondo di Dinunzio Umberto ad una visione mobile e globale in relazione ad una persona di statura normale, avendo invece fatto riferimento, nell’effettuare tale verifica, ad una persona di statura media, (ossia di una statura intermedia fra una statura minima e massima), anziché di statura normale, e si invoca l’opposta conclusione raggiunta in primo grado, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. l’omessa considerazione della corretta qualificazione delle aperture in questione come vedute.
Tale ultima doglianza é senz’altro inammissibile, in quanto non ci si duole dell’omessa considerazione di un fatto storico principale, o secondario oggetto di contestazione tra le parti e decisivo, come richiesto dall’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. (vedi in tal senso Cass. sez. un. 7.4.2014 n. 8053), ma di una qualificazione giuridica, che si assume non conforme alla giurisprudenza di questa Corte, sulle caratteristiche distintive proprie della veduta, qualificazione che comunque la sentenza impugnata ha approfonditamente compiuto, in rapporto alla lesione possessoria lamentata, alle pagine 4, 5 e 6.
In particolare la sentenza impugnata ha desunto dalla CTU espletata, che il solaio di copertura del vano ripostiglio e del torrino
scala di COGNOME NOME é stato realizzato al di sotto della soglia delle due finestre in questione di 6-9 cm; che le due finestre hanno una quota davanzale posta a m 1,29 dal piano di calpestio dell’appartamento nel possesso degli originari ricorrenti, ai quali vanno sommati gli 8 cm del telaio dell’infisso; che il muro di confine ha uno spessore di m 0,55 circa; che le due finestre sono dotate di un sistema di apertura basculante, incernierato all’incirca alla metà dell’infisso stesso, e che in posizione aperta sporge nella proprietà del COGNOME; che dal sopralluogo dell’ausiliario era emerso che dalle dette finestre non era possibile l’affaccio, inteso come lo sporgersi oltre le finestre con la testa senza l’aiuto di qualche supporto, dato che sommando la quota davanzale (m1,29), la dimensione del telaio dell’infisso (8 cm) e lo spessore del muro (m 0,55), si otteneva una misura di m 1,92, palesemente al di fuori della statura media di un uomo.
La sentenza impugnata ha ulteriormente rilevato che il giudice di prime cure, all’esito della fase possessoria, aveva ritenuto infondata la doglianza di occultamento delle finestre, che dovevano essere considerate luci irregolari, in quanto consentivano il passaggio di aria e luce, ma non di affacciarsi sul fondo del vicino.
Da ultimo l’impugnata sentenza, dopo avere implicitamente escluso che le aperture in questione potessero essere qualificate come vedute, perché non consentivano, se non ad una persona di statura superiore a m 1,92, di affacciarsi sul fondo del Dinunzio, ha richiamato anche la circostanza che tali aperture erano state realizzate, con quelle particolari condizioni costruttive, nel 1970, in base alla convenzione intercorsa tra la proprietaria dell’epoca dell’immobile di Vieste, INDIRIZZO Turillo NOME (madre di COGNOME NOME) e NOME (marito di COGNOME NOME e padre di NOME), e sulla base di questo insieme di elementi ha revocato l’ordine di ripristino dello status quo ante riguardante le finestre in questione in precedenza
impartito, ritenendo che si trattasse di luci irregolari non tutelabili in sede possessoria e non di vedute.
Orbene, va anzitutto rammentato che in tema di aperture sul fondo del vicino, la natura di veduta o luce (regolare o irregolare) deve essere accertata dal giudice di merito alla stregua delle caratteristiche oggettive dell’apertura stessa, rimanendo a tal fine irrilevante l’intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo perseguita, e che un’apertura tale da non consentire la prospectio nel fondo vicino, può configurarsi solo come luce, anche se consenta di guardare con una manovra di per sé poco agevole per una persona di normale conformazione, per cui rispetto a tale genere di apertura, il vicino non ha diritto a chiedere la chiusura, bensì solo la regolarizzazione (Cass. 5.11.2011 n.233).
Come emerge dalla riportata motivazione, la Corte d’Appello di Bari si é pienamente attenuta ai suddetti principi, traendo da tutte le caratteristiche oggettive rilevate dal CTU e dall’esito dell’esperimento di affaccio compiuto dall’ausiliario in sede di sopralluogo, la conclusione che la possibilità del prospicere sul fondo del Dinunzio, necessaria insieme a quella di inspicere, per poter qualificare le aperture in questione come vedute e non come mere luci irregolari, era data senza l’ausilio di un appoggio ed a causa dell’apertura basculante delle finestre, solo ad una persona di statura superiore a m 1,92, e quindi al di là delle parole usate, non ad una persona di statura media, ma certamente neppure ad una persona di statura normale.
Quanto al riferimento all’altezza media, quindi, va rilevato che è corretto il richiamo operato dai ricorrenti all’orientamento di questa Corte che riporta la verifica della possibilità dell’affaccio ai fini della qualificazione di un’apertura in termini di veduta ad una persona ” di ordinaria statura ” (Cass. 24.2.2022 n.6140; Cass. n.18910/2012), e non ad una persona di media statura, ma la Corte d’appello, pur avendo riportato l’impropria menzione del CTU
di una persona di altezza fuori dalla statura media di un uomo, ha motivato in relazione ad un’altezza richiesta per affacciarsi comodamente di m 1,92, che certamente é di gran lunga superiore all’altezza propria di una persona di ordinaria statura.
Per il resto l’impugnata sentenza si é attenuta al principio più volte ribadito da questa Corte che ” la veduta si distingue dalla luce giacché implica, in aggiunta alla inspectio, la prospectio, ossia la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino ” (Cass. ord. 23.9.2021 n. 25864; Cass. 29.2.2016 n. 3924), non incorrendo in alcun vizio di sussunzione della fattispecie esaminata, sicché il secondo motivo é sotto questo profilo infondato.
3) Col terzo motivo, articolato in riferimento ai nn. 3) e 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c., i ricorrenti sostengono la violazione dell’art. 2702 cod. civ. e delle norme sulla trascrizione di atti aventi ad oggetto diritti reali, considerato che la convenzione con cui furono costituite le luci oggetto di causa non è intervenuta fra le parti oggetto di giudizio ed è ad esse inopponibile.
Il terzo motivo, col quale in relazione alla scrittura privata summenzionata, in base alla quale sono state realizzate nel 1970 le due aperture in questione, ci si duole della violazione delle disposizioni sull’efficacia delle scritture private e sulla trascrizione delle stesse, affermando che tale scrittura privata, non essendo stata sottoscritta dalle parti del giudizio e non essendo stata trascritta nei registri immobiliari, non poteva essere ritenuta opponibile ai ricorrenti, é palesemente inammissibile, in quanto non coglie affatto il senso del richiamo compiuto alla fine di pagina 5, peraltro solo ad abundantiam, nella motivazione dell’impugnata sentenza, a quella convenzione.
La Corte d’Appello, infatti, dopo avere ricavato dalle caratteristiche oggettive tratte dalla CTU e dall’esperimento effettuato dall’ausiliario, la conferma che le aperture in questione, non
consentivano un comodo affaccio sul fondo del INDIRIZZO, possibile solo anche per la presenza di aperture basculanti, per persone di altezza superiore a m 1,92, ha richiamato la suddetta convenzione, data anche la natura possessoria e non petitoria del giudizio, solo per spiegare come mai nel 1970 fossero state realizzate quelle due finestre con caratteristiche così particolari, allo scopo di garantire luce ed aria al fabbricato di Vieste, INDIRIZZO con un’apertura basculante sconfinante sul fondo del proprietario vicino, ma senza compromettere, attraverso l’esercizio di vedute, la riservatezza dello stesso, omettendo quindi qualsivoglia richiamo, all’efficacia petitoria vincolante per le parti di quella scrittura privata.
Le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti in solido, mentre non devono essere applicate ad essi le sanzioni previste dall’ultimo comma dell’art. 380 bis c.p.c. nuova formulazione, per la difformità della motivazione di questa ordinanza, rispetto alla proposta di definizione accelerata.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso di COGNOME NOME e NOME e li condanna in solido al pagamento in favore di Dinunzio Umberto delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed € 3.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%.
Visto l’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio dell’8.5.2025