Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2840 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2840 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13386/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO DI RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE N. 24/2016
-intimato-
Avverso il DECRETO del TRIBUNALE di ROMA n. 3745/2017 depositato il 19/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma, con decreto n. 1435/2019, depositato il 19.3.2019, ha rigettato l’opposizione allo stato passivo proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha rigettato la sua domanda di insinuazione al passivo del credito di € 777.418,90, portato dal lodo arbitrale del 27.11.2014, che aveva condannato la fallita al pagamento della somma suddetta.
Il G.D. non aveva ammesso il credito in oggetto in quanto il lodo rituale non era stato reso esecutivo nelle forme di cui all’art. 825 comma 1° c.p.c. e non era quindi opponibile al fallimento.
Il giudice di primo grado ha condiviso l’impostazione del G.D. secondo cui il lodo arbitrale, costituente il titolo del credito del quale si domandava l’accertamento, era privo di data certa. In particolare, ha rilevato che tale lodo era stato semplicemente sottoscritto dai componenti del collegio, che gli arbitri non sono pubblici ufficiali né incaricati di pubblico servizio, che la sottoscrizione, con datazione del lodo, non vale a conferire certezza della data apposta; tale effetto può, infatti, conseguire solo al deposito del lodo nella cancelleria del Tribunale ai fini dell’ exequatur – accadimento, nel caso di specie, successivo alla dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE -o dalla comunicazione delle parti a mezzo plico raccomandato, e ciò sempre che la timbratura postale faccia corpo unico con l’atto, o a mezzo pec, accadimenti questi, nel caso di specie, non verificatisi. Né poteva attribuirsi rilievo, ai fini della certezza della data, alla datazione impressa sulle marche da bollo applicate al documento, trattandosi di semplici marche da bollo adesive, prestampate e apposte dalla parte, non annullate da un soggetto qualificabile alla stregua di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Del
pari, del tutto irrilevante era la certificazione della Corte d’Appello circa la mancata impugnazione del lodo, emessa il 16.5.2016, documentando solo la data del suo rilascio, successiva alla dichiarazione di fallimento.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a quattro motivi, in realtà sette, seguendo l’ordine delle violazioni indicate (soprattutto in neretto) dalla ricorrente nel ricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo ed erronea valutazione delle prove ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
Espone la ricorrente che, a differenza di quanto affermato dal giudice di primo grado, e come risulta dai documenti depositati, il lodo era stato consegnato nelle mani del procuratore costituito per l’RAGIONE_SOCIALE, avv. NOME COGNOME in data 28.11.2014. In ogni caso, il lodo e la certificazione di mancata impugnativa erano stati depositati anche in fase di concordato preventivo n. 57/2012 in data 18.12.2015, prima del fallimento dichiarato nel 2016. Inoltre, anche gli arbitri erano stati ammessi al passivo.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 819 e 824 bis c.p.c.
Deduce la ricorrente che l’efficacia del lodo rituale, sin dalla data della sua ultima sottoscrizione, come sentenza, è espressamente riconosciuta dall’art. 824 bis c.p.c. Ne deriva una completa equiparazione del lodo alla sentenza dell’autorità giudiziaria e l’idoneità dello stesso, una volta divenuto inoppugnabile, a produrre effetti identici a quelli di una sentenza munita di incontrovertibilità del giudicato formale e sostanziale.
Con il terzo motivo è stata dedotta violazione dell’art. 824 bis c.p.c. e dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
Espone la ricorrente che il Tribunale, nell’affermare che l’esecutività del lodo era stata chiesta successivamente al deposito della domanda di ammissione al passivo, aveva omesso di accertare che si trattava di un provvedimento parificato alla sentenza. Inoltre, era stato dimostrato che il lodo era stato comunicato alla controparte il 28.11.2014 e che erano spirati i termini per l’impugnativa. La curatela aveva omesso di comunicare sia la ricezione del lodo sia il deposito dello stesso avvenuto nel procedimento di concordato.
Con il quarto motivo è stata dedotta l’errata applicazione e violazione degli artt. 824 bis c.p.c. e 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
Espone la ricorrente che il Tribunale, nel ritenere che la sottoscrizione e datazione del lodo non è idonea a conferire certezza alla data apposta, non ha tenuto conto degli artt. 824 bis e 823 n. 7 e 8 c.p.c., che indicano tra gli elementi del lodo la sottoscrizione e la data.
Con il quinto motivo è stata dedotta l’erronea interpretazione dell’art. 45 L.F. e art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
Espone la ricorrente che il lodo, essendo equiparabile ad una sentenza, era opponibile alla curatela. Peraltro, non essendo appellabile ed essendo soggetto solo all’impugnativa per nullità, alla revocazione straordinaria e all’opposizione di terzo, lo stesso nasce più stabile della sentenza, e, una volta preclusa l’impugnazione per nullità, viene a trovarsi in una situazione processualmente assimilabile alla cosa giudicata formale.
Con il sesto motivo è stata dedotta l’errata interpretazione degli artt. 828 comma 2° c.p.c. e 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
La ricorrente espone che l’art. 828 comma 2°, c.p.c. conferisce rilievo, ai fini della decorrenza del termine annuale per l’impugnativa del lodo, il momento in cui è apposta l’ultima
sottoscrizione. Si rileva che, nel caso di specie, il termine annuale dal deposito del lodo era ampiamente decorso e quindi il lodo aveva acquisito l’efficacia della cosa giudicata.
Con il settimo motivo è stato dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
Contesta la ricorrente che la domanda di ammissione del credito relativo all’imposta di registro fosse nuova, essendo stata, invece, chiesta l’ammissione dei costi di registrazione sin dai primi atti.
Con l’ottavo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 91 c.p.c.
Espone la ricorrente che il Tribunale, nel condannarla al pagamento delle spese di lite, non ha tenuto conto dell’ingente danno che l’Acquamare le ha causato.
Il secondo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo, da esaminare con priorità e unitariamente, avendo tutti ad oggetto la dedotta parificazione del lodo alla sentenza, sono fondati.
Il Tribunale di Roma ha ritenuto il lodo arbitrale rituale di cui è causa non opponibile alla procedura, evidenziando la sua caratteristica di atto avente natura meramente privata (pronunciato da soggetti non aventi la qualità di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio), con conseguente mancanza di data certa, asseritamente conseguibile solo con il deposito dello stesso presso la cancelleria del Tribunale.
Questo Collegio non condivide tale impostazione.
Non vi è dubbio che il Tribunale, nel ritenere il lodo arbitrale come atto avente natura privata, abbia sostanzialmente accolto l’interpretazione che a tale istituto era stata data dalla risalente sentenza delle Sezioni Unite n. 527 del 3.8.2000 (che ha esaminato, peraltro, il testo del codice di procedura civile anteriore alle modifiche apportate anche dalla L. n. 25/94) la quale era giunta alla conclusione che il procedimento arbitrale fosse
ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale, valorizzando le circostanze che tale procedimento si fonda sul consenso delle parti, che la decisione proviene da soggetti privati radicalmente carenti di potestà giurisdizionale di imperio, nonché l’argomento, contenuto anche nella sentenza della Corte Costituzionale n. 2/1962, secondo cui il decreto pretorile ex art. 825 Cod. proc. civ. conferiva al lodo l’efficacia e non la natura di sentenza, difettando, pertanto, nell’arbitro il potere di produrre atti sostanzialmente identici a quelli pronunciati dalla potestà del giudice.
L’esposto orientamento, fatto proprio nel caso di specie – dal giudice di merito, non è più attuale alla luce delle modifiche apportate all’istituto dell’arbitrato rituale dalla legge n. 25/1994 e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che, in primo luogo, hanno introdotto una disciplina di impugnazione del lodo (art. 828 c.p.c. ) che prescinde dal suo deposito ed è estesa anche ai mezzi straordinari della revocazione straordinaria ed opposizione di terzo (art. 831 c.p.c.).
L’art. 26 della L. n. 25/1994 ha, altresì, aggiunto agli artt. 2652 e 2653 cod. civ. un ultimo comma con il quale la disciplina dell’introduzione e trascrizione della domanda arbitrale è stata pienamente parificata alla introduzione e trascrizione della domanda giudiziale.
La novità più importante è stata indubbiamente introdotta dal d.lgs n. n. 40/2006 che, aggiungendo l’art. 824 bis c.p.c. secondo cui ‘Salvo quanto disposto dall’art. 825, il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dalla dall’autorità giudiziaria ‘ -ha completato il percorso di giurisdizionalizzazione dell’arbitrato rituale.
Tutte le evidenziate modifiche sono state opportunamente valorizzate dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 24153 del 25.10.2013, che ha ribaltato la precedente concezione non giurisdizionale dell’arbitrato affermando che, alla luce
modifiche legislative del 1994 e del 2006 e delle pronunce della Corte Costituzionale, l’attività degli arbitri rituali ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario.
Le Sezioni Unite del 2013, alla luce, in particolare, degli insegnamenti della sentenza della Corte Costituzionale n. 127/1977 – che aveva affermato che “il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti: perché solo la scelta dei soggetti (intesa come una dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24 Cost., comma 1) può derogare al precetto contenuto nell’art. 102 Cost.” – hanno premesso che, se di regola la funzione giurisdizionale sui diritti si esercita davanti ai giudici ordinari, è, tuttavia, consentito alle parti, nell’esercizio di una libera ed autonoma scelta, di derogare a tale regola agendo “a tutela dei propri diritti” davanti a giudici privati, riconosciuti tali dalle legge, in presenza di determinate garanzie. L’autonomia delle parti -che si si manifesta non già (come nell’arbitrato “contrattuale”) come atto di disposizione del diritto, ma come atto incidente sull’esercizio del potere di azione che a quel diritto è connesso – nel settore dei diritti disponibili, opera come presupposto del potere, loro attribuito, di far decidere controversie ad arbitri privati, nelle forme e secondo le modalità stabilite dall’ordinamento giuridico.
Le Sezioni Unite hanno quindi, nei seguenti termini, sviluppato il loro percorso motivazionale:
‘ Sulla base di questa premessa di compatibilità costituzionale, affinché il ricorso all’arbitrato possa considerarsi legittimo, occorre: a) che la deroga consacrata da volontà concorde delle parti su diritti disponibili operi nei confronti di una controversia conoscibile dal giudice ordinario; b) che l’arbitrato sia disciplinato da norme di legge che assicurino idonee garanzie processuali, non soltanto sul piano dell’imparzialità dell’organo giudicante, ma anche del rispetto del contraddittorio; c) la possibilità di impugnativa (nei limiti in cui
l’ordinamento processuale tipizza fattispecie di nullità) davanti agli organi della giurisdizione ordinaria.
Tali caratteri appaiono, per l’arbitrato rituale, tali da integrare i requisiti (attitudine dell’organo, ancorché diverso da una struttura giudiziaria, ad espletare una funzione giudiziaria assicurando alle parti una “soluzione giurisdizionale della controversia”) richiesti dalla Corte Europea sui diritti dell’uomo per rispettare il 6 della Convenzione di Roma del 4 novembre 1950.
4.7. La normativa, in parte introdotta con la L. n. 25 del 1994 ed in parte con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, pare contenere sufficienti indici sistematici per riconoscere natura giurisdizionale al lodo arbitrale, e per soddisfare quelle indicazioni, (sopra riportate) sui limiti entro i quali la scelta di un giudice diverso da quello statale può essere, dall’ordinamento, affidata alla autonomia dei privati. In base alla riforma del 1994, la proposizione dei mezzi di impugnazione non è (più; art. 827 c.p.c., comma 2) condizionata dall’emanazione del decreto di esecutività del lodo. È dunque quest’ultimo, e non la “sentenza arbitrale” (“in due pezzi”), oggetto dell’impugnazione prevista dalla legge processuale avanti agli organi della giurisdizione ordinaria.
Il termine per la proponibilità dell’impugnazione per nullità, se il lodo è notificato, è quello “breve” di novanta giorni dalla notificazione, altrimenti è quello annuale decorrente dalla data dell’ultima sottoscrizione. Il lodo rimane autonomamente impugnabile, con l’azione di nullità, indipendentemente dall’exequatur, in virtù della stessa efficacia della sentenza pronunziata dall’Autorità Giudiziaria, fin dal momento in cui interviene l’ultima sottoscrizione (art. 824 bis c.p.c.). Il deposito del lodo, peraltro, si ricollega, oltre che alla sua esecutività (ed attitudine all’iscrizione ipotecaria, in virtù dell’art. 2819 c.c.) anche alla sua trascrivibilità, e conseguente efficacia anche verso terzi (v.
art. 824 bis – efficacia della sentenza – ed art. 825 c.p.c. – deposito ed esecutività del lodo).
4.8. Correlativamente si sono concesse, contro il lodo, anche la revocazione straordinaria e l’opposizione di terzo sia ordinaria che revocatoria; si è concentrata nella Corte d’Appello la competenza funzionale a conoscere dell’impugnazione per nullità, estesa, oltre che all’inosservanza del principio del contraddittorio, all’ipotesi di contrarietà del lodo a sentenza passata in giudicato o ad altro precedente lodo, non più impugnabile. Sulla scorta del modello francese, si è condizionata la potestas iudicandi del giudice dell’impugnazione per nullità, nella fase rescissoria, e a decidere così nel merito la controversia, alla assenza di “concorde volontà contraria delle parti”.
4.9.11 Il mutamento è di grande rilievo, e addirittura decisivo, per ciò che attiene al regime di impugnabilità del lodo, prima del deposito. Ma esso è tale da escludere, in radice, l’eventualità di una duplice natura del lodo stesso, negoziale, in un primo tempo, giurisdizionale dopo la dichiarazione di esecutività. L’assimilazione in toto, alla domanda giudiziale, attribuita all’atto introduttivo dell’arbitrato, quanto alla prescrizione e alla trascrizione delle domande giudiziali, postulano l’equiparazione alla domanda giudiziale (esercizio dell’azione giudiziaria) dell’atto di promovimento del processo arbitrale, e l’attribuzione al lodo dell’attitudine non di efficacia negoziale, ma dell’efficacia e della autorità della cosa giudicata.
5.1. Quanto alla trascrizione, occorre considerare che l’effetto anticipatorio, conferito alla trascrizione dell’atto di promovimento del giudizio arbitrale, riguarda sia le fattispecie contemplate all’art. 2652 c.c. che quelle riguardate dall’art. 2653 c.c. (ai sensi della L. 5 gennaio 1994, art. 26, che ha aggiunto un ultimo comma ai due articoli del cod. civ.).
Entrambe le norme concernono l’efficacia dell’accertamento contenuto nel lodo verso terzi, laddove ogni atto che trova la sua base esclusivamente sulla volontà pattizia e dispositiva delle parti di un negozio, vale esclusivamente fra le parti ed è sfornita di efficacia nei rapporti dipendenti. Entrambe le norme si radicano alla nozione ed alla teoria dell’azione e coprono tutto lo spazio, coperto sia dalla azione come mera aspirazione ad una sentenza di merito, sia dalla azione in senso sostanziale, riferita cioè a situazioni che presuppongono fondata l’azione, ed alle norme tese ad evitare che la durata del processo ridondi in danno dell’attore, che ha ragione.
5.2. Nel caso dell’art. 2652 c.c., la disciplina sulla trascrizione si muove, non solo sul piano degli effetti sostanziali della domanda giudiziale, ma anche su quello degli effetti del giudicato sui rapporti dipendenti, e verso i terzi. L’attribuzione al lodo di questa efficacia, non limitata alle parti, ma estesa ai terzi, non può che postulare la sua equiparazione a una sentenza dei giudici dello Stato, e, in ogni caso, ad una pronuncia giurisdizionale. E, come tale, viene considerato il lodo che l’art. 831 c.p.c. novellato sottopone al rimedio giurisdizionale (presso la stessa Corte d’Appello competente per l’azione di nullità) dell’opposizione di terzo, anche ordinaria (art. 404, comma 1, codice). Ciò che presuppone, appunto, l’efficacia del lodo pronunciato inter alios, verso il terzo titolare di una situazione soggettiva che presenta elementi di identità con il rapporto oggetto della decisione arbitrale.
5.3. Nel caso dell’art. 2653 c.c., la norma sulla trascrizione della domanda, fornisce il mezzo tecnico che consente al processo di proseguire fra le parti originarie, valendo la sentenza anche nei confronti del successore a titolo particolare, (che sia) rimasto estraneo al processo.
Ed è norma che va ad integrare quella, fondamentale, dell’art. 2909 c.c. definendo i limiti dell’estensione soggettiva della cosa giudicata sostanziale, e stabilisce che l’accertamento e le statuizioni
contenute nel giudicato, si estendono all’avente causa, anche se il fatto costitutivo del suo acquisto è anteriore alla sentenza, se vi è anteriorità della trascrizione della domanda giudiziale, rispetto a quella del titolo di acquisto………….
5.7. L’art. 824 bis c.p.c. equipara gli effetti del lodo, dalla data della sua ultima sottoscrizione, a quelli della sentenza passata in giudicato.
A questo proposito anche l’art. 829 c.p.c., n. 8, esprime chiaramente tale attribuzione dell’attitudine del lodo a fare dell’oggetto del proprio giudizio una res cognita, laddove, introducendo come motivo di nullità la violazione del giudicato (esterno) equipara completamente alla “sentenza passata in giudicato” il “lodo non più impugnabile”.
Dunque, le Sezioni Unite hanno affermato in modo inequivocabile che l’equiparazione tra lodo arbitrale rituale e sentenza non riguarda solo l’efficacia del lodo inter partes , ma anche nei confronti dei terzi e risulta non solo testualmente dall’art. 824 bis c.p.c., ma anche dall’art. 829 n. 8 c.p.c. che, nell’introdurre la violazione del giudicato esterno come motivo di nullità, viene ad equiparare completamente alla sentenza passata in giudicato il lodo non più impugnabile (come nel caso di specie).
Il percorso, già ampiamente tracciato dalla sentenza del 2013, è stato completato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8776/2021, la quale, nell’occuparsi della fattispecie di cui all’art. 828 comma 2° c.p.c., hanno evidenziato che tale norma ‘ dà rilievo, ai fini della decorrenza del termine annuale, al momento in cui è apposta l’ultima sottoscrizione, proprio perché il lodo – salvo il disposto dell’art. 825 cod. proc. civ. ai fini della sua esecutività – produce gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria dalla data della sua ultima sottoscrizione……..Il legislatore ha così stabilito una corrispondenza tra la pubblicazione della sentenza – con la quale il provvedimento viene ad esistenza e comincia a produrre i suoi
effetti -e l’attività consistente nell’apposizione della ultima sottoscrizione degli arbitri…………La decisione arbitrale, secondo l’evoluzione subìta dall’istituto, viene parificata alla pronuncia giurisdizionale ed esiste sin dalla sua sottoscrizione, non essendovi un ufficio di cancelleria deputato al deposito per la pubblicazione, in tal modo avendo il legislatore attuato il principio dell’autonomia dell’arbitrato dalla giurisdizione ordinaria’ .
Le Sezioni Unite 2021, nell’equiparare alla pubblicazione della sentenza l’attività consistente nell’apposizione dell’ultima sottoscrizione degli arbitri (non essendovi un ufficio di cancelleria deputato al deposito per la pubblicazione), hanno quindi riaffermato il principio, evincibile dall’art. 824 bis c.p.c., secondo cui il lodo arbitrale, nel venire ad esistenza con l’ultima sottoscrizione degli arbitri, è un provvedimento assimilabile in tutto e per tutto ad una sentenza giurisdizionale , con la conseguenza che, con riferimento alla questione di cui è causa, lo stesso lodo è ontologicamente dotato di data certa, non essendo richiesto a tali fini -come erroneamente ritenuto dal decreto impugnato -il suo deposito presso la cancelleria del Tribunale.
Esaminando, a questo punto, il caso di specie, va osservato che il lodo arbitrale di cui è causa, essendo stato emesso in data 27.11.2014, alla data della dichiarazione di fallimento del 14.1.2016 (vedi pag. 6 del decreto impugnato), era già divenuto non impugnabile, essendo già decorso, a norma dell’art. 828 comma 2° c.p.c., l’anno dalla data dell’ultima sottoscrizione entro cui poteva essere proposta l’impugnazione. Ne consegue che allo stesso devono attribuirsi gli effetti di una sentenza passata in giudicato, di cui condivide la medesima natura giurisdizionale.
Le opposte conclusioni cui è addivenuto il Tribunale di Roma sono, come detto, il riflesso di una concezione del lodo, come atto avente natura meramente privata, ormai superata alla luce delle rilevanti modifiche normative sopra analizzate e dei principi enunciati dalla
Corte costituzionale nella sentenza 223/2013 (richiamata anche dalle S.U. n. 24153/2013).
Deve essere quindi enunciato il seguente principio di diritto :’ Il lodo arbitrale rituale, in quanto pienamente assimilabile ad una sentenza giurisdizionale sin dall’ultima sottoscrizione, a norma dell’art. 824 bis c.p.c., è come tale opponibile alla procedura fallimentare dalla suddetta data, nella quale il provvedimento viene a esistenza e comincia a produrre i suoi effetti’.
10. Il settimo motivo con cui la ricorrente contesta che la domanda di ammissione del credito relativo all’imposta di registro fosse nuova – per essere stata, invece, asseritamente chiesta l’ammissione dei costi di registrazione sin dai primi atti -è inammissibile per palese genericità, non avendo la ricorrente neppure dedotto ‘dove ‘ e ‘come’ la domanda in oggetto fosse stata svolta, essendosi limitata a far riferimento ad imprecisati ‘primi atti’.
il primo e l’ottavo motivo sono assorbiti.
Il decreto impugnato deve essere quindi cassato con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per