Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3000 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 3000  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data RAGIONE_SOCIALEzione: 01/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3469/2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-ricorrente in via principale –
-controricorrente al ricorso incidentale- contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del AVV_NOTAIO pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
-controricorrente al ricorso principale-
-ricorrente incidentale – avverso la sentenza n. 1753/2021  della CORTE  D’APPELLO  di BOLOGNA, depositata il 08/07/2021;
nonché sul ricorso 1582/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del AVV_NOTAIO pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro tempore,  rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati  COGNOME  NOME,  COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 2309/2022  della CORTE  D’APPELLO  di BOLOGNA, depositata il 17/11/2022; udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del
18/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
In data 30 dicembre 1997 il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE costituì la RAGIONE_SOCIALE, ente di diritto privato (art. 14 e ss. c.c.), dotato di un patrimonio di 10 milioni delle vecchie lire e riconosciuto con  decreto  n.  233/1998  della  RAGIONE_SOCIALE  Emilia-RAGIONE_SOCIALE,  al  quale affidò  la  gestione  delle  strutture  sanitarie  esistenti  nell’ambito  del territorio RAGIONE_SOCIALE (Ospedale Cervesi) e delle nuove strutture sociosanitarie (RSA).
A  seguito  della  sua  costituzione  la  RAGIONE_SOCIALE  approntò  un piano  di  investimenti  in  infrastrutture  ed  attrezzature  al  servizio dell’ospedale Cervesi di RAGIONE_SOCIALE, tale da rendere necessario il ricorso al credito bancario.
Nel contesto dei rapporti intercorsi tra la RAGIONE_SOCIALE e gli istituti di credito, il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 27/1998: a) autorizzò la costituzione di pegno sulle sue partecipazioni azionarie (n. 11007 azioni del valore nominale di 1 milione delle vecchie lire ciascuna) nella società RAGIONE_SOCIALE (società interamente partecipata da enti pubblici) a favore di un istituto di credito che sarebbe stato indicato dalla RAGIONE_SOCIALE stessa; b) demandò al
Dirigente rag. NOME COGNOME tutte le operazioni di prelievo e di deposito dei titoli azionari necessari al perfezionamento della garanzia;  c)  stabilì  che  il  pegno  sulle  azioni  avrebbe  dovuto  essere costituito  ‘per  la  durata  massima  di  nove  anni’  e  con  ‘riserva  del diritto di voto’ in capo al RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 2352 c.c.
In  base  a  due  atti  del  16  aprile  e  del  29  ottobre  1998, sottoscritti  entrambi  dal  AVV_NOTAIO  NOME  AVV_NOTAIO  ed  il  primo anche dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, fu costituito pegno sulle suddette 11007  azioni  (del  valore  nominale  di  1  milione  delle  vecchie  lire ciascuna) della RAGIONE_SOCIALE a favore della RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, la RAGIONE_SOCIALE)
A fronte di tale garanzia data dal RAGIONE_SOCIALE (indicato come unico ‘socio’ della RAGIONE_SOCIALE), la RAGIONE_SOCIALE concesse a  quest’ultima  un  fido  misto  utilizzabile  in  conto  corrente  ordinario, per crediti di firma e per finanziamenti in lire e/o valuta, originariamente pari a 5.000.000.000 delle vecchie lire, e cioè pari ad attuali € 2.582.284,50, successivamente aumentato a 11.000.000.000 delle vecchie lire, pari ad attuali € 5.681.025,89.
A seguito della conversione da lire in euro del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima società il 6 marzo 2006 emise in favore del RAGIONE_SOCIALE  di RAGIONE_SOCIALE un nuovo certificato azionario nominativo con n. 7.299, rappresentativo di n. 11.007 azioni ordinarie del valore nominale di € 516,46 ciascuna. Ed il RAGIONE_SOCIALE, a sua volta, depositò di nuovo in pegno alla Banca previa restituzione alla società emittente dei vecchi certificati.
Successivamente, la RAGIONE_SOCIALE, nonostante la proroga di anni 2 del termine di durata del pegno, con missiva datata 08.02.2007 revocò il fido  concesso  alla  RAGIONE_SOCIALE  ed,  a  seguito  della mancata restituzione, intimò alla stessa (debitore principale) con atto
ex  art.  2797  c.c.  notificato  in  data  08.08.2007  (l’11.08.2007  al RAGIONE_SOCIALE)  il  pagamento  del  debito,  preavvertendo  che,  in caso contrario,  avrebbe  provveduto  all’escussione  della  garanzia  prestata dal terzo datore di pegno (RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE).
Non essendo intervenuto il pagamento richiesto e non essendo stata  fatta  nei  termini  opposizione,  la  RAGIONE_SOCIALE  attivò  la  procedura esecutiva di vendita (non comunicata, né notificata al RAGIONE_SOCIALE) delle azioni date in pegno.
 Orbene,  nel  2010,  a  seguito  dei  suddetti  fatti,  il  RAGIONE_SOCIALE, quale  proprietario  delle  azioni  e  terzo  datore  di  pegno,  introduceva due separati giudizi innanzi al Tribunale di Forlì -Sezione distaccata di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Precisamente,  il  RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE,  con  atto  di  citazione  in opposizione  alla  vendita  ex  art.  2797  cod.  civ.  (con  contestuale istanza di sospensione ex artt. 615, comma 2, e 669-sexies c.p.c.), introduttivo della causa n. 2325/2010, chiedeva:
in via preliminare, la sospensione degli effetti della procedura attivata  ai  sensi  dell’art.  2797  c.c.  dalla  cassa  per  la  vendita  delle suddette azioni;
 nel  merito,  l’accertamento  e  la  dichiarazione  di  nullità  e/o inefficacia  dell’intimazione  di  pagamento  ad  esso  notificata  in  data 11.08.2007, quale terzo datore di pegno, nonché degli atti con cui la RAGIONE_SOCIALE  aveva  attivato  la  procedura  esecutiva  per  la  vendita  delle azioni,  accertando  e  dichiarando  l’insussistenza  dello ius  vendendi della RAGIONE_SOCIALE;
la condanna della RAGIONE_SOCIALE alle spese di lite.
D’altra  parte,  con  atto  di  citazione  introduttivo  della  causa  n. 2353/2010  R.G.  il  RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE  chiedeva  nei  confronti  della RAGIONE_SOCIALE:
in via principale, dichiararsi la nullità di due atti costitutivi di pegno, risalenti al 1998, con conseguente dichiarazione di liberazione delle azioni date in pegno, in quanto stipulati in violazione di norme imperative;
-in via subordinata, dichiararsi l’annullamento o l’inefficacia dei predetti atti;
 in  ogni  caso,  condannarsi  la  Banca  alla  restituzione  delle azioni e alla corresponsione degli utili e degli interessi nel frattempo maturati.
Successivamente, nel 2012, con altro atto di citazione, introduttivo del procedimento n. 947/2012 R.G., il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE conveniva nuovamente la RAGIONE_SOCIALE, deducendo ulteriori cause di invalidità dei medesimi atti costitutivi del pegno (e, in particolare, il difetto di legittimazione negoziale del RAGIONE_SOCIALE – avendo gli atti ad oggetto la gestione di servizi nel settore sanitario, materia da considerarsi di competenza esclusiva della RAGIONE_SOCIALE -ed il difetto della forma RAGIONE_SOCIALE prescritta dal R.D. n. 1923/2440).
In  tutti  e  tre  i  suddetti  procedimenti  si  costituiva  la  RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto delle domande attoree.
In particolare, all’udienza dell’11.12.2013 il procedimento iscritto  al  n.  947/2012  R.G.  veniva  riunito  a  quello  portante  il  n. 2353/2010.
4 La prima delle suddette tre cause (quella recante n. 2325/2010) veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti.
Il  Tribunale  di  Forlì,  dopo  aver  rigettato  con  ordinanza  del  14 ottobre 2011 la richiesta di sospensione, con la sentenza n.314/2012 accoglieva l’opposizione proposta dal RAGIONE_SOCIALE e liquidava le spese di lite. In particolare, il giudice di primo grado:
-qualificava l’azione del RAGIONE_SOCIALE attore, nel complesso, quale opposizione all’esecuzione non ancora iniziata e
-dichiarava l’inefficacia dei due contratti di pegno poiché privi del riferimento alla durata e alla riserva di voto ai sensi dell’art. 2352 c.c.
Avverso  la  sentenza  del  giudice  di  primo  grado  proponeva gravame la RAGIONE_SOCIALE, articolando sei motivi d’impugnazione.
Con il primo lamentava la violazione dell’art. 158 c.p.c., poiché il  G.O.T.  estensore  del  provvedimento  impugnato  sarebbe  stato estraneo  all’ufficio  del  Tribunale  di  Forlì,  sez.  distaccata  di  RAGIONE_SOCIALE, essendo  state,  allo  stesso,  temporaneamente  assegnate  solo  le funzioni di  Giudice  delle  esecuzioni  mobiliari, mentre  il  giudizio andava proposto nelle forme del giudizio ordinario.
Con il secondo lamentava la violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. (e, quindi, la nullità della sentenza), in quanto sarebbe stata carente  la  motivazione  adottata  dal  Giudice,  al  punto  da  risultare inidonea a ricostruire la ratio  decidendi e l’ iter logico-giuridico seguìto,  anche  in  virtù  dell’inammissibilità  della  motivazione per relationem contenente solo un generico richiamo agli atti difensivi di una delle parti e alle argomentazioni in essi esposte.
Con il terzo lamentava la violazione dell’art. 112 c.p.c. poiché il primo Giudice si sarebbe pronunciato ultra petita , dichiarando l’inefficacia dei contratti di pegno laddove era stata avanzata generica domanda  di  accertamento  e  dichiarazione  della  ‘insussistenza  dello ius vendendi della Banca’, anche alla luce del separato ed autonomo giudizio  (nel  quale  il  RAGIONE_SOCIALE  aveva  agito  specificatamente  per ottenere la pronuncia giudiziale della nullità e/o annullabilità dei due contratti di pegno).
Con il quarto motivo lamentava la violazione degli artt. 1418 e ss c.c., per non avere, il Giudicante, accertato da quale tipo d’asserita irregolarità giuridica fossero affetti i contratti di pegno (nullità/annullabilità), genericamente dichiarati ‘inefficaci’.
Con il quinto motivo deduceva l’infondatezza della domanda di accertamento dell’insussistenza dello ius vendendi proposta dal RAGIONE_SOCIALE.
Con il sesto motivo lamentava la violazione o falsa applicazione degli artt. 2797 comma 1 c.c., 480 e 481 c.p.c., e dell’art. 12 disp. prel. c.c. laddove il Tribunale aveva qualificato la fattispecie quale opposizione all’esecuzione non ancora iniziata, in applicazione dell’art. 615, comma 1, c.p.c. (cfr. ex pluribus Cass. n. 21908/2008), ma aveva ritenuto applicabile all’intimazione disciplinata nell’art. 2797, comma 1, c.c. le disposizioni di cui all’art. 481 c.p.c. e, implicitamente, all’art. 480 c.p.c. concernenti l’atto di precetto.
Si  costituiva  il  RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE,  istando  per  il  rigetto dell’appello  e  l’accoglimento,  ai  sensi  e  per  gli  effetti  dell’art.  346 c.p.c., delle domande proposte nel giudizio di primo grado e rimaste assorbite dalla sentenza impugnata.
La Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 1753/2021, sia pure con diversa motivazione,
confermava la sentenza del giudice di primo grado,
 condannava  la  cassa  appellante  alla  rifusione  delle  spese processuali relative al grado.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
Ha  resistito  con  controricorso  il  RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE,  che  ha presentato ricorso incidentale.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito a sua volta con controricorso al ricorso incidentale avversario.
Nelle more della odierna udienza il Difensore del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha presentato istanza di riunione al ricorso introduttivo del presente procedimento del ricorso n. 1582/2023, proposto dal RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 2309/2022 della Corte d’appello di Bologna, per motivi di connessione soggettiva (trattandosi di ricorsi pendenti tra le stesse parti) ed oggettiva (controvertendosi in entrambi i giudizi sui due atti costitutivi di pegno di titoli, sottoscritti dall’RAGIONE_SOCIALE AVV_NOTAIO in data 16 aprile e 29 ottobre 1998 in favore della RAGIONE_SOCIALE ed aventi ad oggetto 1107 azioni della società RAGIONE_SOCIALE detenute dal RAGIONE_SOCIALE).
Per l’odierna udienza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni  scritte  mentre  il  Difensori  delle  parti  hanno  depositato memorie a sostegno delle rispettive ragioni.
5. Quanto agli altri due procedimenti (recanti nn. 2353/2010 e 947/2012), la RAGIONE_SOCIALE, nel costituirsi, sosteneva che i due atti costitutivi di pegno erano del tutto validi, in quanto: a) la competenza del Dirigente non avrebbe escluso quella del AVV_NOTAIO, legale rappresentante dell’ente; b) eventuali difformità tra il contenuto del negozio e la delibera del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sarebbero state in ogni caso sanate dagli atti successivamente posti in essere dal RAGIONE_SOCIALE a mezzo dei propri Dirigenti; c) le disposizioni normative invocate dal RAGIONE_SOCIALE a sostegno della tesi della propria incapacità negoziale riguarderebbero la programmazione e la legislazione ma non anche la gestione delle strutture eroganti servizi in materia socio-sanitaria; d) il R.D. n. 2440/1923, concernente l’amministrazione del patrimonio dello Stato, sarebbe insuscettibile di essere applicato analogicamente anche agli enti locali.
All’udienza dell’11.12.2013 il procedimento iscritto al n. 947/2012 R.G. veniva riunito a quello portante il n. 2353/2010.
Il Tribunale di Forlì, con la sentenza n. 597/2014,
rigettava la domanda e
-condannava  parte attrice alla rifusione in favore della convenuta delle spese di legali.
Avverso  la  sentenza  del  giudice  di  primo  grado  proponeva impugnazione il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE articolando quattro motivi.
Con il primo denunciava violazione e falsa applicazione dell’art 1418 c.c. (in via principale), degli artt. 1398-1399 c.c. (in via subordinata) e degli artt. 1425-1444 c.c. in relazione al principio di separazione delle competenze tra organi di indirizzo politico e dirigenti di cui all’art. 3 D.lgs. n. 29/1993 ed art. 51, comma 3, Legge 142/1990. L’atto costitutivo di pegno sottoscritto il 29.10.1998 dal AVV_NOTAIO di RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto essere dichiarato nullo per violazione di norma imperativa o, in via subordinata, inefficace per carenza di potere oppure ancora annullato per incapacità legale poiché ai Dirigenti pubblici spetterebbe una competenza di tipo esclusivo in materia di gestione amministrativa e negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, in ragione del tecnicismo che tali atti richiedono e della connessa responsabilità dirigenziale e in ossequio al principio di necessaria separazione tra le funzioni di tipo politico e quelle di carattere amministrativo; né sarebbero intervenuti successivi atti di ratifica o convalida ad opera del Dirigente, idonei a sanare gli anzidetti vizi;
Con  il secondo  denunciava  violazione  e  falsa applicazione dell’art.  1398  c.c.  e  degli  artt.  1425  e  1442  c.c.  in  relazione  alla difformità degli atti negoziali rispetto a quanto  stabilito con  la deliberazione  a  contrattare.  Entrambi  gli  atti  avrebbero  violato  la
delibera del RAGIONE_SOCIALE in quanto non avrebbero riprodotto la volontà dell’organo, che aveva espressamente disposto che i negozi stipulati con la Banca menzionassero le riserve di durata massima del pegno e di diritto di voto ex art. 2352 c.c.; il Tribunale di Forlì avrebbe pertanto errato nel ritenere che tali difformità attenessero soltanto ai rapporti interni all’Ente, laddove invece avrebbe dov uto dichiarare gli atti inefficaci in quanto viziati da eccesso di potere e non ratificati;
Con il terzo denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 1418 c.c. in relazione ai limiti della legittimazione/capacità negoziale del RAGIONE_SOCIALE. Entrambi gli atti avrebbero violato il limite di scopo costituito dalle competenze istituzionali dell’Ente RAGIONE_SOCIALE, che il Giudice avrebbe dovuto dichiarare carente di legittimazione e dunque privo della capacità di negoziare in favore dell’esclusiva competenza della RAGIONE_SOCIALE e delle RAGIONE_SOCIALE in ambito sanitario. Posto che il finanziamento concesso dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE era finalizzato all’attuazione di un piano di investimenti in infrastrutture ed attrezzature da impiegare nell’ospedale Cervesi di RAGIONE_SOCIALE, il Giudice avrebbe dovut o riconoscere che simili attività attenevano in realtà a competenze proprie della RAGIONE_SOCIALE, rispetto alle quali il RAGIONE_SOCIALE, titolare di funzioni di carattere meramente propulsivo e partecipativo, risultava del tutto estraneo, con conseguente radicale nullità degli atti stipulati al di fuori delle proprie competenze, quali quelli oggetto di causa;
Con il quarto motivo denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 16 comma 1 e dell’art. 69 comma 3 del R.D. 18.11.1923, n. 2440. Il Giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere che il R.D. n. 2440/1923 riguardasse soltanto le Amministrazioni statali, laddove invece  avrebbe  dovuto  dichiarare  nulli  gli  atti  di  pegno  controversi,
perché carenti del requisito della forma RAGIONE_SOCIALE imposto, a pena di nullità,  dalla  citata  normativa,  che,  essendo  precipuamente  volta  a garantire l’attività RAGIONE_SOCIALE negoziale, disciplinerebbe a fortiori anche gli  atti  di  diritto  privato  posti  in  essere  dalle  Amministrazioni  locali, come anche affermato da taluna giurisprudenza.
La RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio chiedendo: in via preliminare, l’inammissibilità  ex  art.  348  bis  c.p.c.  e,  nel  merito,  il  rigetto  per infondatezza  delle  domande,  concludendo  per  l’integrale  conferma della sentenza  impugnata,  con condanna  della controparte alla rifusione  delle  spese  legali  nonché  al  risarcimento  dei  danni  ex  art. 96, commi 1 e 3, c.p.c.
All’udienza del 03.03.2015 -vista l’istanza dell’appellante volta alla riunione della presente causa con quella iscritta al n. 1881/2012 R.G., pendente davanti alla Terza Sezione ed avente ad oggetto l’impugnazione, da parte della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, del provvedimento n. 314/2012 con cui il Tribunale di Forlì aveva accolto l’opposizione proposta dal RAGIONE_SOCIALE nel procedimento n. 2325/2010 -la Corte trasmetteva gli atti al Presidente, il quale, con decreto del 10.03.2015, ordinava che le due cause, ancorché non riunite, avessero una trattazione coordinata.
La  Corte  territoriale,  con  sentenza  n.  2309/2022,  rigettando l’appello, confermava integralmente la sentenza del giudice di primo grado, condannando  parte  appellante alla rifusione delle spese processuali, sostenute dalla controparte.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE  con  il  quale  ha  anche  chiesto  la  riunione  del ricorso al ricorso introduttivo del procedimento del ricorso n. 3469/2022, proposto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di esso comune avverso la sentenza n. 2309/2022 della Corte d’appello
di Bologna, per motivi di connessione soggettiva (trattandosi di ricorsi pendenti tra le stesse parti) ed oggettiva (controvertendosi in entrambi i giudizi sui due atti costitutivi di pegno di titoli, sottoscritti dall’RAGIONE_SOCIALE AVV_NOTAIO in data 16 aprile e 29 ottobre 1998 in favore della RAGIONE_SOCIALE ed aventi ad oggetto 1107 azioni della società RAGIONE_SOCIALE detenute dal RAGIONE_SOCIALE).
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE
Per l’odierna udienza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni  scritte  mentre  il  Difensori  delle  parti  hanno  depositato memorie a sostegno delle rispettive ragioni.
6. Il Collegio -dato atto che il Difensore del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE anche in sede di ricorso introduttivo del giudizio di legittimità recante numero 1582/2023 ha formulato richiesta di riunione; e che il Difensore del RAGIONE_SOCIALE in sede di memoria presentata per l’odierna udienza, sul punto si è rimesso a giustizia, insistendo comunque per il rigetto del ricorso proposto dal RAGIONE_SOCIALE -ha disposto la riunione del ricorso introduttivo del giudizio di legittimità n. 1582/2023 al ricorso n. 3469/2022 introduttivo del presente giudizio di legittimità, ritenendo sussistenti profili di connessione non soltanto soggettiva (essendo pendente tra le stesse parti), ma anche oggettiva: invero -quantunque il ricorso n. 1582/2023 abbia ad oggetto l’esistenza di presunti vizi afferenti i due contratti, costitutivi di pegno di titoli, intercorsi il 14 aprile ed il 29 ottobre 1998 tra il RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, mentre il ricorso n. 3469/2022 ha ad oggetto il successivo procedimento di vendita dei titoli, contestato con opposizione ex art. 2797 c.c. -entrambi i ricorsi sottendono comunque le vicende relative ai menzionati atti costitutivi di pegno di titoli.
Il  Collegio  ha  quindi  deciso  i  ricorsi  riuniti,  riservandosi  di depositare  la  motivazione  dell’ordinanza  nel  termine  di  cui  all’art. 380-bis 1 secondo comma c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La società RAGIONE_SOCIALE (società incorporante di RAGIONE_SOCIALE) articola in ricorso n. 3469/2022 tre motivi.
1.1.Con il primo denuncia, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 158 c.p.c. e dell’art. 2797, commi 2, 3 e 4, c.c., nella parte in cui la Corte territoriale, respingendo l’eccezione da essa formulata fin dalla comparsa di costituzione del giudizio di primo grado, ha disatteso la normativa istitutiva del Giudice Onorario di Tribunale (per brevità, G.O.T.) vigente all’epoca (2010/2012) in cui era stata emessa la sentenza n. 314/2012 del Tribunale di Forlì -Sezione distaccata di RAGIONE_SOCIALE, poi appellata,
Fa  presente  che  nella  relazione  sulla  circolare  del  CSM  21241 del  1.08.2008  si  legge apertis  verbis che  i  Giudici  onorari  devono avere  funzione  ‘collaborativa’  e,  eventualmente,  di  ‘supplenti’  dei Giudici professionali; in tal caso i G.O.T. possono essere destinati alla trattazione  di  alcune  specifiche  controversie  senza  assegnazione  del relativo ruolo. Tra tali controversie non rientrano in alcun modo quelle di merito, come quella oggetto del presente giudizio.
Rileva  che  la  G.O.T.,  che  aveva  emesso  la  sentenza  di  primo grado,  risultava  essere  estranea  all’ufficio  del  Tribunale  di  Forlì  Sezione  distaccata  di  RAGIONE_SOCIALE  (ora  soppresso),  essendo  alla  stessa state  assegnate,  temporaneamente  (cfr.  art.  43 bis ,  comma  2,  R.D. 30.01.1941 n. 12, così come modificato dal D.Lgs. 51/1998), le sole funzioni di Giudice delle esecuzioni mobiliari.
1.2.  Con  il  secondo  denuncia,  in  relazione  all’articolo  360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4 e, quindi, nullità  della  sentenza per omessa motivazione; nonché, in relazione all’art. 360, comma 1, c.p.c., violazione degli artt. 1398 e 1399 c.c., nella parte in cui la corte territoriale ha statuito:
a) in tema di annullabilità (p. 8) <>;
b) nonché nella parte in cui ha statuito: <>.
Si duole che la corte territoriale, tanto affermando:
ha sostanzialmente dichiarato che, rispetto al solo contratto di  pegno  del  29.10.1998,  anche  qualora  dovesse  postularsi  la  sua
sottoscrizione da parte di un falsus procurator, comunque dovrebbe ritenersi intervenuta la ratifica ex art. 1399 c.c., e da tale complessivo accertamento ha tratto la generica (ed invero incomprensibile) affermazione secondo cui <>, b) ha erroneamente rilevato l’inefficacia dei contratti di pegno ( rectius : del contratto di pegno 29.10.1998) rispetto ai terzi acquirenti delle azioni in quanto la ratifica eseguita dagli organi dotati del potere di autorizzazione e sottoscrizione dell’atto sana eventuali profili di inefficacia non solo inter partes, ma erga omnes , e dunque anche rispetto ai terzi acquirenti dei beni oggetto del pegno.
1.3. Con il terzo motivo, articolato in via subordinata e in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., denuncia violazione dell’art. 2797, comma 1 e 2, c.c. e falsa applicazione dell’art. 615 c.p.c., nella parte in cui la corte territoriale ha comunque incidentalmente affermato che, al fine di individuare il modello procedimentale applicabile alla fattispecie della vendita ex art. 2797 c.c., laddove la legge nulla dispone, <<bisogna fare riferimento ai procedimenti di cognizione, nei quali è ricompresa la species del giudizio di opposizione<<, giacché sia nell'opposizione dell'articolo 2797 c.c. che in quella dell'articolo 615 c.p.c. <>, traendone così la conclusione che <>.
Osserva che: a) contrariamente a quanto affermato dalla corte di merito, la procedura scelta dalle parti, e attivata dalla RAGIONE_SOCIALE mediante la RAGIONE_SOCIALEzione su un quotidiano locale dell’avviso di vendita delle azioni oggetto di pegno era diversa e distinta dall’espropriazione forzata; b) il fatto che la vendita ‘privata’ dei beni oggetto di pegno disciplinata dagli artt. 2796 e 2797, ult. co., c.c. non è inquadrabile come una «esecuzione forzata» è desumibile dal fatto che per procedere non è necessario il possesso del titolo esecutivo; c) pertanto, il procedimento di opposizione di cui all’art. 2797, commi 2 e 3, c.c. deve ritenersi disciplinato dalle regole ordinarie del processo di cognizione. Con la conseguenza che, non applicandosi le disposizioni sulla notificazione dell’atto di precetto ed essendo stata regolarmente notificata l’intimazione ex art. 2797, comma 1, c.c. dalla RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima aveva il pieno diritto di procedere alla vendita privata delle azioni oggetto di pegno secondo le modalità indicate nell’avviso di vendita.
2.Il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in sede di ricorso incidentale, articola i seguenti quattro motivi.
2.1.  Con  il  primo  motivo,  formulato  in  relazione  all’art.  360, comma 1, n. 4 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che <>.
Sostiene che la corte territoriale, tanto affermando, ha contraddittoriamente ed incomprensibilmente affermato l”‘irrilevanza” delle domande, che erano state riproposte da esso RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di appello e che erano rimaste assorbite dalla sentenza di primo grado, in violazione dell’art. 111, comma 6, Cast. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. (difetto assoluto di motivazione). Secondo parte ricorrente in via incidentale, infatti, da un lato, l’avvenuta vendita delle azioni oggetto di pegno costituisce circostanza che non risulta dalla ricostruzione dei fatti di causa operata nella sentenza impugnata e, dall’altro, la corte territoriale ha poi preso comunque in considerazione, pronunciando su di esse, le domande riproposte dal RAGIONE_SOCIALE in appello.
2.2. Con il secondo motivo, formulato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale ha disatteso la domanda di nullità dell’atto costitutivo di pegno del 29.10.1998, in violazione e falsa applicazione degli artt. 3 d. lgs. n. 29/1993, 51 comma 3 della legge n. 142/1990 e 1418 c.c. nella parte in cui la corte territoriale ha disatteso la domanda di nullità dell’atto costitutivo di pegno del 29.10.1998 per essere stato sottoscritto dal solo sindaco del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e non anche dal funzionario incaricato dalla delibera autorizzativa del consiglio RAGIONE_SOCIALE.
2.3.  Con  il  terzo  motivo,  formulato  in  relazione  all’art.  360, comma 1, n. 3 c.p.c. (in via parzialmente subordinato,  in quanto il precedente  motivo  riguarda  soltanto  uno  dei  due  atti  costitutivi  di pegno),  censura  la  sentenza  impugnata  nella  parte  in  cui  la  corte territoriale,  nell’accertare  e  dichiarare  l”inefficacia”  di  entrambi  gli
atti costitutivi di pegno, ha erroneamente ritenuto inverata la ratifica dei negozi  conclusi  da falsus  procurator ,  violando  e  comunque falsamente applicando l’art. 1399 c.c.
2.4.  Con  il  quarto  motivo,  formulato  in  via  subordinata  ed  in ordine logico successivo al terzo motivo ed in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale, assumendo l’annullabilità degli atti costitutivi di pegno per vizi del processo di formazione della volontà, ha ritenuto prescritta la relativa azione, in violazione e falsa applicazione dell’art. 1442, comma 1. c.c.
Lo stesso RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE articola nel ricorso n. 1582/2023 (che, si ribadisce, è stato riunito a quello n. 3469/2022) otto motivi.
3.1.  Con  il  primo  motivo,  formulato  in  relazione  all’art.  360, comma 1, n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale, ha rigettato il suo terzo motivo di appello, così motivando (pag. 10 e 11 della sentenza):
<>.
Sostiene che la corte territoriale, tanto affermando, è incorsa in più errori di diritto, in quanto:
ha, nella sostanza, disconosciuto che il riparto delle competenze istituzionali tra i diversi soggetti pubblici dell’ordinamento rilevi anche sul piano della legittimazione negoziale degli Enti stessi, costituendone un limite;
 ha  in  maniera  inconferente  richiamato  il  <>, anche perché introdotto con Legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  131,  ovvero  ben  dopo  la stipula dei nostri atti negoziali,
 ha  sostanzialmente assimilato la RAGIONE_SOCIALE ad un ‘ente dipendente’ o ‘strumentale’ del RAGIONE_SOCIALE (alla stregua di un vincolo di pseudo-appartenenza), atteso che, essendo la fondazione  per  definizione  un  ente  morale  con  personalità  giuridica
dotata di un patrimonio proprio a cui provvede il fondatore, una volta conferito il patrimonio in dotazione, essa diviene un soggetto diverso e  del  tutto  autonomo  rispetto  al  suo  fondatore,  il  quale  perde definitivamente  la  disponibilità  e  la  gestione  dei  beni  destinati  allo scopo statutario.
3.2. Con il secondo motivo, formulato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui  la  corte  territoriale,  respingendo  il  quarto  motivo  di  appello,  ha disatteso la domanda di nullità di entrambi gli atti costitutivi di pegno per  violazione  e  falsa  applicazione  dell’art.  69,  comma  3,  R.D.  18 novembre 1923, n. 2440 (necessità della forma RAGIONE_SOCIALE ad substantiam ), così motivando:
<>.
Si  duole  che  la  corte  territoriale,  tanto  affermando,  non  ha correttamente  inteso  l’ambito  soggettivo  e  oggettivo  di  applicabilità
dell’art.  69,  comma  3,  R.D.  2440/1923,  in  base  al  quale  <>.
3.3. Con il terzo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale non ha affatto motivato, in violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. (difetto assoluto di motivazione), la reiezione della domanda di nullità di entrambi gli atti costitutivi di pegno per violazione dell’art. 16, comma 1, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 (necessità della forma RAGIONE_SOCIALE ad substantiam ).
Si duole che la corte territoriale, nel rigettare il quarto motivo di appello, non ha preso in considerazione l’art. 16, comma 1, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e tale vizio emerge direttamente dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le altre risultanze processuali. Ne consegue che la sentenza è sul punto nulla per difetto assoluto di motivazione, in violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., essendo priva di quel ‘minimo costituzionale’ che costituisce requisito di validità della pronuncia (Cass. sez. VI 25.09.2018, n. 22598).
3.4. Con il quarto motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale, rigettando i primi due motivi di appello, ha disatteso la domanda di nullità dell’atto costitutivo di pegno sottoscritto dal AVV_NOTAIO in data del 29.10.1998, in violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 3 d. lgs. n. 29/1993, dell’art. 51, comma 3, Legge 142/1990 e dell’art. 1418 c.c. (principio di separazione tra attività politica e attività di gestione
amministrativa) nella parte in cui ha affermato (pag. 7, 8 e 9 della sentenza):
<>
<>.
Si duole che la corte territoriale, tanto affermando, ha errato, in quanto: a) <> richiamato (che riconoscerebbe al AVV_NOTAIO il potere di rappresentanza negoziale, in realtà non esiste), in quanto il precedente richiamato (Cass. n. 3079/2010) si riferisce ad un atto negoziale concluso da un AVV_NOTAIO nel lontano 1991, ovvero in epoca antecedente alla riforma dell’assetto degli Enti locali approvata con Legge 15 maggio 1997, n. 127; b) le norme dell’ordinamento locale che dispongono in merito ai poteri di rappresentanza dell’Ente non sono affatto da intendersi come fondanti un sistema di <> tra dirigenti e AVV_NOTAIO, in modo da evitare un <>.
In definitiva, secondo il ricorrente, la stipula di atti negoziali da parte degli organi politici comporta la violazione di una norma imperativa di Legge, con conseguente nullità (o radicale inefficacia) degli stessi ai sensi dell’art. 1418 c.c. (come già affermato da questa Corte in epoca antecedente alle riforme con sentenze n. 10631/2007 e n. 2996/1979); e l’atto costitutivo di pegno del 29.10.1998 è nullo per violazione di norme imperative ai sensi dell’art. 1418 c.c. e tale radicale vizio negoziale è insuscettibile di sanatoria.
3.5. Con il quinto motivo, articolato in via subordinata rispetto ai  precedenti  e  formulato  in  relazione  all’art.  360,  comma  1,  n.  3 c.p.c.,  censura  la  sentenza  impugnata  nella  parte  in  cui  la  corte territoriale, nel respingere il secondo motivo di appello, ha argomentato affermando: <>.
In sostanza si duole che la corte territoriale, nel respingere la domanda di inefficacia degli atti costitutivi di pegno perché conclusi in difetto  del  potere  rappresentativo,  ha  erroneamente  ritenuto  che  le difformità  rispetto  alla  delibera  C.C.  n.  27  del  07.03.1998  rilevano soltanto sul piano della responsabilità e dei rapporti interni e non sul piano  della  validità  ed  efficacia  degli  atti,  in  violazione  e  falsa applicazione dell’art. 1398 c.c.
Sottolinea che la statuizione è errata: sia perché la delibera di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che autorizza la stipula di atti negoziali comportanti  impegni  di  bilancio  pluriennali  (come  devono  ritenersi, dal punto di vista contabile, gli atti di che trattasi, vista la possibilità di escussione e di vendita da parte del creditore pignoratizio) assume la funzione di una vera e propria delibera a contrattare, prevedente,
tra l’altro, ‘l’oggetto del contratto, la sua forma e le clausole ritenute essenziali’, come previsto dall’art. 56 L. 142/1990 (vigente al momento dei fatti); sia perché la consolidata giurisprudenza riconosce rilevanza esterna ai vizi afferenti alla procedura di perfezionamento dei contratti della PRAGIONE_SOCIALE., anche e soprattutto se riguardanti le difformità o discrepanze esistenti tra le deliberazioni preparatorie a contrattare ed i contratti stessi, che si traducono nella “rappresentanza senza potere” (eccesso di potere) ai sensi dell’art. 1398 Codice Civile, con conseguente inefficacia dell’atto nei confronti del rappresentato ai sensi dell’art. 1398 c.c.
3.6. Con il sesto motivo, strettamente connesso con il precedente e articolato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale, nel respingere la domanda di inefficacia degli atti costitutivi di pegno perché conclusi in difetto del potere rappresentativo, ha erroneamente  ritenuto  inverata  la  ‘ratifica’  di  detti  negozi  con  la delibera C.C. n. 13 del 15.02.2007, in violazione e falsa applicazione dell’art. 1399 c.c.
In particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale con riferimento alle <>, ha riconosciuto <>, e, richiamando <> (svolte nel capoverso precedente a proposito della disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri), ha affermato quanto segue: <>.
Sostiene che la corte territoriale, tanto affermando, non soltanto ha argomentato sulla base di una motivazione contraddittoria rispetto all’affermazione censurata con il motivo precedente (secondo la quale <>), ma ha anche violato o applicato falsamente l’art. 1399 c.c., in quanto, nel ritenere integrata la ‘ratifica’ degli atti negoziali costitutivi di pegno con la delibera C.C. n. 13 del 15.02.2007, non ha considerato che, ai sensi dell’art. 1399, comma 1, c.c., la ratifica dell’atto negoziale può avvenire soltanto ‘con la osservanza delle forme prescritte per le conclusioni di esso’, ovvero, nel caso di specie, trattandosi di Pubblica Amministrazione, mediante un apposito atto negoziale avente forma scritta ad substantiam ai sensi degli artt. 16 e 17 R.D. 18 novembre 1923, n. 2440.
3.7.  Con  il  settimo  motivo,  articolato  in  via  subordinata  ed  in ordine logico successivo ai motivi precedenti e formulato in relazione all’art.  360,  comma  1,  n.  4,  c.p.c.,  censura  la  sentenza  impugnata nella parte in cui la corte territoriale, dopo avere ritenuto inverata la
‘ratifica’  degli  atti  costitutivi  di  pegno  ex  art.  1399  c.c.  con  la delibera  C.C.  n.  13  del  15.02.2007,  non  ha  affatto  motivato,  in violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. (difetto assoluto di motivazione), la reiezione della domanda di inefficacia di tali atti in relazione alla proroga biennale disposta da tale delibera.
Sottolinea che la corte territoriale ha ritenuto integrata la ‘ratifica’ degli atti negoziali costitutivi di pegno con l’adozione della delibera n. 13 del 15.02.2007, con cui il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva stabilito di prorogare la durata del pegno; ma, nel compiere tale valutazione, la Corte ha omesso di considerare che la proroga disposta dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era temporalmente limitata ad anni due, di tal che, quand’anche detta delibera avesse ‘ratificato’ gli atti negoziali (costitutivi di pegno 16.04.1998 e del 29.10.1998), detta sanatoria avrebbe potuto operare soltanto nei limiti della chiara manifestazione di volontà espressa dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ovvero soltanto per altri due anni (rispetto alla durata originaria di 9 anni) e quindi rispettivamente sino al 16.04.2009 e sino al 29.10.2009: con la conseguenza che entrambi gli atti costitutivi di pegno, alla data della proposizione dell’azione giudiziale da parte del RAGIONE_SOCIALE, erano privi di efficacia.
3.8. Con l’ottavo motivo, articolato in via gratamente subordinata ed in ordine logico successivo ai precedenti motivi e formulato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale, nel rigettare i primi due motivi, non ha affatto motivato, in violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. (difetto assoluto di motivazione), la reiezione della domanda di annullabilità ex art. 1425 c.c. di entrambi gli atti costitutivi di pegno
(che era stata formulata dal RAGIONE_SOCIALE in via gradatamente subordinata).
Sottolinea che una motivazione sul punto non è data scorgere nel rilievo conclusivo del punto 2 della sentenza (pag. 10), laddove la corte ha osservato che <>, in quanto: da una parte l’espressione <> non realizza una motivazione per relationem (peraltro ad un passo di una sentenza espresso incidenter tantum ) e, d’altra parte, il riferimento alla ‘ratifica’ dei negozi fa presumere che la corte abbia inteso riferirsi alla questione della ‘inefficacia’ dei negozi per falsa rappresentanza (e quindi all’art. 1399 c.c.) e non alla questione della annullabilità dei contratti (per la quale opera il ben diverso istituto della ‘convalida’ ex art. 1444 c.c.).
Si reputano opportune alcune considerazioni di sistema.
Il  pegno,  essendo  un  diritto  reale  di  garanzia:  da  un  lato, consente  al  creditore  di  soddisfarsi  in  via  preferenziale  (salvo  i creditori eventualmente muniti di un privilegio speciale, eccezionalmente  rispetto ad esso prevalente) sul bene  che  ne costituisce  l’oggetto  (art.  2787  primo  comma  c.c.);  e,  dall’altro,  è sempre opponibile anche agli eventuali terzi acquirenti.
Sua  caratteristica fondamentale è l’accessorietà al credito garantito: il pegno si estingue nel momento in cui, per una qualsiasi ragione, il rapporto obbligatorio viene meno.
Il  pegno  si  costituisce  mediante  un  contratto,  stipulato  fra  il creditore ed il debitore o il terzo datore del bene, che deve presentare
forma scritta, data certa ed un contenuto idoneo ad indicare con sufficiente certezza sia il credito garantito che il bene costituito in pegno (art. 2787 comma terzo). Il contratto costitutivo del pegno è un contratto ‘reale’, cioè che si perfeziona con la consegna della cosa (o del documento che determina, nel creditore, l’esclusiva disponibilità del bene): detta consegna realizza una funzione in senso lato pubblicitaria, nel senso che, nelle intenzioni del legislatore, lo spossessamento del proprietario dovrebbe risultare indicativo della esistenza del pegno; d’a ltra parte, ove il bene costituito in pegno non sia più -al momento dell’esecuzione nel possesso del creditore o del terzo designato dalle parti, il primo non può vantare titolo di prelazione alcuna (art. 2787 secondo comma c.c.).
Oltre che dal debitore, il pegno può essere costituito da un terzo (c.d. terzo datore di pegno), che concede un proprio bene a garanzia di un rapporto obbligazionario altrui pur essendo un soggetto estraneo al rapporto stesso. Dunque, anche il terzo datore di pegno, come il fideiussore, garantisce il debito di un terzo, ma, contrariamente al fideiussore (che risponde con tutti i suoi beni), il terzo datore risponde solo con il bene su cui è stato costituito il pegno e, quindi, assume una responsabilità limitata al bene oggetto di garanzia con la conseguenza che è semplicemente tenuto a tollerare l’azione esecutiva contro il proprio bene in caso di inadempienza del debitore principale.
Per effetto della costituzione del pegno, il creditore garantito: a) consegue il possesso del bene pignorato (ed è dunque legittimato ad esperire  sia  le  azioni  possessorie  sia,  ove  necessario,  l’azione  di rivendicazione); b) ha facoltà di domandare al giudice l’assegnazione in pagamento del bene pignorato, fino alla concorrenza del credito (in tale caso, il bene viene stimato dal giudice, salvo che non abbia un
prezzo di mercato); c) ma soprattutto ha il diritto di prelazione (cioè, se il debitore non adempie, ha facoltà di far vendere il bene, secondo le  modalità  dei  pubblici  incanti  ed  ha  il  diritto  di  conseguire  il pagamento,  con  preferenza  rispetto  agli  altri  creditori,  sul  prezzo ricavato dalla vendita).
In particolare, l’esercizio dello ius distraendi (cioè della facoltà del creditore pignoratizio di far vendere la cosa ricevuta in pegno, onde soddisfarsi in via preferenziale sul ricavato), oltre che nella forma ordinaria della espropriazione mobiliare disciplinata dal codice di rito, può aver luogo attraverso la procedura semplificata prevista dagli artt. 2796 e 2797 c.c.: il creditore non deve munirsi di un titolo esecutivo, ma deve soltanto notificare al debitore, a mezzo di un ufficiale giudiziario, una intimazione di pagamento, contenente l’avvertimento che, in difetto di pagamento, si procederà alla vendita del bene costituito in pegno. Se il debitore non si oppone entro cinque giorni, o se l’opposizione è rigettata, il creditore può incaricare un ufficiale giudiziario della vendita all’incanto (o al prezzo corrente di mercato) della cosa (secondo uno schema analogo a quella previsto per la esecuzione coattiva del contratto di vendita di beni mobili: art. 1515 c.c.), sempre che le parti non abbiano concordato forme diverse di vendita.
Il pegno ha generalmente ad oggetto (art. 2784 secondo comma c.c.) i beni mobili (eccetto quelli registrati), le universalità di mobili, i crediti ed altri diritti aventi per oggetto beni mobili infungibili: in tal caso si parla di ‘ pegno regolare ‘ , al quale sono applicabili le disposizioni relative alla custodia, all’uso e alla disposizione del bene costituito in pegno, poiché esse presuppongono che il creditore debba restituire, una volta esaurito il rapporto, esattamente lo stesso bene, di cui ha solo il possesso. Rientrano nello
schema generale del pegno anche le ipotesi in cui le cose costituite in pegno, pur se fungibili, sono state esattamente determinate.
Tuttavia, il pegno può avere ad oggetto anche somme di denaro, merci e titoli di credito: nel quale caso, caratterizzato dalla natura fungibile del bene offerto in garanzia, il creditore acquista la proprietà delle cose pignorate ed è obbligato a restituirne la stessa quantità (c.d. ‘ pegno irregolare ‘ ). Inoltre, in caso di inadempimento del debitore, al creditore non sarà necessario attivare la procedura di vendita (o di assegnazione) del bene: tutto si risolverà in una mera operazione contabile di compensazione, fino alla reciproca concorrenza, tra l’importo del credito e l’ammontare della somma di denaro (o il valore della merce o dei titoli) dati in garanzia.
Oggetto  di  pegno  possono  essere  anche  le  azioni  o  quote  di società di capitali: in tal caso l’essenza del pegno sta nel consentire al creditore  pignoratizio  di  poter  direttamente  incidere  sulla  vita  della società e quindi vigilare sull’integrità e sulla capienza del patrimonio sociale.
Ciò posto, la complessità e l’annosità della vicenda non può esimere  questa  Corte  dal  rilievo,  anche  ufficioso,  dell’originaria  non integrità del contraddittorio, per la centrale importanza del principio della  necessità  di  rispettare  quest’ultimo  e  la  persistenza  dei  seri conseguenti rischi per gli sviluppi del giudizio.
Occorre premettere che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte: a) l’opposizione alla vendita della cosa data in pegno, prevista dall’art. 2797 cod. civ., ha la sostanziale natura di opposizione all’esecuzione, riconducibile all’art. 615 cod. proc. civ., ed è  perciò  soggetta  alle  stesse  regole  processuali  di  quest’ultima  (cfr. ad es. Cass. n. 21908/2008); b) in caso di espropriazione contro il terzo  proprietario, il debitore  originario  o  diretto è litisconsorte
necessario, essendo il soggetto nei cui confronti l’accertamento della sussistenza e dell’entità dei crediti posti a base dell’azione esecutiva contro il terzo è destinato a produrre effetti immediati e diretti, sicché, ove egli non sia stato evocato in giudizio, la sentenza resa nella controversia distributiva è inutiliter data e la conseguente nullità, se non precedentemente rilevata in sede di merito, deve essere rilevata d’ufficio dal giudice di legittimità con rimessione della causa al giudice di primo grado (cfr. ad es. Cass. n. 8891/2015).
Nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE,  debitore originario o diretto, non risulta mai essere stato ritualmente coinvolto in giudizio e, a giustificazione di  tale  mancato  coinvolgimento, nessuna allegazione è mai stata neppure sottoposta a questa Corte.
Pertanto, in applicazione dell’art. 383 comma 3 c.p.c. non si ravvisa altro percorso decisorio praticabile che – pronunziando sui ricorsi (ma senza esaminarli nel merito, tanto da lasciare impregiudicate tutte le questioni da quelli sollevate) – cassare le sentenze di primo e secondo grado e rimettere la causa al Tribunale di Forlì, giudice di primo grado ed in persona di diverso giudicante, affinché riesamini la controversia una volta restaurata l’integrità del contraddittorio.
La necessità di una compiuta riconsiderazione dell’intera complessa controversia induce a rimettere al giudice del rinvio ogni determinazione anche sulle spese dell’intero giudizio, comprese quelle di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, pronunziando sui ricorsi principali riuniti e sul ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3, e art. 354 c.p.c., cassa le sentenze nn. 1753/2021 e 2309/2022 della Corte d’appello di Bologna e rimette le parti al Tribunale di Forlì, in persona di diverso
giudicante, anche per le spese dell’intero giudizio, comprese quelle di legittimità.
Così  deciso  in  Roma,  il  18  dicembre  2023,  nella  camera  di