Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26337 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26337 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7424/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
LIQUIDAZIONE
GIUDIZIALE
ECOMONTIPARIOLI
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 1316/2024 depositata il 23/02/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1316/2024, depositata il 23.2.2024, ha rigettato il reclamo proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del 30.3.2023 con cui il Tribunale di Roma ne ha dichiarato la liquidazione giudiziale.
Per quanto ancora rileva, il giudice di secondo grado ha accertato in via incidentale la sussistenza del credito vantato dal creditore istante NOME COGNOMEcosì aderendo alle conclusioni cui era addivenuto il giudice del reclamo cautelare – ritenendo, nella valutazione comparativa delle condotte dello stesso creditore e della società poi fallita nell’ambito del rapporto dagli stessi instaurato con la stipula di un contratto di preliminare di compravendita immobiliare, che la causa prevalente cui imputare la crisi del sinallagma contrattuale fosse ascrivile alla condotta della società promittente venditrice.
In ogni caso, anche a voler ritenere imputabile alla promissaria acquirente la mancata stipula del contratto definitivo, l’incameramento da parte della RAGIONE_SOCIALE degli acconti versati (€ 5.000.000,00), a titolo di penale, si poneva in contrasto con i principi di buona fede e proporzionalità di cui all’art. 1384 c.c., imponendo una diminuzione della penale, con il riconoscimento del diritto della società reclamante al trattenimento di quanto ricevuto
a titolo di caparra (€ 1.300.000), con l’obbligo di restituzione della parte residua incamerata a titolo di acconto sul prezzo.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo ad un unico articolato motivo.
NOME COGNOME ha resistito in giudizio con controricorso. La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Sono state dedotte la nullità della sentenza per violazione dell’art. 24 Cost . in relazione all’art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c. per carenza di legittimazione ad agire del creditore istante, stante l’inesistenza del diritto di credito vantato e la nullità, altresì, per violazione dell’art. 2 CCII in relazione all’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c. stante l’insussistenza dello stato di insolvenza per insussistenza del credito, rappresentante l’unica rilevante posizione debitoria gravante sulla società.
Espone la ricorrente che i giudici di merito hanno fondato la propria decisione sull’accertamento condotto nell’ambito del procedimento cautelare per sequestro conservativo richiesto dalla COGNOME. In particolare, l’ordinanza di sequestro conservativo, secondo il giudice a quo, avrebbe rappresentato il titolo in virtù del quale COGNOME sarebbe stata legittimata ad agire in giudizio per chiedere l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale.
Orbene, rileva la ricorrente che il giudizio nell’ambito del quale si è formata l’ordinanza di sequestro conservativo si è definitivamente estinto, a norma degli artt. 305 e 307 c.p.c., essendo stato interrotto in data 7.9.2023 e non riassunto nel termine perentorio di tre mesi.
Ne consegue che a seguito dell’estinzione del predetto giudizio, portante il n° RG 14968/2022, non essendosi l’accertamento concluso, nemmeno può affermarsi l’esistenza del credito vantato dalla signora COGNOME
Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (Cass. n. 19477/2022; Cass. n. 21144/20; conf. Cass. S.U. n. 1521/2013; Cass. n. 30827/2018; Cass. n. 576/2015; Cass. n. 11421/2014; Cass. n. 23760/2023 non mass.) nel vigore dell’art 6 legge fallimentare – il cui testo è stato nella sostanza riprodotto nell’art. 37 CCII quello secondo cui, ‘I n tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante’.
Dunque, nella formulazione dell’art. 6 citato, con la dizione di “creditore”, senza alcuna ulteriore specificazione -esattamente come nell’attuale art. 37 CCII – il legislatore ha voluto indicare tutti coloro che vantano un credito nei confronti dell’imprenditore, ma non necessariamente certo, liquido ed esigibile, la cui esistenza sia stata però delibata dal Tribunale Fallimentare.
La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del principio sopra enunciato svolgendo un’autonoma delibazione incidentale circa la sussistenza del credito dedotto a sostegno dell’istanza, seppur richiamando alcune argomentazioni dei giudici del procedimento cautelare di sequestro conservativo che avevano già delibato la sussistenza del credito vantato dalla COGNOME.
Sul punto, la società ricorrente non ha colto la ratio decidendi del provvedimento impugnato, atteso che i giudici di merito che hanno esaminato l’istanza di liquidazione giudiziale non hanno affatto fondato la propria decisione esclusivamente sull’accertamento condotto nell’ambito del procedimento cautelare per sequestro conservativo richiesto dalla COGNOME, pur condividendone le
argomentazioni e le conclusioni, ma, come detto, conducendo un’autonoma e più ampia delibazione incidentale.
In particolare, la sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza dell’ingente credito vantato dal creditore nella prospettiva che la responsabilità della risoluzione del contratto preliminare di compravendita fosse ascrivibile alla società fallita, ma anche nella prospettiva in cui la crisi del sinallagma contrattuale fosse imputabile al promissario acquirente: in ogni caso, l’incameramento, a titolo di penale e da parte della fallita, degli acconti per l’importo assai ragguardevole di € 5.000.000 si poneva in evidente contrasto con i principi di buona fede e proporzionalità, e doveva quindi essere drasticamente ridotto ad € 1.300.000, per i titoli e come sopra illustrati, con conseguente obbligo della società poi fallita di restituire la differenza.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 10.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma in data 11.9.2025
Il Presidente NOME COGNOME