Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21069 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21069 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2294/2022 R.G.
proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (EMAIL), dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (EMAIL) e dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (pec: EMAIL)
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO, dall’ AVV_NOTAIO (EMAIL) – controricorrente – avverso la sentenza n. 1870 del 15/6/2021 della CORTE D’APPELLO DI MILANO;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/4/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette la memoria della ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, la RAGIONE_SOCIALE domandando la risoluzione del contratto concluso con la convenuta e il risarcimento dei danni; affermava l’attrice che le parti avevano stipulato un contratto, con clausola di esclusività, di somministrazione di alimenti e bevande mediante distributori automatici, concessi al cliente in comodato gratuito ed installati presso gli stabilimenti in Lamezia Terme per una durata di 1095 giorni; stante l’installazione nei locali della RAGIONE_SOCIALE di distributori automatici di altri concorrenti, la RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto al ritiro anticipato dei distributori installati e, in ragione dell’inadempimento riscontrato, aveva agito per la risoluzione e per il risarcimento del danno per mancato guadagno quantificato in Euro 7.302,69.
2. La convenuta restava contumace e il primo grado si concludeva con la sentenza n. n. 8828 del 2/10/2019 che, nel dispositivo, rigettava le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE.
3. Quest’ultima proponeva impugnazione e, in contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE (costituitasi nel secondo grado), la Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 1870 del 15/6/2021, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, «dichiarata la risoluzione del contratto di somministrazione di cui in narrativa per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, condanna quest’ultima al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE, a titolo di risarcimento danni, della somma di € 5.000,00=, oltre int eressi legali dalla data della presente sentenza al saldo», nonché alle spese di entrambi i gradi.
4. Avverso detta sentenza la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, affidato a sette motivi; resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
5. La ricorrente depositava memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, formulato ai sensi dell ‘ art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., la RAGIONE_SOCIALE deduce la «Violazione degli artt. 12 disposizioni sulla legge in generale, 324 c.p.c., 2909, 1453 e 1455 c.c.», per avere la Corte di merito ritenuto che la sentenza di primo grado, pur contenendo un dispositivo di rigetto della domanda di risoluzione, abbia invece accolto la predetta domanda, risultando accertato l’ inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, benché la pronuncia del primo giudice non contenesse uno specifico accertamento sulla gravità e sull’ imputabilità dell’inadempimento (che, in base al combinato disposto degli artt. 1453 e 1455 cod. civ., costituiscono presupposti indefettibili della risoluzione giudiziale); inoltre, avendo la sentenza di primo grado respinto anche la domanda risolutoria, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto censurare tale e non soltanto impugnare il rigetto della domanda risarcitoria, sicché sul relativo capo si è formato il giudicato.
2. Col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ., si denuncia la «violazione degli artt. 111 Cost., 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118, comma 2, disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.», per avere la Corte di merito affermato che, in base all’interpretazione della sentenza di primo grado, la domanda di risoluzione doveva reputarsi accolta in primo grado e, di contro, che la RAGIONE_SOCIALE poteva semplicemente riproporre la domanda in appello ex art. 346 cod. proc. civ., determinandosi così un irriducibile contrasto nella motivazione.
3. Col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ., la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione dell’art. 346 cod. proc. civ., perché la domanda di risoluzione, espressamente esaminata in primo grado e respinta, doveva formare oggetto di tempestivo e specifico appello, spiegato nei termini di cui all’art. 343 c od. proc. civ. e fondato su specifici motivi secondo il disposto dell’art. 342 stesso
codice; se, viceversa, la domanda fosse stata accolta in primo grado, l’intimata non avrebbe avuto alcun onere di riproposizione; in ogni caso, la domanda risolutoria non era stata in alcun modo riproposta dall’intimata IVS, che aveva impugnato soltanto il rigetto della domanda risarcitoria.
I motivi possono essere congiuntamente esaminati, in quanto intimamente connessi.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso introduttivo, la Corte di merito -dopo aver premesso che il tenore della pronuncia deve essere desunto non soltanto dal dispositivo, bensì da una sua interpretazione in base alla motivazione -non ha affatto dato una contraddittoria lettura della pronuncia di primo grado, ma ha chiaramente illustrato gli elementi in base ai quali ha ritenuto che, a dispetto di un ambiguo dispositivo, dalla motivazione si potesse ricavare che la domanda di risoluzione era stata accolta dal Tribunale.
6. Infatti, nella sentenza impugnata si legge: «come si ricava in modo univoco dalla motivazione della sentenza, il giudice di prime cure, pur rigettando indistintamente -nel dispositivo -le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE, ‘per mancanza di prova del danno’, ha in realtà accertato l’intervenuta risoluzione del contratto inter partes per inadempimento della convenuta RAGIONE_SOCIALE, ritenendo doversi dare per ‘ammessi i fatti dedotti dall’attrice’ (concernenti l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE ai suoi obblighi contrattuali, quali risultanti dalla documentazione prodotta dall’attrice , per avere installato presso la sua sede distributori di bevande di un’azienda concorrente di IVS spostando e scollegando quelli di quest’ultima), non essendosi la convenuta costituita in giudizio e non essendosi il suo legale rappresentante presentato per rendere l’interrogatorio formale all’udienza appositamente fissata, e dato es pressamente atto che ‘il contratto è stato
risolto anticipatamente rispetto alla data di scadenza contrattualmente pattuita, con ciò rendendosi inadempiente alle pattuizioni contrattuali’».
7. L ‘odierna ricorrente sostiene che tale lettura è errata perché difettano, nella prima decisione, specifiche statuizioni in ordine alla gravità dell’inadempimento: la censura (primo motivo) non coglie nel segno -ed è inammissibile -sia perché, in violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., non riporta compiutamente le statuizioni della sentenza di primo grado, sia perché introduce artatamente elementi ulteriori che, a suo avviso, il giudice d’appello avrebbe dovuto considerare, senza però confrontarsi con la diversa ermeneusi svolta nella sentenza impugnata, sia perché l’eventuale mancata considerazione della gravità dell’inadempimento poteva (al più) formare oggetto di appello, non proposto dalla RAGIONE_SOCIALE.
8. La ricorrente, poi, imputa alla sentenza impugnata un’irriducibile contraddittorietà, nella parte in cui -dopo aver ritenuto che la domanda di risoluzione fosse già stata accolta in primo grado -ha proseguito affermando che «stando così le cose, deve ritenersi che non occo rreva che IVS, nell’impugnare la sentenza di primo grado, ne confutasse anche l’ iter argomentativo (favorevole all’appellante) posto a base della statuizione di rigetto della domanda di risoluzione contrattuale contenuta nel dispositivo, essendo invece sufficiente, ai sensi dell’art. 346 cpc, la riproposizione della domanda stessa».
9. La predetta affermazione del giudice d’appello è sicuramente erronea, perché la riproposizione ex art. 346 cod. proc. civ. riguarda le domande e le eccezioni rimaste assorbite dall’accoglimento di altra domanda o eccezione, non già il rigetto della domanda stessa, la quale non può essere riproposta, occorrendo invece una specifica impugnazione per superare la reiezione dell’istanza .
Ciononostante, è evidente che la frase sopra riportata costituisce un mero obiter dictum nella sentenza della Corte milanese, posto che la statuizione non ha alcuna incidenza sulla decisione, la quale, inequivocabilmente, afferma che la domanda di risoluzione era già stata accolta dal primo giudice.
La censura (svolta col secondo e col terzo motivo) è, dunque, inammissibile perché priva di decisività.
Col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione dell’art. 34 2 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito erroneamente rigettato l’eccezione di difetto di specificità dell’appello.
La censura è infondata.
Nella sentenza impugnata si legge: «Destituita di fondamento è, altresì, l’eccezione di inammissibilità dell’appello ‘per genericità’, ai sensi dell’art. 342 cpc, atteso che nell’atto di gravame risultano compiutamente indicate sia le parti della sentenza oggetto di impugnazione, sia le modifiche che si intendono ad essa apportare, sia le circostanze delle asserite violazioni di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione.».
A tale argomentazione la ricorrente contrappone che «l’odierna intimata con i motivi di appello non ha mosso, come avrebbe dovuto, una critica purchessia alla motivazione e, precisamente, alle ragioni per le quali la sentenza di primo grado ha motivatamente rigettato la domanda risarcitoria, in considerazione della mancanza di prova e dell’inefficienza probatoria dei documenti allegati si è, infatti, limitata a riproporre -genericamente, acriticamente e senza alcun riferimento alla sentenza impugnata -gli assunti difensivi svolti in primo grado senza minimamente confutare le ragioni giustificative della sentenza, contrapponendo ad esse altre ragioni che potessero condurre ad una soluzione opposta».
16. È sufficiente leggere l’atto di appello di RAGIONE_SOCIALE, puntualmente riportato nel ricorso (segnatamente, a pag. 23), per avvedersi dell’inconsistenza della censura e, di contro, della specificità delle argomentazioni e delle critiche svolte dall’appellante: «Il Tribunale di Milano ha ritenuto per ammessi i fatti dedotti dall’attrice, motivando sulla base della circostanza che ‘la convenuta non si è costituita in giudizio, non ha sollevato alcuna contestazione n é si è presentata per rendere l’interpello’. Tale corretta motivazione non è per ò stata applicata -inspiegabilmente -anche alla liquidazione dei danni richiesti dall’attrice. Si precisa che a sostegno della domanda risarcitoria veniva allegata numerosa documentazione comprendente: il contratto sottoscritto tra le parti con allegato il listino prezzi vigente (doc. 3 del fascicolo attoreo); un prospetto matematico, che riporta i consumi registrati nei mesi precedenti dai macchinari installati presso la convenuta, dal quale è possibile desumere i consumi che, molto probabilmente, IVS avrebbe ottenuto se il contratto fosse stato osservato sino alla naturale scadenza (doc. 7 fascicolo attoreo); l’attrice allegava inoltre una tabella schematica ed esplicativa del doc. 7 al fine di agevolarne la comprensione (doc. 10 fascicolo attoreo) ed infine produceva una certificazione di un professionista revisore dei conti (doc. 11 fascicolo attoreo), il quale confermava la correttezza dei dati contenuti nel doc. 7. Con la memoria n. 2 ex art 183, comma 6 cpc, questa difesa aveva chiesto anche l’ammissione di prove testimoniali che avrebbero potuto fornire ulteriori elementi di prova sia a dimostrazione degli inadempimenti della convenuta, sia della quantificazione del danno subito. Nonostante questo e nonostante la precisa articolazione delle domande formulate da IVS, le stesse sono state rigettate per mancanza della prova del danno. Questa difesa contesta fermamente l’erronea motivazione del giudice di primo grado in relazione al rigetto delle domande per mancata prova del danno. Infatti il Tribunale di Milano, avendo chiaramente
ritenuto per ammessi i fatti dedotti dall’attrice, avrebbe dovuto estendere tale ammissione anche all’operata quantificazione dei danni. Non vi è alcun motivo per scindere l’ an ed il quantum debeatur , n é tale motivo è stato minimamente accennato dal Giudice. La conseguenza è che il Tribunale di Milano, ritenendo per ammessi i fatti dedotti dall’attrice -senza alcuna limitazione – (v. pag. 3 in fine della sentenza), avrebbe dovuto, come logica cons eguenza, dichiarare l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE e condannarla al risarcimento dei danni come richiesto. Il Giudice di primo grado invece ha affermato come l’attrice non abbia prodotto alcuna documentazione a supporto della domanda risarcitoria ritenendo di non poter ricorrere nemmeno alla liquidazione in via equitativa.»).
Col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., si deduce la violazione dell’art. 163 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente rigettato l’eccezione di nullità della domanda, ancorché la causa petendi fosse generica, e ritenuto che le allegazioni poste a fondamento della domanda potessero essere integrate dai documenti prodotti a corredo della stessa.
Dal ricorso non emerge se (e quando) la contestazione della validità dell’atto introduttivo del giudizio sia stata svolta dall’odierna ricorrente e ciò rende inammissibile la censura, anche alla luce del principio secondo cui «La eventuale nullità, non sanata, dell’atto introduttivo carente dei requisiti prescritti dall’art. 163, comma 3, nn. 3) e 4), c.p.c., cui fa riferimento l’art. 164, comma 4, c.p.c., risolvendosi in motivo di nullità della sentenza conclusiva del giudizio di primo grado, ove non sia fatta valere in appello né dal soccombente né dal vincitore assolto dalla domanda di merito proposta nei suoi confronti, non può essere dedotta per la prima volta nella fase di cassazione, a causa della intervenuta preclusione derivante dal principio, affer mato dall’art. 161 c.p.c., di conversione dei motivi di nullità
della sentenza in motivi d’impugnazione.» ( Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2755 del 05/02/2018, Rv. 647793-01).
Peraltro, l’odierna ricorrente era contumace in primo grado e non ha appellato la decisione del primo giudice, sicché si può presumere che la contestazione ex art. 163 cod. proc. civ. non sia mai stata ritualmente sollevata nei gradi di merito.
Col sesto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 1226 e 2697 c.c., per avere la Corte di merito desunto la prova degli elementi costitutivi della domanda risarcitoria facendo erronea applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., per avere erroneamente ritenuto sussiste nte la prova degli elementi costitutivi della domanda risarcitoria, ancorché tali elementi non fossero stati neppure allegati, nonché per avere fatto ricorso alla liquidazione equitativa, in carenza dei suoi presupposti applicativi.
La censura è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della pronuncia impugnata e, anzi, erroneamente individua l’applicazione, nella fattispecie, dell’art. 115 cod. proc. civ., di cui poi denuncia la violazione.
Al contrario, il giudice d’appello non ha affatto applicato la predetta disposizione, ma ha valutato il materiale probatorio apprezzandolo anche alla luce della mancanza di contestazioni avversarie (nonché della mancata comparizione del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE a rendere l’interrogatorio formale nel corso del primo grado) : un conto è ritenere provato un fatto allegato e non contrastato dalla controparte costituita ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ.; un altro è apprezzare e valutare il materiale probatorio ex art. 116 cod. proc. civ., adoperando, quale criterio per attribuirgli affidabilità, anche la mancata contestazione.
Col settimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., degli artt. 111 Cost., 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118, comma 2, disp. att. c.p.c., per aver mancato la Corte di merito di fornire adeguata motivazione sull’impossibilità o difficoltà della prova del danno.
Il motivo è infondato.
Per quantificare il danno subito dalla RAGIONE_SOCIALE, considerato provato nell’ an in base alle prove fornite e valutate dal giudice d’appello, la Corte di merito ha fatto ricorso al criterio equitativo e ha ritenuto che, se il rapporto contrattuale con RAGIONE_SOCIALE fosse proseguito fino alla sua naturale scadenza, anziché cessare anticipatamente per fatto e colpa di quest’ultima, la RAGIONE_SOCIALE ne avrebbe tratto un guadagno, impossibile da determinare con sufficiente precisione e, dunque, liquidato equitativamente in Euro 5.000,00.
Dall’esame del motivo risulta evidente che, con la lamentata violazione dell’art. 1226 cod. civ. (secondo RAGIONE_SOCIALE, la Corte di merito non avrebbe illustrato né le ragioni della impossibile o difficoltosa prova dell’ammontare del pregiudizio, né i criter i adottati per la sua quantificazione), la ricorrente ha, in realtà, denunciato l’insufficienza della motivazione fornita dal giudice d’appello, la quale non è affatto, con riferimento ai criteri impiegati per la liquidazione equitativa, al di sotto del cd . ‘ minimo costituzionale ‘ (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Non si fa luogo a condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, perché il controricorso di RAGIONE_SOCIALE è improcedibile, in quanto depositato oltre il termine ex art. 370,
ult. comma, cod. proc. civ. (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18091 del 12/09/2005, Rv. 584198-01).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione