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Liquidazione equitativa danno: quando il giudice nega?

Un gestore di un impianto di carburanti ha citato in giudizio una società petrolifera per recesso illegittimo da un contratto di comodato, chiedendo il risarcimento per il mancato guadagno. La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta, chiarendo che per ottenere una liquidazione equitativa del danno, il danneggiato deve prima fornire prove concrete sull’esistenza e sull’entità del pregiudizio subito. In assenza di una prova adeguata, il giudice non può intervenire per quantificare il danno.

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Liquidazione Equitativa Danno: La Prova Prima di Tutto

Quando si subisce un danno economico, specialmente un mancato guadagno (lucro cessante), può essere difficile calcolarne l’importo esatto. In questi casi, la legge prevede uno strumento a favore del danneggiato: la liquidazione equitativa del danno, con cui il giudice determina la somma dovuta secondo equità. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che questo potere non è illimitato e che il danneggiato ha un onere probatorio fondamentale da assolvere. Analizziamo il caso di un gestore di un impianto di carburanti per capire i limiti di questo istituto.

Il Contesto: Recesso Illegittimo e Richiesta di Risarcimento

La vicenda ha origine da un contratto di comodato con cui una società petrolifera aveva concesso a un gestore un impianto di distribuzione di carburante per un periodo predeterminato. La società, tuttavia, recedeva anticipatamente dal contratto, adducendo la necessità di chiudere l’impianto. Il gestore, ritenendo il recesso illegittimo, si rivolgeva al tribunale per ottenere un risarcimento per il lucro cessante, ovvero i guadagni che avrebbe realizzato se il contratto fosse proseguito fino alla sua naturale scadenza.

Nonostante le corti di merito avessero riconosciuto l’illegittimità del recesso, la domanda di risarcimento del gestore veniva respinta per un motivo cruciale: la mancanza di una prova adeguata del danno e della sua entità.

La Prova del Danno: L’Onere del Danneggiato

Il gestore si è rivolto alla Corte di Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe dovuto applicare il criterio della liquidazione equitativa per quantificare il suo mancato guadagno. A suo dire, il danno era certo nella sua esistenza e vi erano elementi sufficienti per una valutazione, come i ricavi dell’ultimo anno di gestione, la provvigione per litro di carburante e una stima dei costi.

La Suprema Corte, però, ha rigettato il ricorso, fornendo un’importante lezione sull’onere della prova in materia di risarcimento del danno.

Limiti al Potere Equitativo del Giudice

I giudici hanno chiarito che il potere di liquidazione equitativa, previsto dagli articoli 1226 e 2056 del codice civile, non è un rimedio automatico per ogni difficoltà probatoria. Questo potere è subordinato a una condizione precisa: deve essere oggettivamente impossibile o particolarmente difficile per il danneggiato provare il danno nel suo preciso ammontare.

Tuttavia, ciò non esime la parte interessata dal dimostrare due aspetti fondamentali:
1. L’esistenza stessa del diritto al risarcimento (l’ an debeatur).
2. Ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno di cui possa ragionevolmente disporre.

In altre parole, il danneggiato deve prima fare tutto il possibile per fornire al giudice una base concreta su cui operare la valutazione equitativa.

Le Carenze Probatorie nel Caso Specifico

Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che il gestore non avesse soddisfatto questo onere. Le prove presentate sono state giudicate insufficienti e inattendibili:
* Una “simulazione di reddito” prodotta da un dipendente è stata considerata non significativa, poiché non era chiaro quali dati fossero stati utilizzati.
* I costi di gestione erano stati indicati in modo generico, senza documentazione adeguata.
* La provvigione, sebbene incontestata per l’ultimo anno, non era provata per gli anni futuri.
* Non vi era documentazione a supporto di un presunto trend di crescita delle vendite.

In sostanza, il gestore non ha prodotto le scritture contabili e le dichiarazioni dei redditi che avrebbero permesso di ricostruire con certezza il fatturato e i guadagni.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha stabilito che la decisione della Corte d’Appello era corretta e ben motivata. Il potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa presuppone che la parte danneggiata abbia già adempiuto all’onere di dimostrare non solo l’esistenza del danno, ma anche la sua entità materiale, fornendo tutti gli elementi probatori a sua disposizione. Nel caso di specie, il ricorrente non è riuscito a fornire prove contabili o fiscali solide che potessero fungere da base per una quantificazione, anche solo equitativa. La semplice affermazione di un mancato guadagno, supportata da dati frammentari e non documentati, non è sufficiente per attivare il potere correttivo del giudice. La Corte ha quindi concluso che, in assenza di una base probatoria adeguata, il rigetto della domanda risarcitoria era legittimo.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la liquidazione equitativa del danno non è una scorciatoia per aggirare l’onere della prova. Chi chiede un risarcimento per lucro cessante deve impegnarsi a fondo per documentare la propria perdita, utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione, come bilanci, dichiarazioni fiscali e registri contabili. Solo quando, nonostante questo sforzo, la quantificazione precisa risulti impossibile, il giudice potrà intervenire con una valutazione basata sull’equità. Affidarsi unicamente a stime e simulazioni senza un solido supporto documentale è una strategia destinata a fallire.

Quando il giudice può procedere alla liquidazione equitativa del danno?
Il giudice può procedere alla liquidazione equitativa solo quando risulta oggettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte danneggiata provare il danno nel suo preciso ammontare. Tuttavia, ciò non esonera il danneggiato dal provare l’esistenza del danno e dal fornire tutti gli elementi di fatto utili alla sua quantificazione di cui possa ragionevolmente disporre.

Perché la Corte ha negato il risarcimento per lucro cessante al gestore dell’impianto?
La Corte ha negato il risarcimento perché il gestore non ha fornito prove adeguate a dimostrare l’entità del danno subito. Le prove presentate, come una simulazione di reddito non documentata e stime generiche dei costi, sono state ritenute insufficienti per fondare una quantificazione, anche equitativa, del mancato guadagno.

Quale onere probatorio grava su chi chiede un risarcimento per lucro cessante?
Chi chiede un risarcimento per lucro cessante ha l’onere di dimostrare non solo l’esistenza del diritto al risarcimento, ma anche di fornire elementi concreti, di natura contabile o fiscale (come fatturato, utili degli anni precedenti, costi documentati), per permettere la quantificazione del danno. L’onere della prova sul preciso ammontare può essere attenuato, ma non eliminato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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