Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16685 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16685 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10907/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Ferrara INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 388/2022 depositata il 17/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione della sentenza 388/2022, pubblicata in data 17/02/2022, notificata in data 24/02/2022, emessa nei confronti di NOME COGNOME in relazione a un giudizio instaurato da quest’ultima per ottenere il risarcimento del danno extracontrattuale, patrimoniale e non, per il periodo che va dalla data in cui è stata ingiustamente esclusa dalla RAGIONE_SOCIALE fino alla data in cui, previo giudizio arbitrale e azione esecutiva, è stato ricostituito il rapporto sociale. La controricorrente ha notificato controricorso. Il ricorso è illustrato da successiva memoria.
La Corte d’Appello di Bologna, in accoglimento dell’appello e in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ferrara, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore dell’appellante della somma di € 90.725,56 a titolo risarcitorio, oltre rivalutazione monetaria dalla domanda giudiziale alla pronuncia e interessi legali sulla somma annualmente rivalutata. Sotto il profilo della responsabilità e della quantificazione del risarcimento, in ciò riformando in parte la sentenza di primo grado sulla mancata prova del danno patrimoniale, ferma la sentenza sulla insussistenza del danno non patrimoniale, ha ritenuto provata l’ attività di pescatrice di vongole, e idonea la documentazione fornita dall’attrice sui compensi ricevuti dal marito, esercente la medesima attività all’interno della RAGIONE_SOCIALE, per il
periodo da prendersi in considerazione, dopo averli confrontati con i bilanci della RAGIONE_SOCIALE da cui risultava la media dei redditi percepiti dai soci. Pertanto, ritenendo che la valutazione dovesse essere operata in via necessariamente equitativa, ha preso come parametro di riferimento i compensi percepiti nel periodo 7 maggio 2007 -12 luglio 2009 dal marito, dedotta l’IVA, essendo redditi di minore importo rispetto a quelli percepiti da altri soci.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce ‘Violazione dell’art. 360, comma 1, num. 3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento agli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697 c.c., ovvero per aver errato nella individuazione e nella interpretazione della disciplina in materia di risarcimento del danno in via equitativa come prevista ai sensi del combinato disposto degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697 c.c. in punto a: mancanza dei presupposti per dar corso alla liquidazione del danno in via equitativa’. La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello avrebbe liquidato il danno patrimoniale in via equitativa, sull’errato presupposto della dimostrata esistenza di danni risarcibili. In particolare, la RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia che la Corte d’appello abbia erroneamente valutato la sussistenza di un danno risarcibile sulla base del compenso percepito dal marito della socia esclusa nel periodo in contestazione, e non sulla base di quanto percepito dalla socia prima della sospensione, pur essendo mancata la prova di tale elemento, come indicato dal giudice di primo grado a motivo del rigetto della domanda
Con il secondo motivo la RAGIONE_SOCIALE ricorrente deduce ‘Violazione dell’art. 360, comma 1, num. 3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento agli
artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697 c.c. per aver errato nella individuazione e nella interpretazione della disciplina in materia di risarcimento del danno in via equitativa come prevista ai sensi del combinato disposto degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697 c.c. in punto di errata quantificazione del danno in via equitativa. Secondo la ricorrente la decisione della Corte d’appello ‘quantificando il danno asseritamente patito dalla socia esclusa esattamente come la somma dei compensi percepiti dal marito nel periodo in contestazione, ha di fatto operato una indebita restituito in integrum ‘, adducendo ulteriormente che, trattandosi di ‘attività imprenditoriale’, il guadagno, ‘per fatto notorio’, ‘deriva dalla sottrazione ai ricavi delle spese’, così ‘paradossalmente’ riconoscendo alla COGNOME ‘un guadagno superiore a quello percepito dal marito, in quanto non tiene conto delle spese sostenute da quest’ultimo per lo svolgimento dell’attività di pesca (costi dell’imbarcazione, per esempio, ma anche spese sostenute da ciascun socio per la gestione dell’area di pesca)’.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce ‘Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, num. 4) per nullità della sentenza o del procedimento, con riferimento all’art. 132, comma 1, num. 4, c.p.c., ovvero per l’assoluta assenza di motivazione, da intendersi come in alternativa: ii) la motivazione apparente; iii) il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili; iv) la motivazione perplessa ed oggettivamente incomprensibile, in punto di parametro utilizzato per quantificare il risarcimento del danno in via equitativa nonché di ragionamento logico giuridico per giungere alla individuazione del parametro utilizzato per la liquidazione del danno in via equitativa’.
I primi due motivi, da trattare congiuntamente in quanto attinenti a profili di nullità della sentenza sulla operata valutazione equitativa del danno, sono inammissibili.
La Corte d’appello ha ritenuto ” impossibile”, per la parte danneggiata, dimostrare quale fosse la consistenza del danno subito nel periodo in cui non ha potuto esercitare la propria attività lavorativa all’interno della RAGIONE_SOCIALE, per fatto ingiusto causato da quest’ultima. Avendo accertato la sussistenza di un fatto ingiusto da risarcire, la Corte d’appello ha ammesso, in linea di diritto, l’applicabilità dell’art. 1226 c.c. ai fini della valutazione equitativa del pregiudizio patrimoniale subito. Va peraltro osservato che la Corte di merito, ferma restando la necessità di riferirsi all’integralità del pregiudizio subito dall’attrice, ha valutato il danno patrimoniale da liquidarsi equitativamente in considerazione di parametri certi e di elementi di prova alla medesima più vicini (l’attività del marito svolta all’interno della medesima RAGIONE_SOCIALE) in relazione al periodo di riferimento, indicando congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico sul quale la valutazione è fondata, in conformità a quanto da questa Corte statuito sul punto in altre occasioni (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 2831 del 05/02/2021; Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 26051 del 17/11/2020).
Osserva il Collegio come attraverso la proposizione della prima e seconda censura, la ricorrente si duole, in realtà, della non congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale sul contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa osservati ai fini della valutazione equitativa del danno. La ricorrente si limita, in altri termini, ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che
non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge sulla liquidazione equitativa del danno, bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis , Cass. Sez. III, n. 36560 del 30/12/2023 2023; Cass. Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).
Sotto altro profilo, va rilevato che la ricorrente, pur lamentando un’errata valutazione degli elementi considerati quali indici presuntivi del danno da liquidarsi, abbia trascurato di attestare l’eventuale violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. secondo i criteri indicati da Sez. U, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018 (in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto: cfr. parr. 4 e ss.), nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. nel rispetto dei principi di cui a Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020.
In definitiva, lo stabilire se sia stato corretto il giudizio con cui la Corte ha reputato “necessario” procedere alla liquidazione equitativa del danno è una valutazione di merito, insindacabile in questa sede, se operato con motivazione congrua (Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 26051 del 17/11/2020). Il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro,
intendere l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo. In tali casi, non è, invero, consentita al giudice del merito una decisione di ” non liquet “, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria (Cass.Sez. 3 -, Ordinanza n. 13515 del 29/04/2022).
Quanto al terzo motivo, denunciante l’apparenza di motivazione, non può ritenersi neppure soddisfatto il requisito minimo previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti, atteso che non risulta sufficientemente dedotto in quale punto degli atti difensivi sia stata sollevata la questione, in tesi omessa, inerente al parametro con cui dover valutare il ‘reddito mancato’ tenendo conto della prededuzione dei costi inerenti all’ esercizio dell’attività; né risulta la motivazione intrinsecamente incoerente o lesiva dei principi costituzionali sanciti in tema di motivazione sufficiente (SU 8053/2014).Difatti la valutazione degli elementi probatori, anche se differente da quella operata in precedenti sedi processuali (arbitrato e giudizio di primo grado), non offre alcun valido supporto per ritenere la motivazione contradittoria sotto il profilo logico, per quanto sopra detto.
Conclusivamente il ricorso è inammissibile; spese a carico della ricorrente in quanto soccombente.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.200,00 per compensi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento , agli esborsi liquidati in Euro 200,00 , ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, all’ufficio competente, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto .
Così deciso in Roma, il 31/05/2024.