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Liquidazione equitativa danno: la Cassazione conferma

Una socia, illegittimamente esclusa da una cooperativa di pescatori, ha ottenuto un risarcimento per il danno patrimoniale subito. Data la difficoltà di provare l’esatto importo del mancato guadagno, la Corte d’Appello ha proceduto a una liquidazione equitativa del danno, utilizzando come parametro i compensi percepiti dal marito, che svolgeva la stessa attività. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso della cooperativa, confermando la legittimità del ricorso alla valutazione equitativa quando la prova del ‘quantum’ è impossibile o molto difficile, e ribadendo che la scelta del parametro di riferimento rientra nel potere discrezionale del giudice di merito se congruamente motivata.

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Liquidazione Equitativa Danno: Quando la Prova Manca, Decide il Giudice

Il risarcimento del danno è un diritto fondamentale, ma cosa succede quando è impossibile quantificare con esattezza la perdita subita? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sul potere del giudice di procedere alla liquidazione equitativa del danno, un meccanismo cruciale per garantire giustizia. Il caso riguarda una socia illegittimamente esclusa da una cooperativa di pescatori, che si è vista riconoscere un cospicuo risarcimento calcolato sulla base dei guadagni del marito. Analizziamo la vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa: L’Esclusione dalla Cooperativa

Una pescatrice veniva ingiustamente esclusa da una società cooperativa, perdendo così la sua fonte di reddito. Dopo un lungo iter giudiziario, che includeva un lodo arbitrale e un’azione esecutiva, il suo rapporto sociale con la cooperativa veniva finalmente ripristinato. A quel punto, la donna avviava una nuova causa per ottenere il risarcimento dei danni, sia patrimoniali che non, subiti durante tutto il periodo di forzata inattività.

La Decisione d’Appello e la Liquidazione Equitativa del Danno

La Corte d’Appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ha condannato la cooperativa a pagare alla socia una somma di oltre 90.000 euro a titolo di risarcimento del danno patrimoniale. Il punto centrale della decisione risiede nel metodo di calcolo. I giudici hanno ritenuto impossibile per la danneggiata dimostrare con precisione il guadagno che avrebbe percepito se non fosse stata esclusa.

Di fronte a questa difficoltà probatoria, hanno applicato l’art. 1226 del Codice Civile, procedendo a una liquidazione equitativa del danno. Come parametro di riferimento, hanno utilizzato i compensi percepiti dal marito della socia, il quale svolgeva la medesima attività di pescatore di vongole all’interno della stessa cooperativa nello stesso periodo. Tale reddito, confrontato con i bilanci societari e la media dei compensi degli altri soci, è stato ritenuto un indicatore attendibile, seppur presuntivo, del mancato guadagno.

Il Ricorso in Cassazione della Cooperativa

La società cooperativa ha impugnato la sentenza d’appello davanti alla Corte di Cassazione, sollevando tre motivi principali:
1. Mancanza dei presupposti per la liquidazione equitativa: Secondo la ricorrente, non era stata dimostrata l’esistenza stessa di un danno risarcibile, rendendo illegittimo il ricorso alla valutazione equitativa.
2. Errata quantificazione del danno: La cooperativa lamentava che, eguagliando il risarcimento ai compensi lordi del marito, la Corte d’Appello avesse operato una sorta di restitutio in integrum indebita, senza considerare i costi che la socia avrebbe dovuto sostenere per l’attività (es. costi dell’imbarcazione, gestione, etc.).
3. Vizio di motivazione: Si denunciava una motivazione assente, apparente o contraddittoria riguardo alla scelta del parametro utilizzato per la quantificazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i primi due motivi inammissibili e ha rigettato il terzo, confermando la decisione d’appello. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la valutazione del giudice di merito sulla necessità di ricorrere alla liquidazione equitativa e sulla scelta dei parametri non è sindacabile in sede di legittimità, a patto che sia sorretta da una motivazione congrua e logica.

I giudici hanno chiarito che il potere di liquidare il danno in via equitativa, previsto dagli artt. 1226 e 2056 c.c., è espressione del più generale potere del giudice di merito. Questo potere sorge quando la parte danneggiata, pur avendo provato l’esistenza di un danno, si trovi nell’impossibilità o in una condizione di notevole difficoltà nel provarne il preciso ammontare. L’impossibilità va intesa in senso relativo: è sufficiente una difficoltà di un certo rilievo.

In questi casi, il giudice non può negare il risarcimento (non liquet), ma deve attivarsi per quantificarlo secondo equità, basandosi su elementi certi e vicini alla realtà del danneggiato. Nel caso di specie, il reddito del marito è stato considerato un parametro logico e adeguato. Le critiche della cooperativa, secondo la Corte, non miravano a denunciare una violazione di legge, ma a ottenere un nuovo e inammissibile riesame dei fatti e delle prove.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

L’ordinanza consolida un principio di civiltà giuridica: la difficoltà probatoria non può tradursi in un diniego di giustizia. Quando un soggetto subisce un danno ingiusto, ha diritto al risarcimento anche se la quantificazione esatta della perdita è complessa. La liquidazione equitativa del danno non è un rimedio arbitrario, ma uno strumento essenziale che permette al giudice di ristorare il danneggiato basandosi su criteri logici e presuntivi. Questa decisione rafforza la tutela di chi, a causa di un illecito, si trova nell’impossibilità di documentare con precisione il proprio mancato guadagno, affidando al prudente apprezzamento del giudice il compito di definire una compensazione giusta ed equa.

Quando un giudice può ricorrere alla liquidazione equitativa del danno?
Un giudice può, e deve, ricorrere alla liquidazione equitativa quando l’esistenza di un danno è certa, ma la parte danneggiata si trova nell’impossibilità o in una significativa difficoltà di provarne il preciso ammontare.

È legittimo usare il reddito di un familiare come parametro per calcolare il danno da mancato guadagno?
Sì. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la scelta di utilizzare i compensi di un familiare, che svolge la medesima attività nelle stesse condizioni, sia un parametro logico e congruo. Questa scelta rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non è censurabile in Cassazione se adeguatamente motivata.

La difficoltà nel provare l’esatto ammontare del danno può portare al rigetto della domanda di risarcimento?
No. Una volta accertata l’esistenza di una condotta illecita che ha generato un danno, il giudice non può rigettare la domanda solo perché il suo ammontare non è provato con precisione. In tali casi, è tenuto a procedere con una valutazione equitativa per garantire il risarcimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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