Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25545 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25545 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6558 – 2020 proposto da:
STUDIO LEGALE ASSOCIATO COGNOME, in persona dell’avv. COGNOME rappresentato e difeso da sé stesso e dell’avv. COGNOME entrambi elettivamente domiciliati presso lo studio, rappresentato il secondo dallo stesso avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME in qualità di erede della madre NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
e contro
NOME, in proprio e in qualità di erede della madre NOME, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza resa dal Tribunale di MASSA in data 23/10/2019 nel fascicolo n.1085/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/9/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie dei ricorrenti e della controricorrente NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza ex art. 14 DLG 150/2011, resa nel fascicolo 1085/2019 in data 23/10/2019 e poi corretta in data 24/10/2019, il Tribunale di Massa ha condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, in favore degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME quali componenti dello studio legale associato COGNOME, della somma di Euro 17.381,05, oltre oneri di legge e considerati gli acconti già corrisposti, a titolo di compenso per le prestazioni giudiziali svolte in loro favore in tre controversie civili.
In particolare, il Tribunale ha liquidato i compensi dovuti in applicazione dei parametri minimi, considerandoli adeguati a remunerare l’attività prestata dai legali.
Avverso questa ordinanza gli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a un motivo, illustrato da successiva memoria; NOME COGNOME, in proprio e in qualità di erede della madre NOME COGNOME deceduta
nelle more del giudizio, ha resistito con controricorso, depositando successiva memoria; anche NOME COGNOME quale altra erede della madre NOME COGNOME, si è costituita con controricorso.
In data 17/7/2023 il Consigliere delegato ha proposto la definizione accelerata del ricorso per inammissibilità ex art. 380 bis cod. proc. civ..
Gli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno chiesto la decisione della causa.
La causa è stata fissata per la trattazione in camera di consiglio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve escludersi la rilevanza dell’asserito vizio di notifica del ricorso nei confronti di NOME COGNOME atteso che quest’ultima si è costituita , con ciò sanando il vizio per avvenuto raggiungimento dello scopo.
Con l’unico motivo gli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno lamentato, senza specifico riferimento ad una delle ipotesi del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere il Tribunale provveduto al ricalcolo dei compensi spettanti pur in mancanza di specifica contestazione delle resistenti e la violazione del d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018, per avere il Tribunale liquidato i minimi senza «indicare dettagliatamente le singole voci che riduce perché chieste in maniera eccessiva o elimina perché non dovute , nonché quelle riconosciute come dovute, in modo da consentire il controllo sulla correttezza della liquidazione anche in ordine al rispetto delle relative tabelle».
1.1. Il motivo è inammissibile in entrambi i suoi profili.
Innanzitutto, è del tutto inconferente il richiamo al principio di non contestazione ex art. 115 cod. proc. civ. e la prospettazione di una sua asserita violazione: il principio di non contestazione è uno strumento di semplificazione processuale che esonera la parte
dall’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ., non essendo più necessario dimostrare fatti che la controparte costituita non ha specificatamente contestato, in stretta connessione con il principio dispositivo ex art. 112 cod. proc. civ.; la relevatio ab onere probandum , tuttavia, concerne i fatti e, dunque, nella specie, soltanto l’effettività delle attività prestate di cui è stato chiesto il compenso, ma non certamente il quantum debeatur la cui liquidazione, nel giudizio avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, pertiene soltanto al giudice.
La parcella è, infatti, una semplice dichiarazione unilaterale del professionista, sicché, anche a fronte di una contestazione pure generica, il Giudice ha il potere-dovere di verificare la congruità dei compensi, provvedendo alla loro liquidazione, senza incorrere nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.: il principio, tutt’altro che vetusto, è certamente consolidato (v. tra le tante Cass. Sez. 6 – 2, n. 357 del 10/01/2023; Cass. Sez. 2, n. 230 del 11/01/2016).
1.2. Quanto, poi, alla asserita violazione del d.m. n. 55/14 come modificato dal d.m. n. 37/2018, la censura è inammissibile per più ragioni.
Innanzitutto, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, se contenuto, come nella fattispecie, tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. Sez. 2, n. 14198 del 05/05/2022 ; il principio è proprio richiamato anche in Cass. Sez. 2, n. 19025 del 2024 invocata dai ricorrenti).
A ciò si aggiunga che, nell’ordinanza impugnata, l’utilizzo dei parametri minimi è stato comunque motivato dal Tribunale (ultime tre considerazioni dell’ordinanza, precedute dalla congiunzione «che»).
Inammissibile è, infine, la sollecitazione alla Corte a compiere un diverso apprezzamento in fatto della vicenda, in contrasto con quello operato dal giudice di merito.
Il ricorso deve, perciò, essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380 bis cod. proc. civ., in applicazione, secondo la previsione del comma terzo dello stesso art. 380 bis cod. proc. civ., del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., i ricorrenti devono essere condannati al pagamento, in favore delle controricorrenti, di una somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di un’ulteriore somma, pure equitativamente determinata, a favore della Cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass., Sez. U., 27-9-2023 n. 27433 e Cass., Sez. U., 13-102023 n. 28540, l’art. 380 bis comma III cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 comma III e IV cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un ‘ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per compensi, in Euro 6.000,00, per NOME COGNOME e in Euro 4.000,00 per NOME COGNOME, oltre, per entrambe, alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge;
condanna NOME COGNOME e NOME COGNOME, ex art. 96 comma III cod. proc. civ., al pagamento di Euro 5.000,00 in favore di NOME COGNOME e di Euro 5.000,00 in favore di NOME COGNOME;
condanna NOME COGNOME e NOME COGNOME, ex art. 96 comma IV cod. proc. civ., al pagamento di ulteriori Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 18 settembre 2024.
La Presidente NOME COGNOME