Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20184 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20184 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 1531-2024 r.g. proposto da:
COGNOME (C.F. TARGA_VEICOLO CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Udine e dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Roma, presso quest’ultima domiciliata nel suo studio in Roma, INDIRIZZO giusta espressa procura speciale allegata in atti.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE COATTA AMMINISTRATIVA (C.F.: P_IVA), con sede in Vicenza (VI), INDIRIZZO, in persona dei Commissari Liquidatori avv. NOME COGNOME dott. NOME COGNOME e dott. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME del F oro di Treviso con
domicilio eletto presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME sito in Roma, INDIRIZZO giusta procura speciale in atti.
-controricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste n. 304/2023, pubblicata in data 08.06.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/6/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Trieste – decidendo sul gravame proposto da BANCA POPOLARE DI VICENZA s.p.a in liquidazione coatta amministrativa nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza del Tribunale di Udine n. 441/2021, pubblicata il 07.05.2021, in accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della detta sentenza – ha dichiarato improcedibili tutte le domande di accertamento proposte da COGNOME Francesca nei confronti di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa.
NOME NOME aveva infatti convenuto avanti al Tribunale di Udine Banca Intesa Sanpaolo s.p.a., chiedendo che venisse accertata la nullità, l’annullamento o la risoluzione per inadempimento dell’operazione, effettuata nel 2014, di apertura di affidamento e contestuale acquisto di n. 2.800 azioni della Banca Popolare di Vicenza per un valore di €. 17 5.000,00 per violazione del T.U.F. , del Regolamento Consob e/o dell’art. 2358 c.c. e delle norme del codice civile e, conseguentemente, che nulla era da lei dovuto alla convenuta in relazione all’affidamento concesso o, in alternativa, di condannare la convenuta stessa a corrisponderle, a titolo di risarcimento del danno, una somma pari all’esposizione sul conto corrente n. 5678 (già n. 1000/1363 e n. 1169945).
Intesa Sanpaolo s.p.a. eccepiva che il credito nei confronti dell’attrice era stato retrocesso a Banca Popolare di Vicenza s.p.a. in l.c.a. e che pertanto era quest’ultima l’unica titolare passiva del diritto controverso rispetto alle domande attoree di cui, in ogni caso, contestava la fondatezza nel merito, chiedendone il rigetto.
In corso di causa interveniva volontariamente Banca Popolare di Vicenza s.p.a. in l.c.a., che confermava la retrocessione del credito ed aderiva all’eccezione della convenuta, dichiarando di essere la sola legittimata passiva; eccepiva tuttavia l’improcedibilità delle domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 83, comma 3, T .U.B. e, in subordine, ne chiedeva il rigetto.
Il Tribunale di Udine, dopo avere estromesso dal giudizio, su conforme richiesta delle parti, Intesa Sanpaolo s.p.a., con la sentenza sopra indicata n. 441/2021 riteneva che fosse procedibile la domanda volta ad ottenere in via esclusiva l’accertamento negativo della pretesa creditoria della banca nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, in quanto diretta soltanto a paralizzare il credito avversario in via di mera eccezione e, nel merito, ravvisava nell’operazione posta in essere dalla Banca la violazione dell’art. 2358 c.c. , da cui conseguiva la sua nullità per contrarietà a norma imperativa inderogabile.
Proposto appello da parte della Banca Popolare di Vicenza s.p.a. in l.c.a., la Corte di appello ha osservato e rilevato, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) la portata inibitoria dell’art. 83 del T .U.B. ad iniziative processuali individuali nei confronti della banca messa in l.c.a. era più ampia rispetto a quella prevista dall’art. 51 della l. fall.; (ii) il richiamato art. 83 è tassativo, al comma 3, nell’ammettere nei confronti della banca posta in liquidazione coatta amministrativa le sole azioni di opposizione allo stato passivo, di insinuazione allo stato passivo e di contestazione del bilancio finale di liquidazione; (ii) inoltre la legge bancaria non distingue tra azioni dirette, pur nella sola forma di accertamento e non di condanna, a far valere un credito nei confronti della banca sottoposta alla procedura concorsuale e azioni dirette ad accertare l’inesistenza di un debito nei confronti di quella; (iii) il divieto di promuovere l’azione e di proseguire il giudizio nei confronti della banca in liquidazione co atta amministrativa non riguarda solo l’accertamento
dello stato passivo, ma si estende anche a quello dell’attivo , in quanto la disciplina dettata dal Testo Unico Bancario, al fine della piena realizzazione della par condicio creditorum , mira a garantire la consistenza del patrimonio della banca sottoposta alla procedura concorsuale, consistenza che si presta ad essere alterata non solo da pretese creditorie azionate al di fuori della procedura concorsuale, ma anche da domande, come nella fattispecie in esame, volte ad accertare ed affermare l’inesistenza di un debito nei confronti della banca sottoposta a procedura concorsuale; (iv) l’interesse del creditore ammesso allo stato passivo di poter contare sulla più ampia massa patrimoniale della banca in l.c.a. verrebbe, infatti, inciso illegittimamente nel caso in cui al soggetto che si assume non debitore della banca fosse consentito di proporre ovvero di proseguire nella domanda di accertamento negativo del suo debito al di fuori della procedura concorsuale; (v) una attenta disamina del petitum sostanziale delle domande svolte dalla COGNOME consentiva di rilevare agevolmente che quest’ultima avesse inteso far accertare un credito restitutorio o risarcitorio nei confronti della banca in l.c.a. da opporre eventualmente in compensazione alle future pretese della procedura, finendo così per alterare il passivo concorsuale; (vi) diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, occorreva pertanto escludersi che la preclusione prevista dall’art. 83 del T .U.B. a promuovere l’azione ovvero a proseguirla fosse limitata alle sole domande di condanna e dirette ad ottenere l’accertamento di un credito, estendendosi invece quel divieto anche alle domande volte ad ottenere l’accertamento dell’inesistenza di un debito nei confronti della l.c.a.
La sentenza, pubblicata il 08.06.2023, è stata impugnata da COGNOMERAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui la BANCA RAGIONE_SOCIALE DI VICENZA SRAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE intimata, non ha svolto difese.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta ‘nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per aver dichiarato
la Corte territoriale essere stata formulata dal ricorrente una domanda restitutoria/risarcitoria, mai invero dedotta nei precedenti gradi di giudizio, con conseguente violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.’ . 2. Con il secondo mezzo si deduce ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1173 e 1174 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. per avere ritenuto la Corte territoriale essersi verificato un presunto ‘pagamento’, in realtà mai effettuato, sulla base del quale la ricorrente avrebbe formulato una domanda restitutoria/risarcitoria’ .
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato ‘per violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 86 e 87 TUB con riferimento, all’art. 12 delle preleggi, all’art. 80 TUB, all’art. 51 Legg. Fallimentare ed agli artt. 3 e art. 24, I comma, della Costituzione in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. per aver ritenuto la Corte territoriale che l’ar t. 83 del TUB, a differenza dell’art. 51 della L. Fallimentare, abbia portata più limitata e non consenta quindi di proporre azioni di mero accertamento avanti al giudice ordinario’.
Va affrontato, per priorità logica, il terzo motivo, il cui rigetto determina anche l’assorbimento delle questioni prospettate nei primi due motivi di ricorso.
3.1 Il motivo prospetta la questione, dibattuta anche nella giurisprudenza di questa Corte, se siano ammissibili o meno azioni di mero accertamento nei confronti delle liquidazioni coatte amministrative cd. bancarie.
Ritiene la Corte di aderire all’orientamento tradizionale già espresso dalla giurisprudenza di legittimità (v. Sez. 3, Sentenza n. 14231 del 17/12/1999). Militano in tal senso diversi argomenti.
3.1.1 Il primo è di carattere letterale.
E’ vero, infatti, che l’art. 83 T.u.b. (d.lgs. n. 1 settembre 1993, n. 385) ha portata più ampia delle norme dettate, in materia, dalla legge fallimentare (artt. 51 e 52). Ed invero, il terzo comma del predetto art. 83 così recita: ‘ Dal termine previsto nel comma 1 contro la banca in liquidazione non può essere promossa né proseguita alcuna azione, salvo quanto disposto dagli articoli 87, 88, 89 e 92, comma 3, né, per qualsiasi titolo, può essere parimenti promosso né proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare ‘.
La norma è chiaramente correlata alla specificità del procedimento di formazione dello stato passivo , nell’ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa cd. bancaria.
Ma la norma è anche chiara nell’escludere, una volta aperta la procedura di liquidazione, la proponibilità di qualsiasi tipo di azione, anche di mero accertamento, nei confronti della società posta in l.c.a., posto che espressamente dispone che non possa essere ‘ promossa né proseguita alcuna azione, salvo quanto disposto dagli articoli 87, 88, 89 e 92, comma 3 ‘.
La nettezza dell’espressione normativa esclude dunque la possibilità di diverse ed alternative interpretazioni.
3.1.2 Nella direzione esegetica sopra prospettata è peraltro orientata -come si diceva – la giurisprudenza tradizionale di questa Corte, secondo la quale ‘ Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa dev’essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice ordinario può conoscerne solo in un momento successivo, sulle opposizioni o impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito ‘ (Cass. 14231/1999, cit. supra ; vedi anche Cass. Sez. L, Sentenza n. 10654 del 11/08/2000). È stato così affermato con termini riferiti alla liquidazione coatta amministrativa (ma estensibili anche alla liquidazione cd. bancaria) e con espressione rigorosa – che questo Collegio condivide che ‘ una volta aperta la procedura di liquidazione coatta amministrativa, ogni diritto di credito, compresi quelli prededucibili, è tutelabile esclusivamente nelle forme di cui agli artt. 201 – che rinvia all’art. 52 – 207 e 209 legge fall. con conseguente preclusione di forme di tutela differenti da quelle dell’accertamento endofallimentare ‘ (così verbatim , Sez. 1, Sentenza n. 553 del 17/01/2001; nello stesso senso si leggano anche: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7114 del 25/05/2001; Sez. 1, Sentenza n. 339 del 09/01/2013).
3.1.3 Del resto non può neanche essere dimenticata la peculiarità del procedimento di verifica dei crediti, nella procedura di liquidazione coatta amministrativa. Invero, all’accertamento dei crediti, nei confronti di un’impresa sottoposta a tale liquidazione, si deve necessariamente procedere davanti al Commissario liquidatore, secondo una procedura preordinata dalla legge anche a tutela del pubblico interesse e senza intervento, nella prima fase cd. amministrativa, dell ‘ autorità giudiziaria (così, anche Cass. Sez. L, Sentenza n. 1881 del 15/05/1975).
Così, la previsione di un’unica sede concorsuale per l’accertamento del passivo comporta, poi, la necessaria concentrazione presso un unico organo giudiziario delle azioni dirette all’accertamento dei crediti e l’inderogabile osservanza di un rito funzionale alla realizzazione del concorso dei creditori (così, Cass. n. 553/2001, cit. supra ).
Si deve operare una distinzione in relazione alla fase in cui si trova la procedura concorsuale.
Infatti, durante l’attività di formazione dello stato passivo, demandata ai competenti organi amministrativi della liquidazione coatta, e sino al momento del deposito dello stesso nella cancelleria del luogo ove l’impresa ha la sede principale, si verifica una ‘ temporanea ‘ improponibilità innanzi al giudice ordinario delle domande, per differimento dell’esercizio del potere giudiziale, ferma restando l’assoggettabilità ad opposizione o ad impugnazione del provvedimento attinente allo stato passivo (v. ex pluribus Cass. 23 ottobre 1986, n. 6224; Cass. s.u. 10 gennaio 1991, n. 162; Cass. 13 marzo 1994 n. 3442 e da ultimo Cass. 23 luglio 1999, n. 8136).
Una volta esaurita l’attività ‘ amministrativa ‘ di formazione dello stato passivo inizia la fase giurisdizionale, nella quale le modifiche dello stato passivo possono essere determinate, oltre che da opposizioni o impugnazioni dello stesso, anche dalle domande di insinuazione tardiva, proposte nelle forme previste dalla legge fallimentare e dal T.u.b. (cfr. Cass. 20 dicembre 1971, n. 3699; Cass. 21 ottobre 1981, n. 5511; per la ricostruzione del sistema, si legga sempre: Cass. n. 553/2001, cit. supra ).
Deve ritenersi che la domanda proposta nelle forme ordinarie risulta, pertanto, affetta da vizi per violazione delle forme inderogabili in cui (ivi
compresa la sede giurisdizionale) può essere fatto valere un credito vantato nei confronti di impresa sottoposta a liquidazione coatta amministrativa. Invero il sistema così ricostruito determina l’improponibilità della domanda proposta nelle forme ordinarie.
3.1.4 Va anche aggiunto che, per la liquidazione coatta amministrativa ed a differenza di quanto accade per il fallimento, non è neanche ipotizzabile una residua proponibilità della domanda nelle forme ordinarie in relazione all ‘ intenzione di ottenere un titolo ovvero un accertamento da far valere alla chiusura del concorso ed in caso di ritorno in bonis dell’imprenditore, posto che tale eventualità è esclusa dalla stessa finalità liquidatoria del procedimento di liquidazione coatta amministrativa (così, Cass. 1881/1975 e Cass. n. 553/2001, cit. supra ).
Occorre infatti ricordare che, per la liquidazione coatta amministrativa cd. bancaria, l’art. 92 T.u.b. prevede espressamente, al sesto somma , che ‘ Si applicano le disposizioni del codice civile in materia di liquidazione delle società di capitali, relative alla cancellazione della società ed al deposito dei libri sociali ‘ . Così, come, del resto è previsto analogamente per la liquidazione coatta amministrativa da ll’art. 213, u.c., l. fall, ove si dispone che, dopo le ripartizioni finali tra i creditori, si applicano ‘ le norme dell’art. 117, e se del caso degli articoli 2495 e 2496 del codice civile ‘.
3.2 Vero è che si sono registrate, nella giurisprudenza di legittimità, opinioni talvolta dissonnanti rispetto a quella qui accolta. Ma queste opinioni vanno contestualizzate nel peculiare ambito processuale ove sono state pronunciate (v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 15066 del 19/06/2017, ove è stata avvertita, in materia di licenziamento del lavoratore, l ‘ opportunità che l’insinuazione nello stato passivo dei relativi crediti risarcitori sia preceduta da un previo accertamento determinativo dell ‘a n della pretesa) e, comunque, si rivelano minoritarie e recessive (v. Sez. 1, Sentenza n. 2541 del 07/03/2000) rispetto al formante giurisprudenziale sopra ricordato.
Occorre pertanto affermare il seguente principio di diritto:
‘ Ai sensi dell’art. 83, 3 comma, T.u.b., qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa ‘bancaria’ dev’essere
fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice ordinario può conoscerne solo in un momento successivo, sulle opposizioni od impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito, con conseguente preclusione di forme di tutela differenti da quelle dell’accertamento endoconcorsuale ‘.
Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della non perfetta uniformità degli orientamenti di legittimità fin qui registrati. Sussistono invece i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass.
Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2025