Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3940 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 3940 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15710/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PERUGIA n. 206/2018, depositata il 26/03/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, il AVV_NOTAIO, che ha chiesto di accogliere il primo motivo del ricorso, con assorbimento dei restanti.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2006 la società RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Spoleto la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo di accertare e dichiarare la risoluzione per inadempimento della convenuta del contratto di compravendita intercorso tra le parti, con conseguente condanna della convenuta al risarcimento dei danni, quantificati in euro 210.720. L’attrice deduceva che, con contratto stipulato il 6 maggio 2005, la convenuta si era obbligata a venderle 240 tonnellate di olio di COGNOME per l’importo di euro 1.627 al chilogrammo con consegna programmata il 30 giugno 2005, che l’attrice aveva chiesto un breve rinvio della consegna al fine di liberare alcuni silos dove stoccare la merce, che in data 4 agosto 2005 la convenuta aveva inviato una missiva nella quale dichiarava che il contratto era ‘cancellato per decorrenza dei termini di ritiro fissato entro il 30 giugno’, che l’attrice aveva riscontrato detta missiva e insistito per l’adempimento dando la propria disponibilità a ricevere la merce, che la venditrice con ulteriore missiva del 4 novembre 2005 aveva rappresentato che il contratto si era ‘automaticamente risolto per decorrenza del termine di ritiro’, fissato al 30 giugno 2005, che l’attrice aveva quindi con lettera del 13 ottobre 2005 diffidato la venditrice ad adempiere entro il termine ultimo del 31 ottobre 2005; riscontrata la mancata consegna della merce da parte della
convenuta, la compratrice chiedeva pertanto il risarcimento dei danni subiti, in quanto l’inadempimento della venditrice l’aveva costretta a reperire sul mercato la stessa quantità e qualità di olio a un prezzo maggiore. Si costituiva la convenuta, che contestava le domande dell’attrice e in particolare il proprio presunto inadempimento e sosteneva che piuttosto l’inadempimento contrattuale fosse imputabile in capo all’attrice, in quanto non aveva ritirato la merce entro il termine prestabilito, sottolineando come il presidente della società attrice avesse più volte, in pendenza del termine per ritirare la merce, sostenuto di non avere concluso un buon affare a causa dell’eccessiva esosità del contratto, dovuta al sopravvenuto ribasso dei prezzi di mercato.
Il Tribunale di Spoleto, con sentenza del 29 dicembre 2016, n. 147, accoglieva le domande di parte attrice e dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta a seguito dell’ ‘inutile decorso del termine di cui alla diffida ad adempiere del 13 ottobre 2005’, con condanna della stessa al pagamento in favore dell’attrice della somma di euro 210.720 a titolo di risarcimento del danno e della somma di euro 40.862,43 a titolo di danno da ritardo.
La sentenza era impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE, che censurava la pronuncia laddove aveva qualificato il termine del 30 giugno 2005 come non essenziale e quindi chiedeva che, in riforma della sentenza di primo grado, fosse dichiarata la risoluzione del contratto per colpa di controparte e, in subordine, di accertare come data di risoluzione quella del 4 agosto 2005. Si costituiva COGNOME d’Oro, che proponeva appello incidentale in relazione all’errato calcolo della rivalutazione monetaria e degli interessi. Con la sentenza n. 206 del 26 marzo 2018 la Corte d’appello di Perugia accoglieva il gravame di RAGIONE_SOCIALE e, dopo avere confermato la statuizione di risoluzione del contratto di compravendita, riformava la sentenza di primo grado sotto il profilo
della addebitabilità della risoluzione; in particolare, ad avviso della Corte d’appello, trattandosi di vendita di beni mobili, il giudice di primo grado avrebbe dovuto applicare l’art. 1510 c.c., secondo cui in mancanza di patto o uso contrario la consegna della cosa deve avvenire nel luogo dove questa si trovava al tempo della vendita, cosicché l’inadempimento era da imputarsi a RAGIONE_SOCIALE d’Oro in quanto quest’ultima avrebbe dovuto ricevere la merce proprio presso lo stabilimento delle RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE con atto articolato in otto motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE Memoria è stata depositata da entrambe le parti. La controricorrente formula alle pagine 18 e seguenti della propria memoria ricorso incidentale, contestando in relazione alla natura essenziale del termine la corretta interpretazione del contratto in relazione agli artt. 1322, 1325 e 1440 c.c. Il motivo è inammissibile, non potendo il ricorso incidentale essere proposto in memoria, dovendo essere fatto valere ai sensi dell’art. 370 c.p.c. con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in otto motivi.
Il primo motivo denuncia la ‘nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., erroneità della decisione per ultra petizione e/o extra petizione in riferimento alla pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE D’Oro’, in quanto in grado di appello erano stati proposti dalla RAGIONE_SOCIALE motivi di impugnazione inerenti la sola dichiarazione di risoluzione del contratto per decorrenza del termine essenziale.
Il motivo è fondato. Dalla lettura dell’atto d’appello emerge che RAGIONE_SOCIALE aveva censurato la sentenza di primo grado per ‘I. errata qualificazione della natura giuridica del termine di
esecuzione del contratto’, cui ‘consegue: l’intervenuta risoluzione del contratto di compravendita oggetto di causa per fatto e colpa dell’acquirente, riconoscimento dell’essenzialità del termine’; ‘II. si intende ancora impugnare la sentenza nella parte in cui afferma che ‘è parimenti da escludere che il termine del 30 giugno 2005 fosse essenziale’ (vedere le pag. 5 -10 dell’atto di appello). A fronte di tali motivi di gravame la Corte d’appello non si è limitata all’indagine relativa all’essenzialità o meno del termine, ma dopo avere osservato che in nessun documento si faceva riferimento a un termine essenziale e che l’essenzialità del medesimo era comunque esclusa dal successivo comportamento delle parti, avendo le stesse mantenuto l’interesse all’esecuzione del contratto anche dopo la scadenza del 30 giugno 2005, ha dato rilievo al medesimo comportamento delle parti. La Corte ha così ritenuto di riformare la pronuncia di primo grado sotto il profilo dell’addebitabilità della risoluzione, dovendosi ritenere inadempiente RAGIONE_SOCIALE d’Oro, che mai ha provveduto al ritiro della merce.
In tal modo la Corte d’appello ha violato il principio del tantum devolutum quantum appellatum . La Corte d’appello non si è infatti limitata a verificare l’esistenza nel contratto del termine essenziale e il suo mancato rispetto, ma ha svolto un apprezzamento complessivo del sinallagma contrattuale, al fine di verificare quale parte con la sua condotta si fosse resa responsabile del mancato raggiungimento dello scopo negoziale che era stato originariamente fissato, così incorrendo in un inadempimento di non scarsa importanza. Si veda al riguardo Cass. n. 10682/2023, per la quale ‘ incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice del merito che, richiesto di una pronunzia di risoluzione contrattuale a norma degli artt. 1453 e 1454 c.c., accolga invece una domanda di risoluzione di diritto per avvenuta scadenza del termine essenziale, ex art. 1457
c.c., non ritualmente proposta, trattandosi di ipotesi legislative nettamente distinte per requisiti formali e sostanziali’.
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento dei successivi motivi, che rispettivamente denunciano:
-il secondo ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1510, 1378, 1470, 1476 e 1477 c.c., anche in combinato disposto con gli artt. 1218 e 1453 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., erroneità della decisione laddove ritiene che la consegna della merce consista nel ritiro della stessa a cura dell’acquirente, senza peraltro alcuna collaborazione del venditore, nel luogo dove si trovava al tempo della vendita, allorché trattasi di vendita da effettuarsi con trasporto da piazza a piazza di cose mobili determinate solo nel genere; erronea attribuzione all’acquirente di obbligazioni proprie del venditore anche ai fini dell’inadempimento e della conseguente risoluzione del contratto’;
-il terzo ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1453, 1455, 1457 e 1454 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., erroneità della decisione laddove, una volta esclusa l’essenzialità del termine di adempimento, anche in assenza di diffida ad adempiere, non ha applicato il principio per cui per aversi risoluzione del contratto doveva esservi un inadempimento di non scarsa importanza’;
-il quarto ‘violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1453, 1476, 1206 e seguenti c.c., anche in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., erroneità della decisione impugnata laddove non considera che, per potersi addivenire alla risoluzione della compravendita per colpa dell’acquirente nella mancata ricezione della merce, il venditore deve fornire prova di avere formalmente messo in mora il creditore acquirente, valutabile se del caso anche come diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., altrimenti permanendo l’efficacia del contratto, ivi
compreso l’obbligo di consegna della merce da parte del venditore’;
-il quinto ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., erroneità della decisione impugnata laddove ritiene di addebitare l’inadempimento alla RAGIONE_SOCIALE d’Oro piuttosto che alla RAGIONE_SOCIALE, perché la stessa RAGIONE_SOCIALE d’Oro, a seguito di missiva della RAGIONE_SOCIALE di cancellazione del contratto del 4 agosto 2005, non avrebbe richiesto la consegna dell’olio in maniera puntuale e concreta, non manifestando così la volontà di ricevere la merce; omesso esame della copiosa documentazione in atti, completamente pretermessa, dalla quale emergeva il contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata’;
-il sesto ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., erroneità della decisione impugnata laddove oblitera completamente il tema dell’andamento dei prezzi di mercato dell’olio, non veridicità della tesi della RAGIONE_SOCIALE per cui fra la conclusione del contratto e la data di prevista consegna vi sarebbe stata una diminuzione dei prezzi che avrebbe giustificato il mancato adempimento della RAGIONE_SOCIALE d’Oro; emergenza agli atti di un aumento del prezzo della merce solo nell’agosto 2005, quando la COGNOME dichiarò di non volere più adempiere per non incorrere in una vendita per lei divenuta sconveniente’;
-il settimo ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., erroneità della decisione impugnata laddove si esaminano le dichiarazioni di un solo teste, in maniera isolata e scollegata da tutti gli altri elementi, addivenendo così a una ricostruzione del tutto arbitraria e parziale’;
-l’ottavo ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1453, 1454, 1218, 1223, 1224, 1226 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c., erroneo rigetto della domanda di risoluzione con addebito alla COGNOME e conseguente erroneo assorbimento della domanda di risarcimento danni, comprensivi di capitale, interessi e rivalutazione’.
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Perugia, che provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della seconda