Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9281 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9281 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7810-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME
– intimato –
avverso la sentenza n. 3324/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/09/2022 R.G.N. 2392/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME.
Oggetto
Licenziamento verbale –
nullità – conseguenze
R.G.N. 7810/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
CC
RILEVATO CHE
1. l a Corte d’Appello di Napoli , con sentenza n. 3324/2022, ha respinto il gravame, proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Benevento che aveva respinto l’opposizione al decreto n. 533/2017, che le ingiungeva di pagare ad NOME COGNOME la somma di € 116.633,15 a titolo di retribuzioni globali di fatto spettantigli a causa dell’illegittimo licenziamento del 31.7.2009 (data di offerta delle prestazioni lavorative) sino a luglio 2017; il decreto ingiuntivo era basato sulla sentenza n. 1133/2016, passata in giudicato, con cui la medesima Corte d’Appello di Napoli, per quanto ancora rileva, aveva confermato altra sentenza del Tribunale di Benevento con cui era stata dichiarata la nullità del licenziamento intimato oralmente al dipendente il 10.6.2009, con condanna al ripristino del rapporto lavorativo e al pagamento delle spese legali e delle retribuzioni sino a luglio 2017;
2. la società propone ricorso per cassazione con tre motivi; l’ex -dipendente non si è costituito nel giudizio di cassazione; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.) e violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.); sostiene che è stata obliterata l’eccezione di rinuncia tacita del diritto all’azione e che l’indennità risarcitoria andava quantificata tenendo conto del comportamento processuale delle parti;
2. il motivo non è fondato;
la Corte di merito ha implicitamente respinto l’eccezione di rinuncia tacita al diritto e la prospettazione di mala fede del lavoratore, avendo esplicitato articolata motivazione in ordine alla quantificazione del credito risarcitorio del lavoratore stesso, basata sull’offerta di prestazione, sulla conseguente situazione di mora accipiendi del datore di lavoro, sull’applicabilità ratione temporis alla fattispecie della normativa di cui alla legge n. 300/1970;
del resto, il mero ritardo nell’esercizio del diritto all’azione , di per sé, non costituisce violazione della buona fede e non può essere causa di esclusione della tutela giudiziaria (cfr. Cass. n. 1888/2020);
5. nel caso di specie, la Corte di merito non ha desunto in fatto l’invocata (da parte ricorrente) rinunzia tacita, e ciò costituisce, in base allo sviluppo completo della motivazione della sentenza impugnata, accertamento implicito e non omesso esame;
si configura la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di un’eccezione è c ensurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e
censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass . n. 12131/2023);
7. con il secondo motivo, parte ricorrente deduce violazione degli artt. 2196 c.c., 2729 c.c., 167 c.p.c., 8 legge n. 604/1966 vigente ratione temporis , 1463 c.c. 1256 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per mancata valorizzazione di circostanze gravi, precise e concordanti sull’avvenuta disgregazione dell’attività aziendale e sull’inattività della società ai fini della possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro;
8. il motivo non è fondato;
9. la sentenza impugnata ha, sul punto, osservato che l’obbligo datoriale alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento del relativo risarcimento permane sino all’intervento di un’effettiva cessazione dell’attività imprenditoriale, posto che la società inattiva che continua ad essere iscritta nel Registro delle imprese deve presumersi esistente; pertanto le doglianze di parte ricorrente, che sovrappongono i piani – distinti -dell’obbligo di dare esecuzione all’ordine giudiziale con quello delle eventuali difficoltà economiche, non sono idonee a scalfire la correttezza del ragionamento della Corte d’Appello sulla specifica questione;
10. con il terzo motivo, parte ricorrente deduce violazione degli artt. 2956 e 2935 c.c. (art. 360, n.3, c.p.c.), quanto alla prescrizione triennale dei ratei di 13a mensilità;
11. rileva il Collegio che tale eccezione, limitata ai ratei di 13a mensilità, appare del tutto nuova, e dunque il relativo motivo è da qualificarsi inammissibile;
12. infatti, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della
censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 18018/2024);
13. in ogni caso, si tratta, nel caso di specie, di diritto fondato su una precedente sentenza di condanna, quindi soggetto a prescrizione decennale, trovando diretta applicazione l’art. 2953 c.c., che disciplina, in via generale, la cosiddetta actio iudicati ;
14. non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, per la mancata costituzione della controparte;
15. il rigetto dell’impugnazione determina il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘ Adunanza camerale del 4 febbraio 2025.