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Licenziamento verbale: il ritardo non è rinuncia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un’azienda, condannata a risarcire un ex dipendente per licenziamento verbale. La Corte ha stabilito che il semplice ritardo del lavoratore nell’agire legalmente non costituisce una rinuncia tacita al diritto al risarcimento. Inoltre, l’obbligo di reintegrazione e pagamento sussiste finché l’azienda è legalmente iscritta al registro delle imprese, anche se inattiva. Infine, i diritti sanciti da una sentenza definitiva si prescrivono in dieci anni.

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Licenziamento verbale nullo: il ritardo nell’azione non esclude il risarcimento

Il licenziamento verbale è una delle forme più gravi di interruzione del rapporto di lavoro, essendo radicalmente nullo per vizio di forma. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito le pesanti conseguenze per il datore di lavoro, chiarendo alcuni aspetti fondamentali riguardo ai diritti del lavoratore. La Corte ha stabilito che il ritardo con cui il dipendente agisce per ottenere il dovuto risarcimento non equivale a una rinuncia al proprio diritto, né può essere invocato dal datore di lavoro per ridurre l’importo dovuto.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un licenziamento verbale intimato a un lavoratore nel giugno 2009. Tale licenziamento veniva dichiarato nullo in sede giudiziale, con conseguente condanna per l’azienda alla reintegrazione del dipendente e al pagamento delle retribuzioni maturate. Anni dopo, il lavoratore otteneva un decreto ingiuntivo per oltre 116.000 euro a titolo di retribuzioni non corrisposte dal momento dell’offerta delle proprie prestazioni (luglio 2009) fino a luglio 2017.
L’azienda si opponeva al decreto, sostenendo che il lavoratore avesse di fatto rinunciato al suo diritto, dato il lungo tempo trascorso prima di agire. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano l’opposizione, confermando l’obbligo di pagamento. L’azienda decideva quindi di ricorrere in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e le difese contro il licenziamento verbale

L’azienda ha basato il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Violazione della buona fede e rinuncia tacita: Si sosteneva che l’inerzia prolungata del lavoratore dovesse essere interpretata come una rinuncia tacita al suo diritto al risarcimento.
2. Impossibilità di reintegrazione: L’azienda affermava di aver cessato l’attività, rendendo di fatto impossibile la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro.
3. Prescrizione triennale: Veniva eccepita la prescrizione dei ratei della tredicesima mensilità, sostenendo che si applicasse un termine più breve di quello ordinario.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali su ciascuno dei punti sollevati.

In primo luogo, i giudici hanno escluso che il mero ritardo nell’esercizio di un diritto possa configurare una rinuncia tacita o una violazione del principio di buona fede. La Corte ha sottolineato che la responsabilità della situazione ricadeva sul datore di lavoro, il quale si trovava in una condizione di mora accipiendi per non aver accettato la prestazione lavorativa offerta dal dipendente dopo la dichiarazione di nullità del licenziamento.

In secondo luogo, riguardo all’impossibilità di reintegrazione, la Cassazione ha precisato che l’obbligo datoriale persiste fino a quando non vi sia un’effettiva e formale cessazione dell’attività imprenditoriale. Una società che, pur inattiva, continua a essere iscritta nel Registro delle Imprese si presume legalmente esistente e, pertanto, tenuta ad adempiere agli ordini del giudice. Le difficoltà economiche non sono una scusante idonea a eludere l’obbligo di reintegrazione.

Infine, l’eccezione di prescrizione è stata dichiarata inammissibile. La Corte ha rilevato che tale questione non era mai stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio. In ogni caso, ha specificato che il diritto del lavoratore non era più un semplice credito retributivo, ma un diritto accertato da una sentenza passata in giudicato. Di conseguenza, si applicava la prescrizione decennale dell’actio iudicati (art. 2953 c.c.) e non termini più brevi.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida principi fondamentali a tutela del lavoratore vittima di un licenziamento verbale. La decisione ribadisce che la nullità del licenziamento orale comporta conseguenze gravose e durature per il datore di lavoro, che non possono essere attenuate né dalla semplice inerzia del lavoratore né da una generica inattività aziendale. Il messaggio è chiaro: un diritto accertato da una sentenza definitiva gode di una protezione rafforzata e non può essere vanificato da eccezioni tardive o pretestuose. Il datore di lavoro ha il preciso onere di adempiere all’ordine di reintegrazione, a meno che non dimostri la cessazione formale e definitiva della propria esistenza giuridica.

Il ritardo di un lavoratore nel chiedere il pagamento delle retribuzioni dopo un licenziamento illegittimo può essere considerato una rinuncia tacita al suo diritto?
No, la Cassazione ha chiarito che il mero ritardo nell’esercizio del diritto all’azione, di per sé, non costituisce una violazione della buona fede né una causa di esclusione della tutela, e non equivale a una rinuncia tacita.

Un’azienda che ha cessato l’attività operativa ma è ancora iscritta al Registro delle Imprese è obbligata a reintegrare un dipendente?
Sì. Secondo la Corte, l’obbligo di reintegrazione e di pagamento del risarcimento permane fino all’effettiva cessazione dell’attività imprenditoriale. La semplice inattività non è sufficiente a estinguere l’obbligo, poiché la società iscritta si presume esistente.

Qual è il termine di prescrizione per un credito basato su una sentenza passata in giudicato?
Il diritto fondato su una sentenza di condanna passata in giudicato è soggetto alla prescrizione decennale prevista dall’art. 2953 c.c. (la cosiddetta actio iudicati), e non a termini di prescrizione più brevi che potrebbero applicarsi al diritto originario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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