Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6986 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6986 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31695-2021 proposto da:
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 271/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/06/2021 R.G.N. 753/2020;
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. 31695/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 21/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha confermato integralmente la pronuncia di primo grado che, in accoglimento parziale del ricorso proposto da Deutsche Bank s.p.a. nei confronti di NOME COGNOME, quadro responsabile di sportello d i una filiale romana, aveva condannato l’ex dipendente al pagamento della somma di euro 174.000,00 per avere l’istituto dovuto risarcire gli eredi COGNOME nonché ‘a tenere indenne’ la banca ‘in ordine a quanto la stessa fosse eventualmente tenuta a pagare per capitale, interessi e spese in riferimento alla posizione di NOMECOGNOME; il Tribunale aveva anche respinto l’impugnativa del licenziamento del 27.2.2019 proposta dal COGNOME in via riconvenzionale;
la Corte, in sintesi, ha preliminarmente respinto l’eccezione di nullità della sentenza sollevata dall’appellante, a fronte della mancata partecipazione al giudizio dei clienti COGNOME ed eredi COGNOME, negando loro la qualità di litisconsorti necessari; come il Tribunale, ha ritenuto provati gli illeciti addebitati al dipendente, consistiti nell’aver compiuto operazioni bancarie, sui conti dei correntisti COGNOME e COGNOME, comportanti l’addebito di somme con causale generica e contestuale emissione di assegni circolari in favore di soggetti vicini al dipendente (quali la nonna, la compagna e terzi a lui legati da motivi personali), a fronte della sottoscrizione inconsapevole dei relativi moduli da parte degli anziani clienti, persuasi dalla fiducia riposta nel dipendente; ha ritenuto esente da vizi, e pertanto non generica, la decisione del Tribunale di condannare
lo stesso a tenere indenne la Deutsche Bank in relazione a quanto l’istituto di credito fosse tenuto a pagare in riferimento alla posizione della cliente COGNOME; infine, rigettata la censura di tardività della contestazione disciplinare, in ragione della spe cifica natura dell’illecito e del lasso temporale necessario per l’espletamento delle relative indagini, la Corte ha ravvisato, in corrispondenza degli addebiti accertati, la sussistenza della giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c., idonea a giustificare la sanzione espulsiva senza preavviso;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente con cinque motivi; ha resistito con controricorso l’intimata società;
entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati: 1.1. il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 c.p.c., 353 e 354 c.p.c., nonché nullità della sentenza, per avere la Corte rigettato l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, a fronte della mancata partecipazione al giudizio dei correntisti COGNOME ed eredi COGNOME in qualità di litisconsorti necessari, e la conseguente richiesta di rimessione della causa al Tribunale, per potervi svolgere la chiamata in causa dei predetti terzi, in ragione della loro posizione di incompatibilità rispetto agli addebiti mossi a carico del dipendente COGNOME;
1.2. il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché 2697 e 2729 c.c., per avere
la Corte errato nel ritenere, quali presunzioni gravi, precise e concordanti, elementi contrari ad altre risultanze introdotte nel giudizio ‘e così effettuando una valutazione del tutto erronea e parziale degli elementi probatori posti a base del proprio g iudizio’;
1.3. il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso ‘esame di una serie di fatti storici che risultavano dagli atti di causa e da cui emerge che tutte le operazioni oggetto di contestazione erano state, in realtà, consapevolmente e spontaneamente volute, richieste e autorizzate dalla Sig.ra COGNOME e dal Sig. COGNOME;
1.4. il quarto mezzo denuncia la nullità della sentenza in relazione alla condanna di manleva del lavoratore a tenere indenne la Deutsche Bank dall’eventuale risarcimento dovuto nei confronti della correntista COGNOME in ragione della genericità della stessa e d ella mancanza di certezza circa l’elemento condizionante di tale capo di condanna;
1.5. il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 l. n. 300/70 e 44 del Ccnl di riferimento, per non avere la Corte, a fronte del rigetto della censura inerente la tardività della contestazione, valutato come fosse stata irrogata al Finelli la sospensione immediata dal posto di lavoro, pur in assenza di una formale contestazione disciplinare, così violando la procedura prevista dallo Statuto dei lavoratori, nonché dalla contrattazione collettiva; si censura, altresì, la sentenza impugnata, contestando che i fatti contestati integrassero la giusta causa di recesso datoriale;
il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. il primo motivo è infondato;
il litisconsorzio necessario, la cui violazione è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ricorre, oltre che per motivi
processuali e nei casi espressamente previsti dalla legge, quando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe, onde non privare la decisione dell’utilità connessa con l’esperimento dell’azione proposta, ciò che, in particolare, si verifica allorquando l’azione tenda alla costituzione o al mutamento di un rapporto plurisoggettivo unico oppure all’adempimento di una prestazione inscindibile, incidente su una situazione inscindibilmente comune a più soggetti (tra molte: Cass. n. 3692 del 2020; Cass. n. 17027 del 2006);
la Corte territoriale, in coerente applicazione dei principi sopra enunciati, ha escluso la riconducibilità della posizione dei correntisti COGNOME e COGNOME (nella persona degli eredi) ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario in quanto priva del carattere di plurisoggettività e inscindibilità, a fronte della definizione di una controversia in materia di lavoro tra dipendente e parte datoriale;
dall’insussistenza del litisconsorzio necessario deriva anche l’infondatezza della pretesa alla rimessione della causa in primo grado, che solo la violazione dell’art. 102 c.p.c. giustificherebbe, avendo peraltro la Corte territoriale condiviso l’assunto d el primo giudice in punto di mancata autorizzazione della chiamata in causa degli stessi, in ragione della non necessarietà ai fini decisionali, nonché in un’ottica di più celere definizione del giudizio;
2.2. il secondo motivo è inammissibile;
circa la pretesa violazione della disciplina sulle presunzioni, è noto che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio
convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione; spetta quindi al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010) e compete sempre al giudice del merito procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari precedentemente selezionati ed accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione, e non piuttosto una visione parcellizzata di essi, sia in grado di fornire una valida prova presuntiva tale da ingenerare il convincimento in ordine all’esistenza o, al contrario, all’inesistenza del fatto ignoto; la delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori (v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017); essendo compito istituzionalmente demandato al giudice del merito selezionare gli elementi certi da cui “risalire” al fatto ignorato, i quali presentino una positività parziale o anche solo potenziale di efficacia probatoria, nonché l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a
consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’íd quod plerumque accidit, l’esito dell’operazione si sottrae al controllo di legittimità (in termini, Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017), salvo che esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente; pertanto, chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit.; più di recente v. Cass. n. 1234 del 2019) e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, non essendo sufficiente dedurre una pretesa violazione di legge come nella speciesull’as sunto che sarebbero state trascurate determinate circostanze fattuali;
nel caso di specie, posta l’inconfigurabilità delle violazioni denunciate, la censura si risolve in una critica alla valutazione del materiale probatorio effettuata dalla Corte, mediante la prospettazione di ulteriori circostanze di cui si lamenta la mancata valorizzazione, al fine di sollecitare, surrettiziamente, una rivalutazione delle risultanze istruttorie;
inoltre, la doglianza relativa alla violazione delle norme sulle presunzioni non viene, a sua volta, neanche presentata nei termini indicati da S.U. 24 gennaio 2018 n. 1785 (che in motivazione identifica la violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. nell’avere il giudice di merito fondato la presunzione “su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota”, per
cui ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., il giudice di legittimità può essere investito “dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso se considera grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi”, e lo stesso vale per il controllo della precisione e della concordanza; ontologicamente diversa è infatti -rimarca il giudice nomofilattico -la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito che si concreta appunto nell’addurre che la ricostruzione fattuale poteva essere espletata in altro modo;
ne discende, in definitiva, l’inammissibilità della censura, a fronte di una puntuale disamina, operata dalla Corte, degli elementi probatori, con adeguata motivazione, altresì, in ordine agli elementi di segno contrario (la quietanza liberatoria e la registrazione della telefonata), la cui valenza probatoria è stata espressamente disattesa;
2.3. il terzo motivo è parimenti inammissibile;
si deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019);
2.4. il quarto motivo è infondato;
nell’ordinamento processuale vigente sono ammesse sentenze di condanna condizionate, quanto alla loro efficacia, al verificarsi di un determinato evento futuro e incerto, alla scadenza di un
termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, purché il verificarsi dell’evento dedotto in condizione non richieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuovo giudizio di cognizione, ma possa semplicemente essere fatto valere in sede esecutiva mediante opposizione all’esecuzione (cfr. Cass. n. 16621 del 2008; Cass. n. 16135 del 2009; Cass. n. 21013 del 2010; Cass. n. 19320 del 2018; alle quali tutte si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.); nel caso di specie la Corte, conformandosi al consolidato orientamento giurisprudenziale, ha escluso, motivando sul punto, la genericità della condanna di manleva statuita in primo grado, essendo la stessa delimitata ai fatti di cui è stata accertata la responsabilità del dipendente in relazione alla posizione della correntista COGNOME fatti che, per la loro specificità, fungono da elementi condizionanti idonei a circoscrivere la responsabilità del lavoratore nei confronti della Deutsche Bank, che dovrà esser e manlevata, per l’importo quantificato in un distinto procedimento, dal dipendente stesso;
2.5. anche il quinto motivo non può trovare accoglimento; va premesso che in tema di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa), con valutazione riservata al giudice di merito (di recente: Cass. n. 14726 del 2024; in precedenza: Cass. n. 281 del 2016; Cass. n. 16841 del 2018; Cass. n. 23516 del 2019; Cass. n. 32542 del 2021);
va anche ribadita la distinzione tra sospensione cautelare e sospensione disciplinare di cui all’art. 7 l. 300/70, in applicazione della consolidata giurisprudenza di legittimità,
secondo cui la sospensione prevista dall’art. 7, quarto comma, della legge n. 300 del 1970, è un provvedimento di natura disciplinare e si differenzia dalla sospensione cautelare, misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi inerenti al rapporto, che esaurisce i suoi effetti con l’adozione dei provvedimenti disciplinari definitivi; ne consegue che alla sospensione cautelare non trova applicazione l’art. 7 della legge n. 300 del 1970, che procedimentalizza l’esercizio del solo potere disciplinare del datore di lavoro (Cass. n. 15353 del 2012; Cass. n. 25136 del 2010);
nel caso di specie, la Corte, correttamente attenendosi ai principi sopra enunciati, ha ritenuto priva di pregio la censura di tardività della contestazione sollevata, ribadendo la congruità del lasso di tempo intercorso tra la segnalazione dell’illecito e l’effettiva contestazione, in ragione della complessità delle indagini condotte dall’istituto di credito (consistite nell’acquisizione di informazioni presso colleghi nonché presso terzi beneficiari degli assegni e nelle verifiche contabili sui conti bancari dei correntisti interessati dalle operazioni illecite) e, al contempo, evidenziando la non interferenza della sospensione prevista dall’art. 44 del Ccnl di riferimento con la tempestività della contestazione disciplinare, in applicazione della giurisprudenza prima richiamata;
inammissibile è, infine, la censura volta a contestare l’insussistenza della giusta causa di recesso, in quanto prospetta una differente ricostruzione del fatto storico, negando quegli addebiti che, invece, la Corte territoriale, con accertamento di merito insindacabile in questa sede, ha ritenuto provati;
conclusivamente, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 10.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese forfettario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 21 gennaio