Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 742 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 742 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2389-2024 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1095/2023 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 14/11/2023 R.G.N. 1553/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento
ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 2389/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 19/11/2024
CC
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 1095/2023, confermava la pronuncia del Tribunale di Agrigento che aveva rigettato le domande proposte da NOME COGNOME dirette ad ottenere la declaratoria di nullità, illegittimità e inefficacia del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla Banca Popolare Sant’Angelo scpa, di cui era dipendente, con lettera del 12.3.2020.
Le condotte contestate, in contrasto con gli obblighi di diligenza gravanti sul lavoratore nonché con gli Ordini di Servizio della Banca e ritenute sussistenti, riguardavano i suddetti episodi: a) in data 14.1.2020, su richiesta del sig. COGNOME NOME amministratore pt della RAGIONE_SOCIALE, avere il Napoli reso operativo -dietro presentazione di un contratto di fornitura stipulato il 2.1.2020 dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, di un mandato Sepa SDD del 2.1.2020 sottoscritto dal debitore RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE e di una fattura pro forma n. 2 del 13.1.2020- un rapporto di portafoglio commerciale salvo buon fine, intestato alla stessa società RAGIONE_SOCIALE per la presentazione di disposizioni di incasso ‘RAGIONE_SOCIALE‘; b) in data 16.1.2020 avere la RAGIONE_SOCIALE inserito, tramite home banking , due distinte disposizioni di incasso ‘Sepa Direct Debit B2B’ afferenti la suindicata fattura pro forma del 13.1.2020 per l’importo complessivo pari ad euro 717.600,00 da pagarsi in due distinte soluzioni, ovvero la prima di euro 380.000,00 con scadenza il 21.1.2020 e la seconda di euro 337.600 con scadenza il 22.1.2020; c) in data 22.1.2020 avere la RAGIONE_SOCIALE ordinato il pagamento di diciassette bonifici per un ammontare complessivo di euro 339.444,30: segnatamente, tredici bonifici (per l’importo complessivo di 96.763,50 euro) erano stati disposti dal sig. COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, tramite home banking , e quattro bonifici (per l’importo complessivo pari ad euro 242.680,80) erano stati autorizzati dal l’odierno ricorrente, nel pomeriggio della medesima giornata del 22.01.2020, su richiesta del sig. COGNOME NOMECOGNOME qualificatosi quale nuovo rappresentante legale della società, sulla scorta del verbale di
assemblea del 2.1.2020 versato in atti, senza attendere la rituale iscrizione nel registro delle imprese e violando, altresì la normativa antiriciclaggio con conseguente svuotamento del conto intestato alla società.
I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, rilevavano che: a) la Banca aveva pienamente assolto l’onere probatorio sia in ordine alla sussistenza dei fatti contestati, sia in relazione alla giusta causa del licenziamento, per non avere il Napoli adempiuto la prestazione dovuta con la diligenza richiesta ad un esperto bancario, avendo violato importanti disposizioni a presidio di frodi nelle operazioni Sepa DD; b) le deposizioni dei testi escussi si rivelavano genuine e attendibili; c) il Napoli rivestiva la qualifica di Quadro Direttivo di 2° livello, con mansioni di Vice Titolare di Filiale, per cui avrebbe dovuto prestare attenzione alla gravità delle condotte realizzate; d) la consistenza dei comportamenti e la importanza della posizione la vorativa dell’incolpato erano idonei a caratterizzare di gravità le condotte commesse e a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario; e) la sanzione espulsiva era proporzionata ai fatti addebitati; f) risultava adempiuto l’obbligo della affissione del codice disciplinare e la procedura di applicazione della sanzione era stata regolare.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resisteva con controricorso la intimata.
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 cc, dell’art. 2104 cc, dell’art. 18 co. 4 legge n. 300 del 1970, degli artt. 38 co. 3 CCNL ratione temporis vigente, nonché dell’art. 1852 cc, della Direttiva n. 64/2007 CE (payments Services Directive) e D.lgs. n. 11/2010, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.
3 cpc. Si deduce, ripercorrendo tutte le operazioni contestate e poste a base del recesso, che la sentenza della Corte di appello era caratterizzata da un insanabile deficit argomentativo ed interpretativo, nonché da palese contraddittorietà, in termini di applicazione delle norme riferibili al caso di specie, in quanto il comportamento tenuto da esso ricorrente non era contrario ai doveri di diligenza ed erano errate sia la ricerca che la interpretazione e l’applicazione delle norme regolatrici il caso co ncreto, di modo che era ravvisabile la insussistenza della rilevanza disciplinare del fatto posto a fondamento del provvedimento espulsivo per carenza di giusta causa.
Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 co. 2 legge n. 300 dl 1970, dell’art. 44 del CCNL di riferimento, ratione temporis vigente, dell’art. 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, perché la Corte di appello, a seguito della richiesta di ordine di esibizione ex art. 210 cpc, relativamente alla documentazione afferente le operazioni di cui è causa, in particolare sul mandato Sepa del 2.1.2020 ritenuto sprovvisto del necessario codice identificativo del creditore non essendo stata completata la parte ‘ID (CID)’ e, quindi, non valido, non aveva disposto l’acquisizione dell’atto e, pertanto, non aveva consentito una corretta verifica da parte di esso incolpato attesa la successiva disposizione di incasso del 16.1.2020, connessa al predetto mandato e inserita dal cliente, indispensabile per accertare la mancanza effettiva dell’indicazione del Codice Identificativo del Creditore: il tutto in violazione dell’art. 7 legge n. 300 del 1970.
Il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
Va sottolineato che le doglianze tendono, in sostanza, ad ottenere la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, in quanto la Corte di cassazione non può mai procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei
fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).
Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sé degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014).
Nella specie, i giudici di secondo grado, conformemente al Tribunale, hanno ritenuto la sussistenza di una pluralità di condotte, commesse dal Napoli, contrarie alle disposizioni di servizio aziendali e alla normale diligenza esigibile da un lavoratore esperto che ricopriva funzioni apicali, analizzando singolarmente e approfonditamente gli Ordini di servizio e la difformità rispetto ad essi dell’operato del dipendente.
In particolare, i giudici di seconde cure, acclarata la ascrivibilità dei fatti contestati all’odierno ricorrente, hanno sottolineato che la gravità della condotta era desumibile sia dalle concrete modalità di realizzazione della stessa, sia dal grado di esperienza del Napoli (assunto nel lontano 1992) che dimostrava la piena consapevolezza di costui circa la irregolarità delle operazioni poste in essere, evitabili con l’osservanza di un minimo di diligenza e prudenza certamente esigibile da chi rivestiva delicate funzioni.
Si tratta di accertamenti di merito, svolti con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, ratione temporis applicabile, in un contesto di ‘doppia conforme’ per cui non vi è spazio per alcuna loro rivisitazione in sede di legittimità.
Quanto, infine, alle censure relative all’accertamento della congruenza del licenziamento intimato, va sottolineato il fondamentale principio affermato in sede di legittimità (per tutte,
Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 6498/2012) secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
11. Nel caso in esame, pertanto, ritenute inammissibili tutte le doglianze riguardanti la ricostruzione e le modalità della vicenda in fatto, nonché quelle relative alla proporzionalità della condotta (‘ In tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente -è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità Cass. n. 26010/2018’ ), con specifico riferimento alla censura concernente la asserita violazione del parametro
normativo di cui all’art. 2119 cod. civ. va condiviso l’assunto della Corte territoriale che, proprio sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, ha ritenuto inadempimento importante quello imputabile alla condotta del Napoli che ha determinato una irrimediabile lesione dell’elemento fiduciario, su cui si fonda il rapporto di lavoro, inteso come concreto interesse del datore all’esatto e puntuale adempimento futuro della prestazione da parte del lavoratore, a maggior ragione se appartenente ad una categoria particolarmente qualificata come quella del ricorrente (Vice Titolare di filiale di un istituto bancario, con qualifica di Quadro Direttivo di II livello).
Anche il secondo motivo non è meritevole di accoglimento.
In primo luogo, deve sottolinearsi che il provvedimento di cui all’art. 210 cod. proc. civ. è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto ad indicare le ragioni per le quali ritiene di avvalersi, o no, del relativo potere, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (Cass. n. 22196/2010; Cass. n. 4375/2010).
In secondo luogo, va rilevato che il mandato Sepa del 2.1.2020 è stato prodotto in giudizio (doc. 11 della fase sommaria), privo della indicazione del necessario Codice Identificativo Creditore come accertato anche dalla Corte di appello, e non è stato specificato se il documento sia stato rite et recte disconosciuto o impugnato di falso, per cui non può dirsi che fosse ravvisabile il requisito necessario della indispensabilità della acquisizione.
In terzo ed ultimo luogo, deve rilevarsi che, quand’anche la successiva disposizione del 16.1.2020, inserita dal cliente, riportasse il ‘CIC’, ciò non incideva sulla omissione contestata al dipendente in ordine alla corretta compilazione del suddetto mandato Sepa del 2.1.2020.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 novembre 2024
La Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME