Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20901 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20901 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21097-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
Oggetto
Licenziamento orale – dimissioni
– rapporto privato
R.G.N. 21097/2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/06/2024
CC
avverso la sentenza n. 168/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 28/05/2021 R.G.N. 214/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Genova, in accoglimento del reclamo proposto da NOME COGNOME, ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimatogli in data 22/1/2019 e ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in suo favore dell’importo di € 47.176, oltre accessori;
in particolare, per quanto qui rileva, la Corte di merito ha rilevato che il lavoratore era stato dipendente della RAGIONE_SOCIALE da aprile 2014 con mansioni di autotrasportatore; ha ritenuto provato il licenziamento orale; ha determinato mediante CTU l’importo della retribuzione globale di fatto in € 2.358,80; ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di venti mensilità della retribuzione così determinata, posto che nel marzo 2019 il lavoratore aveva esercitato l’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra;
avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE con cinque motivi; resiste con controricorso il lavoratore; sono state depositate revoca del mandato al difensore della RAGIONE_SOCIALE ricorrente e sentenza dichiarativa del fallimento della stessa; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
preliminarmente osserva il Collegio che la revoca del mandato al difensore non determina interruzione del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio), per effetto del principio della cd. perpetuatio dell’ufficio di difensore, di cui è espressione l’art. 85 c.p.c., che comporta l’ultrattività del mandato difensivo sino alla sostituzione del difensore precedente (cfr. Cass. n. 28365/2022);
parimenti, i l fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex artt. 299 ss. c.p.c., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso d’ufficio, con la conseguenza che non vi è un onere di riassunzione del giudizio nei confronti della curatela fallimentare; questo non esclude, tuttavia, che il curatore del fallimento possa intervenire nel giudizio di legittimità al fine di tutelare gli interessi della massa dei creditori, sia pure nei limiti delle residue facoltà difensive riconosciute dalla legge (cfr. Cass. 3 0785/2023 e giurisprudenza ivi richiamata);
con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto ammissibile il reclamo, mancante dei requisiti di esposizione del fatto e di argomentazioni e deduzioni contrapposte alle argomentazioni della pronuncia impugnata;
il motivo è infondato;
la Corte territoriale ha spiegato (§ 3) le ragioni di ammissibilità dell’impugnazione, indicante con chiarezza i punti della decisione oggetto di critica e le censure all’argomentazione addotte dal Tribunale, secondo il paradigma dell’impugnazione
in appello che può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte del giudizio di primo grado, purché accompagnata dall’enunciazione puntuale degli elementi oggetto della richiesta di riesame (Cass. n. 24464/2020); ed esattamente parte controricorrente richiama Cass. n. 277/2015, che ha precisato che s tabilire se i motivi di gravame posseggano o no il requisito della “specificità” richiesto dall’art. 342 c.p.c. è un giudizio di fatto (v. § 3.2. della motivazione);
con il secondo motivo, viene dedotta (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. o, in subordine (art. 360, n. 4, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.; si sostiene che la Corte d’Appello ha seguito un ragionamento probatorio sul piano inferenziale delle presunzioni semplici in mancanza dei relativi requisiti;
con il terzo motivo, la sentenza impugnata viene censurata (art. 360, n. 3, c.p.c.) per omesso esame del fatto secondario decisivo della consegna del semirimorchio, fatto sufficiente per fondare una presunzione dalla quale inferire la volontà del lavoratore di dimettersi;
i motivi secondo e terzo, che possono essere trattati congiuntamente per connessione, sono inammissibili;
il ragionamento presuntivo operato nel merito è censurabile in sede di legittimità solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (cfr. Cass. n. 3541/2020, n. 5279/2020; v. anche Cass. n. 22366/2021, n. 9054/2022, n. 23263/2023);
d’altra parte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare
gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017; conf. Cass, n. 20921/2019), restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. S.U. n. 8053 e 8054//2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019);
nel caso di specie, la Corte ha esplicitato adeguatamente il percorso logico-argomentativo che l’ha portata a ritenere integrata la prova del recesso datoriale piuttosto che delle dimissioni del lavoratore, e in sede di legittimità non è ammessa la rivalutazione dei fatti e delle prove operata nel merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr. Cass. n. 8758/2017, n. 18721/2018, n. 20814/2018, n. 20553/2021)
con il quarto motivo viene denunciata (art. 360, n. 4, c.p.c.) una irragionevole disattesa del risultato probatorio della prova testimoniale;
il motivo è inammissibile, in quanto il giudizio di Cassazione non è strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame, come sopra rilevato (§ 11);
con il quinto motivo parte ricorrente denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. nell’interpretazione dell’accordo aziendale in merito all’indennità di trasferta;
il motivo non è meritevole di accoglimento;
per costante giurisprudenza di questa Corte, è riservata al giudice di merito l’interpretazione degli accordi aziendali, in ragione della loro efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 40/2006), ed essa non è censurabile in cassazione se non per vizio di motivazione o per violazione di canoni ermeneutici (Cass. n. 2625/2010 e successive conformi, n. 17201/2020, n.9093/2023);
l’interpretazione dell’accordo aziendale applicato al rapporto da parte della Corte distrettuale risulta rispettosa dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e sorretta da motivazione immune da vizi, in quanto condotta sulla scorta dei due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale, ai fini della ritenuta natura integralmente retributiva dell’indennità erogata in via continuativa al lavoratore;
il ricorso deve, pertanto, essere complessivamente respinto, con regolazione secondo il regime della soccombenza delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, da distrarsi in favore dei procuratori di parte controricorrente dichiaratisi antistatari;
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 4 giugno 2024.