Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10958 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10958 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10596-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME ;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1000/2024 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/03/2024 R.G.N. 1615/2023;
Oggetto
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
R.G.N. 10596/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 27/03/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli, in riforma del provvedimento del giudice di primo grado, ha accolto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE accertando la illegittimità del licenziamento disciplinare (per furto di bene aziendale) intimato al lavoratore in data 1.8.2019 e ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro con condanna al pagamento di un’indennità pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte territoriale -premesso che l’onere della prova della sussistenza dell’addebito disciplinare incombe sul datore di lavoro, ex art. 5 della legge n. 604 del 1966 – ha rilevato che il fatto, disciplinarmente rilevante, consisteva (come da lettera di contestazione) nell’appropriazione di un bene aziendale consistente in una matassa di nastro di rame; rilevato che la descrizione dei fatti effettuata dal lavoratore non era collimante con quella fornita dal datore di lavoro, la Corte territoriale ha sottolineato che il bene di cui era stata tentata l’appropriazione (impedita dalla guardia giurata posta ai cancelli di uscita dell’azienda) non si era mai trovato e che il quadro probatorio raccolto (prevalentemente di fonte testimoniale) non era sufficiente a dimostrare la condotta addebitata, anche a fronte della inattendibilità (per intrinseche contraddizioni della deposizione) del teste NOME COGNOME
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con i primi due motivi si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, avendo, la Corte territoriale, trascurato che NOME COGNOME (guardia giurata preposta al controllo dei varchi che consentono l’accesso e l’uscita allo stabilimento produttivo) aveva descritto l’oggetto rinvenuto nella borsa del COGNOME e le condotte a quest’ultimo contestate in due mail (del 15 e del 16 luglio 2019) inviate, nell’immediatezza dei fatti, alla società; inoltre, i giudici di merito non avevano considerato la grandezza dello stabilimento e la circostanza che il dipendente, ‘addetto ai cavi’, chiamato dalla guardia giurata aveva impiegato circa 8-10 minuti a raggiungere la guardiola.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., avendo, la Corte territoriale, trascurato alcuni elementi indiziari (di carattere decisivo) prima di selezionare quelli gravi, precisi e concordanti.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali e che abbia carattere decisivo, nel cui paradigma non sono inquadrabili le censure concernenti la diversa ricostruzione dei fatti storici prospettata dal ricorrente (Cass. nn. 14802 del 2017 e 22397 del 2019.
Invero, secondo l’orientamento consolidato espresso dalle Sezioni Unite secondo, all’esito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134), in relazione all’apprezzamento delle risultanze processuali rileva solo l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, e che abbia carattere decisivo. L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante nel giudizio di legittimità (si rimanda alla motivazione di Cass. S.U. 27 dicembre 2019 n. 34476, che richiama Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053; Cass. S.U. 18 aprile 2018 n. 9558; Cass. S.U. 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass. S.U. 22 febbraio 2023 n. 5556).
6. In ordine al terzo motivo di ricorso, il ricorrente concentra la propria censura sulla selezione degli elementi indiziari emersi dall’accertamento probatorio, senza considerare che l’esito del giudizio è stato determinato dalla valutazione di inattendibilità del teste, valutazione non censurata in questa sede ed effettuata dalla Corte territoriale in conformità ai principi elaborati da
questa Corte, in base ai quali il giudice deve considerare la veridicità della deposizione alla stregua di elementi sia di natura oggettiva (la precisione e completezza delle dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) sia di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite. Cfr. Cass. n. 16529 del 2004).
In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso, con regolazione delle spese di lite secondo il criterio della soccombenza.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 marzo