Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13410 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13410 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2036-2021 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
R.G.N. 2036/2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/04/2024
CC
avverso la sentenza n. 916/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 29/10/2020 R.G.N. 1352/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Catanzaro, confermando la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, ha accertato la legittimità del licenziamento intimato da Banca popolare di Bari s.p.a. a NOME COGNOME in data 15.10.2015 per irregolarità in operazioni bancarie effettuate, nel corso del 2014, nello svolgimento delle mansioni di cassiera.
2. La Corte territoriale – ritenuta tempestiva la contestazione disciplinare effettuata in stretta connessione temporale tra la conoscenza del fatto disciplinarmente rilevante (in seguito a disconoscimento di alcune operazioni da parte della cliente COGNOME del 31/7/2015 e segnalazione pervenuta dalla Responsabile della filiale della COGNOME in data 6/8/2015) ed esclusa la genericità della contestazione disciplinare (che conteneva una dettagliata descrizione delle operazioni irregolari e dei motivi per cui dovevano ritenersi irregolari, contestazione alla quale la lavoratrice aveva replicato con nota del 16/9/2015) – ha ripercorso minuziosamente le operazioni di cassa effettuate dalla lavoratrice, giungendo alla valutazione di una gravissima violazione di fondamentali regole di diligenza professionale che, nel caso di svolgimento di mansioni di cassiere, ledono l’affidamento non solo del datore di lavoro ma anche del pubblico; in particolare, la Corte territoriale ha rilevato che ‘sono riscontrabili gravi e ripetute violazioni (pure indicate nella contestazione) della normativa di legge e della normativa interna, che regolamentano le operazioni bancarie ed in particolare della normativa antiriciclaggio (art. 49 comma
1 d.lgs. n. 231/2007 come modificato dal d.l. 6/12/2011 n. 201 convertito in L. 214/2011) che vieta i trasferimenti in contanti superiori alla somma di euro 1.000,00 (il riferimento è al versamento della somma di euro 1.482,00); del manuale di gestione assegni (doc. 39 e 40 del fascicolo della banca) in merito alla negoziazione di assegni e cambio in contanti di assegni bancari, in particolare con riferimento all’obbligo di archiviazion e dell’assegno presso la Filiale con il relativo inserimento nella busta di cassa giornaliera; la ricorrente ha, inoltre, effettuato e contabilizzato operazioni di prelevamento e versamento di somme in contanti da e su conti correnti della cliente ignara, in mancanza quindi di disposizione della stessa cliente, violando altres ì le disposizioni del ‘Manuale Gestione Amministrativa del Personale’ (doc. 41 del fascicolo della banca) che vieta che si possono effettuare operazioni di cassa eseguite da dipendenti per conto proprio (il riferimento è ancora al versamento della somma di euro 1.482,00 in contanti su conto corrente della sig.ra COGNOME) peraltro senza autorizzazione del responsabile di Filiale’.
Avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. La società ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 2019, 2697, 1175, 1375 cod.civ., 7 della legge n. 300 del 1970,1 e 3 della legge n. 604 del 1966, 115 e 116 cod.proc.civ. per avere, la Corte territoriale, ritenuto provato il disconoscimento delle operazioni bancarie da parte
della cliente COGNOME senza che quest’ultima avesse mosso reclamo formale all’istituto di credito in ordine alle contestate operazioni bancarie e ciò anche di fronte alla dichiarazione scritta, non contestata dalla banca, della suddetta cliente di non aver alcun reclamo in ordine alle movimentazioni registrate sul conto, né alcuna rivendicazione in ordine alle operazioni contestate; il comportamento addebitato alla lavoratrice è stato ritenuto idoneo ad incrinare in modo definitivo il rapporto fiduciario tra le parti mentre, attraverso valutazione ed apprezzamento critico, potevano al massimo integrare la negligenza nell’esecuzione della prestazione lavorativa; il fatto che la negoziazione degli assegni risultava ancora in possesso della cliente non consente di dedurre il nesso di causalità e/o di collegamento della prestazione lavorativa della ricorrente con gli addebiti, i quali erano pur avvenuti a notevole distanza di tempo. Inoltre, i testi erano tutti de relato, cioè persone che avevano solo una conoscenza indiretta del fatto controverso (cioè narrato dalla sig.ra COGNOME); gli ispettori hanno riferito su fatti e circostanze di cui sono stati informati, più o meno in modo interessato, dalla stessa banca.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 cod.civ., 7 della legge n. 300 del 1970, per avere, la Corte territoriale, negato la tardività della contestazione dell’addebito e del conseguente licenziamento, avendo il datore di lavoro atteso un anno prima di contestare alla dipendente i fatti costituenti un illecito disciplinare.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 avendo, la
Corte territoriale, trascurato il principio di diritto sotteso all’obbligo di specificità della contestazione.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Deve, in primo luogo, rimarcarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi -violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
4.2. Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., che – nella versione ratione temporis applicabile
lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014), e, nel caso di specie, non è invocabile a fronte di una sentenza c.d. doppia conforme.
4.3. Invero, come questa Corte ha affermato, l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito – mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva appunto, in cui si colloca la fattispecie ‘è sindacabile in Cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n. 13534 del 2019; nello stesso senso, Cass. n. 985 del 2017; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005).
4.4. L’accertamento della concreta ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento opera sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito.
4.5. Solamente l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; invece, l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito,
rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta”, spettando inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi all’ipotesi normativa” (in termini Cass. n. 18247 del 2009 e Cass. n. 7838 del 2005).
4.6. La parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di sussunzione, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione dei parametri ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi (perché in tal modo trasmoderebbe nella revisione dell’accertamento di fatto, di competenza del giudice di merito), ma deve piuttosto denunciare che la combinazione e il peso dei dati fattuali (gravità dei fatti addebitati, portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze in cui sono state commessi, intensità dell’elemento intenzionale, etc.), così come definiti dal giudice del merito, non consente comunque la riconduzione alla nozione legale di giusta causa di licenziamento (cfr. Cass. n. 18715 del 2016); il giudice di legittimità, invero, non può, “sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento dei concetti giuridici indeterminati … se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza”; “il sindacato di legittimità sulla ragionevolezza è, quindi, non relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione” (così Cass. SS.UU. n. 23287 del 2010).
5. I secondo ed il terzo motivo di ricorso, che attengo entrambi alla contestazione disciplinare, sono infondati, avendo, il giudice d’appello (confermando quanto già statuito dal
Tribunale) preso in considerazione tutti i tempi del disconoscimento delle operazioni da parte della cliente, della segnalazione inoltrata dalla Responsabile della Filiale, della tempestiva convocazione della dipendente avanti agli ispettori, dell’acquisiz ione delle dichiarazioni delle colleghe della COGNOME, dell’invio delle controdeduzioni difensive e del successivo licenziamento; nella valutazione ha, quindi, richiamato i principi consolidati in tema di relatività del concetto di immediatezza, valorizzando i tempi necessari ad accertamenti complessi e realtà aziendali articolate ( Cass. n. 281/2016; Cass. n. 10069/2016) e la completezza della lettera di contestazione; ogni ulteriore valutazione in merito resta esclusa dal giudizio di legittimità.
Questa Corte ha, inoltre, precisato che la previa contestazione dell’addebito, necessaria nei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.; per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione (Cass. n. n. 9590 del 18/04/2018), profilo che è stato valorizzato, con il concorso di altre argomentazioni, dai giudici del merito.
6. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in euro 200,00 per esborsi, nonché in euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 aprile 2024.