Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2076 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2076 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25494-2022 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio legale COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 221/2021 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 21/04/2022 R.G.N. 256/2020;
Oggetto
Licenziamento disciplinare Dirigente
R.G.N. 25494/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 03/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Cagliari ha rigettato il gravame avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto delle domande proposte da NOME COGNOME contro la società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore della distribuzione alimentare, di cui era stato direttore generale (dirigente) dal 1997, finalizzate alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli con lettere del 22 e 25.5.2012, a seguito di due contestazioni disciplinari, e alla condanna della società al pagamento dell’indennità compensativa e risarcitoria prevista dal contratto individuale di lavoro, dell’indennità supplementare di cui all’art. 30 CCNL dirigenti Confcommercio, dell’indennità sostitutiva del preavviso di cui all’art. 35 del medesimo CCNL (oltre domande subordinate);
2. avverso la sentenza di appello l’originario ricorrente, poi appellante, ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi (nel corpo dell’atto sono indicati sette motivi, ma nella sintesi iniziale e nella memoria ne sono riportati sei, dovendosi così ritenere il quarto e quinto motivo esplicitati a pag. 19 ss. accorpati in unico articolato motivo), illustrati da memoria; ha resistito con controricorso la società; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione di legge in ordine all’apprezzamento delle prove (art. 116 c.p.c.) e violazione
degli artt. 421 c.p.c. e 2697 c.c.; sostiene che la Corte di merito ha errato nel percorso logico-giuridico sviluppato affermando che il dirigente ha confuso l’esistenza della delibera con la sua documentazione, non avendo egli affermato che non esisteva la delibera d el CdA, ma contestato l’esistenza di una specifica parte della deliberazione;
2. con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) che la sentenza impugnata si è basata su una ricostruzione errata di fatti decisivi per la decisione; sostiene che, con erronea interpretazione del materiale istruttorio, in violazione degli artt. 116 e 421 c.p.c., 2697 c.c., 2375 e 2388 c.c. in combinato disposto, la Corte di merito ha valutato erroneamente alcuni documenti decisivi fondamentali, in particolare un mandato a trattare a favore del presidente e del direttore generale e un mandato a recedere a favore del solo presidente, trattati come due distinte versioni del verbale della delibera del CdA del 29.3.2012;
3. con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 2379 e 2388 c.c. sulla validità delle delibere societarie; sostiene che la Corte d’Appello ha errato in ordine alla differenza tra l’atto deliberativo e il documento nel quale la delibera viene riprodotta e in merito all’inesistenza della delibera a formazione progressiva;
4. con il quarto motivo, deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 ss. c.c., per avere la Corte territoriale mal interpretato l’esistenza e la validità di un contratto, fondandosi su un’erronea valutazione del materiale probatorio acquisito, in violazione dell’art. 116 c.p.c., male interpretando le prove decisive scaturigine della decisione circa il comportamento del dirigente, compiendo un errore di sussunzione nel ritenere che egli avesse dato
esecuzione alla delibera del novembre 2011 non in modo rispettoso del deliberato, sottoscrivendo, all’insaputa del presidente e dei consiglieri un testo contrattuale sostanzialmente e fondamentalmente diverso;
5. con il quinto motivo, deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) errata valutazione di un ulteriore fatto decisivo; sostiene che la Corte d’Appello ha travisato un fatto chiave, con riferimento ai fatti del 29 marzo 2012, basando la propria decisione su un’errata valutazione del materiale probatorio raccolto, valutando erroneamente il presupposto fattuale, ovvero l’indicazione o bozza contrattuale che il CdA avrebbe espresso in ordine alla seconda contestazione agli atti, per concludere che egli aveva agito per ragioni personali e scopi terzi non conferenti e coerenti con il suo ruolo aziendale;
6. con il sesto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità e del favor lavoratoris (art. 2119 c.c.); sostiene che la Corte d’Appello ha applicato erroneamente il principio di proporzionalità, non valutando adeguatamente la sproporzione tra la condotta contestata e la sanzione del licenziamento per giusta causa;
7. osserva il Collegio, in primo luogo, quanto ai profili di censura (contenuti nel secondo, quarto e quinto motivo) riferiti all’art. 360 n.5 c.p.c., che essi non sono ammissibili in presenza di ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348 -ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.;
ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 29715/2018, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 26934/2023);
8. neppure sono meritevoli di accoglimento le censure di violazione dell’art.116 c.p.c. contenute nei primi due motivi; la doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre non tiene conto che tale attività valutativa è consentita dall’art. 116 c.p.c., e si risolve, perciò, in una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata però al giudice di merito e, pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023 n. 24523/2024);
9. parimenti, la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107/2013, n. 13395/2018); nella specie parte ricorrente critica, appunto,
l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa il raggiungimento della prova in ordine alla valutazione dei documenti rilevanti;
10. quanto al terzo, quarto e quinto motivo, da trattare congiuntamente per connessione, osserva il Collegio che anch’essi si sostanziano in una richiesta di rivalutazione dei fatti come accertati nei gradi di merito e delle prove, non consentita in sede di legittimità, tanto più nella già evidenziata situazione processuale di pronuncia di merito doppia conforme;
11. del resto, è consolidato nella giurisprudenza di legittimità (tra le molte, Cass. 3964/2019), il principio secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra;
12. parimenti è consolidato il principio secondo cui, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni
illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. n. 9461/2021; cfr. anche Cass. n. 4460/2020, n. 9093/2023;
13. la sentenza gravata, al di là di impropri riferimenti alla letteratura latina, ha richiamato l’esaustiva motivazione della sentenza di primo grado (e la ivi svolta istruttoria, con interrogatorio formale, prova testimoniale, acquisizioni documentali);
14. la sentenza di appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione, ovvero dell’identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass n. 28139/2018, n. 20883/2019); la pronuncia impugnata, conforme a tale tecnica redazionale, resiste dunque alle censure proposte sotto tale profilo;
15. il sesto motivo è inammissibile;
16. in proposito, questa Corte ha più volte chiarito che, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.;
né questa Corte può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione; l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n.13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 88/2023, n. 26043/2023, n. 12787/2024; v. anche, Cass. n. 14063/2019, n. 16784/2020, n. 17321/2020, n. 25977/2020, n. 30866/2023, n. 24523/2024);
17. perciò non è rivisitabile in questa sede in fatto la valutazione operata nel merito circa la gravità e proporzionalità dei fatti contestati e della sanzione, a fronte di accertamento, spettante al merito, di conflitto di interessi e di comportamento in contrasto con le deliberazioni del CDA, in contrasto con il dovere di fedeltà;
18. in conclusione, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso;
19. in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo in relazione al valore della controversia;
20. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 12.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 3 dicembre