Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3607 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 3607 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4903-2023 proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1507/2022 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 29/12/2022 R.G.N. 1231/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. 4903/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 11/12/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Catania ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa di rigetto (in sede di opposizione, a sua volta con conferma dell’ordinanza di rigetto resa in esito alla fase sommaria ai sens i dell’art. 1, commi 48 ss., legge n. 92/2012) dell’impugnativa del licenziamento irrogatogli dalla società RAGIONE_SOCIALE (società consortile di trattamento acque reflue civili e industriali e di gestione di collettore per il convogliamento e trattamento delle acque reflue degli stabilimenti petroliferi e petrolchimici della locale area industriale), di cui era dipendente dal 1991, con mansioni di responsabile collettore (impiegato A3), con lettera del 30.4.2020, a seguito di procedimento disciplinare iniziato con contestazione del 7.4.2020, riferita a episodi di uso del mezzo aziendale per fini extra-lavorativi in orario di lavoro, così riducendo in modo fraudolento il tempo della prestazione lavorativa e cre ando una ‘ situazione di apparenza lavorativa ‘, accertati in svariate giornate di febbraio 2020, come da relazione investigativa;
nel merito, per quanto ancora rileva, gli episodi contestati sono stati ritenuti provati e rientranti nell’ambito degli artt. 2119 c.c. e 40 CCNL per gli addetti all’industria chimica, chimico-farmaceutica, delle fibre chimiche e del settore abrasivi, lubrificanti e GPL del 19.7.2018 applicato al rapporto, che prevede la sanzione del licenziamento per l’ipotesi di ‘ irregolare scritturazione, timbratura di cartellino/badge o altra alterazione dei sistemi aziendali di controllo e di presenza effettuate con dolo ‘;
per la cassazione della predetta sentenza ricorre NOME COGNOME con 5 motivi; resiste la società con controricorso,
illustrato da memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) illegittimità dell’attività investigativa svolta dall’azienda, per avere incaricato un’agenzia privata per controllare le mansioni svolte dal lavoratore all’esterno dell’impianto contra legem (artt. 2, 3, 4 legge n. 300/1970); vizio di ultra-petizione, sostenendo che dal controllo investigativo non è emersa alcuna fattispecie penalmente rilevante e non sono state individuate condotte riconducibili a responsabilità aquiliana; violazione privacy ;
con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame di fatti decisivi, per mancata considerazione della genericità e faziosità della relazione investigativa, svolta da agenzia privata retribuita dal datore di lavoro;
con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame di fatti decisivi, sostenendo che i comportamenti addebitati al lavoratore, se dimostrati, avrebbero comportato l’irrogazione di meno gravi sanzioni conservative, previste dal CCNL, e omessa valutazione, sotto i profili soggettivo e oggettivo, della reale intenzione del lavoratore, che non intendeva cagionare un danno all’azienda;
con il quarto motivo, deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame di fatti decisivi che sarebbero emersi dalla richiesta prova per testimoni, ossia che il comportamento tenuto era in linea con la prassi aziendale, indipendentemente dalle circolari che prevedevano la timbratura in occasione della pausa pranzo;
con il quinto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione ed errata applicazione dell’art. 40 CCNL applicato al rapporto, non avendo compiuto alcuna irregolare scritturazione o timbratura; sostiene che doveva applicarsi l’art. 51 CCNL, che include tra le condotte punibili con sanzioni conservative, tra le altre quelle del ‘… lavoratore: a) che utilizzi in modo improprio gli strumenti di lavoro aziendali (accesso a reti e sistemi di comunicazione, strumenti di duplicazione, ecc.); … e) che ritardi l’i nizio del lavoro o lo sospenda, o ne anticipi la cessazione senza preavvertire il superiore diretto o senza giustificato motivo ‘;
il primo motivo (che ricalca i primi due motivi di appello) è infondato;
la sentenza impugnata è conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte (richiamata espressamente in motivazione), secondo cui i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 St. lav. (v. Cass. n. 6174/2019, n. 4670/2019, n. 15094/2018, n. 8373/2018); cfr. anche Cass. n. 6468/2024, n. 10636/2017);
nella fattispecie di causa il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa, bensì la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro, nonostante la timbratura del badge ; neppure sussiste la lamentata violazione della privacy del dipendente, seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause dell’allontanamento; l ‘attività fraudolenta è
stata ravvisata nella falsa attestazione della presenza in servizio e nell’utilizzo personale del mezzo aziendale, nonostante il lavoratore fosse autorizzato a usare detto mezzo solo per motivi attinenti all’attività lavorativa; ciò prescinde dall ‘ integrazione di una fattispecie di reato o dalla quantificazione del danno, comunque riscontrabile nell’utilizzo improprio della vettura e dell’orario lavorativo retribuito;
i motivi secondo, terzo e quarto sono inammissibili;
rileva il Collegio che la Corte d’Appello ha confermato integralmente le statuizioni di primo grado, così realizzandosi ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348 -ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 7168/2024, n. 26934/2023, n. 5934/2023, n. 7724/2022, n. 29715/2018);
il quinto motivo non è fondato;
osserva il Collegio che il licenziamento è stato irrogato per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c., per violazione dei doveri
di lealtà e correttezza del lavoratore, per avere creato una situazione definita di ‘apparenza lavorativa’;
il sindacato di legittimità nelle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento non si estende al diverso apprezzamento di merito circa i compositi elementi che il giudice è chiamato a valutare per ritenere integrata la giustificazione del licenziamento, sulla base di una diversa ricostruzione della vicenda storica, tanto più nella già sottolineata ipotesi di pronuncia doppia conforme di merito ricorrente nel caso di specie (cfr. Cass. n. 21760/2024, n. 107/2024);
al giudice di merito è altresì devoluto il giudizio di proporzionalità della sanzione (cfr. Cass. n. 20979/2024, n. 8642/2024, n. 8293/2012, n. 7948/2011); infatti, la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità implica inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (v. Cass. n. 14811/2020);
quanto al denunciato errore di sussunzione in previsione del contratto collettivo di sanzione del licenziamento anziché di sanzione conservativa, la consolidata giurisprudenza di legittimità ha chiarito che dalla natura legale della nozione di giusta causa deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di recesso contenuta nei contratti collettivi ha valenza esemplificativa, e non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave
inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (cfr. Cass. n. 21760/2024 cit., n. 27004/2018, n. 2830/2016, n. 4060/2011);
16. in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
al rigetto del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale dell’11 dicembre 2024.