Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4934 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4934 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
12519/2023 r.g., proposto da
NOME COGNOME elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Potenza n. 36/2023 pubblicata in data 28/03/2023, n.r.g. 220/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE dal 1988, come operaio addetto al montaggio sulla linea, nonché delegato sindacale r.s.a. della FIM dal 1999.
OGGETTO:
licenziamento disciplinare – fatto di rilevanza penale archiviazione – effetti nel giudizio di impugnazione del licenziamento – limiti
In data 30/05/2017 era stato licenziato per giusta causa sulla base della contestazione disciplinare di aver promesso a terzi l’intermediazione per l’assunzione del loro figlio in cambio del pagamento di euro 4.000,00 da versare metà al momento dell’assunzione come lavoratore interinale, l’altra metà alla firma del contratto a tempo indeterminato; il predetto era stato assunto ma poi licenziato prima della scadenza del periodo di prova, fatto che la società aveva appreso da articoli di stampa nazionale e locale.
Il NOME adiva il Tribunale di Potenza per impugnare il licenziamento ed ottenerne l’annullamento sia per difetto della giusta causa per insussistenza del fatto contestato, sia per la sproporzione fra la sanzione adottata e l’infrazione contestata.
2.- Costituitosi il contraddittorio, assunta la prova orale articolata dalla società, all’esito della c.d. fase sommaria introdotta dal rito di cui alla legge n. 92/2012, il Tribunale rigettava la domanda.
Poi con sentenza rigettava l’opposizione del NOME, ritenendo provata la condotta contestata ed escludendo che alcuna rilevanza potesse avere la richiesta di archiviazione avanzata dal P.M. per il reato di truffa ai danni dei due denuncianti, così come la disposta archiviazione da parte del G.I.P., considerato il tenore della denunzia sporta dai due genitori (COGNOME NOME e COGNOME NOME) del ragazzo assunto e poi licenziato prima della scadenza del periodo di prova e la prova della dazione di danaro, che pure il P.M. ed il G.I.P. avevano ritenuto sussistente.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
nessuna critica ha sollevato il NOME alla motivazione spesa dal Tribunale, poiché egli si è limitato a ribadire l’insussistenza della giusta causa;
va aggiunto che la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, spettando al giudice valutare la gravità dei fatti concreti;
la condotta ascritta al reclamante è molto grave e quindi idonea a scuotere la fiducia del datore di lavoro;
l’aver chiesto ed ottenuto del denaro per consegnarlo ‘ ad un pezzo più grande di me, al capo dl personale ‘, per rendere possibile l’assunzione del figlio della coppia costituisce un fatto estremamente grave, sicché la sanzione si rivela altresì proporzionata all’infrazione;
nessuna censura ha sollevato il reclamante in ordine alla ritenuta irrilevanza e superfluità della prova testimoniale non ammessa dal Tribunale e soltanto riproposta dal COGNOME in questo grado.
4.- Avverso tale sentenza NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
5.- RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e poi ha depositato memoria.
6.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.In via preliminare va rigettata l’eccezione -sollevata dalla controricorrente -di inammissibilità del ricorso per mancata notifica della procura speciale unitamente al ricorso.
Al riguardo questa Corte ha affermato che la procura ex artt. 83, co. 3, e 365 c.p.c., se incorporata nell’atto di impugnazione, si presume rilasciata anteriormente alla notifica dell’atto che la contiene, sicché non rileva, ai fini della verifica della sussistenza della procura, la sua mancata riproduzione o segnalazione nella copia notificata, essendo sufficiente, per l’ammissibilità del ricorso per cassazione, la sua presenza nell’originale (Cass. sez. un. n. 35466/2021). Inoltre, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, pur essendo necessario che il mandato al difensore sia stato rilasciato in data anteriore o coeva alla notificazione del ricorso all’intimato, non occorre che la procura sia integralmente trascritta nella copia notificata all’altra parte, ben potendosi pervenire d’ufficio, attraverso altri elementi, purché specifici ed univoci, alla certezza che il mandato sia stato conferito prima della notificazione dell’atto (Cass. sez. un. ord. n. 17866/2013), come nel caso di specie.
2.Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 116 c.p.c., 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. per avere la Corte territoriale omesso di considerare i provvedimenti del Pubblico Ministero e poi del Giudice per le indagini
preliminari , nei quali era stata evidenziata l’assenza di prove a carico del NOME, la cui condotta era stata ritenuta già in astratto -sulla base di quanto denunziato dai querelanti -priva di rilevanza penale.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, il ricorrente sollecita a questa Corte un diverso apprezzamento di quelle risultanze istruttorie, interdetto in sede di legittimità laddove -come nella specie -adeguatamente motivato dalla Corte territoriale.
In secondo luogo, la difesa del NOME non si confronta in alcun modo con la specifica motivazione articolata dai giudici del reclamo, che hanno condiviso la ricostruzione e la valutazione operate dal Tribunale (v. sentenza impugnata, p. 5, ult. cpv.), secondo cui il P.M. aveva solo escluso l’induzione in errore, in quanto i denuncianti erano consapevoli che la somma data era destinata a remunerare gli intermediari, ed il G.I.P. aveva solo ritenuto che il danno ingiusto (ossia il licenziamento del figlio dei denunzianti) non potesse essere addebitato al NOME, con il conseguente venir meno del nesso eziologico con la sua condotta, donde la giustificazione giuridica della disposta archiviazione per il delitto di truffa, in considerazione dell’insussistenza di alcuni suoi elementi costitutivi (errore della vittima e suo danno patrimoniale), restando invece accertata e provata la complessiva condotta del NOME.
Infine, la doglianza si appunta sulla valutazione operata dal Tribunale -e poi confermata dalla Corte d’Appello circa la superfluità della prova testimoniale a discolpa chiesta dal Mauriello. Ma in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la
censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. sez. un. 30/09/2020, n. 20867). Ne consegue che è inammissibile la diversa doglianza che il Giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. .
3.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in