Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8512 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8512 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8796/2023 R.G. proposto da:
COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE – DIR. TER.- UFF. MON. PUGLIARAGIONE_SOCIALE BASILICATA RAGIONE_SOCIALE MOLISE SEDE BARI, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
avverso la SENTENZA di TRIBUNALE BARI n. 3772/2022 depositata il 19/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni della Procura Generale, in persona del Dottor NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso
FATTI DELLA CAUSA
1. Con verbale di verifica del 14 marzo 2014 l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli contestava a NOME COGNOME COGNOME, titolare, in Lucera, di un esercizio commerciale in cui erano ubicati videoterminali da intrattenimento di cui all’art. 110, comma 6, lett.a) del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 -testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps)-, la violazione prevista e sanzionata dall’art. 110, co. 9 lett. f -bis), Tulps (‘chiunque, sul territorio nazionale, distribuisce o installa apparecchi e congegni di cui al presente articolo o comunque ne consente l’uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico o in circoli e associazioni di qualunque specie non muniti delle prescritte autorizzazioni, ove previste, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria…’), per avere installato apparecchi da intrattenimento senza l’autorizzazione di cui all’art. 88 Tulps e non essendo la violazione esclusa per il fatto che il locale, ove funzionavano anche apparecchi per la raccolta di scommesse, fosse dotato della licenza prevista dall’art. 86 Tulps.
Il COGNOME aveva, fino dal 2013, impugnato il diniego della licenza di cui all’art. 88 davanti al tribunale amministrativo di Bari.
Al verbale di constatazione della violazione faceva seguito, in data 15 dicembre 2015, l’ordinanza ingiunzione irrogativa della sanzione pecuniaria.
Il ricorso contro l’ordinanza veniva respinto da Giudice di Pace di Bari la cui pronuncia è stata confermata dal Tribunale di Bari con la sentenza in epigrafe.
In particolare il Tribunale ha affermato che:
-risultava da verbale di accertamento redatto da funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in data 14 marzo 2014 che il Testa aveva nel proprio locale apparecchi per la raccolta di scommesse per conto del bookmaker RAGIONE_SOCIALE titolare del marchio planetwin 365, per i quali era in possesso della licenza prevista dall’art. 86 e computer in concreto usati come apparecchi da intrattenimento e divertimento per il gioco on line; l’uso per il gioco on line era dimostrato dal rinvenimento della ricevuta di una giocata emessa il giorno precedente a quello della verifica ispettiva, dalla collocazione dei computer nel locale con la indicativa insegna ‘Planet win 365’, dalla conclusione da parte del Testa in data 18 luglio 2013 di un contratto con la società RAGIONE_SOCIALE per ‘l’affidamento delle attività di promozione, pubblicizzazione e diffusione del gioco a distanza, tesa a favorire l’apertura del c.d. conto gioco e a creare un rapporto diretto tra scommettitore e bookmaker o la raccolta e la trasmissione di scommesse’;
-come chiarito dall’art. 2 commi 2 ter e 2 quater del d.l.40/2010, convertito dalla legge 73/2010, era richiesto il possesso della licenza di cui all’art. 88 tulps cosicché andava disattesa la tesi della parte appellante secondo la quale non era integrato l’illecito di cui all’art. 110 co.9 lett. f) bis, r.d. 18 giugno 1931 n.773, per il fatto che il locale era munito della licenza prevista dall’art. 86;
-non sussisteva, al contrario di quanto sostenuto dall’appellante, l’impossibilità giuridica, per l’Agenzia, di irrogare la sanzione in pendenza della impugnazione proposta dallo stesso appellante contro il diniego dell’autorità amministrativa di rilasciare la licenza di cui all’art.88;
-non vi erano i presupposti per ritenere scusabile l’ignoranza sulla obbligatorietà della licenza ex art. 88 Tulps trattandosi di dedotta ignoranza di legge e ‘ancor più’ in relazione al fatto che l’appellante ‘aveva presentato l’istanza per ottenerne il rilascio nella consapevolezza della sua obbligatorietà’.
NOME COGNOME COGNOME ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe con cinque motivi avversati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con controricorso.
3.La causa è stata rinviata all’udienza pubblica con ordinanza camerale n.17616 del 2024.
La Procura Generale, in persona del dottor NOME COGNOME ha depositato requisitoria con richiesta di rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso vengono denunciate ‘la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 86, 88 e 110 T.U.L.P.S. nonché dell’art. 2, comma 2 ter del d.l.40/2010, in relazione all’art. 360 primo comma n,3 c.p.c.’ per avere il Tribunale ritenuto necessaria anche la licenza di cui all’art. 88 ai fini della installazione nei locali in questione di apparecchi da intrattenimento.
Il motivo è inammissibile.
È acquisito nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità che la possibilità di installare gli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, co.6 lett.a), T.U.L.P.S., sulla base della licenza prevista dall’art. 86 T.U.L.P.S. riguarda solo i locali che non siano soggetti alla licenza di polizia ex art. 88 T.U.L.P.S. per l’esercizio di scommesse, in quanto i soggetti che eseguono l’esercizio di scommesse possono detenere tali apparecchi da gioco solo in presenza di licenza di polizia ex art. 88 (Cass. Sez. 2 10-3-2022 n. 7855 Rv. 664234-01; conformi, tra molte, di recente, Cass. n. 5127/2024 e Cass. n. 35277/2023; Cass. 30971/2023). La finalità per cui è imposta questa ultima licenza è quella di impedire l’utilizzo di apparecchi da
divertimento e intrattenimento in luoghi non sottoposti ai prescritti controlli di polizia, sulla base del presupposto che l’uso di tali apparecchi nei locali destinati anche alla raccolta di scommesse ne aumenti l’intrinseca pericolosità sociale. Il ricorrente non porta argomenti per ripensare il consolidato orientamento della Corte. Da questo l’inammissibilità: ‘In tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali), il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., deve essere letto in correlazione al disposto dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., essendo dunque inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la “ratio decidendi” della sentenza impugnata con la giurisprudenza della S.C. e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare orientamento’ (Cass, Sez. 6 -2, ord. n. 5001 del 02/03/2018).
Con il secondo motivo di ricorso vengono denunciate ‘la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della l. 689/1981 per avere il Tribunale ritenuto non applicabile la causa di non punibilità ivi prevista alla sanzione irrogata dalla Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art.6 comma 11, del d.lgs. 150/2011, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c.’.
Sostiene il ricorrente di aver in buona fede ipotizzato che, a fronte dell’ottenimento della licenza ex art. 86 tulps, non fosse necessario altro atto autorizzatorio per l’installazione degli apparecchi da intrattenimento. Afferma che tra i precetti di cui all’art. 86 e di cui all’art. 88 del tulps vi è una ‘significativa contraddittorietà’ e che in relazione ai suddetti precetti vi ‘è una incertezza interpretativa’ 4. Il motivo è infondato.
E’ utile ricordare che, ‘ In tema di illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981, ciascuno è responsabile
della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa, mentre l’errore sul fatto esclude la responsabilità dell’agente solo quando non è determinato da sua colpa; ne consegue che la norma limita la rilevanza della causa di esclusione alle sole ipotesi in cui l’errore sul fatto sia dovuto a caso fortuito o forza maggiore, mentre l'”error iuris”, che a seguito della sentenza n. 364 del 1988 della Corte cost. costituisce anch’esso causa di esclusione della responsabilità in tema di infrazione a norme amministrative, in analogia a quanto previsto dall’art. 5 del cod. pen., rileva solo a fronte della inevitabilità dell’ignoranza del precetto violato, il cui apprezzamento va effettuato alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione anche alla qualità professionale posseduta e al suo dovere di informazione sulle norme, e sull’interpretazione che di esse è data, che specificamente disciplinano l’attività che egli svolge’ (Cass. Sez. 2, sentenza n.24803
del 22/11/2006 (Rv. 593362 – 01).
Nel caso di specie il ricorrente basa la propria censura sulla deduzione non di una inevitabile ignoranza del precetto violato ma sulla deduzione, meramente, di una propria convinzione di non essere tenuto al rispetto di quel precetto.
Riguardo, poi, alla denuncia di violazione della regola finale di giudizio posta dall’art. 6, comma 11, d.lgs. n. 150 del 2011, il ricorrente si limita ad affermare che, nel caso, vi sarebbe stato ‘un deficit di istruttoria’ senza alcun riferimento ad una affermazione della sentenza impugnata e senza precisare l’oggetto del preteso deficit.
5.Con il terzo motivo di ricorso vengono denunciate ‘la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 88 Tulps, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c.’ per avere il giudice di appello ‘ritenuto lecito irrogare la sanzione nonostante la pendenza del giudizio di impugnazione del diniego ex art. 88 Tulps’.
6. Il motivo è infondato.
Il ricorrente appunta il motivo sul richiamo alla circolare della Direzione Centrale Accertamento e Riscossione della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli n. 2013/491/DAR/UD del 13 giugno 2013 in cui veniva sottolineato che, in caso di impugnazione del rifiuto opposto dalla questura alla richiesta di rilascio dell’autorizzazione ex art. 88, sarebbe stato opportuno attendere l’esito del giudizio amministrativo prima di irrogare la sanzione.
Giova premettere che, in termini generali, la circolare, quale atto amministrativo di autorganizzazione utilizzato come mezzo di comunicazione interna, non ha forza e valore di legge e costituisce invece una ‘mera direttiva di carattere interno alle strutture destinatarie delle singole amministrazioni’ (Cons. di Stato, sent. n. 2268/2014).
La circolare richiamata dal ricorrente, per di più, poneva solo una questione di opportunità.
Il Tribunale ne ha correttamente tratto che non vi era un obbligo legale per l’Agenzia di non emettere l’ordinanza ingiunzione prima che il giudizio amministrativo, intrapreso dall’odierno ricorrente nel 2013 contro il diniego opposto dalla questura di Foggia alla sua richiesta di rilascio della licenza di cui all’art. 88 Tulps, fosse definito.
Per completezza merita aggiungere che nel corpo del motivo il ricorrente deduce di avere ottenuto fino dall’ottobre 2015 la licenza richiesta e lamenta che ‘il giudice del gravame non si è confrontato’ con questa circostanza documentata fino dal primo grado con allegato 16 al ricorso originario.
La doglianza non è sussumibile sotto il n.5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. per difetto di decisività della circostanza dedotta: risulta dalla sentenza impugnata e dagli atti di entrambe le parti che la violazione per la quale il ricorrente è stato sanzionato
è stata constatata nel 2014; l’ottenimento della licenza ex art. 88 l’anno successivo è ininfluente.
5.Con il quarto motivo di ricorso vengono denunciate ‘la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c.’ per avere il giudice di appello ‘ritenuto provato che nei locali in questione si esercitasse attività di raccolta delle scommesse’.
6. Il motivo è inammissibile.
Va premesso che ‘la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. U-, sentenza n.20867 del 30/09/2020). Nel caso di specie al di là della evocazione dell’art. 116 c.p.c. si tenta di accreditare la prospettazione fattuale per cui i computer rivenuti dai funzionari dell’Agenzia nei locali del ricorrente erano solo postazioni per la libera navigazione in internet e non postazioni destinate al gioco.
Il Tribunale ha ritenuto il contrario sulla base di indici presuntivi costituiti dal rinvenimento della ricevuta di una giocata emessa il giorno precedente a quello della verifica ispettiva, dalla collocazione dei computer nel locale con la indicativa insegna ‘Planet win 365’,
dalla conclusione da parte del Testa in data 18 luglio 2013 di un contratto con la società RAGIONE_SOCIALE -la società per la quale egli negli stessi locali esercitava attività di raccolta delle scommesse- per ‘l’affidamento delle attività di promozione, pubblicizzazione e diffusione del gioco a distanza, tesa a favorire l’apertura del c.d. conto gioco e a creare un rapporto diretto tra scommettitore e bookmaker o la raccolta e la trasmissione di scommesse’.
Non vengono neppure denunciate violazioni degli artt.2727 e 2729 c.c. né illogicità del ragionamento inferenziale e va ricordato che ‘con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità’ (Cass. n. 22366 del 05/08/2021).
7.Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 49 e 56 TFUE nonché dei principi di libertà di stabilimento e libera circolazione dei servizi, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c. In subordine proposta o sollevazione d’ufficio di rinvio pregiudiziale ex art.267, terzo comma, Tulps’.
Si sostiene che l’interpretazione degli artt. 86 e 88 e 110, co.9 lett.f bis, Tulps per cui la possibilità di installare gli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, co.6 lett.a), Tulps, sulla base della licenza prevista dall’art. 86 T.U.L.P.S. riguarda solo i locali che non siano soggetti alla licenza di polizia ex art. 88 Tulps per l’esercizio di scommesse, in quanto i soggetti che eseguono l’esercizio di scommesse possono detenere tali apparecchi da gioco solo in presenza di licenza di polizia ex art. 88, contrasta con i principi unionali ‘di parità di trattamento, non discriminazione e libera circolazione dei servizi’.
Sottesa alla denuncia di contrasto con il diritto unionale sta la deduzione in fatto per cui la società austriaca RAGIONE_SOCIALE per conto della quale il ricorrente operava come punto di raccolta delle scommesse, era priva della concessione per l’illegittimità delle regole dettate per la gara indetta nel 2012 con d.l.n.16, convertito con modificazioni dalla l.44/2012 – gara tenutasi per il rilascio delle concessioni ad operare nel settore delle scommesse – come accertato dalla Corte di Giustizia europea che aveva giudicato alcune regole poste dalla disciplina concorsuale non conformi alla normativa europea.
Parimenti sotteso – per implicito – alla denuncia ed anche alle questioni pregiudiziali dal medesimo ricorrente prospettate è l’assunto per cui il diritto dell’Unione Europea, e in particolare il diritto di stabilimento e libera prestazione di servizi, consente ai soggetti stranieri di svolgere l’attività di raccolta delle scommesse in Italia anche in mancanza di concessione. E ciò di per sé comporterebbe l’illegittimità anche della sanzione amministrativa applicata nella fattispecie, per la diversa e specifica condotta avente ad oggetto l’installazione di apparecchi da gioco nei locali dove si svolge l’attività di scommesse senza licenza di polizia.
Viene richiamata la sentenza della Corte di Giustizia 28 gennaio 2016, COGNOME (nella causa C-375/14), che ha affermato che la disposizione nazionale del d.l.16/2012 convertito dalla l.44/20112 che imponeva al concessionario di cedere a titolo non oneroso, all’atto di cessazione dell’attività, l’uso delle attrezzature utilizzate per la raccolta di scommesse poteva ‘rendere meno allettante l’esercizio di tale attività’ e pertanto costituiva ‘una restrizione delle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 T.F.U.E.’.
8. Il motivo è infondato.
La sentenza 28 gennaio 2016 della Corte di Giustizia non ha affermato l’automatico contrasto con il diritto dell’Unione Europea della disciplina italiana sull’esercizio delle scommesse avendo la
Corte di Giustizia rimesso al giudice del rinvio il compito di valutare, di volta in volta, se la disposizione restrittiva eccedesse quanto necessario al raggiungimento dello scopo di garantire la continuità all’attività legale di raccolta di scommesse, al fine perseguito dalla disposizione di arginare lo sviluppo dell’attività illecita da parte della criminalità legata ai giochi di azzardo; la Corte di Giustizia ha anche affermato che ‘gli obiettivi della protezione dei consumatori, della prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco, nonché della prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale’, rientrano ‘tra i motivi imperativi di interesse generale suscettibili di giustificare restrizioni alle libertà fondamentali sancite dagli articoli 49 e 56 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2007, Commissione/Italia, C-260/04, EU:C:2007:508, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata); come si legge in Cass. Sez. U 29 maggio 2019, n. 14697, punto 10, i principi elaborati dalla Corte di Giustizia non escludono una regolamentazione restrittiva dell’attività di gioco, giustificata ‘proprio dalla necessità di tutelare l’ordine pubblico, per un verso, scongiurando, mediante un sistema di accesso e controllo pubblico capillare, il fiorire del gioco di azzardo illecito e, per l’altro, di garantire l’interesse generale di primario rilievo di contrastare la ludopatia. Queste sono le finalità espresse della previsione del sistema, fondato sul rapporto concessorio, di esercizio di un’attività di cui l’autorità statuale vuole conservare la diretta titolarità e controllo del maneggio del denaro riscosso, mediante la rete telematica…’; sulla stessa linea le Sezioni Unite, con sentenza n.18625 del 08/07/2024, hanno affermato che ‘Le restrizioni imposte dalla legislazione interna di uno Stato membro all’esercizio dell’attività di raccolta, accettazione, registrazione e trasmissione di scommesse da parte di società aventi sede in un altro Stato membro integrano una violazione delle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi di
cui agli artt. 49 e 56 T.F.U.E., se non sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la protezione dei consumatori, la prevenzione delle frodi e dell’incitamento alle spese eccessive legate al gioco, nonché, più in generale, di turbative dell’ordine sociale, essendo gli Stati membri liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e di definire in dettaglio il livello di protezione ricercato, col solo limite del rispetto delle condizioni di proporzionalità’; questa Corte di legittimità ha ripetutamente sottolineato che la possibilità di installare gli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, co.6 lett.a), Tulps, sulla base della licenza prevista dall’art. 86 Tulps riguarda solo i locali che non siano soggetti alla licenza di polizia ex art. 88 Tulps per l’esercizio di scommesse, in quanto i soggetti che eseguono l’esercizio di scommesse possono detenere tali apparecchi da gioco solo in presenza di licenza di polizia ex art. 88 (Cass. Sez. 2 10-3-2022 n. 7855 Rv. 664234-01; conformi, tra molte, di recente, Cass. n. 5127/2024 e Cass. n. 35277/2023; Cass. 30971/2023) dato che la finalità per cui è imposta questa ultima licenza è quella di impedire l’utilizzo di apparecchi da divertimento e intrattenimento in luoghi non sottoposti ai prescritti controlli di polizia, sulla base del presupposto che l’uso di tali apparecchi nei locali destinati anche alla raccolta di scommesse ne aumenti l’intrinseca pericolosità sociale.
Neppure a seguire la tesi del ricorrente in ordine al diritto di raccogliere scommesse in assenza di concessione e di licenza di polizia in forza dei principi dell’Unione Europea potrebbe concludersi che fosse venuta meno la necessità della licenza di polizia ex art. 88 Tulps per la collocazione e l’utilizzo delle apparecchiature da gioco nei locali nei quali si svolge l’attività di raccolta di scommesse: la collocazione e l’utilizzo delle apparecchiature da gioco, seppure svolta negli stessi locali dove si svolge l’attività di raccolta delle scommesse, rimane condotta
distinta rispetto a quella di raccolta di scommesse e che il soggetto non esegue per conto dell’operatore straniero privo di concessione ma svolge in proprio; tale attività resta pertanto assoggettata alla relativa specifica disciplina, anche in relazione alla licenza di polizia necessaria ai sensi dell’art. 88 Tulps.
Deve infine escludersi che sussistano i presupposti per disporre i rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia prospettati con il motivo in esame, in quanto il rinvio pregiudiziale non è necessario quando il significato della disposizione dell’Unione Europea sia evidente, anche per essere stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, non rilevando il profilo applicativo di fatto, che è rimesso al giudice nazionale (Corte Costituzionale n. 28/2010, Corte di Giustizia 5-4-2016 C-689/13, RAGIONE_SOCIALE, Corte di Giustizia 28-7-2016 C-379/15, Association France Nature Environnement).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €2500,00, per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 6 marzo 2025.