Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26464 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26464 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30657/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE), elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI BOLZANO n. 61/2020 depositata il 23/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- Il sig. NOME COGNOME ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Bolzano, su richiesta di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE), gli ingiungeva quale fideiussore della società RAGIONE_SOCIALE il pagamento della somma di euro 69.143,46, eccependo l’inefficacia della garanzia ex art. 1956 c.c. in quanto aveva rilasciato, nell’agosto del 2006, una fideiussione omnibus quale socio della debitrice principale dalla cui compagine era, però, uscito nel giugno del 2008 comunicandolo alla creditrice garantita, unitamente alla revoca del proprio impegno fideiussorio; ciò nonostante la banca aveva concesso ulteriore credito alla debitrice principale pur conoscendo il peggioramento delle sue condizioni economiche e senza chiedere alcuna autorizzazione al garante.
2.- Il Tribunale, accertato un minor credito della banca, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto e ha condannato l’opponente al pagamento della somma di 33.921,25 € ritenendo che, quanto al rapporto anticipi -il cui saldo negativo era confluito nel rapporto di conto corrente parallelamente intrattenuto dalla società – la banca non avesse prodotto gli estratti conto e gli scalari e, quindi, prova idonea a comprovare la formazione del saldo; inoltre ha qualificato la fideiussione prestata dall’opponente come contratto autonomo di garanzia dal che ha dedotto la preclusione dell’eccezione liberatoria ex art. 1956 c.c.
3.La corte territoriale ha ritenuto infondato l’appello principale proposto dal sig. COGNOME ed ha, invece, accolto quello incidentale proposto dalla banca per la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva disconosciuto la prova del credito generato dal conto anticipi. Quanto all’appello principale ha osservato:
che, benché fosse vero che anche in presenza di un contratto autonomo di garanzia contraddistinto dal difetto di accessorietà dell’obbligazione di garanzia rispetto a quella principale, non è escluso l’obbligo della banca garantita di comportarsi secondo buona fede e, quindi, non è esclusa l’applicazione della norma di cui all’articolo 1956 c.c. che di quest’obbligo è una chiara espressione; ha, tuttavia, valorizzato, nella specie, la clausola n. 5 della fideiussione (che prevedeva:« Il fideiussore avrà cura di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore e, in particolare, di informarsi presso lo stesso dello svolgimento dei suoi rapporti con la banca. Indipendentemente da quanto disposto al comma precedente la banca è, comunque, tenuta, a richiesta del fideiussore, a comunicargli entro il limite dell’importo garantito, l’entità dell’esposizione complessiva del debitore quale risultante al momento della richiesta, nonché, previo ottenimento da parte del fideiussore del consenso scritto del debitore principale, ulteriori informazioni concernenti l’esposizione» ) osservando che l’inserimento di una siffatta clausola non era espressione di una condotta contraria alla buona fede, tanto più che al momento del rilascio della fideiussione il garante era socio della debitrice principale sicché non poteva essere ritenuto un abuso quello di gravarlo dell’onere di tenersi informato in ordine sia l’esposizione debitoria sia alle condizioni economiche della debitrice; nè il garante aveva mai allegato (o le prove orali da lui offerte avevano dimostrato) che dopo la sua uscita dalla società fosse divenuto inesigibile l’adempimento di detto onere informativo; ragion per cui non poteva affermare di aver ignorato senza colpa quale fosse la reale situazione patrimoniale e l’esposizione debitoria della società garantita;
che l’eccezione liberatoria appariva infondata anche perché parte dei finanziamenti contestati erano stati erogati in forma di anticipazione su alcune fatture emesse dalla debitrice principale e,
quindi, poiché nel c.d. castelletto di sconto l’incremento della disponibilità non è l’effetto di un accordo tra banca e cliente ma si realizza solo a seguito delle anticipazioni operate dalla banca in relazione alle singole operazioni di conto effettuate, la dimostrazione della malafede della banca in relazione a questo tipo di operazione, rilevante ai sensi del 1956 c.c., sembrava richiederne la prova in ordine ad ogni singola anticipazione, nel senso che la banca avesse accettato lo sconto di una fattura sapendo o dovendo sapere che sarebbe rimasta insoluta, contando sulla copertura dell’obbligo restitutorio da parte del fideiussore: dimostrazione che non si desumeva in alcun modo dalle prove offerte dalla appellante;
quanto alla eccepita inammissibilità dell’appello incidentale fondata sul fatto che in primo grado la banca era rimasta quiescente alla consulenza d’ufficio non avendo svolto alcuna riserva secondo le modalità regolate dall’articolo 195 c.p.c., che la banca non aveva alcun motivo di censurare l’elaborato peritale che accertava la sua ragione di credito sulla base di una prova qualificata come induttiva (l’incontroversa completezza degli estratti relativi al conto corrente sul quale dovevano essere annotate le operazioni di sconto bancario che contenevano tutte le contabilizzazioni di dette operazioni e fornivano, perciò, idonea prova induttiva della formazione del saldo debitorio complessivo del conto anticipi) giacché solo nella sentenza gravata detta efficacia probatoria era stata ritenuta non sufficientemente dimostrativa delle ragioni di credito, onde la banca del tutto logicamente aveva indirizzato le proprie doglianze contro il provvedimento decisionale per la parte a lei sfavorevole e non contro la consulenza, che, invero, era stato il Tribunale nella sua libera valutazione della prova, a ritenere non concludente;
che l’eccezione di nullità della fideiussione dedotta dall’appellante all’udienza di precisazione delle conclusioni in
quanto asseritamente stipulata in esecuzione di un’intesa anticoncorrenziale intercorsa tra gli istituti di credito era inammissibile giacché la rilevabilità d’ufficio delle nullità presuppone la rituale allegazione degli elementi di fatto che le riguardano, cioè la tempestiva allegazione delle circostanze di fatto da cui la nullità deriverebbe, mentre nel caso di specie l’appellante non aveva mai allegato prima della memoria conclusionale l’esistenza di un’intesa sanzionata dall’autorità RAGIONE_SOCIALE e l’adesione della banca a detta intesa.
3.Avverso detta sentenza il sig. NOME COGNOME ha presentato ricorso, affidandolo a cinque motivi di cassazione. Ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE attraverso la sua mandataria RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1421, e 1936 c.c. 1957 c.c. nonché 345 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. in quanto la Corte di merito avrebbe erroneamente respinto in rito l’eccezione di nullità della fideiussione ritenendo tardive le relative allegazioni. Secondo il ricorrente La Corte di merito avrebbe dovuto considerare l’inesistenza di preclusioni per la spendita della eccezione di nullità da parte dell’odierno ricorrente e valutarne la rilevanza processuale ai sensi dell’articolo 345 comma secondo c.p.c. in quanto la nullità del contratto per violazione della disciplina anticoncorrenziale da parte della banca era stata dibattuta tra le parti nel giudizio di secondo grado avendo avuto le stesse modo di argomentare e difendersi allegando le circostanze di fatto a sostegno delle rispettive tesi attraverso le comparse conclusionali e quelle di replica dopo la l’udienza di precisazione delle conclusioni; per cui La Corte avrebbe potuto rilevare la nullità d’ufficio anche per la prima volta nel giudizio di legittimità e avrebbe dovuto valutare il merito dell’eccezione.
1.1 – Il motivo di censura risulta inammissibile poiché non coglie e non affronta l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata che si fonda sulla tardività non dell’eccezione di nullità della fideiussione -rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo bensì dell’allegazione di fatti da cui detta nullità dovrebbe rilevarsi.
E’ invero noto che la rilevazione della nullità ancorché d’ufficio -non esonera la parte dal dedurre l’emersione, nel corso del giudizio di merito, degli elementi che avrebbero dovuto indurre il giudice a ravvisarla (v. da ultimo Cass. n. 16102/2024), poiché anche la rilevabilità d’ufficio della nullità per violazione di norme imperative ha come condizione che i relativi presupposti di fatto, quand’anche non oggetto di specifica deduzione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie; ferma restando l’impossibilità di ammettere nuove prove funzionali alla dimostrazione degli stessi (v. ex aliis Cass. Sez. 3 n. 4867/2024, Cass. Sez. 3 n. 34053/2023) dal momento che il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte a proposito della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 26242/2014, i cui princìpi sono stati peraltro successivamente ribaditi e precisati, tra le altre, da Cass. n. 19251/RAGIONE_SOCIALE, Cass. n. 26495/ 2019, Cass. n. 20170/2022 e Cass. n. 28377/2022) deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e della relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di aggirare i limiti processuali scanditi dal maturare delle preclusioni assertive ed istruttorie, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati e provati (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713/ 2023 e Cass. nn. 2607, 5038, 5478, 10712 e 19401 del 2024).
1.2- Nel caso di specie la nullità integrale della fideiussione avrebbe potuto/dovuto essere rilevata d’ufficio in quanto eccezione in senso lato purché risultassero dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione (che riguardano: la individuazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE di una intesa vietata, le caratteristiche di detta intesa, il contenuto delle clausole contrattuali che dimostrerebbero l’adesione all’intesa vietata e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento sanzionatorio, nonché la concreta riferibilità di quest’ultimo alla fattispecie anche in relazione all’intervallo temporale specificamente accertato; cfr.. Cass. n. 30383/2024), il che la Corte d’appello ha ritenuto non fosse avvenuto, senza che il ricorrente abbia contestato detta ratio decidendi .
1.3- Inoltre va ricordato che i contratti di fideiussione «a valle» dell’intesa sanzionata dall’allora RAGIONE_SOCIALE Garante, con il provvedimento n. 55 del 2005, sono stati ritenuti parzialmente nulli, nel quadro di applicazione dell’articolo 1419 c.c., dalla pronuncia delle Sezioni Unite. n. 41994 del 2021, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti, prova il cui onere «spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato»; «mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto » (v. Cass. n. 18794 del 2023). Sicché è destituita di qualunque fondamento la pretesa di veder rilevata d’ufficio dal giudice la totale nullità della fideiussione perché le parti non avrebbero concluso il contratto in mancanza delle tre clausole, laddove le parti stesse non abbiano dedotto e provato siffatto assetto della loro volontà.
2.- Il secondo motivo denuncia, in subordine, violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1421, e 1936 c.c. 1957 c.c. nonché 345 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.
Reputa il ricorrente – sul presupposto della ritenuta prevalenza dell’orientamento giurisprudenziale predetto per cui, in caso di violazione della legge RAGIONE_SOCIALE per adesione della banca ad una intesa vietata, la nullità colpisca le singole clausole oggetto dell’intesa del contratto «a valle» e non il contratto nella sua interezza -che la Corte abbia errato nel non ritenere nulla la clausola della fideiussione in oggetto, derogatoria alla decadenza di cui all’art. 1957 c.c., e, quindi, nell’aver escluso la liberazione dalla fideiussione prestata per aver la banca omesso il recupero del proprio credito nei confronti del debitore principale nel termine ex art. 1957 c.c.
2.1. Il motivo è inammissibile, poiché alla luce di quanto risultante dalla sommaria esposizione dei fatti di causa, non risulta sia stata tempestivamente dedotta in primo grado né proposta quale motivo d’appello la questione della decadenza della banca dal diritto di far valere le sue pretese creditorie ai sensi dell’art. 1957 c.c. e, quindi, della avvenuta liberazione dall’obbligo fideiussorio, per cui sulla questione si è formato un giudicato interno; né la censura può essere recuperata sotto il profilo RAGIONE_SOCIALE alla luce dell’inammissibilità del motivo precedente.
3.- Il terzo motivo di ricorso denuncia omesso esame di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 n. 5 c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione dell’att. 1956 c.c. in relazione all’art.360, comma 1 n.3 c.p.c.
Sotto il primo profilo il ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare due fatti decisivi controversi tra le parti e consistenti: a) nella circostanza che il sig. NOME era receduto dalla compagine societaria della debitrice principale dal luglio 2008 (senza avere più alcun tipo di rapporto con quest’ultima) e lo aveva comunicato alla banca creditrice; b) nel fatto che la banca aveva continuato dopo tale data a concedere credito alla predetta società. Dette omissioni sarebbero risultate
determinanti nel senso che se la Corte distrettuale avesse considerato dette circostanze non avrebbe potuto concludere nel senso dell’esonero della banca dal richiedere l’autorizzazione di cui all’articolo 1956 c.c.; né avrebbe potuto trarre dalla clausola n. 5 del contratto una presunta colpa del fideiussore per non aver egli conosciuto la situazione patrimoniale del garantito, giacché se detta clausola imponeva il fideiussore l’obbligo di informarsi sulle condizioni patrimoniali della società garantita, non lo onerava di alcun controllo sulla concessione del credito da parte della banca, né gli imponeva di chiedere la revoca delle linee di credito, come a suo dire -la sentenza gravata avrebbe erroneamente ritenuto: piuttosto, avendo dismesso la qualità di socio, il ricorrente non avrebbe in nessun modo potuto conoscere le ulteriori richieste di credito avanzate dalla società debitrice alla banca nè avrebbe mai potuto contestare il merito delle singole anticipazioni in considerazione della oggettiva impossibilità di accedere alla documentazione contabile di una società ormai a lui estranea.
Il secondo profilo di illegittimità denunciato (violazione di legge con riguardo all’art. 1956 c.c.) non è illustrato.
3.1- Il motivo è inammissibile.
3.1.1Sotto il secondo dei dedotti profili il motivo è inammissibile ex art. 366 co. 1 n. 4 e 6 c.p.c. in quanto del tutto carente di illustrazione, costituisce, invero, principio di legittimità consolidato quello per cui nel ricorso per cassazione il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che motivatamente si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla RAGIONE_SOCIALE di adempiere
al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass. n. 20870/2024, conforme a Cass. nn. 16132/2005, 21245 del 2006, 14752 del 2007, 3010 del 2012, 16038 del 2013; 19959 del 2014; 11603 del RAGIONE_SOCIALE; 17224 del 2020).
3.1.2- Sotto il primo profilo è inammissibile perché il ricorrente trascura la ratio decidendi con cui – fermi i fatti pretesamene omessi di cui tiene conto la Corte ha valorizzato l’assetto negoziale concordato con la clausola n. 5 che esplicitava i criteri di valutazione della esecuzione del contratto secondo diligenza e buona fede; e, sulla base di tale premessa ha osservato che il fideiussore non aveva provato la malafede della banca -ovvero che la stessa avesse agito nella consapevolezza delle aggravate condizioni patrimoniali e finanziarie della debitrice contando sulla solvibilità del garante qui ricorrente, che invero, oltre ad essere uno dei quattro fideiussori, era tenuto a sua volta a tenersi informato sull’andamento dell’esposizione debitoria della società verso la banca garantita e sulle condizioni della debitrice, corrispondendo a tale onere un dovere della banca di fornire le informazioni richieste (nei limiti della fideiussione prestata in autonomia e su autorizzazione del debitore principale oltre detti limiti); afferma, infatti, la corte d’appello che, a fronte di tale regolazione negoziale -ritenuta legittima e comunque non contestata in giudizio- il garante non aveva mai allegato (o le prove orali da lui offerte non avevano dimostrato) che dopo la sua uscita dalla società fosse divenuto inesigibile l’adempimento di detto onere informativo, ragion per cui non poteva lamentare di aver ignorato senza colpa quale fosse la reale situazione patrimoniale e l’esposizione debitoria della società garantita (v. pag. 13 sent. gravata). A fronte di tale ratio il ricorrente contesta di aver potuto conoscere le ulteriori richieste di credito avanzate dalla società debitrice alla banca e di aver potuto contestare il merito
delle singole anticipazioni in considerazione della oggettiva impossibilità di accedere alla documentazione contabile di una società ormai a lui estranea, argomenti che oltre ad essere inconferenti rispetto al richiamato dovere di tenersi informato anche richiedendo alla banca -tenuta a renderle – le necessarie informazioni, invoca impropriamente il predetto vizio motivazionale, intendendo in effetti sottoporre alla corte una critica al ragionamento decisorio sotto il profilo della valutazione delle risultanze agli atti frutto di allegazioni e prove, fermo che secondo la giurisprudenza di legittimità, l’accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie liberatoria ex art.1956 cod. civ. è riservato al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. n. 26934/2023; Cass. n. 16467/2017; Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 13485/2014; Cass. n. 16499/2009).
A detta ragione di inammissibilità, del resto, si aggiunge quella per cui, a fronte di due pronunce di merito conformi nel rigetto dell’eccezione di cui all’art. 1956 c.c., il ricorrente aveva l’onere intendendo invocare il motivo di illegittimità di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. precluso dallo stesso art. 360 comma 4 c.p.c. quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado «per le stesse ragioni inerenti ai medesimi fatti poste a base della decisione impugnata» -di allegare prima di tutto la ammissibilità del motivo sotto il profilo della non conformità del decisum nei due gradi, essendo noto che la ratio della norma predetta va individuata nell’esigenza di evitare la proliferazione di ricorsi per cassazione volti alla rivisitazione della ricostruzione dei fatti, qualora la doppia giurisdizione di merito li abbia valutati in senso conforme (v. Cass. n. 7724/2022 per cui « Ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c.,
con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice» e Cass. n. 32019/2024 che afferma il principio di diritto per cui « La preclusione, già prevista dall’art. 348 ter comma 5° c.p.c. ed attualmente prevista dall’art. 360 comma 4° c.p.c., opera soltanto nel caso in cui la sentenza di primo grado e quella di secondo grado siano state delibate nel merito, ma non opera quando (come per l’appunto si verifica nel caso di specie) la sentenza del giudice di secondo grado, pur confermando quella di primo grado, sia argomentata su ragioni di natura processuale (quali, ad esempio, la ritenuta aspecificità dei motivi di appello), in quanto tale circostanza impedisce di per sé quell’attività di comparazione, sottesa da entrambe le suddette disposizioni, diretta a verificare la identità delle ‘stesse ragioni’ di fatto, contenute nelle due decisioni di merito »).
4.- Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art.360, comma 1 n.3 c.p.c.: invocando in proposito il precedente di legittimità di cui alla sentenza n. 11892/2016, il ricorrente deduce che la Corte d’appello di Bolzano avrebbe compiuto una valutazione imprudente della prova risoltasi un una interpretazione logicamente insostenibile e tradottasi in una erronea ricostruzione del fatto di negligente finanziamento della debitrice principale da parte della banca, così determinando una violazione di diritto con riguardo alle norme predette nel senso che, malgrado le evidenze istruttorie del primo grado, erroneamente
non aveva ritenuto sussumibile la descritta condotta della banca, inadempiente della disciplina prevista dagli articoli 1175 e 1375 c.c., nell’alveo della fattispecie liberatoria prevista dall’articolo 1956 c.c. In particolare, reputa che sarebbero state gravemente trascurate le risultanze dell’istruttoria di merito di cui alle prove documentali e soprattutto le testimonianze, dalle quali sarebbe emerso un iniquo schema di finanziamento della debitrice principale effettuato con continuità e senza scrupolo, con danno del garante sulla cui solvibilità la banca confidava.
Infine afferma che, nell’affermare che a fronte della specificità del c.d. castelletto di sconto la richiesta di prova della malafede dovesse essere resa dall’odierno ricorrente per ogni singola anticipazione, avrebbe violato il principio di distribuzione dell’onere della prova, laddove, invece, l’obbligo del creditore di proteggere l’interesse del fideiussore per un’obbligazione futura a veder conservata la garanzia patrimoniale del debitore, costituisce un’obbligazione cui è tenuto il creditore sul quale grava l’onere probatorio circa il suo esatto adempimento secondo il criterio di diligenza.
4.1- Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
4.1.1- Sotto il primo profilo si osserva che il ricorrente cita in modo inconferente un precedente di legittimità per sorreggere, in effetti, una censura di merito alla parte della decisone impugnata che attiene alla valutazione delle prove.
Invero la sentenza n. 11892/2016 ha affermato principi di diritto molto chiari, che non hanno niente a che vedere con il passaggio motivazionale citato dal ricorrente, i quali vanno in senso opposto alla argomentata ammissibilità della censura svolta per violazione dell’ art. 116 c.p.c.: (i) « In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, c.p.c., solo
quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime »; (ii) « Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante» .
Questi principi sono stati ribadite innumerevoli volte dalla giurisprudenza successiva, che ha costantemente affermato « che una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può (…), porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000) e che, di per sé, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo, oggi, ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892)», che «attraverso la denuncia del vizio consistente nell’asserita violazione di tali disposizioni, non può domandarsi un riesame delle risultanze vagliate dai giudici di merito» (v. Cass. 23153/RAGIONE_SOCIALE) e, più nettamente ancora, che « il potere del giudice di valutazione della prova non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome “suo” è estrinsecazione dello specifico
prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che “la legge disponga altrimenti» (v. Cass. n. 34786/2021)
4.1.2- Ciò precisato e venendo al caso di specie, in applicazione di tali principi non può che concludersi per l’inammissibilità della censura invocata, avendo la Corte territoriale ritenuto non provati i presupposti per l’applicabilità dell’art. 1956 c.c. all’esito di un articolato percorso motivazionale di cui il ricorrente si lamenta deducendo l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ricognizione esterna all’esatta interpretazione della norma invocata che inerisce alla valutazione del giudice di merito, che è sottratta al sindacato di legittimità (se non nei limiti del vizio di motivazione come indicato dall’art. 360, comma, n. 5, c.p.c., nel testo riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134).
4.1.3- Quanto alla doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si osserva che il motivo è infondato giacché il giudice di secondo grado non ha attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata. Come questa Corte ha già affermato, il fideiussore, il quale intenda far valere l’esclusione della propria responsabilità, ai sensi dell’art. 1956 c.c. deve provare la sussistenza delle condizioni ivi indicate, cioè, deve dimostrare che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore abbia fatto credito al terzo, senza la sua autorizzazione, pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche (cfr., tra le più recenti Cass. n. 6685/2024; Cass. n.20713/2023): invero trattandosi di fatti costitutivi per la configurabilità della decadenza dalla garanzia che l’opponente invocava ex art. 1956 c.c. l’onere della prova non poteva che competere al fideiussore. Il giudice d’appello facendo corretta applicazione di tali principi ha escluso che fosse stata raggiunta la prova della malafede della
banca (anche facendo leva sulla natura specifica del finanziamento concesso attraverso lo sconto anticipato di fatture), e che tantomeno potessero offrire elementi in senso diverso le testimonianze acquisite (« la dimostrazione della malafede della banca non si desume dalle prove orali offerte dell’appellante », pag. 16 sentenza impugnata), senza operare alcuna inversione dell’onere probatorio.
5.- Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 157, 195, 329, 342, n. 2 e 343 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. con riguardo al capo della sentenza che ha accolto l’appello incidentale promosso dalla banca accertando la completezza degli estratti conto relativi al conto corrente sul quale venivano annotate le operazioni di sconto e la correttezza dell’applicazione del metodo induttivo per la ricostruzione del credito relativo agli anticipi su fatture. Il ricorrente si duole che la Corte abbia respinto l’eccezione di inammissibilità del relativo motivo incidentale fondata sulla la tesi che la banca avrebbe dovuto svolgere tempestive osservazioni contro la CTU depositata in primo grado e non un motivo di appello della sentenza.
5.1- Il motivo è inammissibile perché è del tutto inconferente rispetto alla ratio che sostiene il rigetto dell’eccezione di inammissibilità, che si fonda sul fatto che non essendo stato il CTU ad escludere l’idoneità degli elementi di prova raccolti in giudizio circa il credito della banca derivante dal conto anticipi (avendolo anzi ritenuto accertabile attraverso un ragionamento induttivo), bensì il giudice, in sede di decisione finale, la banca non era incorsa in alcuna decadenza non avendo alcun interesse a muovere contestazioni ad una CTU che giungeva sul punto a conclusioni condivise; solo allorché il giudice di prime cure aveva ritenuto, invece, non persuasivo il ragionamento del CTU era, quindi sorto l’interesse a censurare il relativo passaggio motivazionale.
Fermo quanto precede va, comunque, ribadito che « le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio» (Sez. Un. n. 5624/22).
6.- in definitiva il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente liquidate nell’importo di euro 5.200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile del 29.09.2025.
Il Presidente NOME COGNOME