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Liberazione fideiussore: l’onere della prova in banca

La Corte di Cassazione ha stabilito che per la liberazione fideiussore ai sensi dell’art. 1956 c.c., spetta al garante dimostrare la malafede della banca nel concedere ulteriore credito al debitore principale. Il semplice fatto che il garante sia uscito dalla compagine sociale della società debitrice non è sufficiente. L’ordinanza chiarisce inoltre l’inammissibilità delle eccezioni di nullità per violazione di norme antitrust se sollevate tardivamente e senza una rituale allegazione dei fatti nel corso del giudizio di merito.

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Liberazione Fideiussore: L’Onere della Prova Ricade sul Garante

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto bancario: la liberazione fideiussore per obbligazioni future, disciplinata dall’articolo 1956 del Codice Civile. La decisione chiarisce in modo netto su chi gravi l’onere di provare la malafede dell’istituto di credito che continua a finanziare un debitore le cui condizioni economiche sono peggiorate. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere i doveri e le responsabilità delle parti in un contratto di garanzia.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dall’opposizione di un garante a un decreto ingiuntivo emesso da un tribunale su richiesta di un istituto di credito. Il garante aveva sottoscritto una fideiussione omnibus nel 2006, quando era socio della società debitrice. Nel 2008, era uscito dalla compagine sociale, comunicando tale circostanza alla banca e revocando il proprio impegno fideiussorio.
Nonostante ciò, la banca aveva concesso ulteriore credito alla società, pur essendo a conoscenza del peggioramento delle sue condizioni economiche. Il garante ha quindi invocato l’applicazione dell’art. 1956 c.c., sostenendo di dover essere liberato dalla garanzia. In primo grado, il Tribunale aveva parzialmente accolto le sue ragioni, riducendo l’importo dovuto. La Corte d’Appello, invece, ha riformato la sentenza, accogliendo l’appello incidentale della banca e respingendo quello del garante.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del garante, confermando la decisione d’appello. L’ordinanza si articola su diversi punti di diritto, chiarendo aspetti procedurali e sostanziali di grande rilevanza.

La questione della liberazione fideiussore e l’onere probatorio

Il fulcro della decisione riguarda l’interpretazione dell’art. 1956 c.c. La Corte ha ribadito un principio consolidato: per ottenere la liberazione dalla garanzia, il fideiussore deve fornire la prova rigorosa di due elementi:
1. Il peggioramento oggettivo delle condizioni patrimoniali del debitore principale, tale da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito.
2. La malafede del creditore (la banca), che, pur essendo consapevole di tale peggioramento, ha continuato a erogare credito senza un’autorizzazione specifica del garante.

La Corte ha sottolineato che l’uscita del garante dalla società debitrice non è di per sé un fatto sufficiente a dimostrare l’impossibilità di informarsi sulla situazione patrimoniale dell’azienda. Inoltre, la clausola contrattuale che imponeva al garante di tenersi informato è stata ritenuta legittima e non contraria a buona fede. Di conseguenza, il garante non poteva semplicemente affermare di aver ignorato la situazione; avrebbe dovuto dimostrare di essersi attivato per ottenere informazioni e che la banca gliele avesse illegittimamente negate. L’onere della prova della malafede della banca, quindi, rimaneva interamente a suo carico.

La tardività dell’eccezione di nullità per intesa anticoncorrenziale

Un altro motivo di ricorso riguardava la presunta nullità della fideiussione perché conforme a uno schema ABI risultato di un’intesa anticoncorrenziale. La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile. La Corte ha chiarito che, sebbene la nullità possa essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ciò presuppone che i fatti costitutivi della nullità stessa siano stati ritualmente e tempestivamente allegati nel corso del giudizio di merito. Nel caso di specie, il ricorrente aveva sollevato la questione solo nella memoria conclusionale in appello, senza aver mai prima allegato l’esistenza di un’intesa sanzionata dall’autorità antitrust e l’adesione della banca a tale intesa. La rilevabilità d’ufficio non può servire a superare le preclusioni processuali e a introdurre nuovi temi di indagine in fasi avanzate del giudizio.

le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda sul principio che la liberazione del fideiussore non è un automatismo, ma richiede una prova specifica e dettagliata da parte di chi la invoca. La banca ha l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, ma questo non si traduce in un’inversione dell’onere probatorio. È il garante che deve dimostrare che la banca ha agito con la consapevolezza di arrecargli un pregiudizio, concedendo credito in modo avventato e facendo affidamento unicamente sulla sua garanzia. Nel caso in esame, il ricorrente non è riuscito a fornire tale prova. La Corte ha specificato che, soprattutto nel caso di finanziamenti come lo sconto di fatture, la prova della malafede deve essere fornita in relazione a ogni singola operazione contestata, dimostrando che la banca ha accettato di scontare una fattura sapendo che sarebbe rimasta insoluta. Per quanto riguarda la nullità per violazione delle norme antitrust, la ratio della decisione risiede nella necessità di rispettare le regole processuali. Il processo civile è scandito da termini e preclusioni che garantiscono il corretto svolgimento del contraddittorio. Permettere l’introduzione di nuove allegazioni fattuali in fasi tardive del giudizio significherebbe aggirare tali regole, a scapito della certezza del diritto e della parità delle parti.

le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un orientamento giurisprudenziale chiaro: chi presta una fideiussione, anche dopo essere uscito dalla compagine sociale del debitore, non può considerarsi automaticamente liberato dai propri obblighi. Per far valere la tutela prevista dall’art. 1956 c.c., deve assumersi un onere probatorio significativo, dimostrando attivamente la condotta in malafede del creditore. Questa decisione serve da monito per i garanti, evidenziando l’importanza di monitorare attivamente la situazione del debitore e di non poter fare affidamento su una presunta colpa della banca. Al contempo, ribadisce la centralità delle regole processuali, che non possono essere eluse nemmeno invocando la rilevabilità d’ufficio di una nullità contrattuale.

Chi deve provare la malafede della banca per ottenere la liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 c.c.?
La sentenza stabilisce che l’onere della prova grava interamente sul fideiussore. È il garante che deve dimostrare che la banca ha concesso nuovo credito al debitore pur essendo consapevole del peggioramento delle sue condizioni economiche e agendo quindi in malafede, senza che tale onere possa essere invertito.

È possibile sollevare per la prima volta in fase avanzata d’appello la nullità della fideiussione per violazione di norme antitrust?
No. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile tale eccezione perché, sebbene la nullità sia rilevabile d’ufficio, i fatti su cui si fonda (come l’esistenza di un’intesa illecita e l’adesione della banca) devono essere stati allegati tempestivamente nel corso del giudizio di merito, nel rispetto delle preclusioni processuali.

L’uscita del garante dalla compagine sociale della società debitrice lo libera automaticamente dall’obbligo di informarsi sulle condizioni economiche della stessa?
No. Secondo la Corte, l’uscita dalla società non rende automaticamente inesigibile l’onere informativo a carico del garante, specialmente se previsto da una clausola contrattuale. Il garante non può limitarsi a sostenere di non poter più accedere alle informazioni, ma deve dimostrare che tale impossibilità non è dovuta a sua colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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