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Liberazione fideiussore: il ruolo di amministratore

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un garante che era anche amministratore della società debitrice. La Corte ha stabilito che la liberazione fideiussore, ai sensi dell’art. 1956 c.c., non si applica in questo caso, poiché si presume che il garante-amministratore sia a conoscenza delle condizioni finanziarie precarie della società. Di conseguenza, il suo consenso a nuove operazioni di credito è considerato implicito. È stata inoltre respinta l’eccezione di nullità per presunte clausole anticoncorrenziali per mancanza di prova.

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Fideiussione e Ruolo di Amministratore: Quando la Liberazione del Garante è Esclusa

La recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto bancario: la liberazione fideiussore quando quest’ultimo ricopre anche la carica di amministratore della società debitrice. Questa pronuncia chiarisce che la conoscenza delle difficoltà finanziarie dell’azienda, derivante dal ruolo amministrativo, disinnesca il meccanismo di protezione previsto dall’articolo 1956 del codice civile, con importanti conseguenze per chi presta garanzie personali. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I Fatti del Caso: Una Garanzia Contesa

Un istituto di credito otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di un fideiussore per un debito maturato da una società in relazione a un contratto di mutuo. Il garante si opponeva al decreto, sollevando diverse eccezioni. Tra queste, le più rilevanti erano:

1. La violazione dell’art. 1956 c.c., sostenendo che la banca avesse continuato a erogare credito pur essendo a conoscenza delle precarie condizioni economiche della società debitrice, senza ottenere la sua specifica autorizzazione.
2. La nullità della fideiussione per la presenza di clausole conformi agli schemi ABI, precedentemente sanzionati dall’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) come frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza.

La Corte d’Appello aveva già respinto le doglianze del garante, il quale decideva quindi di presentare ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato, rigettandolo integralmente. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi principali, che consolidano orientamenti giurisprudenziali già esistenti e offrono importanti spunti di riflessione pratica.

Le Motivazioni: Il Ruolo Chiave del Fideiussore-Amministratore e la liberazione fideiussore

Le motivazioni della Corte chiariscono in modo netto i limiti dell’operatività di alcune tutele previste per il garante, soprattutto quando vi è una sovrapposizione di ruoli tra garante e gestore della società debitrice.

Analisi dell’Art. 1956 c.c.: La Conoscenza Presunta delle Difficoltà Economiche

Il primo motivo di ricorso si basava sulla presunta violazione dell’art. 1956 c.c., che sancisce la liberazione fideiussore qualora il creditore conceda ulteriore credito al debitore principale le cui condizioni patrimoniali sono peggiorate, senza l’autorizzazione del garante.

La Corte di Cassazione ha ritenuto questo motivo inammissibile. Il punto centrale della decisione risiede nel fatto che il ricorrente non era un semplice garante, ma ricopriva anche la carica di amministratore della società debitrice. Secondo la giurisprudenza consolidata, richiamata dalla Corte (Cass. n. 20713/2023; Cass. n. 3761/2006), la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale si presume comune al fideiussore che sia anche amministratore della società debitrice.

In questa situazione, la richiesta di autorizzazione da parte della banca diventa superflua. La qualità di amministratore implica una conoscenza diretta e costante della situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, rendendo non necessaria una comunicazione formale da parte del creditore. Il consenso del garante-amministratore all’operazione è, di fatto, presunto, e la tutela della liberazione fideiussore non può essere invocata.

La Questione delle Clausole ABI e l’Onere della Prova

Il secondo motivo di ricorso riguardava la presunta nullità della fideiussione per contenere clausole riproducenti il modello ABI, oggetto di un provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia per violazione della normativa antitrust.

Anche su questo punto, la Corte ha respinto la doglianza. La Corte d’Appello aveva già rilevato che il fideiussore non aveva fornito in giudizio la prova specifica che le clausole del suo contratto fossero effettivamente quelle sanzionate. La Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il provvedimento della Banca d’Italia ha natura di atto amministrativo accertativo, non di atto normativo. Pertanto, il suo contenuto rientra nella sfera del ‘fatto’ processuale. Spetta alla parte che intende far valere la nullità del contratto dimostrare la corrispondenza tra le clausole contestate e quelle oggetto dell’intesa anticoncorrenziale. In assenza di tale prova, la domanda di nullità non può essere accolta.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame offre due importanti conclusioni operative:

1. Attenzione al doppio ruolo: Chi ricopre il ruolo di amministratore di una società e, al contempo, ne è fideiussore, non può invocare la protezione dell’art. 1956 c.c. per ottenere la propria liberazione. La sua posizione all’interno dell’azienda implica una presunzione di conoscenza che neutralizza la tutela, a meno che non riesca a provare il contrario.
2. L’onere della prova è cruciale: Per contestare la validità di una fideiussione basata su modelli standard (come quelli ABI), non è sufficiente evocare genericamente un provvedimento sanzionatorio di un’autorità di vigilanza. È indispensabile produrre in giudizio il contratto e il provvedimento stesso, dimostrando analiticamente la coincidenza tra le clausole, per soddisfare il proprio onere probatorio. In mancanza, l’eccezione di nullità è destinata a fallire.

Un fideiussore che è anche amministratore della società debitrice può essere liberato dalla garanzia se la banca concede nuovo credito nonostante il peggioramento delle condizioni economiche della società?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la liberazione prevista dall’art. 1956 c.c. non si applica, perché si presume che il fideiussore-amministratore sia a conoscenza delle difficoltà economiche della società. Pertanto, il suo consenso all’operazione si considera implicito e la banca non è tenuta a richiedere una specifica autorizzazione.

La clausola che deroga all’articolo 1957 del codice civile in un contratto di fideiussione è considerata vessatoria?
No. La sentenza ribadisce un orientamento consolidato secondo cui la clausola che deroga all’art. 1957 c.c. (relativa ai termini per agire contro il debitore) non è considerata di per sé vessatoria e, di conseguenza, non necessita di una specifica approvazione scritta ai sensi dell’art. 1341 c.c. oltre al normale richiamo numerico.

Per far valere la nullità di una fideiussione perché conforme a un modello ABI dichiarato anticoncorrenziale, cosa deve provare il fideiussore?
Il fideiussore ha l’onere di provare in giudizio che le clausole contenute nel suo specifico contratto di fideiussione riproducono quelle contenute nel modello ABI sanzionato. Il provvedimento della Banca d’Italia che accerta l’intesa anticoncorrenziale è considerato un ‘fatto’ e non un ‘atto normativo’, quindi deve essere allegato e provato dalla parte che ne invoca gli effetti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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