Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30732 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30732 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29087/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAIZONE, GINNOBILI GIULIANO, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 835/2020 depositata il 31/07/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Nel 2014 RAGIONE_SOCIALE in liquidazione convenne in giudizio RAGIONE_SOCIALE (di cui era socia) e il suo amministratore unico NOME COGNOME, per l’annullamento della delibera che gli aveva negato il diritto di partecipare alla ricostituzione del capitale sociale, e la revoca dalla carica di amministratore per gravi
irregolarità commesse nella gestione, con condanna ex art. 2476 c.c. al risarcimento dei danni cagionati alla società e al socio attore.
Nelle more del giudizio di primo grado entrambe le società vennero dichiarate fallite.
La società RAGIONE_SOCIALE riassunse il giudizio, e i due curatori fallimentari rimasero contumaci, mentre si costituì NOME COGNOME.
1.1. -Il Tribunale di Ancona dichiarò inammissibile il ricorso in riassunzione, per difetto di legittimazione della società fallita.
1.2. -Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Ancona, nella persistente contumacia delle due curatele, ha rigettato l’appello proposto da lla società, osservando che: i) la curatela del RAGIONE_SOCIALE, in virtù della notifica sia del ricorso in riassunzione che dell’atto di appello, è divenuta consapevolmente parte del giudizio, sebbene contumace; ii) la mancata costituzione della curatela in primo grado e, soprattutto, il comportamento processuale concludente assunto dopo la notificazione dell’appello avverso una sentenza che aveva deciso la controversia pure nel merito, devono essere interpretati come la scelta consapevole della procedura di non subentrare nella controversia in corso avente ad oggetto rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento; iii) dalla lettura della motivazione della decisione di primo grado si comprende agevolmente che, nonostante il dispositivo formulato in termini di inammissibilità della domanda, le ragioni della decisione attengono anche al merito della vicenda (” In ogni caso … nel merito può osservarsi che quando è stata richiesta la sottoscrizione dell’aumento di capitale, RAGIONE_SOCIALE non era più socia di RAGIONE_SOCIALE “); iv) poiché il curatore amministra la procedura sotto la vigilanza del giudice delegato, è presumibile che anche la decisione di non subentrare al fallito in un giudizio di rilevante importanza economica «sia stata volontariamente assunta dall’organo con il consenso del giudice delegato»; v) tale scelta «impedisce alla ditta fallita di sovrapporre le proprie iniziative processuali a quelle consapevolmente contrarie della curatela»; vi) ne conseguono «la carenza di legittimazione della ditta e la sua rilevabilità d’ufficio» (Cass. 31843/2019).
–RAGIONE_SOCIALE liquidazione ha impugnato la decisione con ricorso per cassazione affidato a sei motivi. NOME COGNOME, il RAGIONE_SOCIALE liquidazione e il RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto difese. Il PM ha depositato memoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo si denunzia l’errata interpretazione o applicazione dell’art. 43 l.fall., che secondo il ricorrente ammetterebbe la permanenza della capacità processuale del fallito a fronte della scelta consapevole del curatore fallimentare di non coltivare un giudizio, che manifesterebbe il suo sostanziale disinteresse, con la conseguenza che la legittimazione attiva del fallito resterebbe esclusa solo quando la curatela sia ‘parte effettiva’ del giudizio, e non anche quando sia ‘parte contumace ‘ .
2.2. -Il secondo mezzo prospetta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la corte d’appello (come il tribunale) rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione attiva del fallito, mentre, in caso di evocazione in giudizio della curatela fallimentare, spetterebbe solo a quest’ultima sollevare la corrispondente eccezione.
2.3. -Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 46 l.fall. sul rilievo che i rapporti patrimoniali non compresi nel fallimento non sarebbero solo quelli aventi ad oggetti i beni di cui all’art. 46 l.fall., stante la diversa latitudine dei concetti di ‘bene’ e ‘rapporto’.
2.4. -Il quarto mezzo denunzia l’errata interpretazione o applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia della corte d’appello sulla questione posta con il terzo motivo, rispetto a quale la censura viene proposta in via alternativa.
2.5. -Con il quinto mezzo si allega l’errata interpretazione o applicazione degli artt. 2481-bis e 2476 c.c., laddove la corte territoriale ha richiamato l’affermazione del tribunale per cui « In ogni caso … nel merito può osservarsi che quando è stata richiesta la sottoscrizione dell’aumento di capitale, RAGIONE_SOCIALE non era più socia di RAGIONE_SOCIALE ».
2.6. -Il sesto motivo prospetta, in alternativa al precedente, l’omessa pronuncia sul corrispondente motivo di appello (il quinto).
-Va subito sgombrato il campo dagli ultimi due motivi, i quali investono, sotto profili alternativi ma parimenti inammissibili, un passaggio motivazionale della sentenza di appello diretto non già all’esame del merito delle domande , bensì al rilievo che la sentenza di primo grado aveva in qualche modo fatto riferimento anche al merito, al solo fine di rendere ancora più evidente la consapevolezza del l’inerzia del curatore nel non proporre appello.
3.1. -I primi quattro motivi pongono, complessivamente, la questione dell’ambito di operatività della legittimazione suppletiva del fallito (motivi primo, terzo e quarto), e della rilevabilità d’ufficio del relativo difetto (motivo secondo).
3.2. -Tra essi, va subito rilevata la manifesta inammissibilità dei motivi terzo e quarto, poiché il ricorrente, ancora in questa sede, non spiega in cosa si sostanzierebbe la natura dei rapporti oggetto delle domande, tale da espungerli dall’orbita dell’art. 43 l. fall., afferente alle controversie relative ai «rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento».
Il ricorso non chiarisce, infatti, se e come quei diritti integrerebbero rapporti di tipo non patrimoniale, ma afferenti a «beni e diritti di natura strettamente personale» , ai sensi dell’art. 46, comma 1, n. 1) l.fall., o comunque rapporti patrimoniali però non compresi nel fallimento ai sensi dei successivi nn. 2), 3) e 5) della stessa norma.
Ne discende anche l’inconfigurabilità della ‘omessa pronuncia’ sul terzo motivo di appello, avendo la corte territoriale esplicitamente inquadrato le pretese come diritti patrimoniali compresi nel fallimento, soggetti al disposto dell’art. 43, commi 1 e 2, l.fall.
3.3. -I restanti primi due motivi sono infondati.
-La regola posta dal primo comma dell’art. 43 l.fall. (quale corollario del cd. spossessamento del fallito ex art. 42 l.fall.) è che il fallito non ha la capacità di stare in giudizio nelle controversie concernenti i «rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento», nei quali, infatti, «sta in giudizio il curatore», cui la legge attribuisce una legittimazione processuale (attiva e passiva)
‘riservata’ o ‘ esclusiva ‘ , operante cioè in tutte le controversie relative ai rapporti patrimoniali che il curatore è chiamato a gestire, che, se già pendenti, vengono perciò automaticamente interrotte a seguito del fallimento, a norma del terzo comma dell’art. 43 l.fall.
Solo dunque nei rapporti di natura personale o patrimoniale non compresi nel fallimento, a norma dell’art. 46 l.fall. , il fallito conserva un ‘ autonoma legittimazione sostanziale e processuale.
4.1. -Il secondo comma dell’art. 43 l.fall. prevede altresì , in via di eccezione, che il fallito può «intervenire nel giudizio» in cui sia parte il curatore, ma «solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico, o se l’intervento è previsto dalla legge» (come nel giudizio di rendiconto ex art. 116 l. fall. e di omologazione del concordato fallimentare ex art. 129 l. fall.).
Si tratta di una forma di ‘intervento adesivo dipendente’ (cfr. Cass. 32634/2023), in quanto il fallito non fa valere un proprio diritto nei confronti di tutte le parti, ampliando la materia del contendere (come nell’intervento principale), né fa valere un proprio diritto nei confronti di una delle parti (come nell’intervento adesivo autonomo), ma si limita a far valere il proprio interesse giuridico, e non di mero fatto, a sostenere le ragioni di una parte (la curatela fallimentare) per l’effetto riflesso che l’esito del giudizio potrebbe determinare nella sua sfera giuridica.
Come tale, il fallito non ha un’autonoma legittimazione ad impugnare, salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti alla qualificazione dell’intervento o alla condanna alle spese imposte a suo carico (Cass. Sez. U, 5992/2012; Cass. 16930/2018, 2818/2018, 28907/2024).
I l tenore dell’art. 43 l.fall. autorizza a ritenere che quel l’i ntervento del fallito sia possibile anche ove la causa penda in appello (contro la regola per cui l’intervento in appello è ammissibile quando l’interventore faccia valere una situazione soggettiva che lo legittima a proporre opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., e dunque non sia adesivo: cfr. Cass. 32887/2022).
-Vi è poi una terza forma di legittimazione processuale del fallito, di tipo suppletivo e di formazione pretoria, che prende origine da una inerzia della curatela fallimentare idonea a rendere il rapporto patrimoniale ‘de facto’ non compreso nel fallimento.
Ed è questa la legittimazione evocata nei motivi in esame.
5.1. -Come detto, il principio per cui il fallito non ha in generale la capacità di stare in giudizio nelle controversie concernenti i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento (con esclusione dei beni di cui all’art. 46 l.fall. e della tutela di diritti strettamente personali) trova il proprio fondamento nel cd. spossessamento di cui a ll’a rt. 42 l.fall., nel senso che dalla sentenza di fallimento scaturisce non già la perdita della titolarità dei rapporti patrimoniali del fallito acquisiti alla procedura, ma la semplice sottrazione del potere dispositivo su di essi; quei rapporti vengono perciò appresi alla massa, affinché li gestisca il curatore in via esclusiva (art. 31 l. fall.), a tutela della garanzia patrimoniale offerta ai creditori, in vista del loro soddisfacimento.
Viene così a prodursi sinergicamente il medesimo effetto sul piano sostanziale, con la perdita per il fallito della disponibilità dei propri beni e rapporti di natura non strettamente personale (art. 42), e su quello processuale, con la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle cause ad essi afferenti (art. 43).
5.2. -Certo è che il fallito non è in possesso di una capacità processuale ‘ concorrente ‘ con quella del curatore, dovendo la sua legittimazione escludersi ogni qual volta il curatore abbia assunto la qualità di parte, salva soltanto la sua facoltà di spiegare un intervento adesivo dipendente nei giudizi dai quali possa derivargli un’imputazione per bancarotta, e nei casi previsti dalla legge.
L’unica alternativa è quella di una legittimazione ‘suppletiva’, perciò associata all’ipotesi dell’inerzia, da parte del curatore, nella gestione processuale di un rapporto astrattamente appreso alla massa, quale indice di un radicale disinteresse degli organi della procedura alla sua tutela giurisdizionale, e di una indifferenza tale da rendere ragione della sua sostanziale estraneità, di fatto, alla massa medesima (cfr. Cass. 9510/2023, 31843/2019).
-Occorre allora intendersi sul concetto di ‘inerzia’.
6.1. -Una declinazione immediata del concetto di inerzia potrebbe indurre a ridurne la portata alla mancanza di attivazione del curatore fallimentare, a prescindere dalle motivazioni della scelta e dalla loro esplicitazione nella eventuale interlocuzione con gli altri organi della procedura, o con lo stesso fallito.
6.2. -Risponde però a diritto vivente il diverso orientamento che assegna alla legittimazione processuale succedanea del soggetto dichiarato fallito un’area più ristretta, riscontrabile soltanto qualora, oltre all’omessa iniziativa giudiziale da parte della curatela, manchi altresì l’evidenza che il curatore si sia posto il problema di decidere quale atteggiamento tenere con riguardo al giudizio in essere, che proprio a tal fine si interrompe automaticamente, a norma del terzo comma dell’art. 43 l. fall.
Pertanto, tale forma di legittimazione suppletiva del fallito sussiste solo nel caso di totale disinteresse degli organi fallimentari, e non anche quando detti organi si siano in qualche modo attivati, o abbiano ritenuto non conveniente intraprendere o proseguire la controversia, dando vita, così, ad una inerzia cd. ‘qualificata’ (Cass. 16151/2024, 32634/2023, 9510/2023, 29462/2022, 26506/2021, 2626/2018, 13814/2016, 20163/2015, 934/2014, 24159/2013, 7448/2012, 4448/2012, 15369/2005).
In particolare si è detto che «a seguito della perdita della capacità processuale da parte del fallito in relazione ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, sussiste una sua legittimazione processuale suppletiva, in deroga alla legittimazione esclusiva del curatore, in relazione a detti rapporti, nel solo caso d’inattività e disinteresse del curatore, mentre ove riguardo al rapporto in questione il curatore si sia attivato, essendo logicamente inconcepibile una sovrapposizione di ruoli fra fallimento e fallito, detta legittimazione suppletiva non sussiste e la sua carenza può essere rilevata d’ufficio» (Cass. Sez. U, 27346/2009).
6.3. -Del tutto analogo è l’approdo, sempre in ambito civilistico, in tema di azione surrogatoria ex art. 2900 c.c., ove si esclude l’inerzia ogniqualvolta «il debitore abbia posto in essere
comportamenti idonei e sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto» (Cass. 34940/2022, 5805/2012), con conseguente negazione di efficacia legittimante al contegno omissivo del debitore titolare del diritto non coltivato, quando il mancato esercizio derivi, appunto, non da trascuratezza e disinteresse, ma da una precisa e deliberata opzione gestoria, risultante anche da comportamenti concludenti.
7. -Non induce a mutare questo consolidato orientamento il diverso approdo delle sezioni unite in ambito tributario -nel senso della rilevanza della mera inerzia degli organi fallimentari, intesa come «comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato» (Cass. Sez. U, 11287/2023) -poiché espressamente circoscritto all’ipotesi in cui «i presupposti di un rapporto tributario si siano formati prima della dichiarazione di fallimento», esclusivamente finalizzato alla impugnazione dell’atto impositivo notificato al contribuente dichiarato fallito e quindi «calibrato sulla peculiarità dell’obbligazione tributaria, rispetto alla quale il fallito non perde la qualifica di soggetto passivo d’imposta, rimanendo assoggettato alle conseguenze, anche di ordine sanzionatorio, conseguenti alla definitività dell’atto impositivo» (così Cass. 9510/2023).
Le stesse sezioni unite, nel dichiarare che quella soluzione è stata adottata in ragione «della specialità dell’obbligazione tributaria e della peculiarità del rapporto giuridico d’imposta in quanto modellato su uno statuto suo proprio, non riscontrabile nelle altre obbligazioni e negli altri rapporti di diritto privato attratti al concorso», sottolineano che la fattispecie lì esaminata (impugnativa di un atto impositivo dell’erario) «si pone su un piano del tutto differente, sia da quello strettamente patrimoniale-privatistico intercorrente tra debitore e creditore (posto che il fallito che agisce sostitutivamente non è creditore del curatore inerte), sia da quello dell’esercizio processuale eccezionalmente surrogatorio di un diritto altrui (dal momento che il rapporto tributario non trapassa in capo al curatore, ma resta del fallito il quale, agendo, fa valere un diritto di cui ha mantenuto la titolarità)».
Una specialità, aggiungono, «che trova radice nel carattere pubblicistico-costituzionale, imperativo, indisponibile dell’obbligazione tributaria, la quale trova diretta matrice nella legge secondo parametri solidaristici di capacità contributiva (artt. 23 e 53 Cost.). Il che si riflette, tra il resto, sulle modalità di accertamento dell’obbligazione tributaria (demandata ad un giudice diverso da quello ordinario) e di sua attuazione in caso di inadempimento (attraverso un regime di riscossione che si discosta da quello ordinario dell’espropriazione forzata), sicché non è possibile una piena equiparazione tra l’inadempimento delle obbligazioni di diritto privato e quello delle obbligazioni tributarie, ‘oggetto, per la particolarità dei presupposti e dei fini, di disciplina diversa da quella civilistica’ (C. Cost. sent. nn. 157/1996, 291/1997, 90/2018)».
E proprio questa specialità, osservano le sezioni unite, «non può non influire -nel senso della necessità e sufficienza dell’inerzia che abbiamo definito ‘semplice’ sulla soluzione del problema»; soluzione quindi pertinente a quella ‘specialità’ e, come tale, non esportabile de plano in altri plessi.
-Va dunque confermato l’orientamento in base al quale , al di fuori dell’ambito strettamente tributario, la legittimazione suppletiva del fallito sussiste solo quando l’inerzia del curatore fallimentare nella tutela giurisdizionale dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento non sia l’espressione di una scelta consapevole nella gestione della procedura concorsuale.
8.1. -Ora, non è revocabile in dubbio che, quando il curatore fallimentare sta in causa, è parte del giudizio a tutti gli effetti processuali, e il suo comportamento processuale è vincolante sia per la massa dei creditori che per il fallito (cfr. Cass. Sez. U, 1390/1967, ripresa da Cass. 9510/2023), sicché non v’è luogo a discorrere di inerzia, poiché ogni potere processuale, compreso quello di impugnare la sentenza, è sicuramente da considerare oggetto di specifica determinazione in sede fallimentare.
Su questo principio riposano i solidi approdi in base ai quali una sentenza sfavorevole al RAGIONE_SOCIALE non può mai essere impugnata dal fallito, neppure invocando l’inerzia del curatore (Cass.
1858/1975, 11117/2013), poiché non integra inerzia la scelta della parte processuale di desistere dal proporre un gravame (Cass. 2626/2018, 24159/2013, 31313/2018). Diversamente, si verrebbe a configurare la legittimazione (o capacità processuale) concorrente del fallito, cosa come detto da escludere in base a ll’art. 43 l . fall.
Persino le sezioni unite citate (Cass. Sez. U, 11287/2023) hanno precisato che in nessun caso si ammette che il fallito possa impugnare la sentenza nell’inerzia del curatore quando questi, pur prestando acquiescenza, si sia tuttavia attivato nel precedente grado di giudizio (conf. Cass. 32634/2023, 7448/2012, 14624/2010).
E proprio in ambito tributario si è di recente confermato che, «nel caso in cui i presupposti del rapporto d’imposta si siano formati anteriormente alla dichiarazione di fallimento, ove il curatore si sia attivato in sede giurisdizionale avverso l’avviso di accertamento, il fallito non è legittimato ad impugnare la sentenza sfavorevole, ancorché il curatore non abbia proposto gravame, non sussistendo il presupposto dell’inerzia assoluta» (Cass. 9010/2025).
8.2. -Ma anche la contumacia deve intendersi come ‘scelta’ della parte evocata in giudizio, di modo che deve intendersi parte del giudizio anche la parte contumace.
In particolare, la contumacia della curatela fallimentare non esprime affatto, di per sé, quel totale disinteresse degli organi della procedura, sottendendo anzi di regola, come argomentato dai giudici di merito, un loro coinvolgimento ai fini della decisione sulla convenienza o meno di intraprendere o proseguire la controversia, dando vita, così, ad una inerzia cd. ‘qualificata’.
In numerose pronunce di questa Corte sono portate, a titolo di esempio, proprio le ipotesi in cui il curatore abbia chiesto al giudice delegato l’autorizzazione a riassumere la causa e tale autorizzazione sia stata negata, con conseguente preclusione all’iniziativa del fallito (Cass. 36849/2021, 34529/2021, 9953/2021, 4448/2012, 9710/2004).
A maggior ragione la scelta della curatela contumace in primo grado di non impugnare la decisione ad essa notificata esprime una valutazione di opportunità circa la proposizione del gravame.
Questo, in ogni caso, è l’esito dell’indagine dei giudici di merito.
8.3. -Ciò che va escluso radicalmente è che il sistema di ripartizione della legittimazione (o capacità) processuale tra curatore e fallito -che come visto ha già subito, per via pretoria, una importante deflessione attraverso il concetto di ‘inerzia’ della curatela -venga per quella via ulteriormente piegato, sino a configurare una sorta di ‘cogestione’ de i processi aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, ovvero a integrare una surrettizia misurazione della ‘negligenza’ del curatore, al di fuori degli altri strumenti a disposizione per sindacarne la diligenza.
8.4. -Quanto alla rilevabilità o meno d’ufficio del difetto di legittimazione del fallito, sono state le stesse sezioni unite a ribadire che , in ogni ambito, l’insussistenza di uno stato di inerzia del curatore comporta il difetto della capacità processuale del fallito e va conseguentemente rilevata dal giudice anche d’ufficio , in ogni stato e grado del processo (Cass. Sez. U, 11287/2023, 27346/2009), anche perché determina l’inammissibilità del ricorso (Cass. 9510/2023).
Viene formulato il seguente principio di diritto:
‘Al di fuori dell’ambito tributario -ove rileva, in ragione della specialità e peculiarità dell’obbligazione tributaria, anche la mera inerzia del curatore fallimentare, come declinata dalle sezioni unite con la sentenza n. 11287 del 2023 -la cd. capacità processuale ‘ suppletiva ‘ del fallito sussiste solo laddove l’inerzia del curatore sulla base di un accertamento riservato al giudice del merito, non sia frutto di una scelta consapevole degli organi della procedura, come avviene sicuramente quando il curatore abbia assunto la qualità di parte del giudizio, anche se contumace ‘.
-Segue il rigetto del ricorso senza statuizione sulle spese, in assenza di difese degli intimati.
Ricorrono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1- quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/10/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME