Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1257 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1257 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30642-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore p.t. , rappresentato e difeso dall ‘ Avvocato NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– controricorrente –
nonché
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLCA PRESSO LA CORTE D ‘ APPELLO DI TORINO e PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TORINO;
– intimati – avverso la SENTENZA N. 1180/2021 DELLA CORTE D ‘ APPELLO DI TORINO, depositata il 3/11/2021;udita la relazione della
causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 29/5/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. La Corte d ‘ appello di Torino, con sentenza del 3.11.2021, ha rigettato il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, emessa dal Tribunale di Torino su richiesta del pubblico ministero.
1.2. La corte ha osservato che: a) il ricorso per la dichiarazione di fallimento e il decreto di fissazione dell ‘ udienza erano stati ritualmente notificati a RAGIONE_SOCIALE, a cura della cancelleria e con modalità telematica, come previsto dall ‘ art. 15, comma 3°, l.fall.; b) la mancata partecipazione del pubblico ministero all ‘ udienza non comportava rinuncia alla domanda; c) il tribunale, che a norma dell ‘ art. 15 l.fall. può sempre disporre d ‘ ufficio mezzi istruttori, aveva legittimamente richiesto informazioni all ‘ Agenzia delle entrate allo scopo di ottenere una visione completa dell ‘ esposizione della società verso l ‘ erario; d) la legittimazione del pubblico ministero ai sensi dell’art. 7 l. fall. non era venuta meno per il fatto di aver appreso dell’insolvenza di RAGIONE_SOCIALE nel corso di indagini penali svolte nei confronti di altra società, la RAGIONE_SOCIALE fallita nel 2015, a seguito di approfondimenti patrimoniali eseguiti dopo che era emerso un collegamento fra le vicende d i quest’ultima e quelle della reclamante; e) RAGIONE_SOCIALE, quale società costituita nelle forme previste dal codice civile e avente ad oggetto un’attività commerciale, era assoggettabile a fallimento indipendentemente dall ‘ effettivo esercizio di siffatta attività e risultava pertanto irrilevante che si fosse sempre e solo occupata della gestione del capannone di sua proprietà; f) sussisteva lo stato di insolvenza, in quanto la reclamante: i) era gravata da un debito di oltre 1,5 mln. di euro derivante dal mancato pagamento delle rate del mutuo
ipotecario contratto per l’acquisto dell’immobile, cui non era in grado di far fronte perché non svolgeva attività di impresa; ii) non disponeva di risorse proprie che le consentissero di tamponare il cospicuo indebitamento, tanto da essere costantemente costretta a ricorrere al finanziamento dei soci; iii) presentava un patrimonio netto fortemente negativo sin dal 2017; iv) non riscuoteva più, dall’ormai lontano giugno 2012, neppure i canoni di locazione del cespite che, sino a quella data, avevano costituito l ‘ unico introito sociale, mentre era irrilevante che la banca mutuante non avesse intentato azioni giudiziarie per il recupero, presumibilmente confidando nell’ ipoteca iscritta sul bene; g) infine, contrariamente a quanto dedotto da TLIC, la vendita dell’unico immobile aziendale, ipotizzata dai soci nell’assemblea del 26.2.2021, avrebbe compromesso definitivamente la continuità dell’attività di impresa, confermando l’impossibilità della società di far fronte con mezzi normali alle propri obbligazioni.
2.1. RAGIONE_SOCIALE con ricorso notificato il 3/12/2021, ha chiesto, per otto motivi, la cassazione della sentenza.
2.2. Il Fallimento ha resistito con controricorso.
2.3. Il Procuratore Generale presso la Corte d ‘ appello di Torino e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino non hanno svolto difese.
2.4. Le parti costituite hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1. Con il primo motivo TLIC denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 15 l.fall., per avere la corte d ‘ appello ritenuto procedibile l ‘ istanza di fallimento presentata dal pubblico ministero nonostante mancasse la prova che il ricorso le fosse stato notificato dalla cancelleria, e fosse dunque necessario che all’adempimento provvedesse l’ufficio della
procura, e nonostante l’organo pubblico , omettendo di provvedere alla notificazione e di partecipare all’udienza prefallimentare, avesse implicitamente rinunciato alla domanda.
3.2. Il motivo, in parte inammissibile e in parte infondato, deve essere respinto.
3.3. Al di là del rilievo che la ricorrente si è costituita nel procedimento prefallimentare (cfr. sentenza impugnata, pag. 3 ultimo rigo) e che pertanto qualsivoglia eventuale nullità della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione d’udienza sarebbe risultata sanata per raggiungimento dello scopo, la questione (di fatto) concernente la mancata notifica di tali atti da parte della cancelleria o, meglio, la mancanza di prova della predetta notifica, non risulta aver formato oggetto della cognizione devoluta al giudice del reclamo e non poteva, pertanto, essere dedotta per la prima volta nella presente sede di legittimità.
3.4. Per il resto va ribadito che nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, quando l ‘ iniziativa sia stata assunta dal Pubblico Ministero, affinch é il giudice possa pronunciarsi nel merito è sufficiente che il ricorso sia stato ritualmente notificato all ‘ imprenditore, sicch é è irrilevante la mancata partecipazione della parte pubblica all ‘ udienza prefallimentare, non potendosi trarre da una simile condotta alcuna volont à , anche solo implicita, di rinunciare o desistere all ‘ istanza presentata (Cass. 12537/2017); ci ò in coerenza con il generale principio secondo cui, ove la parte non si presenti all ‘ udienza conclusiva del procedimento al fine di rappresentare al giudice le proprie istanze finali, vale la presunzione che la stessa abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate (Cass. 22360/2013, Cass. 11222/2018, Cass. 646 del 2019, in motiv.).
3.5. Nessun significato dismissivo rispetto all’iniziativa assunta ai sensi dell’art. 7 l. fall. può, d’altro canto, trarsi dal fatto che il P.M. non abbia provveduto alla notifica del ricorso di fallimento, trattandosi di un adempimento che, a norma dell’art. 15, 3° comma della legge, non gli compete.
3.6. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7, 15 l.fall. per avere la corte d’appello ritenuto legittima l’iniziativa del giudice di prime cure di richiedere all ‘ Agenzia delle entrate di depositare documentazione ulteriore e integrativa riguardo alla sua esposizione debitoria nei confronti dell ‘ Erario, senza considerare che i poteri istruttori ufficiosi concessi al tribunale ai sensi dell’art. 15 l.fall devono essere esclusivamente finalizzati ad evitare una pronuncia ingiustificata di fallimento e che, comunque, la documentazione richiesta era stata già allegata dalle parti, tanto che nella sentenza dichiarativa non v’era il minimo cenno alle risposte fornite dall’Agenzia.
3.7. Il motivo, prima ancora che infondato, va dichiarato inammissibile per difetto di interesse della ricorrente a dolersi di un ipotetico vizio procedurale senza neppure prospettare in che modo questo abbia inciso sulla sentenza dichiarativa che, al contrario, come essa stessa riconosce, non si è fondata sulla documentazione acquisita d’ufficio .
3.8. Con il terzo motivo TLIC, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 6 e 7 l.fall., contesta che il pubblico ministero fosse legittimato a presentare l ‘ istanza di fallimento nei suoi confronti. La ricorrente assume in diritto che l’organo pubblico può proporre l ‘ istanza di fallimento solo in presenza di un ‘ evidente e dimostrata connessione funzionale fra un procedimento penale e l ‘ insolvenza dell ‘ impresa, dovendosi, pertanto, escludere che l ‘ indagine nel corso della quale abbia
appreso la notitia decoctionis possa risolversi nella mera ricerca dell ‘ insolvenza stessa; deduce quindi, in fatto, che nella specie la connessione era insussistente, giacché il Pubblico Ministero non aveva motivo pero iscrivere a ‘Modello 45’ i fatti da cui aveva poi desunto l’insolvenza e aveva perciò provveduto all’apertura del fascicolo in funzione non già dell’accertamento di una qualsivoglia fattispecie ‘ illecita ‘, ancorché non costituente reato, bensì della mera proposizione dell’istanza di fallimento, con ciò invertend o i fattori legittimanti l’esercizio del potere sancito dall’art. 7 l.fall., che presuppone l’anteriorità (oltre che l’effettiva esistenza) della notitia legittimante l’apertura del fascicolo ‘ modello 45 ‘ rispetto alla notitia decoctionis che in tal sede dev’essere appresa. La ricorrente osserva ancora, più specificamente, che non v’era alcun legame fra le proprie vicende e quelle riguardanti il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE o il procedimento penale che ne era scaturito, non solo perché la sentenza di fallimento della RAGIONE_SOCIALE risaliva al lontano dicembre 2015, mentre la Procura aveva avanzato dubbi sulla sua situazione solo nel marzo 2021, ma soprattutto perché tutti gli organi che si erano interessati, a vario titolo, dei rapporti da essa intrattenuti con RAGIONE_SOCIALE in bonis , non avevano promosso alcun procedimento, tantomeno penale, pur disponendo dei medesimi elementi sui quali si era poi poggiata la richiesta della Procura.
3.9. Il motivo è infondato.
3.10. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la ratio dell ‘ art. 7 l.fall., una volta venuto meno il potere del tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, è nel senso di estendere la legittimazione del pubblico ministero alla presentazione della relativa richiesta in tutti i casi nei quali abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis (Cass. n. 31999
del 2022; Cass. n. 27670 del 2022; Cass. n. 26407 del 2021; Cass. n. 646 del 2019; Cass. n. 20400 del 2017), che può, dunque, attingere: – tanto nel corso di un ‘ procedimento penale ‘ (cfr. Cass. n. 10679 del 2014; Cass. n. 8977 del 2016; Cass. n. 23391 del 2016), anche se non è a tal fine necessaria né la preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo o di terzi (Cass. n. 8977 del 2016) né il buon esito dello stesso che, pur se favorevole agli indagati o agli imputati, non incide sulla regolarità del procedimento instaurato a seguito della richiesta e sulla legittimità della relativa sentenza (Cass. n. 26407 del 2021, in motiv.); – quanto al di fuori di un vero e proprio procedimento penale, come nel caso degli atti a lui trasmessi ed iscritti a ‘ modello 45′ in quanto privi di rilevanza penale, trattandosi anche in tal caso di un’ attività che rientra nei compiti istituzionali attribuitigli e che può quindi costituire una fonte di informazione utile a legittimare l ‘ iniziativa volta alla dichiarazione di insolvenza (Cass. n. 27539 del 2019, in motiv.; conf., più di recente, Cass. n. 26407 del 2021).
3.11. Non è un caso, del resto, che, come precisato dalla Corte (Cass. n. 646 del 2019; Cass. n. 26407 del 2021; Cass. n. 9260 del 2011), sono idonee a fondare la legittimazione del pubblico ministero anche le condotte specificamente menzionate nell ‘ art. 7, n. 1, seconda parte, l.fall., e cioè la fuga, l’irreperibilità o la latitanza dell’imprenditore, la chiusura dei locali dell’impresa ovvero il trafugamento, la sostituzione o la diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore, le quali, in effetti, non integrano necessariamente ipotesi di reato né presuppongono indefettibilmente la pendenza di un procedimento penale.
3.12. In tale ordine di concetti, si è affermato (Cass. n. 26407 del 2021, in motiv.) che l ‘ esame da parte del pubblico ministero dei risultati di un ‘ indagine svolta dalla Guardia di Finanza (tanto se preventivamente disposta dallo stesso nell ‘ esercizio del proprio potere investigativo, quanto se eseguita autonomamente dal predetto corpo di polizia e poi trasmessa all ‘ ufficio di procura) rientra pienamente nell ‘ attività istituzionale del magistrato inquirente, con la conseguenza che, ove gli esiti dell ‘ indagine evidenzino la sussistenza di uno stato d’insolvenza , il pubblico ministero è pienamente legittimato ad esercitare l ‘ iniziativa di richiedere il fallimento.
3.13. Allo stesso modo, la trasmissione di svariati atti concorsuali al pubblico ministero lo investe di elementi potenzialmente suscettibili di riferirsi ad una notitia decoctionis : sia ai fini interni (onde il pubblico ministero può chiedere il fallimento di un debitore che ha depositato domanda di concordato per il solo fatto che ne è stato notiziato ai sensi dell ‘ art. 161 l.fall., senza necessità di invocare alcuno dei requisiti dell ‘ art. 7 l.fall.: cfr., fra le altre, Cass. n. 27200 del 2019; Cass. n. 6649 del 2018; Cass. n. 5074 del 2017), sia ai fini esterni (come per le relazioni ex art. 33 l.fall., che gli debbono essere indefettibilmente trasmesse dall ‘ ufficio, e che dunque sono anch ‘ esse informazioni veicolate in modo speciale e distinte, rispetto all ‘ eventuale riferimento del giudice civile del n. 2 dell ‘ art. 7 l.fall.).
3.14. L ‘ iniziativa del pubblico ministero è, dunque, legittima tutte le volte in cui sia tratta dalla sua partecipazione a processi o procedimenti di sua competenza ed ivi conosca della decozione di una parte o di un terzo: ciò che conta è unicamente che un fatto sensibile, ai sensi degli artt. 1-5 l.fall., sia portato all ‘ attenzione del pubblico ministero per le sue valutazioni e ciò
avvenga nell ‘ ambito di una competenza propria. L ‘ unico limite è che gli è vietato di aprire un fascicolo per insolvenza di un imprenditore ex abrupto , dovendo egli avere appreso la notizia dell ‘ insolvenza nell ‘ ambito delle sue competenze istituzionali, civili o penali o disciplinari che siano (Cass. n. 27670 del 2022, pressoché testualmente, in motiv.) .
3.15. Il pubblico ministero, naturalmente, ogni qualvolta è legittimato alla proposizione, nei termini predetti, della richiesta di fallimento, ha non solo il potere ma anche il dovere di agire in giudizio per la dichiarazione di fallimento, a prescindere da qualsiasi segnalazione di uno o più creditori o di terzi qualificati, in ragione della mera sussistenza in fatto dei presupposti soggettivi e oggettivi della procedura, che radica, a fronte della conseguente legittimazione all ‘ iniziativa, il corrispondente interesse (istituzionale) alla proposizione dell ‘ istanza di apertura della stessa.
3.16. Il giudice del reclamo, lì dove ha ritenuto che il pubblico ministero fosse senz’altro legittimato a promuovere l ‘ iniziativa per la dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE, in quanto ‘ gli approfondimenti svolti in merito alla situazione patrimoniale’ della stessa erano ‘scaturiti dai rapporti intercorsi tra quest ‘ ultima e la RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita nel 2015 ‘ e ‘ dalle risultanze istruttorie emerse nel corso delle indagini penali riguardanti il fallimento della seconda ‘, si è, quindi, attenuta ai principi esposti, avendo, in sostanza, accertato, in punto di fatto, che la notitia decoctionis era stata appresa dal P.M. ‘ nel corso di un procedimento penale ‘, e si sottrae, come tale, ai rilievi svolti al riguardo dalla ricorrente.
3.17. Con il quarto motivo COGNOME, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1, 6 e 7 l.fall. e dell ‘ art. 2195 c.c., lamenta che la corte d ‘ appello l’abbia ritenuta
assoggettabile a fallimento senza considerare che essa, priva di dipendenti e senza debiti verso i fornitori, non svolgeva, in realtà, alcuna attività, men che meno di natura commerciale, essendosi occupata, sin dalla sua costituzione, esclusivamente di gestire il contratto di locazione dell ‘ immobile sito in Collegno (TO), per lo meno sino a quando il conduttore aveva pagato il canone, mentre, a partire dal 2016, il cespite era stato appostato fra le rimanenze dell ‘ attivo e non era quindi più stato considerato parte dell’attività produttiva.
3.18. Il motivo è in ammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, 1° comma, c.p.c. perché la corte d’appello ha respinto il corrispondente motivo di reclamo uniformandosi alla costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un ‘ attività commerciale sono assoggettabili a fallimento indipendentemente dall ‘ effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto acquistano la qualità di imprenditore commerciale sin dal momento della loro costituzione e non dall ‘ inizio del concreto esercizio dell ‘ attività d ‘ impresa (Cass. n. 8694 del 2001; conf., Cass. n. 25730 del 2016; Cass. n. 21991 del 2012; Cass. n. 28015 del 2013; Cass. n. 23157 del 2018; Cass. n. 11886 del 2020, in motiv.) e l’esame del mezzo non offre elementi per mutare orientamento.
3.19. Con il quinto motivo la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1 e 5 l.fall., degli artt. 2426, comma 1, n. 11bis , 2482 bis , 2482 ter , 2446 e 2447 c.c., lamenta che il giudice del reclamo abbia ritenuto che il suo patrimonio netto avesse, a far tempo dall ‘ esercizio del 2017, un valore negativo, rimasto tale anche negli esercizi successivi, senza però svolgere, dal punto di vista giuridico, un ‘ idonea valutazione delle singole voci che lo compongono, avendo, in
particolare, considerato il ‘ patrimonio netto contabile (inclusivo della Riserva negativa OIC per derivato IRS) ‘ e non il ‘ patrimonio netto, con esclusione della Riserva negativa OIC per derivato IRS ‘, che è il cd. ‘ patrimonio netto civilistico ‘, laddove gli artt. 2482bis e 2482ter c.c. escludono dal patrimonio netto civilistico della società la ‘ riserva negativa OIC per derivato IRS ‘ .
3.20. Con il sesto motivo, che denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1 e 5 l.fall. e dell ‘ art. 2467 c.c., la ricorrente lamenta che la corte d ‘ appello abbia desunto la sua incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni dalla necessità di ricorrere al finanziamento dei soci per onorare i debiti sociali, omettendo, tuttavia, di considerare che le risorse di cui l ‘ impresa può disporre per far fronte alla crisi ed evitare il dissesto non si limitano ai mezzi propri od ottenibili facendo ricorso al credito bancario, potendo consistere altresì in interventi di varia natura (ricapitalizzazioni, finanziamenti, rinunce, accolli, garanzie, adempimenti del terzo, ecc.) effettuati dai soci al fine a sostenere finanziariamente la società e senza neppure tener conto che la banca mutuante non aveva assunto alcuna iniziativa di recupero nei suoi confronti grazie al raggiungimento ( nell’attesa di trovare un accordo complessivo) di un piano ‘di non belligeranza’ che prevedeva un versamento mensile, dapprima di 15.000 e poi di 7.500 euro, che era stato onorato proprio attraverso le liquidità messe a disposizione dai soci.
3.21. Con il settimo motivo la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1 e 5 l.fall. contesta l’accertamento della corte del merito secondo cui la vendita dell’unico immobile aziendale, ipotizzata dai soci nell ‘ assemblea del 26/2/2021, avrebbe compromesso definitivamente la
continuità della sua attività d ‘ impresa, confermando la sua impossibilità di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni; sostiene che la cessione rappresentava, al contrario, la modalità più acconcia per definire ogni debito societario ‘ e che in un’ottica prettamente liquidatoria, quale quella assunta, la valutazione del giudice, ai fini dell ‘ applicazione dell ‘ art. 5 legge fall., doveva essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentissero di assicurare l ‘ eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali.
3.22. Con l ‘ ottavo motivo la ricorrente denuncia infine l’omesso esame d el fatto decisivo che il ricorso all ‘ indebitamento nei confronti dei soci rappresentava la più immediata, ed anzi l ‘ unica, alternativa concretamente da essa percorribile per adempiere le proprie obbligazioni.
3.23. I motivi, da esaminare congiuntamente, devono essere respinti.
3.24. Intanto, deve escludersi ogni rilievo alla dedotta idoneità dell ‘ attivo del patrimonio della società reclamante a far fronte ai debiti della stessa: solo se la società è formalmente in stato di liquidazione (e non risulta che TLIC lo fosse) la valutazione del giudice ai fini dell ‘ accertamento dello stato d ‘ insolvenza dev ‘ essere diretta unicamente a verificare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l ‘ integrale ed eguale soddisfacimento dei creditori (fra molte, Cass. n. 28193 del 2020).
3.25. Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società non in liquidazione (che, per aver concesso in locazione a terzi il suo unico immobile, può anche essere inattiva ma non per questo è di fatto in stato di scioglimento: cfr. Cass. n. 32280 del 2022), al contrario, l ‘ accertamento dello stato di insolvenza è desumibile, più che dal rapporto tra attivo e passivo (che,
comunque, non è irrilevante posto che ‘ l ‘ eventuale eccedenza del passivo sull ‘ attivo patrimoniale costituisce, pur sempre, nella maggior parte dei casi, uno dei tipici “fatti esteriori” che dimostrano l ‘ impotenza dell ‘ imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni ‘: Cass. n. 5215 del 2008, in motiv.), dall ‘ incapacità della stessa a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (Cass. n. 5856 del 2022; Cass. n. 7087 del 2022; Cass. n. 32280 del 2022; Cass. n. 29913 del 2018), senza, peraltro, che tale situazione presupponga necessariamente l ‘ esistenza di inadempimenti, che, se effettivamente riscontrati, sono equiparabili agli altri fatti esteriori idonei a manifestare quello stato, con valore, quindi, meramente indiziario, da apprezzarsi caso per caso (cfr. Cass. n. 9856 del 2006; Cass. n. 25961 del 2011; Cass. n. 19027 del 2013; Cass. n. 30209 del 2017): i beni ed i crediti che compongono il patrimonio della società debitrice devono essere, pertanto, considerati non già per il loro valore contabile e di mercato (e cioè, come invece pretende la ricorrente, in funzione della loro liquidazione con la vendita a terzi e dell ‘ utilizzazione del denaro così ricavato per pagare i debitori) ma solo in rapporto all a ‘ concreta attitudine ‘ degli stessi ad essere adoperati quali mezzi normali di pagamento, e cioè come denaro liquido o beni di pronta liquidazione (Cass. n. 32280 del 2022, in motiv.), per adempiere tempestivamente, e cioè alle rispettive scadenze, i debiti sociali (Cass. n. 30284 del 2022; Cass. n. 23437 del 2017; Cass. n. 5215 del 2008).
3.26. Le ulteriori doglianze illustrate nei motivi sono invece inammissibili perché volte ad ottenere un diverso apprezzamento delle circostanze dalle quali la corte del merito, con accertamento sindacabile in sede di legittimità solo nei ristretti termini previsti dall’art. 360, 1° comma n. 5 c.p.c. (così come costantemente interpretato da questa Corte, a partire da
Cass. SS.UU. n. 80053/2014) ha tratto il convincimento della sussistenza dello stato di insolvenza.
Il ricorso, in conclusione, deve essere integralmente rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese del giudizio, che liquida nella somma di €. 7 .200 , di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima