Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6841 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6841 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 16803/2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta delega allegata al ricorso per cassazione dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del secondo Avvocato.
-ricorrente-
CONTRO
COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, anche in qualità di unico erede di NOME, COGNOME NOME, anche in qualità di quella erede, per quota della metà, di COGNOME NOME, NOME, in qualità di
coeredi, per quota della metà, di COGNOME NOME, COGNOME NOME, anche in qualità di unica erede di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale apposta al ricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative a questo procedimento a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-controricorrenti e ricorrenti incidentali –
E
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv ocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente-ricorrente incidentale –
E
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura alle liti rilasciata su foglio separato unito telematicamente e giuridicamente al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il q uale dichiara di voler ricevere ogni comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente-
avverso l ‘ordinanza della Corte di appello di Brescia n. 1211/2023, depositata il 17/5/2023
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con delibera del CIPE n. 24/05 veniva dichiarata la pubblica utilità dell’infrastruttura strategica costituita dal raccordo autostradale tra il casello di Ospitaletto e il casello di Poncarale e
l’aeroporto di Montichiari, con efficacia per cinque anni, sino al 10/11/2010.
Per quel che ancora qui rileva, con decreto del Direttore Generale di Anas del 23/3/2006 veniva individuata come società beneficiaria e promotrice dell’espropriazione la Autostrade Centro Padane s.p.a. (d’ora in poi ACP).
L’Anas, quale concedente, stipulava la convenzione del 7/11/2007, con la Autostrade Centro Padane (quale concessionaria).
In data 5/7/2007 si procedeva all’occupazione di urgenza dell’area oltre all’occupazione temporanea per le aree necessarie ai lavori.
Il 6/11/2007 avveniva l’immissione in possesso, per la durata di cinque anni.
Con decreto del Presidente Anas del 29/10/2010 veniva autorizzata la proroga del termine per l’esecuzione dei lavori sino al 10/11/2012 (2 anni).
Nelle more non veniva emesso il decreto di esproprio.
La convenzione tra RAGIONE_SOCIALE e ACP, con scadenza al 30/9/2011, veniva prorogata al 30/9/2013, con atto aggiuntivo dell’1/8/2012.
In precedenza, con atto del 25/1/2012 ACP diveniva, a detta della società, solo mera mandataria di RAGIONE_SOCIALE
L’occupazione legittima perdurava dal 6/11/2007 al 10/11/2012.
Veniva stipulato il 31/7/2009 un preliminare di accordo di cessione volontaria tra l’ACP per i proprietari dei terreni oggetto di occupazione di urgenza ex art. 22bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
In particolare, si determinava l’indennità di esproprio complessiva in euro 2.148.319,95, di cui 2.033.750,36 per indennità di espropriazione e asservimento, euro 91.355,00 per indennità di occupazione delle aree preordinate all’esproprio e alla costituzione di servitù dal 6/11/2007 ad oggi, euro 22.914,54 per indennità di
occupazione temporanea delle aree di cantiere occorrenti per l’esecuzione dei lavori.
Il decreto di espropriazione o l’accordo di cessione dovevano avvenire entro il 30/4/2010.
Gli importi concordati 31/7/2009 venivano pagati alla stipulazione del preliminare per l’80% e quindi euro 73.324,00 per indennità per occupazione di urgenza ed euro 18.331,67 per occupazione temporanea.
Nelle more, il Ministero delle infrastrutture dei trasporti (Mit) subentrava ex lege all’Anas.
Veniva quindi stipulata una nuova convenzione tra il RAGIONE_SOCIALE e la società di RAGIONE_SOCIALE il 31/5/2017, con verbale di riconsegna del 28/2/2018.
Gli attori NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME (poi deceduto), NOME COGNOME, NOME COGNOME (poi deceduta), NOME COGNOME nonché in qualità di eredi, NOME COGNOME (poi deceduta), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, proprietari dei terreni, presentavano ricorso ex art. 702bis c.p.c. dinanzi alla Corte d’appello in data 14/9/2018, con ricezione del 3/1/2019.
Gli attori richiedevano: in via principale la determinazione della giusta indennità di occupazione legittima nella misura prevista dalla legge per il periodo dal 6/11/2007 al 10/11/2012, «dal momento che la mancata emissione del decreto di esproprio determinava la caducazione dell’accordo quanto alle indennità di esproprio».
Tra l’altro, l’accordo sull’indennità di espropriazione era stato stipulato con riferimento al regime del VAM, senza tener conto della intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione
passiva «adducendo di non essere il soggetto tenuto al versamento delle somme richieste da controparte né di esserlo stato all’epoca in cui l’occupazione legittima aveva avuto termine (10/11/2012)».
Deduceva, in particolare, che in data 25/1/2012, quindi in epoca anteriore alla proroga della concessione intervenute successivo 1/8/2012, le parti avevano regolato reciproci rapporti in merito alla gestione del raccordo Ospitaletto-Poncarale-Montichiari, con la previsione che la gestione era relativa alle sole parti dell’opera che erano già state realizzate con termine fino al 30/9/2013; nel periodo dal 25/1/2012 al 30/9/2013, ACP avrebbe agito «quale pura mandataria di Anas del relativo cantiere e delle aree».
Reputava che l’accordo del 31/7/2009 non aveva perso efficacia, anche in assenza del perfezionamento della procedura di esproprio.
Eccepiva la prescrizione decennale della prima annualità dell’indennità di occupazione maturata il 6/11/2008.
ACP aggiungeva che, in caso di condanna della stessa, si accertasse «l’esclusiva debenza delle indennità a carico del Ministero quantomeno nei rapporti interni con ACP, con condanna del Ministero all’eventuale manleva di ACP ovvero al rimborso di quanto da essa dovesse venir pagato/depositato in esecuzione dell’emananda sentenza».
Si costituiva in giudizio il Ministero dei trasporti e delle infrastrutture (Mit) eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.
Esponeva, infatti, che con decreto del Direttore Generale Anas del 23/3/2006 Autostrade Centro Padane era stata individuata quale «soggetto beneficiario e promotore dell’espropriazione, venendo equiparata all’autorità espropriante ex art. 3, comma 1, lettera b) e art. 6, commi 1 e 8, del d.P.R. n. 327 del 2001, esercitando in nome proprio il potere espropriativo, con adozione dei relativi
provvedimenti, ivi inclusi quelli di cui agli articoli 22 e 22bis e art. 23».
Il Mit sottolineava che «il ruolo di ente espropriante, oltre che di promotore e di beneficiario dell’espropriazione, aveva rilevanza al fine dell’accertamento della titolarità passiva, esclusiva, in capo ad Autostrade Centro Padane spa dell’obbligazione indennitaria».
Ciò risultava anche dal ruolo di soggetto espropriante, promotore e beneficiario dell’espropriazione, assunto dalla Autostrade Centro Padane nel preliminare di accordo per la cessione volontaria delle aree di cui all’atto notarile del 31/7/2009.
Tra l’altro, trovava applicazione l’art. 1298 c.c. per il quale l’onere si divideva tra i vari condebitori, fatta salva l’ipotesi che l’obbligazione fosse stata contratta nell’interesse di uno su di essi, che non poteva essere Ministero.
Si costituiva in giudizio anche la società di RAGIONE_SOCIALE eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, dichiarandosi estranea al rapporto oggetto di giudizio, con particolare riferimento al periodo compreso tra l’immissione in possesso, avvenuta il 6/11/2007, e lo scadere del termine fissato nella dichiarazione di pubblica utilità, il 10/11/2012.
La nuova concessione, con decorrenza dal 1° marzo 2018 non era idonea a determinare la propria responsabilità. In relazione ai crediti, nel verbale del 28/2/2018, era stato adottato il criterio di competenza contabile per cui i crediti e i debiti maturati sino alla sottoscrizione del verbale restavano nella titolarità del concessionario uscente, mentre quelli maturati dopo sarebbero stati in capo ad Autovia Padana.
L’unica eccezione era prevista dal punto 7.vi «che rinviava ad un elenco, in cui non era contemplato il credito azionato dei ricorrenti».
La Corte d’appello di Brescia, con ordinanza n. 1211/2023, depositata il 17/5/2023, riteneva «l’inefficacia dell’accordo sulle indennità di occupazione in conseguenza del mancato perfezionamento del procedimento espropriativo».
In particolare, la Corte di merito citava l’ordinanza di questa Corte n. 18784 del 2019, in una controversia che vedeva coinvolti anche il Mit e la società Autostrade Centro Padane, ove si era censurata la condotta del giudice di merito che non si era posto «l’interrogativo circa l’influenza sulla restante parte della caducazione parziale dell’accordo negoziale (per di più incidente sulla parte di maggior rilievo), alla stregua dei principi generali in tema di invalidità parziale che impongono di considerare l’ipotetica volontà delle parti» ex art. 1419 c.c.
6.1. L’accordo unitario, infatti, era stato concluso «in vista della legittima espropriazione».
Pertanto, ad avviso della Corte d’appello, che richiamava la sentenza di questa Corte, a sezioni unite, n. 7035 del 2009, «l’intero assetto negoziale determinante l’indennità dovute dall’ espropriante ed accettate, con rinunzia a maggiori pretese, dall’espropriato in sede di ‘concordemente’ diveniva inefficace con il venir meno della condizione concordemente assunta a presupposto dell’accordo, costituita dal tempestivo intervento del decreto di esproprio».
Per quel che ancora qui rileva, poi, la Corte d’appello si soffermava sull’eccezione di prescrizione, accogliendola con riferimento alla prima annualità, dal 6/11/2007 al 6/11/2008, trattandosi di prescrizione decennale interrotta solo con il ricorso depositato il 14/9/2018 e notificato il 3/1/2019.
Non veniva riconosciuto il carattere di atto interruttivo né al preliminare del 31/7/2009, in ragione della intervenuta caducazione degli effetti, non potendosi distinguere «fra la valenza contrattuale e
il valore di dichiarazione di scientia delle singole clausole, suggerite dalla difesa della ricorrente», né al pagamento dell’acconto.
L’indennità da occupazione legittima per il periodo dal 6/11/2008 al 10/11/2012, per anni 4, mesi uno, era di euro 690.773,38, in relazione ad euro 14.097,42 per ogni mese.
6.2. La Corte d’appello indugiava, poi, sulla individuazione dei soggetti legittimati passivi, muovendo dalla pronuncia di questa Corte, a sezioni unite, n. 25294 del 2022, per la quale doveva affrontarsi il tema muovendo dalla considerazione per cui la corrispondenza tra il soggetto espropriante e il beneficiario dell’espropriazione «può attenuarsi o divenire poco riconoscibile nei procedimenti pluripartecipati».
Il giudice di merito muoveva dal decreto del Direttore Generale Anas del 23/3/2006, pur non prodotto in giudizio, per il quale «ACP era stata equiparata all’autorità espropriante in quanto soggetto beneficiario e promotore dell’espropriazione».
Per la società ACP vi sarebbe stata però, nel corso del tempo, «una radicale e rilevante modifica» del proprio ruolo e dei relativi obblighi alla data della scadenza del periodo di occupazione temporanea legittima, in data 10/11/2012, in forza dell’atto sottoscritto il 25/1/2012.
Erano state pattuite alcune condizioni ad integrazione e modifica della originaria convenzione del 2007, da valere «sino al subentro del nuovo concessionario, relative al nuovo piano economicofinanziario», rinunciando al contenzioso pendente.
Tuttavia – precisava la Corte territoriale – «in difetto di elementi desumibili da tale documento» non risultava dimostrato che le modifiche ai poteri ed al ruolo di ACP sino al 30/11/2013 potessero «rivestire una qualche rilevanza nel presente giudizio che attiene al
riconoscimento delle indennità di occupazione legittima cessata al 10/11/2012».
Inoltre – sottolineava la Corte di merito – «La circostanza che nella convenzione del 1° agosto 2012 non si rinvenga menzione della scrittura privata del 25 gennaio 2012, mina la fondatezza della linea difensiva di autostrade», in quanto «nel prorogare la vigenza della concessione, le parti non avrebbero potuto esimersi dall’indicare il radicale ridimensionamento dei poteri, nei termini che sono stati prospettati dalla parte per escludere la permanenza dei poteri di concessionaria, cui sarebbe conseguito anche il venir meno dell’obbligo di corrispondere l’indennità».
Per la Corte d’appello, dunque, «il mancato richiamo è giustificato dalla specificità dell’oggetto della scrittura privata sottoscritta nel giorno 25/1/2012, con cui Autostrade Centro Padane assumeva gli obblighi inerenti la gestione del tratto».
La convenzione quindi «riguardava la gestione delle autostrade non era inerente la qualifica, originariamente attribuita, ad ACP di autorità espropriante, beneficiaria e promotrice dell’espropriazione e come tale tenuta a corrispondere le relative indennità».
6.3. Con riguardo, poi, all’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Mit, chiariva la Corte di merito che, ai fini della esenzione da responsabilità del concedente, era necessario che l’attribuzione all’affidatario dei poteri e l’accollo degli obblighi indennitaria risarcitori fossero previsti da una legge, espressamente autorizzativa in tal senso.
Peraltro, non era stato prodotto neppure il decreto del Direttore Generale dell’Anas del 23/3/2006.
Era peraltro principio consolidato di legittimità quello per cui, nell’ipotesi di concorso di più enti nella procedura espropriativa, il soggetto tenuto al pagamento dell’indennità doveva essere, di
regola, individuato nel beneficiario dell’espropriazione, salvo che dal decreto stesso non emergesse che «ad altro soggetto, in forza di legge o di atti amministrativi e mediante figure sostitutive a rilevanza esterna» era stato conferito il potere ed il compito di procedere all’acquisizione delle aree, agendo in nome proprio e per conto dell’espropriante.
Senza contare che la procedura espropriativa, nella specie, era stata posta in essere per la necessaria soddisfazione dell’interesse pubblico, di cui era portatore l’Anas, a favore della quale, ai sensi dell’art. 3 della convenzione, «era previsto che, allo scadere del periodo della concessione, RAGIONE_SOCIALE avrebbe provveduto al trasferimento a titolo gratuito della proprietà delle autostrade assentita in concessione e delle pertinenze ».
Tant’è vero che i beni trasferiti con l’atto di cessione bonaria del 4/12/2019 erano stati intestati «al Demanio dello Stato».
Alle medesime conclusioni era giunta anche la giurisprudenza amministrativa, con la sentenza del Consiglio di Stato n. 1332 del 2019, nella controversia tra le stesse parti.
Pertanto, andava «dichiarato il Ministero delle infrastrutture dei trasporti obbligato in solido con Autostrade Centro Padane nei confronti dei ricorrenti».
6.4. Era invece esclusa la legittimazione passiva di Autovia Padana.
In primo luogo, infatti, la concessione era stata stipulata il 31/5/2017 tra il Mit e Autovia Padana ed era divenuta efficace a decorrere dal 1 marzo 2018, quindi in epoca successiva alla cessazione della occupazione legittima.
In caso di indennità di occupazione il diritto maturava allo scadere delle singole annualità.
Inoltre, nel verbale di riconsegna dei beni oggetto della concessione da parte di Autostrade Centro Padane al Mit, per la loro successiva consegna ad Autovia Padana, del 28/2/2018, veniva adottato il criterio di competenza contabile «per cui i crediti e debiti maturati sino alla sottoscrizione del verbale (28/2/2018) ‘restano nella titolarità del concessionario uscente, che provvederà alla loro incasso e pagamento’».
Al contrario, i crediti ed i debiti maturati dopo erano in capo ad Autovia Padana, con l’eccezione dei rapporti indicati al punto 7.vi. Tra tali rapporti, però «non è ricompreso il presente giudizio».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso principale per cassazione la Autostrade Centro Padane RAGIONE_SOCIALE
Hanno resistito con controricorso NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, anche in qualità di unico erede di NOME COGNOME, NOME COGNOME, anche in qualità di quella erede, per quota della metà, di NOME COGNOME, NOME COGNOME in qualità di coeredi, per quota della metà, di NOME COGNOME, NOME COGNOME anche in qualità di unica erede di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, proponendo anche ricorso incidentale.
Ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale il Ministero delle infrastrutture dei trasporti.
Ha resistito con controricorso la società di RAGIONE_SOCIALE
Resistito con controricorso al ricorso incidentale presentato dagli attori, Autostrade Centro Padane s.p.a.
Hanno resistito con controricorso gli attori al ricorso incidentale proposto dal Ministero delle infrastrutture dei trasporti.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso principale la RAGIONE_SOCIALE deduce «motivo ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
Violazione degli articoli 5,6,22-bis, 49,50,54 del d.P.R. 8/6/2001, n. 327 (Testo Unico sulle Espropriazioni – TUE) – sulla legittimazione passiva di ACP, da escludersi».
L’ordinanza impugnata, prima di dichiarare la legittimazione passiva di ACP, ha indicato la sentenza della Corte di cassazione, a sezioni unite, n. 25294 del 2022, riguardante i procedimenti pluripartecipati.
Successivamente la Corte d’appello ha precisato che «le obiezioni sollevate da Autostrade Centro Padane s.p.a. non attengono al ruolo originariamente ricoperto, ma sono piuttosto articolate adducendo una radicale e rilevante modifica del medesimo e dei relativi obblighi alla data della scadenza del periodo di occupazione temporanea legittima (in data 10/11/2012) in forza dell’atto sottoscritto il 25 gennaio 2012».
Per la Corte di merito, dunque, non vi era la dimostrazione del mutamento di posizione giuridica da parte di ACP, in quanto nella convenzione del 1 agosto 2012 non vi si trovava menzione della scrittura privata del 25 gennaio 2012.
Quanto alla posizione del Mit, la Corte d’appello richiamava la sentenza di questa Corte a sezioni unite n. 6769 del 2009, in base alla quale, il mero ricorso allo strumento della concessione traslativa, con l’attribuzione al concessionario affidatario dell’opera della titolarità di poteri espropriativi, non poteva comportare sempre l’esclusione di ogni responsabilità al riguardo del concedente, essendo necessario a tal fine che, in osservanza al principio di legalità dell’azione amministrativa, l’attribuzione all’affidatario di detti poteri e l’accollo da parte sua degli obblighi indennitari e risarcitori siano previsti da una legge che espressamente li autorizzi.
In tal modo, però, ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello avrebbe fatto falsa applicazione delle disposizioni di legge, in quanto
«l’obbligazione di pagare l’indennità» discenderebbe «direttamente dalla legge, e non trova origine in atti convenzionali o pattizi: cioè non si fonda, per ciò che concerne l’ an , su eventuali accordi conclusi tra espropriante l’espropriato né tra autorità concedente e concessionario».
Il ruolo svolto dal soggetto interessato all’espropriazione – a giudizio della ricorrente – non andrebbe individuato solo con riferimento al momento dell’occupazione, «ma anche, e soprattutto, con riferimento al momento della liquidazione dell’indennità e dell’esecuzione dell’ordine di deposito».
In particolare, deve considerarsi la peculiarità dell’occupazione di urgenza preordinata all’esproprio di cui all’art. 22bis del d.P .R. n. 327 del 2001, che consente l’occupazione anticipata dei terreni, per iniziare immediatamente i lavori per la realizzazione dell’opera pubblica.
Ci si troverebbe dinanzi, quindi, ad una «anticipata deprivazione» della disponibilità del bene in vista dell’interesse finale.
Per la ricorrente, quindi, l’onere di adempiere l’obbligazione richiederebbe la permanenza, in capo al soggetto che sia passivamente legittimato, della titolarità dell’interesse pubblico che l’opera vuole soddisfare.
L’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello consisterebbe nel non aver portato alle sue naturali conseguenze, l’intuizione per cui effettivamente «ai sensi dell’art. 3 della convenzione era previsto che, allo scadere del periodo della concessione, Autostrade Centro Padane s.p.a. avrebbe provveduto al trasferimento a titolo gratuito della proprietà delle autostrade assentita in concessione e delle pertinenze».
Il legame originario della ACP con l’espropriazione sarebbe venuto meno successivamente.
Trattavasi, infatti, di occupazione di urgenza preordinata all’esproprio.
Il bene, però, non veniva concretamente attualmente attribuito alla ACP, che non poteva essere gravata del pagamento delle indennità di occupazione.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta «motivo ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 115 c.p.c.. Errore nella ricognizione delle prove documentali, circa il ruolo di ACP nella procedura espropriativa e della sua legittimazione passiva, avente formato oggetto di discussione tra le parti – ancora sulla legittimazione passiva di ACP».
La Corte d’appello, nello scrutinio in ordine alla legittimazione passiva di ACP, sarebbe «incorsa in erronea percezione degli atti analizzate a tal fine, violando così l’art. 115 c.p.c.».
Per la ricorrente, il rapporto tra ACP dei fondi poteva al più configurarsi come «mera detenzione in nome e per conto altrui (di Anas e/o del Ministero delle infrastrutture dei trasporti)»; ma, in nessun caso, ACP poteva assumere il ruolo del possessore dei beni, potendosi rivolgere solo ad Anas (e/o al Ministero) ogni domanda concernente la non restituzione o la loro occupazione».
Ed infatti a partire dal 25/1/2012 ogni obbligazione incombeva solo ed esclusivamente su Anas o sul Ministero.
Nell’atto aggiuntivo del 1/8/2012, inoltre, si chiariva che l’ACP doveva limitarsi alla presentazione di «un piano di sola gestione dell’infrastruttura, senza previsione del prosieguo degli investimenti programmati».
Ad avviso della ricorrente, dunque, da ciò risultava che l’ente concedente aveva liberato ACP «da ogni e qualsivoglia obbligo od onere di proseguire le opere di realizzazione del raccordo».
Per tale ragione, in definitiva «già al momento della scadenza dell’occupazione legittima (10/11/2012) ACP, e sicuramente oggi, non era e non è più il soggetto cui possa validamente e pertinentemente ordinarsi il deposito dell’indennità per cui è causa».
Contrariamente all’assunto della Corte d’appello, poi, l’atto aggiuntivo del 1/8/2012 non era altro che «il perfezionamento del nuovo assetto convenzionale concessorio già prefigurato nel gennaio» e quindi con l’atto del 25/1/2012.
Con la conseguenza che l’atto del 1/8/2012 non si limita a regolare «solo la gestione dell’autostrada» come asserito dalla Corte d’appello, ma i due atti unitariamente sarebbero «complessivamente destinate ad incidere sul contenuto della concessione (sui relativi obblighi) ridefinendoli nei termini già illustrati».
I primi due motivi di impugnazione principale, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
3.1. In primo luogo, si evidenzia che la ricorrente principale, pur articolando i due motivi come violazione di legge, in realtà chiede a questa Corte una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dalla Corte d’appello, non consentita in questa sede.
3.2. In secondo luogo, la ricorrente non riporta in modo puntuale il contenuto dei documenti indicati nei due motivi di ricorso, e in particolare con riguardo al decreto del Direttore Generale di Anas del 23/3/2006 che individua ACP come beneficiaria e promotrice dell’espropriazione, alla convenzione del 7/11/2007 tra Anas (quale concedente) e Autostrade Centro Padane (quale concessionaria), all’atto del 25/1/2012, all’atto aggiuntivo del 1/8/2012.
3.3. In terzo luogo, la ricorrente chiede una diversa interpretazione degli atti negoziali (convenzione del 7/12/2007;
convenzione del 25/1/2012; atto aggiuntivo del 1/8/2012), senza però indicare i criteri di ermeneutica contrattuale eventualmente violati dalla Corte d’appello ed i criteri interpretativi alternativi da proporre per una diversa valutazione dei negozi giuridici oggetto di esame.
Ed infatti, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 1/3/2019, n. 6156; Cass., n. 5647 del 2019; Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 16254 del 2012; Cass. n. 24539 del 2009; Cass., sez. 3, 17/7/2003, n. 11193).
4.1. Inoltre, deve osservarsi che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme
asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass., 15/11/2017, n. 27136; Cass., sez. 1, 20/1/2021, n 995).
Tale onere di allegazione dei corretti criteri legali di maieutica contrattuale non è stato in alcun modo ottemperato da parte della ricorrente, benché la Corte d’appello abbia compiuto una adeguata interpretazione sia del decreto del Direttore Generale di Anas del 23/3/2006, che individuava in ACP la beneficiaria e promotrice dell’espropriazione, sia della convenzione del 25/1/2012 e dell’atto aggiuntivo del 1/8/2012.
La Corte d’appello, con chiara ed analitica motivazione, ha spiegato le ragioni per cui Autostrade Centro Padane, nonostante le modifiche convenzionali avvenute con gli atti del 25/1/2012 e dell’1/8/2012, continuava ad essere legittimata passivamente a fronte della richiesta degli attori dell’indennizzo da occupazione legittima.
5.1. Risulta, infatti, dirimente la circostanza che l’ACP è stata indicata nel decreto del Direttore Generale di Anas del 23/3/2006 quale beneficiaria e promotrice dell’espropriazione.
La Corte d’appello, infatti, ha affermato in modo chiaro che «nei decreti di occupazione è espressamente menzionato che con il decreto del Direttore Generale Anas del 23 marzo 2006, che tuttavia non è stato prodotto in causa, ACP era stata equiparata l’autorità espropriante in quanto soggetto beneficiario e promotore dell’espropriazione. Pertanto, in quanto promotore dell’espropriazione, ad essa spettava il deposito sia delle indennità provvisoria indicate nei decreti sia delle integrazioni maturate anno per anno, essendo priva di qualsiasi riscontro normativo la tesi
secondo cui l’indennità di occupazione andrebbe versata a consuntivo».
La Corte d’appello, poi, ha interpretato in modo adeguato sia la convenzione del 25/1/2012, sia il successivo atto aggiuntivo del 1/8/2012.
6.1. In particolare, la Corte di merito ha rilevato che nell’atto aggiuntivo dell’1/8/2012, ove – in base all’assunto della ricorrente principale – si sarebbe rinvenuta una attenuazione dei profili di responsabilità della ACP, che sarebbe divenuta solo mera mandataria di RAGIONE_SOCIALE, non v’è alcun richiamo espresso alla convenzione precedente del 25/1/2012.
Ha affermato, infatti, la Corte di merito che «La circostanza che nella convenzione del 1 agosto 2012 non si rinvenga menzione della scrittura privata del 25 gennaio 2012, mina la fondatezza della linea difensiva di autostrade, in quanto, nel prorogare la vigenza della concessione, le parti non avrebbero potuto esimersi dall’indicare il radicale ridimensionamento dei poteri, nei termini che sono stati prospettati dalla parte per escludere la permanenza dei poteri di concessionaria, vi sarebbe conseguito anche il venir meno dell’obbligo di corrispondere l’indennità».
Anzi – ha chiarito la Corte d’appello – che «deve piuttosto ritenersi che il mancato richiamo è giustificato dalla specificità dell’oggetto della scrittura privata sottoscritta nel giorno 25 gennaio 2012, con cui Autostrade Centro Padane s.p.a. assumeva, a partire dalla data di apertura al traffico, e quale mandataria di Anas, gli obblighi inerenti la gestione del tratto, come peraltro chiarito nell’art. 2 della medesima».
Per tale ragione, dunque, la convenzione riguardava solo la «gestione delle autostrade non era inerente alla qualifica, originariamente attribuita, ad ACP di autorità espropriante,
beneficiaria e promotrice dell’espropriazione e come tale tenuta a corrispondere le relative indennità maturate nel corso della vigenza della concessione».
6.2. La convenzione del 25/1/2012 tra Anas ed Autostrade Centro Padane riguardava esclusivamente la gestione tecnica ed il mantenimento, attraverso la manutenzione e la riparazione, della funzionalità del tratto autostradale.
Senza contare, come pure rilevato dalla Corte d’appello, che nel contratto preliminare di accordo per la cessione volontaria delle aree di cui all’atto notarile del 23/11/2009, era stata proprio Autostrade Centro Padane ad assumere direttamente gli obblighi ivi previsti, «sia per quanto riguarda il pagamento dell’80% dell’indennità di esproprio e di occupazione, sia con riferimento al relativo saldo, da corrispondersi al momento di stipula dell’atto definitivo di cessione».
6.3. Va precisato, peraltro, che l’indennizzo per occupazione legittima relativo al periodo dal 6/11/2008 al 6/11/2012, con esclusione del primo periodo dal 6/11/2007 al 6/11/2008 (prescritto), riguardava un periodo antecedente all’atto aggiuntivo dell’1/8/2012.
L’indennità da occupazione temporanea, infatti, sorge autonomamente con la maturazione per ciascun anno di occupazione (Cass., sez. 1, 19/6/2019, n. 16509), tanto che la prescrizione decorre dal termine di ciascun anno di occupazione (Cass., sez. 1, 28/5/2012, n. 8452; Cass., sez. 1, 16/11/2018, n. 29609.
Del resto, con decreto del presidente Anas del 29/10/2010 v’è stata la proroga del termine per l’esecuzione dei lavori, portato al 10/11/2012 (per la proroga legale del termine di occupazione di urgenza nonostante si sia già verificata irreversibile trasformazione dell’area vedi Cass. n. 19601 del 2016; Cass. n. 556 del 15/1/2010).
L’interpretazione propugnata dalla Corte d’appello risulta pienamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte in tema di individuazione della legittimazione passiva nelle ipotesi in cui l’espropriazione sia portata avanti da più amministrazioni pubbliche o da più soggetti privati.
8. Va, dunque, richiamata e condivisa la giurisprudenza di questa Corte per cui parte del rapporto espropriativo ed obbligato al pagamento dell’indennità verso il proprietario espropriato, e come tale legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima che sia stato da quest’ultimo proposto, è il soggetto espropriante, vale a dire quello a favore del quale è pronunciato il decreto di espropriazione, e ciò anche nell’ipotesi in cui più enti abbiano concorso alla realizzazione dell’opera pubblica, a meno che, in tal caso, dal decreto di espropriazione non emerga che il potere di procedere all’acquisizione delle aree occorrenti sia stato conferito ad un altro ente, al quale sia stato attribuito, in virtù di legge o di atti amministrativi e mediante figure sostitutive di rilevanza esterna, il compito di promuovere e curare direttamente, agendo in nome proprio, le necessarie procedure espropriative, con l’imposizione dell’obbligo di sopportare i relativi oneri (Cass., sez. 1, n. 25848 del 2019; Cass., sez. 1, 25 2016, n. 10530; Cass., 18/1/2013, n. 1242; Cass., 19/7/2012, n. 12541; Cass. n. 25862 del 2011; Cass. Sez. U., n. 27211 del 2009; Cass. n. 6959 del 1997; Cass., n. 6039 del 1991).
Si è anche chiarito che quest’ultima fattispecie è stata ritenuta configurabile nei rapporti tra gli enti pubblici nei casi di affidamento in proprio, sostituzione o delegazione intersoggettiva (Cass., sez. 1, 9/4/2003, n. 5566; Cass., n. 28/5/1991, n. 6029) e nei rapporti con soggetti privati nel caso in cui l’esecuzione dell’opera sia stata affidata in concessione c.d. traslativa (Cass., sez. 1, 20/3/2017, n. 7104; Cass., 14/6/2016, n. 12260; Cass., 21/6/2012, n. 10390),
essendosi ravvisato il fondamento dell’obbligazione indennitaria proprio nella rilevanza esterna dell’attribuzione del potere espropriativo, derivante dal conferimento dell’incarico di compiere in nome proprio gli atti del procedimento ablatorio, in virtù del quale l’unico soggetto destinato ad entrare in contatto con i proprietari espropriati e con gli altri soggetti interessati alla realizzazione dell’opera pubblica è quello che ha ricevuto il relativo incarico, non assumendo alcun rilievo, nei confronti dei terzi, la disciplina dei rapporti interni con l’ente conferente o l’eventuale sussistenza di rapporti di finanziamento con altri soggetti pubblici (Cass., sez. 1, n. 25848 del 2019).
9. La Corte d’appello ha anche richiamato correttamente la recente pronuncia di questa Corte a sezioni unite, n. 25294 del 2022, per la quale in tema di espropriazione per pubblica utilità, la titolarità effettiva del rapporto sostanziale – e, in particolare, l’obbligazione di pagamento dell’indennità di esproprio – spetta generalmente all’ente beneficiario dell’espropriazione risultante dal decreto ablativo, salvo che nei procedimenti “pluripartecipati”, nei quali l’esercizio del potere espropriativo di acquisizione delle aree e di cura delle procedure è condiviso, in relazione a fasi e momenti diversi, tra più soggetti; conseguentemente, ai fini dell’accertamento della titolarità passiva, il giudice è tenuto ad analizzare il ruolo specifico assunto e i poteri esercitati in concreto da ciascun ente convenuto nel giudizio – nella specie, le S.U. hanno cassato la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche con cui si era ritenuto che nessuno dei soggetti chiamati nel giudizio di determinazione dell’indennità di esproprio fosse titolare passivo dell’obbligazione, erroneamente assumendo tale titolarità esclusivamente in capo all’ente beneficiario della procedura, come risultante dal decreto, e omettendo di considerare che, tra i convenuti, un consorzio di bonifica aveva
esercitato poteri espropriativi ed era accollatario degli oneri di pagamento delle indennità e che l’impresa incaricata dei lavori aveva curato vari adempimenti e assunto così il ruolo di promotrice dell’espropriazione – (Cass., Sez.U., 24/8/2022, n. 25294).
Si è dunque ampliata la platea dei legittimati passivi, ossia dei debitori della medesima prestazione indennitaria, nei giudizi di oppositore alla stima e di determinazione delle indennità espropriative, nei casi in cui si verifichi una potenziale dissociazione tra l’autorità espropriante e il beneficiario dell’espropriazione, con l’effetto di includervi i soggetti che concorrono, ciascuno nell’ambito delle rispettive funzioni e competenze, all’espletamento della procedura espropriativa per l’acquisizione delle aree occorrenti per la realizzazione dell’opera, entrando in contatto diretto con i soggetti espropriati e agendo in forma tale da suscitare nel terzo creditore dell’indennizzo la convinzione dell’assunzione diretta del corrispondente obbligo, a prescindere dal soggetto effettivamente beneficiario dell’esproprio (Cass. Sez.U., n. 25294 del 2022; Cass. n. 1504 del 1993).
Si è anche sottolineato che tale conclusione deriva dall’esame dell’art. 54, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 327 del 2001, a mente del quale «l’opposizione alla stima è proposta con atto di citazione notificato all’autorità espropriante, al promotore dell’espropriazione e, se del caso, al beneficiario dell’espropriazione, se attore è il proprietario del bene, ovvero all’autorità espropriante e al proprietario del bene, se attore è il promotore dell’espropriazione. Il ricorso è notificato anche al concessionario dell’opera pubblica, se a questi sia stato affidato il pagamento dell’indennità».
Si è ritenuto che in tal modo «si è inteso agevolare il proprietario espropriato nelle individuazione dei soggetti obbligati da evocare in giudizio, individuati nell’ente espropriante e nel promotore
dell’espropriazione e ‘se del caso’ nel beneficiario dell’espropriazione, salva la facoltà dell’ente convenuto e dello stesso proprietario di chiamare in causa altri soggetti obbligati al pagamento, in quanto delegati con atti di rilevanza esterna all’esercizio di funzioni e potestà proprie dell’ente espropriante, come può accadere nei procedimenti pluripartecipati» (Cass. Sez.U., n. 25294 del 2022; anche Cass., sez. 1, 8/3/2023, n. 6948).
10. Con il terzo motivo di impugnazione principale la ricorrente deduce «motivo ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Violazione degli articoli 6,22-bis, 49,50,54 del d.P.R. 8/6/2001, n. 327 ( Testo Unico Espropriazioni – TUE) e dell’art. 1372 c.c.-sulla ritenuta sopravvenuta inefficacia dell’accordo 23.11.2009».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente richiamato il precedente della Corte di cassazione, ordinanza n. 18784 del 2019, la quale avrebbe censurato la pronuncia del giudice di merito che non si era posto «l’interrogativo circa l’influenza sulla restante parte della caducazione parziale dell’accordo negoziale (per di più incidente sulla parte di maggior rilievo), alla stregua dei principi generali in tema di invalidità parziale che impongono di considerare l’ipotetica volontà delle parti ex art. 1419 c.c».
La Corte territoriale, dunque, prendendo spunto dall’ordinanza n. 18784 del 2019 di questa Corte, ha ravvisato che «non sono valorizzabili le quantificazioni presenti nel preliminare del 31 luglio 2009».
Tale affermazione sarebbe erronea, in quanto non avrebbe tenuto conto della precisazione, contenuta nel preliminare di accordo del 31/7/2009, per cui «il predetto corrispettivo è stato determinato in esatta ed esauriente applicazione degli articoli 45 e 50 del d.P.R. n. 327/2001».
In realtà – ad avviso della ricorrente – il preliminare di accordo sarebbe «autonomo e autosufficiente, in quanto destinato esplicitamente a regolare la sola fattispecie di quello stesso art. 50».
Il caso scrutinato da questa Corte con l’ordinanza n. 18784 del 2019 sarebbe diverso da quello oggetto d’esame, in quanto vi sarebbe stata rinuncia alla pretesa indennitaria per la voce concernente l’occupazione legittima.
In quel caso vi sarebbe stato un accordo transattivo, postulante una controprestazione da parte dell’autorità espropriante.
Con il quarto motivo di impugnazione principale la ricorrente deduce «motivo ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 115 c.p.c. Errore nella ricognizione delle prove documentali, circa la perdurante vigenza e vincolati vi dell’accordo 31/7/2009, avente formato oggetto di discussione tra le parti – ancora sulla ritenuta sopravvenuta inefficacia dell’accordo 23.11.2009».
La Corte d’appello sarebbe, dunque, incorsa «in erronea percezione degli atti analizzati anche nello scrutinio della ritenuta sopravvenuta inefficacia dell’accordo 31/7/2009».
I motivi terzo e quarto di impugnazione principale, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
12.1. Anche in questo caso, la ricorrente principale tende ad ottenere, sia pur ammantando il motivo di ricorso come violazione di legge, una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dalla Corte d’appello, non consentita in questa sede.
12.2. Nuovamente deve riscontrarsi che i documenti richiamati non vengono riportati in modo puntuale, sicché i motivi di ricorso peccano anche ai sensi dell’art. 366, n. 6, c.p.c.
12.2. Si vuole, inoltre, imporre una nuova e diversa interpretazione agli atti negoziali, diversa da quella offerta dalla Corte d’appello, senza peraltro indicare i criteri ermeneutici di interpretazione eventualmente violati e quelli che, in tesi, dovrebbero essere applicati.
La Corte d’appello ha con chiarezza evidenziato che i valori individuati nell’accordo preliminare di cessione volontaria del 31/7/2009 non era in alcun modo utilizzabili, non essendosi perfezionata l’espropriazione e richiamando i principi di cui alla pronuncia di questa Corte n. 18784 del 2019.
Anche nella fattispecie esaminata da questa Corte con ordinanza n. 18784 del 2019 ci si trovava dinanzi ad un accordo concluso in vista del legittimo esproprio per un importo complessivo, disaggregato nelle somme relative alle due indennità, di espropriazione e di occupazione.
In particolare, l’indennità di occupazione – ad avviso del ricorrente -era stata calcolata in misura «risibile», «quando l’occupazione era iniziata solo da un anno e con l’espressa previsione che l’indennità di occupazione non sarebbe comunque aumentata per il suo protrarsi futuro».
Per tale ragione, «era del tutto logica la prospettazione» dell’attore per cui «l’intero accordo doveva intendersi caducato per effetto del mancato esproprio, tenuto conto del principio generale del diritto civile in tema di interdipendenza di contratti e singole clausole» ex art. 1419, primo comma, c.c., nonché «dell’interdipendenza tra i due istituti dell’indennità di espropriazione e di occupazione ex articoli 20, comma 6,22-bis, comma 1, 50 comma 1, d.P.R. n. 327/2001».
La Corte di cassazione, dunque, con la pronuncia sopra richiamata ha rilevato che la Corte d’appello «ha però totalmente
mancato di valutare se i contraenti avrebbero comunque concluso l’accordo anche senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla invalidità, ossia quella attinente all’indennità di espropriazione».
Con la precisazione per cui «tale passaggio logico-giuridico era tanto più necessario che si considerino: a) l’interdipendenza sussistente fra indennità di espropriazione e di occupazione alla luce degli articoli 20, comma 6,22-bis, comma 1, e 50, comma 1, d.P.R. 327/2001; b) il fatto che l’accordo, unitario, era stato concluso ‘in vista della legittima espropriazione’; e) l’accordo liquidava l’indennità di espropriazione per solo un anno circa e conteneva la espressa previsione che l’importo non sarebbe comunque aumentato per il protrarsi futuro dell’occupazione».
Questa Corte, dunque, con l’ordinanza n. 18784 del 2019 ha richiamato la sentenza a sezioni unite di questa Corte n. 7035 del 24/3/2009, in base alla quale l’accordo raggiunto tra l’espropriante e il proprietario deve ritenersi totalmente inefficace, anche relativamente all’indennità di occupazione legittima, con la conseguenza che alla domanda proposta dal proprietario di un immobile irreversibilmente trasformato e diretta al pagamento dell’indennità per il periodo di legittima occupazione non può opporsi la pretesa rinunzia al suo pagamento contenuta in un verbale di concorda mento dell’indennità di espropriazione, ove detto verbale sia divenuto inefficace per la tardiva emissione del decreto di esproprio».
Era dunque da escludere «la pretesa indifferenza della questione della spettanza delle indennità di occupazione legittima rispetto alla sorte del verbale di concordamento dopo il dissolvimento, irreversibile, del suo presupposto esplicito (il decreto di esproprio)»; non poteva dunque «predicarsi una sorta di autonoma capacità di
resistenza del diritto all’indennità di occupazione legittima sul perché ex lege è comunque dovuta, qualsiasi esito assume il procedimento espropriativo, dato che la pretesa detta indennità autonoma trova ostacolo nel suo volontario coinvolgimento nell’assetto transattivoapplicativo del negozio» (Cass., n. 18784 del 2019, che richiama Cass. Sez.U. n. 7035 del 2009).
15. Del resto, si è ritenuto che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, «l’accordo bonario» sull’indennità spettante all’espropriando non comporta ” ipso facto ” la cessione volontaria del bene, sicché con l’accettazione dell’indennizzo l’entità stabilita diventa definitiva e non più contestabile in base all’art. 12, comma 2, della l. n. 865 del 1971, solo in caso di successiva adozione del decreto di esproprio, in mancanza del quale la procedura espropriativa non si perfeziona e si ha la caducazione degli accordi e degli atti compiuti nella sua pendenza (Cass., sez. 1, 6 marzo 2020, n. 6487). Se, dunque, il procedimento non si conclude con l’espropriazione viene meno l’efficacia dell’accordo bonario o amichevole (Cass., sez. 1, 18 ottobre 2001, n. 12704; Cass., Sez.U., 1, 9 marzo 2009, n. 5624).
16. Con il quinto motivo di impugnazione principale la ricorrente censura «motivo ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. violazione degli articoli 1298 e 1299 c.c., nonché degli articoli 6,22-bis, 49,50,54 del d.P.R. 8/6/2001, n. 327 ( Testo Unico Espropriazioni TUE) – sulla dichiarata inammissibilità della domanda di manleva, regresso a carico del Mita e a favore di ACP formulata da quest’ultima».
L’ACP in sede di precisazione delle conclusioni aveva chiesto espressamente, in ipotesi di condanna al pagamento dell’indennità, la condanna in solido con il Ministero delle infrastrutture dei trasporti e/o con Autovia Padana.
Non si trattava soltanto della domanda di manleva, ma più ampiamente di una richiesta di tenere indenne ACP in ogni ipotesi di soccombenza nei confronti del soggetto espropriato o occupato.
In realtà, l’interesse al quale è servente l’occupazione preordinato all’esproprio è rappresentato dall’interesse sostanziale connesso alla realizzazione dell’opera pubblica.
Per la Corte d’appello, invece, era inammissibile la domanda di regresso proposta da ACP nei confronti del Mit «introducendo questioni estranee alla determinazione dell’indennità di esproprio, riconducibili nell’alveo della garanzia impropria ed il cui esame è idoneo a compromettere la celerità di detto giudizio».
L’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello consisterebbe nel non aver tenuto conto che il vincolo di solidarietà costituitosi tra ACP e Mit deriva dalla natura stessa dell’obbligazione indennitaria, «che è inscindibilmente e simultaneamente riferibile a entrambi i soggetti».
Per tale ragione, la domanda di manleva-regresso-rivalsa non si fonda su una causa petendi distinta, autonoma ed autosufficiente rispetto a quella che fonda la domanda di liquidazione dell’indennità.
Del resto, il giudizio di opposizione alla stima ad oggetto, non solo la mera stima delle aree per cui è causa, ma anche l’ordine di deposito dell’indennità richieste liquidata.
Tale ordine «non è destinato solo e soltanto a determinare l’ammontare dell’indennità, come se tale determinazione cadesse in una sorta di ‘voto soggettivo’ e fosse indirizzata, anonimamente, nei confronti di un ignoto ‘colui cui spetti’ (pagare indennità), ma anche una parte espositiva, consistente nell’ordine, indirizzata soggetti ben individuati, di depositare indennità».
17. Il motivo è infondato.
Infatti, si ritiene che la competenza in unico grado della Corte d’appello è circoscritta alla domanda di determinazione dell’indennità dovuta al proprietario del bene espropriato ed a quelle accessorie di pagamento degli interessi e dell’eventuale maggior danno per il ritardato adempimento; ma non comprende anche la domanda diversa ed autonoma per petitum e causa petendi – diretta stabilire chi sia, nei rapporti interni, il soggetto che, in via di regresso, debba sopportare l’onere economico dell’indennità corrisposta dall’espropriato, appartenendo il relativo giudizio al giudice di primo grado secondo gli ordinari criteri della competenza (Cass., n. 25718 del 2011; Cass. n. 24036 del 2015; Cass. n. 18188 del 2006; Cass. n. 1234 del 1995; Cass. n. 5753 del 1993).
Si è anche ritenuto che in tema di espropriazione per pubblica utilità, la competenza in unico grado attribuita al giudice dell’opposizione alla stima, indicato dall’art. 19 l. 22 ottobre 1971 n. 865 nella Corte d’Appello competente per territorio, è circoscritta alla domanda di determinazione dell’indennità dovuta al proprietario del bene espropriato, ma non comprende domande sia pur connesse, ma diverse quanto ai soggetti, al titolo o all’oggetto, come quella diretta contro un soggetto che, in virtù di convenzione con il Comune espropriante, abbia ottenuto la concessione del diritto di superficie sui terreni espropriati per l’attuazione di un peep, e si sia accollato l’onere, nel rapporto interno con l’ente, di corrispondere ai proprietari espropriati le indennità di legge, senza che detta domanda possa ritenersi attratta nella competenza della Corte d’Appello quale domanda di garanzia, essendo fondata su un titolo (convenzione) diverso da quello (espropriazione) fatto valere con la domanda principale (Cass., sez. 1, 21/2/2007, n. 4090).
18. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente deduce «motivo ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. violazione degli
articoli 6,22-bis, 49,50,54 del d.P.R. 8/6/2001, n. 327 (Testo Unico sulle Espropriazioni – TUE) e dell’art. 5, comma 4, del decreto-legge 1/9/2014, n. 13, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 11/11/2014, n. 164 – sulla dichiarata carenza di legittimazione passiva in capo ad AP».
La Corte d’appello, per la ricorrente principale, sarebbe incorsa in errore nel reputare il difetto di legittimazione passiva di Autovia Padana (AP), laddove ha ritenuto che la concessione stipulata il 31/5/2017 tra il Mit e Autovia Padana era divenuto efficace a decorrere dal 1/3/2018 «e pertanto in epoca successiva alla cessazione dell’occupazione legittima».
Per la ricorrente, invece, «una volta chiarito che RAGIONE_SOCIALE è oggi il soggetto titolare dell’opera per la cui realizzazione fu disposta l’occupazione temporanea preordinato all’esproprio cui si riferisce presente ricorso emerge con uguale chiarezza che essa è la beneficiaria di tutte le attività posta in essere nel corso del procedimento espropriativo onde soddisfare l’interesse cui l’opera pubblica è servente».
L’obbligazione indennitaria deriva, dunque, dal ruolo svolto dal soggetto interessato nella procedura espropriativa, che va guardato anche con riferimento al momento della liquidazione dell’indennità e dell’esecuzione dell’ordine di deposito.
L’acquisizione dei beni, del resto, sarebbe stata ad appannaggio proprio di ARAGIONE_SOCIALE
Per tale ragione, ad avviso della ricorrente, sarebbe errata l’affermazione della Corte d’appello che si è limitata a costatare che l’occupazione si è svolta prima del subentro di RAGIONE_SOCIALE quale concessionaria.
Nel verbale di consegna del 28/2/2018 si sarebbe precisato che «il concessionario uscente di consegna al concedente, che a sua volta
contestualmente consegna al concessionario subentrante senza soluzione di continuità il collegamento autostradale».
Tra l’altro, nel verbale di riconsegna del 28/2/2018 sarebbe stato previsto che «il concessionario subentrante succede al concessionario uscente, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., nei contenziosi in essere del concessionario uscente riportati nelle schede allegate alla documentazione di gara nonché intercorsi successivamente, limitatamente all’elenco allegato (allegato n. 7)».
Il contenzioso in oggetto, a giudizio della ricorrente, benché la vertenza sia sorta solo il 14/9/2018, dunque dopo il 28/2/2018, rientrerebbe fra le pendenze di cui al menzionato allegato 7, nel quale «è esplicitamente menzionata la controversia espropriativa promossa dagli odierni ricorrenti avanti il Tar Brescia».
Con il settimo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta «motivo ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 115 c.p.c. Errore nella ricognizione delle prove documentali, circa il ruolo di A.P. nella procedura e circa la sua legittimazione passiva, avente formato oggetto di discussione tra le parti – ancora sulla legittimazione passiva di A.P.».
La Corte d’appello avrebbe errato nello scrutinio circa la legittimazione passiva di A.P. incorrendo «in erronea percezione degli atti analizzate a tal fine, violando così l’art. 115 c.p.c.».
Il sesto ed il settimo motivo, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
20.1. In primo luogo, infatti, benché la ricorrente adombri motivi di ricorso per cassazione per violazione di legge, in realtà chiede a questa Corte una nuova valutazione degli elementi istruttori, già proficuamente effettuata la Corte d’appello, non consentita in questa sede.
20.1. Inoltre, la ricorrente invoca una diversa interpretazione delle convenzioni stipulate tra le parti, nel corso del procedimento espropriativo, senza però indicare i criteri ermeneutici eventualmente violati e senza prospettare una diversa interpretazione sulla base di diversi canoni interpretativi.
21. La Corte d’appello, infatti, con pieno giudizio meritale, ha escluso legittimazione passiva dell’A.P., proprio sulla scorta della convenzione stipulata tra il Mit e A.P. il 31/5/2017, divenuto efficace a decorrere dal 1/3/2018.
Ha chiarito la Corte di merito che il diritto all’indennità di occupazione, a differenza di quanto previsto per indennità di espropriazione, il cui diritto sorge al momento dell’ablazione, matura allo scadere singola annualità, data a partire dalle quali decorrono gli interessi.
La Corte di merito ha preso atto del verbale di riconsegna del 28/2/2018, con il quale ACP ha restituito al Mit i beni, con loro consegna ad A.P.
In particolare, chiarito la Corte che «mentre al punto 7.v, viene adottato il criterio di competenza contabile per cui i crediti e debiti maturati sino alla sottoscrizione del verbale (28/2/2018) ‘restano nella titolarità del concessionario uscente, che provvederà al loro incasso e pagamento’; quelli maturati dopo saranno, invece, in capo ad autovia, con l’eccezione dei rapporti indicati al punto 7.vi secondo cui RAGIONE_SOCIALE succede alla concessionario uscente nei rapporti sostanziali fatti oggetto dei processi ivi tassativamente indicati, mediante rinvio all’elenco allegato ( cfr. Allegato 7)».
Per la Corte d’appello, tra essi «non è ricompreso il presente giudizio. Pertanto neppure nei rapporti interni fra i due concessionari succedutisi si rinvengono elementi da cui poter desumere una
responsabilità di Autovia per la indennità di occupazione richiesta dei ricorrenti».
Del resto, il riferimento alla sentenza del Tar esula dal presente procedimento.
Con l’ottavo motivo di impugnazione la ricorrente principale deduce «motivo ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. Violazione degli articoli 1298 e 1299 c.c., nonché degli articoli 6,22bis , 49,50,54 del d.P.R. 8/6/2001, n. 327 (Testo Unico sulle Espropriazioni – TUE)- sulla domanda di manleva, regresso a carico di A.P. e a favore di ACP formulata da quest’ultima».
La ricorrente rileva che l’errata affermazione del difetto di legittimazione passiva in capo ad RAGIONE_SOCIALE avrebbe comportato «il rigetto della suddetta domanda di manleva», con le precisazioni già illustrate nel 5º motivo di ricorso principale.
23. Il motivo è assorbito.
Infatti, in assenza di legittimazione passiva di A.P., non è necessario pronunciarsi sulla domanda di manleva nei suoi confronti.
Con il primo motivo di ricorso incidentale gli attori deducono «ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 2944 e 2946 c.c.».
La Corte d’appello ha ritenuto sussistente la prescrizione della prima annualità dell’indennità di occupazione, quella relativa al periodo 6/11/2007-6/11/2008.
Inoltre, la Corte di merito ha reputato la non idoneità delle dichiarazioni contenute nel preliminare di accordo di cessione volontaria del 31/7/2009 a costituire ricognizione di debito, tali da determinare l’interruzione della prescrizione.
La Corte d’appello si sarebbe limitata ad affermare che non sarebbe «condivisibile la proposta distinzione fra la valenza contrattuale e il valore di dichiarazione di scientia delle singole
clausole, suggerite dalla difesa della ricorrente», in tal modo escludendo il valore ricognitivo della convenzione.
Tale affermazione sarebbe però in contrasto con il disposto dell’art. 2944 c.c., mente del quale, il riconoscimento dell’altrui diritto ha effetto interruttivo della prescrizione in quanto dichiarazione di scienza, a prescindere dall’intento del dichiarante, non come dichiarazione di volontà.
Al medesimo risultato porterebbe anche la giurisprudenza di questa Corte che attribuisce valore interruttivo della prescrizione ai riconoscimenti effettuati in occasione di componimenti transattivi, quando poi l’accordo non si perfezioni solo per questioni attinenti alla liquidazione, e non anche alla esistenza, di tale diritto.
È vero, dunque, che l’accordo del 31/7/2009 ha perso il suo valore obbligatorio, ex art. 1372 c.c., a seguito della sua integrale caducazione ritenuto dal giudice di merito per l’inutile scadenza della dichiarazione di pubblica utilità al 10/11/2012; tale sopravvenuta inefficacia, in quanto integrale, «riguarda anche quanto convenuto sul pagamento e la misura dell’indennità di occupazione, ma non incide sulla ricognizione della sua debenza avvenuta con la sua stipula, e con coevo pagamento dell’acconto, avvenuti ben prima che l’atto divenisse inefficace, nonché ben prima che decorresse lo 10 anni dall’insorgenza del credito inerente le prima annualità».
25. Il motivo è inammissibile.
Ed infatti, da un lato, si rileva che i ricorrenti incidentali non trascrivono il contenuto del preliminare di accordo di cessione, non consentendo a questa Corte di comprendere appieno il contenuto dello stesso, e dall’altra, si osserva che l’indagine volta stabilire se una certa dichiarazione costituisca riconoscimento a norma dell’art. 2944 c.c. rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito; il relativo accertamento non è quindi sindacabile in sede di legittimità,
se immune da vizi logici e da errori di diritto (Cass., n. 6651 del 2003; Cass. n. 5462 del 2006; Cass. n. 18904 del 2007).
26. Con il secondo motivo di ricorso incidentale gli attori deducono «ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 1193 c.c.».
Risulterebbe pacifico in giudizio che l’Autostrade Centro Padane, in esecuzione dell’accordo preliminare del 31/7/2009, ha versato «l’80% delle indennità da occupazione di urgenza e temporanea convenute (ovvero l’importo di euro 73.324,00 per la prima è quello di euro 18.331,67 per la seconda)».
Gli attori, con la memoria autorizzata dell’1/3/2023, avrebbero dedotto che stante la caducazione dell’accordo del 31/7/2009, tali importi dovevano considerarsi «o come indebito del tutto irrilevante, oppure (in termini che, si era detto ‘sembrano più equi, sebbene meno favorevoli ricorrenti’) dovevano essere imputati ex art. 1193 c.c., al debito scaduto (e più antico), quindi alla prima annualità, e quindi avendo la CTU definito per ogni anno una indennità di euro 169.168,99 se ne è dedotto che la Corte d’appello, ove avesse ritenuto prescritta la prima annualità dell’indennità qui rilevante, avrebbe dovuto escludere ogni detrazione, dalle somme da depositare, di quanto già corrisposto».
27. Il motivo è infondato.
L’art. 1193 c.c. stabilisce che chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare.
Al 2º comma dell’art. 1193 si prevede che «in mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato al debito scaduto; tra più debiti scaduti, quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico».
Nella specie, però, poiché è stato ritenuto prescritto il debito più antico, ossia quello relativo al pagamento dell’indennità da occupazione legittima per il periodo 6/11/2007-6/11/2008, è evidente che l’imputazione non può essere riferita a tale indennità, ma va riferita all’indennità per occupazione legittima successiva, che diviene la più antica, ossia quella dal 6/11/2008 alla 6/11/2009.
Pertanto, correttamente la Corte d’appello ha stabilito che l’indennità di occupazione determinata in euro 690.773,38 fosse da depositare al MEF «al netto delle somme già corrisposte data del titolo inadempimento della scrittura privata del 31 luglio 2009».
Senza contare che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, le norme sull’imputazione postulano l’esistenza, fra le parti, di una pluralità di rapporti obbligatori (della medesima specie) distinti, e non sono applicabili se il debitore unico (Cass., n. 18002 del 2020), come accade nella specie.
28. Con il terzo motivo di ricorso incidentale gli attori deducono «ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. la violazione dell’art. 111, 2º comma, Costituzione e dell’art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c.; in subordine dell’art. 112 c.p.c.».
Per i ricorrenti, dunque, l’ordinanza impugnata laddove stabilisce che l’indennità di occupazione vada determinata in euro 690.773,38 «al netto delle somme già corrisposte a tale titolo inadempimento della scrittura privata del 31 luglio 2009», incorrerebbe nella totale assenza della motivazione.
A fronte della ritenuta prescrizione della prima annualità dell’indennità dedotto in giudizio e anche del Pacifico pagamento, a seguito dell’accordo del 31/7/2009 di somme inerenti tale indennità, l’ordinanza, con tale lapidaria affermazione, sarebbe priva di qualsiasi motivazione.
29. Il motivo è infondato.
La motivazione dell’ordinanza della Corte d’appello esiste, non solo in senso grafico, ma anche nella indicazione delle ragioni logicogiuridiche sottese a tale decisione.
La sinteticità dell’affermazione è giustificata dalla semplicità del calcolo matematico che deve essere effettuato, dovendosi scomputare, ovviamente, dall’indennità da legittima occupazione temporanea le somme già erogate, nella misura dell’80%, a seguito del preliminare di accordo di cessione volontaria del 31/7/2009, successivamente caducato, nella sua integrità, per non essere intervenuto il decreto di espropriazione o la cessione volontaria dei beni.
30. Con un unico motivo di ricorso incidentale il Mit deduce «ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., (violazione di legge) per aver il giudice erroneamente applicato l’art. 1298 c.c., affermando la responsabilità solidale del Ministero delle infrastrutture dei trasporti. Falsa applicazione dell’art. 1175 c.c. Carenza di legittimazione del Mit. Violazione altresì dell’art. 75 c.p.c.».
La Corte d’appello ha ritenuto di applicare un proprio precedente giurisprudenziale, formatosi in una controversia «relativa alla medesima concessione per la realizzazione e gestione dell’autostrada A21 nel quale ha richiamato i ‘principi’ elaborati dalla suprema Corte con la sentenza SU 6769/2009».
In particolare, la Corte di merito ha ritenuto che il mero ricorso allo strumento della concessione traslativa non poteva comportare indiscriminatamente l’esclusione di ogni responsabilità al riguardo da parte del concedente, essendo necessario a tal fine che, in osservanza al principio di legalità dell’azione amministrativa, l’attribuzione all’affidatario di detti poteri e l’accollo da parte sua degli obblighi indennitaria risarcitori siano previsti da una legge che espressamente li autorizzi.
Non poteva essere utilizzato a tali fini il decreto del Direttore Generale Anas del 23 marzo 2006 che non era stato prodotto in giudizio, in tal modo impedendo «alla Corte di individuare con esattezza i termini in cui sarebbero stati trasferiti al concessionario anche gli oneri economici».
In tale ragionamento, ad avviso del Ministero ricorrente incidentale, vi sarebbe stata erronea applicazione dell’art. 1298 c.c.
Tale norma prevede che nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra diversi debitori o tra diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi.
Per il Ministero emergerebbe dalla convenzione di concessione del 7/11/2007 che la società Autostrade Centro Padane «avesse assunto il ruolo di ente espropriante, oltre che di promotore e di beneficiario, dell’espropriazione, agendo pertanto in nome e per conto proprio, non altrui».
La fattispecie in esame non potrebbe essere incardinata all’interno della cornice di cui all’art. 1298 c.c.
La società RAGIONE_SOCIALE, infatti, non solo avrebbe conseguito i poteri espropriativi, ma si sarebbe anche accollata tutti gli obblighi relativi alla sua posizione, «con conseguente estromissione del Ministero delle infrastrutture», non essendo più ravvisabile «all’esito dell’accordo, un’obbligazione plurisoggettivo».
Ciò emergerebbe dall’art. 22 della convenzione, relativo al pagamento delle somme relative alle espropriazioni e alle occupazioni.
L’interesse di Autostrade Centro Padane risulterebbe prevalente rispetto a quello del Ministero, in quanto dalla realizzazione del raccordo autostradale sarebbe derivato un miglioramento dell’infrastruttura, che avrebbe trovato remunerazione del
conseguimento, da parte della concessionaria, degli utili tratti dall’incameramento del pedaggio.
Altro elemento fondante la tesi del Ministero dovrebbe rinvenirsi nella circostanza che proprio la concessionaria è giunta a stipulare con i ricorrenti un preliminare di accordo per cessione volontaria delle aree. In tal modo si era manifestata rispetto ai proprietari come titolare degli obblighi indennitari.
31. Il motivo è infondato.
Va rigettata eccezione di inammissibilità di tale ricorso (a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 149 del 2022, il ricorso incidentale, che la parte, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., deve proporre con l’atto contenente il controricorso, deve essere soltanto depositato e non anche notificato – Cass. 18683/24).
Valgono anche in questo caso le considerazioni già espresse nei paragrafi 8 e 9 con riferimento alla questione sulla individuazione della legittimazione passiva a pagare l’indennità da occupazione legittima.
È sufficiente richiamare la giurisprudenza di questa Corte, a sezioni unite, in relazione ai procedimenti «pluripartecipati», che si è mossa nell’intento di «agevolare il proprietario espropriato nelle individuazione dei soggetti obbligati da evocare in giudizio, individuati nell’ente espropriante e nelle promotore dell’espropriazione e ‘se del caso’ nel beneficiario dell’espropriazione» (Cass., Sez.U., 24/8/2022, n. 25294).
Si deve anche rammentare quanto ritenuto da questa Corte, sempre a sezioni unite, per cui in tema di espropriazione per pubblica utilità, il mero ricorso allo strumento della concessione traslativa, con attribuzione al concessionario affidatario dell’opera della titolarità di poteri espropriativi, non può comportare indiscriminatamente l’esclusione di ogni responsabilità al riguardo del concedente,
essendo necessario a tal fine che, in osservanza al principio di legalità dell’azione amministrativa, l’attribuzione all’affidatario di detti poteri e l’accollo da parte sua degli obblighi indennitaria risarcitori siano previsti da una legge che espressamente li autorizzi (Cass., Sez.U., 20/3/2009, n. 6769).
Negli stralci riportati in sede di ricorso per cassazione dal Ministero, non si rinviene in alcun modo l’esistenza di una norma di legge che abbia attribuito all’Autostrade Centro Padane il potere di agire in nome proprio, e quindi di essere stabile del pagamento dell’obbligazione indennitaria.
La Corte d’appello, sul punto, ha registrato la mancata produzione del decreto del Direttore Generale dell’Anas del 23/2/2006, sicché ciò «ha precluso alla Corte di individuare con esattezza i termini in cui sarebbero stati trasferiti al concessionario anche gli oneri economici, come peraltro rilevato dalla difesa dei ricorrenti».
La Corte di merito anche evidenziato che era responsabilità esclusiva del concessionario può avvalersi soltanto se «ad altro soggetto, in forza di legge o di atti amministrativi e mediante figure sostitutive a rilevanza esterna (delegazione amministrativa, affidamento in proprio, concessione traslativa), sia stato conferito il potere ed il compito di procedere all’acquisizione delle aree occorrenti e di curare direttamente, agendo in nome proprio e per conto dell’espropriante, le necessarie procedure espropriative, oltre che di provvedere a pagare l’indennità dovute».
Di ciò non v’era traccia nei documenti prodotti.
La Corte d’appello ha anche chiarito che, pur in presenza della delega al concessionario, la procedura espropriativa era stata posta in essere «per la necessaria soddisfazione dell’interesse pubblico». Tanto è vero che l’art. 3 della convenzione prevedeva che «allo
scadere del periodo della concessione, RAGIONE_SOCIALE avrebbe provveduto al trasferimento a titolo gratuito della proprietà delle autostrade assentita in concessione e delle pertinenze».
Ed infatti «i beni trasferiti con l’atto di cessione bonaria del 4 dicembre 2019 sono stati intestati al Demanio dello Stato».
Tra l’altro, nel giudizio amministrativo parallelo svoltosi dinanzi al Consiglio di Stato, tra NOME COGNOME, società Autostrade Centro Padane e RAGIONE_SOCIALE, e Ministero delle infrastrutture dei trasporti, il giudice amministrativo con sentenza n. 1332 del 2019 ha reputato sussistere la legittimazione passiva dell’Anas, con riguardo al risarcimento dei danni da occupazione acquisitiva, rilevando che «per il periodo ottobre 2011/novembre 2012 in relazione al ‘recupero’ dell’esercizio del potere espropriativo, gli appellanti incidentali Anas/Ministero non fondano la esenzione della propria responsabilità su alcuna norma che acciò affermi con riferimento ad una concessione traslativa, limitandosi essi ad evocare, genericamente, la ricorrenza di tale istituto, sulla base di presunti indici rivelatori del medesimo».
Del resto, l’art. 3.7 dello schema di convenzione del 7/11/2007 stabilisce espressamente che «alla scadenza del periodo della concessione, il concessionario, provvede al trasferimento in proprietà al concedente delle autostrade assentita in concessione, nonché delle loro pertinenze, a titolo gratuito ed in buono stato di conservazione e libero da pesi e gravami».
Le spese del giudizio di legittimità vanno interamente compensate nel rapporto tra gli attori, ricorrenti incidentali, e la società Autostrade Centro Padane, stante la reciproca soccombenza.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, in ossequio al principio della soccombenza, a carico della società RAGIONE_SOCIALE ed in favore della società di RAGIONE_SOCIALE, liquidandosi come da dispositivo.
Le spese del giudizio di legittimità vanno interamente compensate nel rapporto tra il MIT, ricorrente incidentale, e la società Autostrade Centro Padane, stante la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale proposto da RAGIONE_SOCIALE
Rigetta il ricorso incidentale degli attori.
Rigetta il ricorso incidentale del MIT.
Compensa interamente tra le parti le spese relative al rapporto tra il MIT e la società Autostrade Centro Padane.
Compensa interamente tra le parti le spese relative al rapporto tra gli attori e la società Autostrade Centro PadaneRAGIONE_SOCIALE
Condanna Autostrade Centro Padane a rimborsare in favore di Autovia Padana le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 8.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale Autostrade Centro Padane, dei ricorrenti incidentali attori e della ricorrente incidentale MIT, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 marzo 2025