Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30241 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30241 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 523/2015 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO, NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore unico p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente –
e
COMUNE DI SARZANA;
-intimato – avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1330/14, depositata il
22 ottobre 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio il RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE, per sentir annullare l’avviso di accertamento con cui gli era stato intimato il pagamento della somma di Euro 613,08, a titolo di canone per l’occupazione di spazi pubblici relativo all’anno 2008, e di Euro 919,62, a titolo di sanzioni.
Premesso che la pretesa si riferiva all’installazione di tende retrattili a riparo delle vetrine della farmacia di cui egli era titolare in RAGIONE_SOCIALE, l’attore sostenne che le stesse non comportavano un’occupazione di suolo pubblico, in quanto apposte al di sotto dei terrazzi del primo piano, aggettanti su un’area privata, non arrecanti alcun pregiudizio all’uso collettivo del suolo né alcun beneficio economico, e prive di stabilità. Aggiunse che il regolamento comunale che disciplinava l’applicazione del canone era entrato in vigore soltanto dall’11 marzo 2008.
Si costituirono i convenuti e resistettero alla domanda, chiedendone il rigetto.
1.1. Con sentenza del 7 luglio 2010, il Tribunale di La Spezia dichiarò il difetto di legittimazione passiva dell’ICA ed accolse la domanda proposta nei confronti del RAGIONE_SOCIALE.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE è stata accolta dalla Corte d’appello di Genova, che con sentenza del 22 ottobre 2014 ha rigettato la domanda.
A fondamento della decisione, la Corte ha escluso il difetto di legittimazione dell’ICA, osservando che la stessa, in qualità di concessionaria della gestione delle entrate comunali, incaricata dell’accertamento, della liquidazione e della riscossione dei tributi, era legittimata a stare in giudizio nelle relative controversie.
Nel merito, ha ritenuto che anche le tende fossero assoggettate all’applicazione del canone, in quanto implicanti l’occupazione dello spazio sovra-
stante il suolo pubblico, espressamente contemplata dall’art. 9 del regolamento comunale come presupposto per l’applicazione del canone, ed arrecanti comunque pregiudizio ad una completa utilizzazione del suolo. Ha ritenuto irrilevanti, al riguardo, sia l’apposizione delle tende al di sotto dei terrazzi dell’edificio, sia la proprietà condominiale del suolo su cui aggettavano, rilevando che quest’ultimo risultava gravato da una servitù di uso pubblico costituita per effetto di dicatio ad patriam , in quanto utilizzato per il pubblico transito. Ha aggiunto che le tende agevolavano l’attività commerciale dell’attore, rendendo più facile sostare davanti alle vetrine della farmacia, e risultavano stabilmente affisse al muro dell’edificio, essendo la loro apertura rimessa alla discrezionalità del titolare dell’esercizio.
Ha osservato infine che il regolamento comunale era entrato in vigore il 1° gennaio 2008, ai sensi del d.m. 20 dicembre 2007, che aveva prorogato di tre mesi il termine per la modifica dei regolamenti comunali, originariamente fissato al 31 dicembre 2007.
Avverso la predetta sentenza l’COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in nove motivi. L’ICA ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. Il RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 52 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 81, 115, primo comma, e 183 cod. proc. civ. nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver riconosciuto la legittimazione sostanziale e processuale della ICA, senza tenere conto del disposto degli artt. 10 e 11 del regolamento comunale, che attribuiscono al responsabile del servizio il potere di accertamento delle entrate non tributarie, limitando quello del concessionario alle entrate tributarie. Sostiene inoltre che, nel ritenere pacifica l’esistenza della concessione, la Corte territoriale non ha tenuto conto delle contestazioni da lui sollevate al riguardo e della tardiva produzione del relativo documento da parte del RAGIONE_SOCIALE, costituitosi dopo la scadenza del termine di cui all’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. Aggiunge che in tal modo la sentenza impugnata
ha invertito l’onere della prova, omettendo altresì di esaminare il dato storico acquisito costituito dall’assenza della concessione.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1188 cod. civ. e dell’art. 81 cod. proc. civ., sostenendo che, nel riconoscere la legittimazione processuale dell’ICA in relazione ad un’entrata patrimoniale, la sentenza impugnata non ha considerato che nei giudizi aventi ad oggetto la riscossione delle stesse tale legittimazione spetta all’ente creditore, configurandosi il concessionario come un adiectus solutionis causa .
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 75, 81 e 112 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per aver riconosciuto la legittimazione all’impugnazione dell’ICA, senza considerare che la stessa non era parte del giudizio di primo grado, essendo stata la domanda proposta esclusivamente nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2697 e 2909 cod. civ., dell’art. 42, comma quarto, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., sostenendo che, nell’affermare l’idoneità delle tende a sottrarre il marciapiede all’uso pubblico, la sentenza impugnata non ha considerato che, come ritenuto dalla sentenza di primo grado, rimasta incensurata sul punto, l’onere della relativa prova incombeva al RAGIONE_SOCIALE, in qualità di attore in senso sostanziale. Aggiunge che, pur avendo ritenuto provato che la proiezione dei terrazzi sul suolo si sovrapponesse a quella delle tende, la Corte territoriale la Corte territoriale è pervenuta a conclusioni contrarie all’art. 37, comma terzo, del regolamento comunale, che per le occupazioni soprastanti il suolo pubblico assoggetta al canone la superficie risultante dalla proiezione al suolo delle stesse.
Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 345, secondo comma, cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il marciapiede condominiale fosse gravato da servitù di uso pubblico costituita per dicatio ad patriam , senza tenere conto della tardività dell’allegazione di tale modo di acquisto, contenuta nella memoria autorizzata depositata in vista della discussione orale del giudizio di primo grado. Premesso che in precedenza l’ICA si era limitata ad allegare l’interve-
nuto acquisto della servitù per usucapione, rileva che l’allegazione della dicatio ad patriam aveva comportato l’introduzione di un nuovo tema d’indagine, costituito da un comportamento volontario del proprietario volto a mettere un proprio bene a disposizione della collettività con carattere di continuità, anziché nell’esercizio generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata d’individui, considerati uti cives .
Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 825, 2697 e 2909 cod. civ. e degli artt. 115, primo comma, 183 e 345, secondo comma, cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver desunto la dicatio ad patriam dalla mera utilizzazione del marciapiede condominiale per il pubblico transito, risultante dalla documentazione prodotta dall’ICA, laddove l’onere della relativa prova incombeva al RAGIONE_SOCIALE, in qualità di parte legittimata. Precisato inoltre che la sentenza di primo grado, rimasta incensurata sul punto, aveva ritenuto non provata la dicatio ad patriam , osserva che la Corte territoriale ha omesso di rilevare la tardività della relativa allegazione, nonché di tenere conto della funzione propria del marciapiede, quale pertinenza a servizio dell’edificio condominiale.
Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 38, comma secondo, del d.lgs. n. 446 del 1997, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’installazione delle tende arrecasse un beneficio economico al titolare della farmacia, senza considerare che, ai sensi dell’art. 36 del regolamento comunale e della circolare del Ministero delle finanze n. 13 del 25 marzo 1994, tale beneficio dev’essere correlato all’utilizzazione del suolo pubblico sottostante, nella specie appartenente al condominio.
Con l’ottavo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto permanente l’occupazione, in difetto della relativa prova da parte del RAGIONE_SOCIALE, il quale, pur rivestendo la posizione di attore in senso sostanziale, aveva rinunciato a qualsiasi verifica al riguardo, essendosi costituito tardivamente in primo grado ed essendo rimasto contumace in appello. Aggiunge che, essendo rimasta incontestata la presenza di balconi soprastanti le tende, il canone
avrebbe dovuto essere calcolato, ai sensi dell’art. 37, comma terzo, del regolamento comunale, in base alla differenza tra le superfici coperte, rimasta ignota.
Con il nono motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 40, comma terzo, del d.lgs. n. 507 del 1993, dell’art. 51, commi primo e secondo, del d.lgs. n. 446 del 1997 e dell’art. 3, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212, censurando la sentenza impugnata per aver affermato l’applicabilità del regolamento comunale con decorrenza dal 1° gennaio 2008, anziché dall’11 marzo 2008, senza tenere conto del differimento previsto dal d.m. 20 dicembre 2007.
Prioritario, rispetto all’esame degli altri motivi di ricorso, è quello del terzo motivo, riflettente l’inammissibilità dell’appello, per difetto di legittimazione dell’ICA, asseritamente priva della qualità di parte del giudizio, in quanto convenuta esclusivamente come adiectus solutionis causa .
Il motivo è infondato, dovendosi ritenere che la controricorrente fosse legittimata ad impugnare la sentenza di primo grado per il solo fatto di essere stata convenuta in giudizio unitamente al RAGIONE_SOCIALE, per conto del quale aveva provveduto all’emissione dell’avviso di pagamento impugnato, e di essere rimasta soccombente, e non potendo attribuirsi alcun rilievo, in contrario, alla circostanza che il Tribunale avesse dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva, ed avesse ritenuto pertanto inammissibili le sue deduzioni, produzioni e richieste. Poiché, infatti, con l’impugnazione non si esercita un’azione, ma un potere processuale che, per sua natura, non può spettare a chi non abbia partecipato al precedente grado di giudizio, la qualità di parte legittimata a proporla, o a resistere ad essa, spetta ordinariamente a chi abbia formalmente assunto la veste di parte nel giudizio conclusosi con la decisione impugnata, indipendentemente dall’effettiva titolarità (dal lato attivo o passivo) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, la quale viene in considerazione ai fini della decisione di merito (cfr. Cass., Sez. VI, 29/07/2014, n. 17234; Cass., Sez. III, 14/07/2006, n. 16100; 15/07/2005, n. 15021).
Sono invece fondati i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la legittimazione passiva dell’ICA. Correttamente, in proposito, la sentenza impugnata ha richiamato l’art.
52 del d.lgs. n. 446 del 1997, il quale, nell’attribuire alle Province e ai Comuni il potere di disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie (comma primo), consente agli stessi di affidare a terzi, anche disgiuntamente, le attività di accertamento e riscossione, nel rispetto della normativa dell’Unione Europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici (comma quinto, lett. b ), individuando i soggetti in favore dei quali può essere disposto l’affidamento. In applicazione di tale disposizione, e con riferimento all’ICI, questa Corte ha affermato che, ove il RAGIONE_SOCIALE affidi a terzi il servizio di accertamento e riscossione della tassa, mediante apposita convenzione, il potere di accertamento spetta non già al RAGIONE_SOCIALE, ma al concessionario, al quale è pertanto attribuita anche la legittimazione processuale per le relative controversie (cfr. Cass., Sez. V, 19/03/ 2010, n. 6772; 8/10/2010, n. 20852; 21/01/2008, n. 1138). Tale principio, richiamato dalla sentenza impugnata, è riferibile anche alla fattispecie in esame, avendo l’ICA provveduto alla notifica dell’avviso di pagamento nell’asserita qualità di concessionaria del servizio di accertamento e riscossione del canone per l’occupazione degli spazi pubblici, e non potendo trovare applicazione il principio enunciato da questa Corte in riferimento alla disciplina dettata dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, secondo cui, nel caso di riscossione di un’entrata patrimoniale di un ente locale a mezzo dei ruoli, la legittimazione passiva nel giudizio di opposizione alla cartella esattoriale emessa dal concessionario spetta soltanto al RAGIONE_SOCIALE, in qualità di titolare del diritto di credito la cui inesistenza costituisce oggetto della domanda di accertamento proposta in giudizio, mentre il concessionario può considerarsi un mero destinatario del pagamento (cfr. Cass., Sez. V, 17/06/2021, n. 17363; 4/05/2021, n. 11607; 21/07/2017, n. 18105): come si evince dal comma sesto dell’art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997, la disciplina della riscossione a mezzo dei ruoli trova infatti applicazione soltanto all’attività di riscossione, e a condizione che la stessa sia affidata ai concessionari del servizio di riscossione di cui al d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, laddove, nel caso in cui la medesima attività sia svolta in proprio dall’ente locale o affidata ai soggetti di cui all’art. 52, comma quinto, lett. b) , cit., la riscossione può aver luogo con la procedura di cui al r.d. 14 aprile 1910, n. 639 (cfr. Cass., Sez. II, 29/12/2014, n. 27403).
Nell’applicazione del principio richiamato, la sentenza impugnata non ne ha fatto tuttavia buon governo, avendo riconosciuto la legittimazione dell’ICA in virtù della sottolineatura della qualità di concessionaria della gestione delle entrate comunali da essa rivestita, ritenuta pacifica, nonché del richiamo allo art. 10 del regolamento approvato dal Consiglio comunale con delibera n. 142 del 17 dicembre 1998, senza tenere conto dell’avvenuta contestazione della predetta qualità da parte dell’attore e dell’irrituale produzione della documentazione attestante l’affidamento alla società convenuta dell’attività di accertamento delle entrate patrimoniali. A corredo delle proprie censure, il ricorrente ha infatti richiamato la memoria autorizzata depositata in primo grado e la comparsa di costituzione in appello, nelle quali aveva contestato che alla ICA fosse stata affidata anche l’attività di accertamento, invocando l’art. 11 del regolamento comunale, che, a differenza di quanto previsto dall’art. 10 per le entrate tributarie, relativamente alle quali l’attività di liquidazione ed accertamento era affidata al concessionario, per le entrate patrimoniali (quale è indubbiamente il canone per l’occupazione degli spazi pubblici, non avente natura tributaria, in quanto configurabile come il corrispettivo di una concessione, reale o presunta, dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici: cfr. Cass., Sez. III, 4/03/2022, n. 7188; Cass., Sez. V, 2/10/2019, n. 24541; Cass., Sez. I, 19/01/2018, n. 1435) demandava l’attività di accertamento al «responsabile del servizio (o del procedimento, centro di responsabilità e/o di ricavo)». A sua volta, la convenzione che disciplinava lo svolgimento del servizio di gestione delle entrate comunali, dalla quale la sentenza impugnata ha desunto l’avvenuto affidamento alla concessionaria anche dell’attività di accertamento, pur risultando acquisita agli atti, non era stata depositata dall’ICA, costituitasi tempestivamente in primo grado, ma dal RAGIONE_SOCIALE, il quale era decaduto dalla facoltà di produrre documenti, essendosi costituito dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, restando assorbiti gli altri motivi d’impugnazione, aventi ad oggetto l’effettiva sussistenza dell’obbligo di corrispondere il canone per l’occupazione degli spazi pubblici.
La mancata dimostrazione dell’affidamento all’ICA dell’attività di accertamento delle entrate patrimoniali comunali consente infatti di escludere non
solo la legittimazione processuale della concessionaria, ma anche, sotto il profilo sostanziale, il potere della stessa d’intimare il pagamento del canone per conto dell’Amministrazione, senza che siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, con la conseguenza che la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., con la dichiarazione di nullità dell’avviso di pagamento notificato al ricorrente.
Le spese dei tre gradi del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, rigetta il terzo, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e, decidendo nel merito, dichiara la nullità dell’avviso di pagamento notificato dall’RAGIONE_SOCIALE, per conto del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ad COGNOME NOME. Condanna l’RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di primo grado, che liquida in Euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, e delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 24/09/2024