Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16830 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16830 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15971/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, entrambe rappresentate, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege
-ricorrenti –
contro
CONCORDATO PREVENTIVO N. 56/2013 DELLA RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’ appello di Genova n. 392/2022, pubblicata in data 12 aprile 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7
marzo 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il Concordato preventivo della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore giudiziale, evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Imperia, Marina di San Lorenzo RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, deducendo di aver stipulato, con la prima, un contratto di concessione dei diritti personali di godimento su alcuni beni immobili insistenti nell’area del porto turistico di Marina San Lorenzo e lamentando l’occupazione sine titulo, da parte della seconda, di uno di tali immobili (e precisamente quello identificato al subalterno 100), che era stato adibito a centro benessere; sulla scorta di tale presupposto, premesso che l’occupazione aveva avuto inizio in data 1° giugno 2013, allegava di non avere potuto usufruire del diritto di godimento del bene e chiedeva la condanna delle convenute al rilascio dell’immobile ed al risarcimento del danno, quantificato sulla base di una perizia stragiudiziale redatta da un proprio consulente.
Il Tribunale adito, nel contraddittorio con le società convenute, rigettava le domande.
La Corte d’appello di Genova, accogliendo integralmente il gravame, ha condannato Marina di San Lorenzo RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in solido tra loro, al rilascio dell’immobile ed al risarcimento del danno per l’abusivo godimento dell’immobile, liquidandolo in complessivi euro 90.948,00. Considerato che il Concordato preventivo aveva esperito non già azione reale di rivendicazione, ma azione di rilascio dell’immobile, ha osservato che la Lorenzo RAGIONE_SOCIALE, in virtù del contratto del 4 febbraio 2009, era divenuta titolare del diritto di utilizzare e fruire dell’immobile occupato e che la Riviera dei Fiori non aveva alcun legittimo titolo che le permettesse di occupare ed utilizzare lo stesso immobile in danno del Concordato; sulla base di tali presupposti ha conseguentemente ritenuto sussistente il diritto dell’appellante di ottenere il risarcimento del danno per occupazione abusiva, da commisurarsi al valore locativo dell’immobile.
Marina di San Lorenzo RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE propongono ricorso per la cassazione della suddetta sentenza, sulla base di sei motivi.
Il Concordato preventivo n. 56/2013 della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo le ricorrenti deduc ono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 75, terzo comma, cod. proc. civ., per difetto di legittimazione processuale del liquidatore giudiziale in ordine alle pretese risarcitorie.
Deducono che l’occupazione abusiva dell’immobile era precedente all’omologa del Concordato, intervenuta in data 16 luglio 2013, e che i crediti precedenti alla omologazione e quelli successivi sono di pertinenza dell’imprenditore, per cui il Liquidatore giudiziale del Concordato è carente di legittimazione processuale in ordine ai crediti risarcitori dedotti in giudizio.
Con il secondo motivo, censurando la sentenza gravata per violazione degli artt. 1223 e 2697 cod. civ., le ricorrenti lamentano che la Corte territoriale avrebbe erroneamente considerato ammissibile, in materia di occupazione abusiva, il danno in re ipsa , così neutralizzando la totale assenza di allegazioni da parte del Liquidatore giudiziale circa un danno concretamente subito come effetto diretto dell’occupazione dell’immobile.
Con il terzo motivo, denunziando l’omesso esame ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello avrebbe trascurato di prendere in considerazione il fatto consistente nel totale disinteresse del Liquidatore giudiziale allo sfruttamento economico dei beni, con conseguente infondatezza della
domanda risarcitoria, sebbene tale fatto fosse stato dedotto sin dal primo grado di giudizio e fosse idoneo a superare la presunzione di danno, posto che la prima manifestazione di interesse si era avuta solo nel 2017, quando era stata indetta una asta per la vendita dell’immobile . Tali fatti, determinanti nella valutazione delle pretese risarcitorie avanzate dal Concordato preventivo, avrebbero potuto escludere l’esistenza di un danno ingiusto in capo all’appellante e portare a ritenere che il mancato sfruttamento dell’immobile non dipendesse dalla sua occupazione.
Con il quarto motivo le ricorrenti deducono , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ‹‹per avere la Corte d’appello liquidato il danno oltre il dies ad quem indicato nelle conclusioni spiegate dalla controparte e riportate in sentenza ›› , e, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per omesso esame del fatto consistente nella cessione dei diritti di utilizzazione del bene, da parte della RAGIONE_SOCIALE, ad un terzo in data 21 aprile 2021.
Secondo le ricorrenti la Corte territoriale avrebbe pronunciato travalicando i limiti della domanda, avendo conteggiato i danni sino al deposito della sentenza, ossia sino al 1° aprile 2022, anziché sino alla data del 21 aprile 2021, indicata dalla controparte nelle conclusioni rassegnate, in tal modo condannandole al pagamento per un periodo di occupazione abusiva successivo alla vendita del cespite, avvenuta
proprio in data 21 aprile 2021, e trascurando in tal modo di considerare un fatto decisivo, costituito dalla vendita del cespite.
Con il quinto motivo, denunziando la violazione dell’art. 1223 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ, le ricorrenti prospettano che i giudici di secondo grado avrebbero trascurato di esaminare un fatto determinante ai fini della questione temporale circa il dies a quo del danno, e precisamente che l’ atto con il quale il Liquidatore giudiziale aveva manifestato per la prima volta un interesse allo sfruttamento economico del cespite era stato il bando di gara d’asta del 2 febbraio 2017.
Con il sesto motivo le ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che i giudici di appello avrebbero omesso di prendere in esame circostanze di fatto rilevanti, da esse dedotte, volte a contrastare l’attendibilità della perizia stragiudiziale di stima posta a base della decisione e lamentano, altresì, la totale carenza di motivazione, ai sensi dell’a rt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in ordine alle ragioni per le quali sarebbe stata utilizzata esclusivamente detta perizia ai fini della determinazione del danno da occupazione illegittima.
Il primo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti.
Secondo consolidato principio, la procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni
e della titolarità dei crediti ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio, soprattutto dopo che sia intervenuta la sentenza di omologazione (cfr. Cass., sez. 3, 04/03/2013, n. 8102; Cass., sez. 5, 13/12/2013, n. 27897; Cass., sez. 2, 04/09/2015, n. 17606; Cass., sez. 6 -5, 12/01/2017, n. 681; Cass., sez. 2, 17/12/2019, n. 33422); per effetto di tale sentenza è da ritenere che venga meno il potere di gestione del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore è da intendere conferito nell’ambito del suo mandato e perciò limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione (tra le tante, Cass., 13 aprile 2005, n. 7661; Cass., n. 8102/201, cit.).
In tale ottica, si è spiegato , ‹‹ il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno spossessamento attenuato, in quanto conserva, oltre ovviamente alla proprietà, l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato. In particolare, nel concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce in una veste generalmente qualificata come di mandatario dei creditori, mentre il debitore in ogni caso mantiene (oltre che la proprietà dei beni) la
legittimazione processuale, mancando nel concordato una previsione analoga a quella dettata dalla legge fallimentare, art. 43, per il fallimento ›› (Cass., sez. 5, 16/03/2007, n. 6211; Cass., 25/02/2008, n. 4728). Principi, questi, che trovano altresì conforto nell’affermazione, resa da Cass., 27 ottobre 2000, n. 14206, per cui ‹‹ non possiede la qualità di successore a titolo particolare il liquidatore nella procedura di concordato preventivo, il quale subentra soltanto nella gestione dei beni ceduti e più in generale nelle questioni attinenti alla liquidazione ed al carattere concorsuale del credito ›› .
Pertanto, per effetto del provvedimento di omologazione del concordato viene meno il potere di gestione del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore è da intendere conferito nell’ambito del suo mandato e, perciò, limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione (cfr. Cass., n. 7661/2005; Cass, sez. 5, 05/09/2014, n. 18755; Cass., sez. 1, 09/01/2023, n. 286) e, più in generale, alle questioni attinenti alla liquidazione ed al carattere concorsuale del credito (Cass., sez. L, 27/10/2000, n. 14206; Cass., n. 681 del 2017, cit.).
In questi termini, la legittimazione processuale di tale organo non si proietta al di là del confine del suo potere ‘liquidatorio distributiv o’. Più esattamente, la legittimazione processuale del liquidatore del concordato non è connessa alla circostanza per cui la
contro
versia abbia ad oggetto l’accertamento di una ragione di credito e la condanna al pagamento del correlativo debito, ancorché idonee ad influire sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, ma è ancorata e circoscritta al perimetro delle prerogative liquidatorie e distributive che fanno capo allo stesso e, quindi, ai rapporti che nel corso ed in funzione della liquidazione vengono in essere (cfr. Cass. n. 17606 del 2015; in senso conforme, Cass., sez. 1, 13/06/2017, n. 14683; Cass., sez. 2, 17/12/2019, n. 33422).
In sostanza, in caso di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, il liquidatore non ha legittimazione ad agire o resistere in relazione ai giudizi, compresi quelli tributari, di accertamento delle ragioni di credito e pagamento dei relativi debiti, ancorché influenti sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, giacché in quei giudizi, esperiti nei confronti del debitore cedente, può soltanto spiegare intervento, pur senza essere litisconsorte necessario (Cass., n. 17606/2015, cit.; Cass., 09/05/2017, n. 11276).
8. Per completezza, giova rilevare che la legitimatio ad causam si ricollega al principio dettato dall’art. 81 cod. proc. civ., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e comporta trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza inutiliter data – la verifica, anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (con il solo limite della formazione del
giudicato interno sulla questione) e in via preliminare al merito, della coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta (Cass., sez. U, 09/02/012, n. 1912).
Con specifico riferimento alla formazione del giudicato interno sulla questione della legittimazione, come questa Corte ha costantemente affermato e come ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7925 del 2019, esso deve essere ‹‹ espresso ›› , non essendo sufficiente ad impedire la rilevabilità d’ufficio il giudicato implicito, che, in ordine alla questione pregiudiziale della legittimazione non può formarsi qualora la questione non sia stata sollevata dalle parti ed il giudice (con implicita statuizione positiva sulla stessa) si sia limitato a decidere nel merito, restando in tal caso la formazione del giudicato sulla pregiudiziale impedita dall’impugnativa del capo della sentenza relativamente al merito. Non può ritenersi, invero, che un giudicato interno si sia formato in via implicita, semplicemente perché la legittimazione abbia costituito la premessa logica per la decisione, in quanto, affinché una questione possa ritenersi decisa dal giudice di merito occorre che essa sia stata oggetto di discussione tra le parti. Una quaestio iuris come la riconducibilità della posizione dell’attore o del convenuto alla fattispecie astratta o quella della riconducibilità della posizione dell’attore o del convenuto quale emergente in fatto a detta
fattispecie deve, pertanto, perché si formi giudicato interno in difetto di impugnazione, essere state discussa e decisa espressamente (Cass., 13/09/2013, n. 20978; Cass., 11/09/2011, n. 23568).
Il difetto di legittimazione del Liquidatore giudiziale può dunque essere rilevato in questa sede e comporta la cassazione senza rinvio della sentenza d’appello, ai sensi dell’art. 382, ultimo comma, cod. proc. civ., perché il giudizio non poteva essere proseguito.
Le ragioni della decisione costituiscono giusti motivi per disporsi l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del giudizio di merito e di quelle del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi. C assa senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., la sentenza impugnata perché il giudizio non poteva essere proseguito. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di merito e le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 29/4/2025 dal Collegio riconvocatosi, nella