Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16504 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16504 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/06/2024
Oggetto:
cessione di azienda
AC – 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 01694/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE , in persona del l.r.p.t., e RAGIONE_SOCIALE , in persona del l.r.p.t., elett.te domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio de ll’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e dife nde con l’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrenti e controricorrenti incidentali –
COGNOME NOME;
– intimata – avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 4218/2019, pubblicata il 21 ottobre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, NOME COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi, avverso la sentenza con cui la
Contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio de ll’ AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende con gli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
Contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio de ll’ AVV_NOTAIO, rappresentata e dife sa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
E nei confronti di
Corte di appello di Milano ha esonerato RAGIONE_SOCIALE dal restituire a RAGIONE_SOCIALE l’azienda ceduta, ha rideterminato in euro 8.271,00 l’importo della condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di NOME COGNOME in relazione agli utili di gestione, ha riformato parzialmente il regime delle spese legali di primo grado in favore di NOME COGNOME, confermando per il resto la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la nullità del contratto di cessione di azienda concluso in data 24 dicembre 2012 tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, revocando NOME COGNOME COGNOME facoltà di amministrare la RAGIONE_SOCIALE
NOME COGNOME ha resistito con controricorso e contestualmente proposto ricorso incidentale affidato a due motivi, resistito con controricorso dai ricorrenti principali.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso e contestualmente proposto ricorso incidentale affidato a quattro motivi, nonché ricorso incidentale condizionato affidato a un motivo, resistiti con controricorso dai ricorrenti principali.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, dopo aver respinto alcune eccezioni in rito, nel merito ha osservato: a) che la socia NOME COGNOME era legittimata a proporre la domanda di nullità della cessione di azienda; b) che corretta doveva ritenersi la valutazione del Tribunale inerente alle conseguenze del contratto impugnato, segnatamente identificate in un sostanziale svuotamento dell’oggetto sociale e al conseguente stato di inattività della società RAGIONE_SOCIALE, con connesso stato di liquidazione di fatto; c) che altrettanto corretta era la valutazione del primo giudice inerente alla riserva societaria delle decisioni cui possa conseguire la liquidazione della società, con conseguente nullità del contratto di cessione di azienda
sottoscritto dall’ accomandataria senza alcuna autorizzazione della società, che aveva sostanzialmente espropriato i soci accomandanti dal diritto di decidere le sorti della società; d) che un preteso consenso di questi ultimi alla cessione di azienda era allegazione rimasta del tutto indimostrata in giudizio; e) che la domanda di retrocessione dei beni aziendali non poteva essere accolta, stante l’avvenuta loro trasformazione nel tempo.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
L’infondatezza del ricorso principale necessita di una premessa di carattere generale, strumentale alla successiva confutazione della fondatezza dei singoli motivi in cui esso è articolato.
In ogni tipo societario di esercizio dell’im presa la posizione del socio, NOME residual tender , ovvero ultimo creditore della società, in relazione alla sua posizione di ‘proprietario pro quota ‘ per effetto del conferimento effettuato per acquisire il relativo status, è valorizzata all’ interno dell’ organizzazione dell’ente e, solo di risulta e in casi eccezionali, rileva al suo esterno nei rapporti con i terzi. In particolare, è noto che il socio subisca effetti di ripercussione sul suo interesse alla valorizzazione della partecipazione sociale per effetto delle decisioni che spettano all’organo gestorio, rispetto alle quali, ove il tipo societario prescelto preveda una distinzione soggettiva tra socio e amministratore, la tutela attribuita al socio medesimo è, per così dire, di ‘secondo grado ‘, ovvero rileva sul piano dei rapporti interni tra gli organi della società, tanto a livello di esercizio dei poteri amministrativi di controllo sulla gestione, quanto in tema di tutela giurisdizionale inerente all’azi one di responsabilità esercitabile nei
confronti degli amministratori e dell’organo di controllo (ove esistente).
E’ , quindi, in tale ottica che la giurisprudenza di questa Corte, citata anche dai ricorrenti principali, ha distinto, con riguardo all’ interesse ad agire del socio, tra atti aventi rilevanza esterna e atti interni alla società, affermando che, mentre per questi ultimi sussiste una piena legittimazione del socio a far valere eventuali vizi che inficino la validità di atti endosocietari (in ciò esprimendosi appieno il ‘diritto amministrativo’ del socio), per i primi, in generale, non sussiste analoga legittimazione attiva: ciò che si spiega con la considerazione citata in apertura, ovvero perché il socio, che non sia anche amministratore, non ha un ruolo di gestione della società e, pertanto, non può impugnare la validità di atti posti in essere dall’organo amministrativo della sua società con i terzi ben potendo, come detto, contestare agli amministratori l’ inadempimento al mandato ricevuto, qualora abbia a subire effetti di ripercussione sulla valorizzazione della propria quota per effetto dell’eventuale invalidità o illiceità degli atti posti in essere dai legali rappresentanti della società.
La circostanza che la qualità di socio e di amministratore sia caratterizzata da elementi di distinzione che rendono ben individuabile i diversi diritti e doveri spettanti all’uno e all’altro organo societario trova riscontro nell’affermazione di questa Corte (Sez. 1, Ordinanza n. 29325 del 22/12/2020), del tutto condivisibile, che, anche allorquando le due figure coincidano (ovvero il tipo societario prescelto consenta il cumulo delle funzioni di socio e di amministratore in capo a un unico soggetto), è ben possibile identificare i confini delle rispettive funzioni, tanto che sussiste la legittimazione del socio-amministratore a impugnare il bilancio (come
socio) che egli stesso ha contribuito a redigere (come amministratore). Può quindi convenirsi, in linea generale, che al socio di qualsiasi società non sia data legittimazione a impugnare i contratti che impegnano all’esterno la propria società, potendo egli controllare, sindacare e contestare anche giudizialmente i soli effetti di ripercussione che l’attività gestoria abbia comportato per la propria posizione giuridica soggettiva.
È, dunque, certamente vero che, in linea generale, il socio di una società che non sia anche amministratore non è legittimato a impugnare la validità dei contratti che l’organo gestorio abbia stipulato con i terzi in nome e per conto della società. E tale principio ispira la costante giurisprudenza di questa Corte laddove insegna che, pendente societate , il socio non ha legittimazione autonoma a impugnare gli atti di gestione a carattere negoziale compiuti dagli amministratori in nome e per conto della società con i terzi.
Tale principio, tuttavia, postula per la sua applicazione che, per l’appunto, l’atto di gestione sia compiuto dall’amminist ratore nell’ambito dei poteri che la legge e lo statuto gli riconoscono NOME ‘decisore’ di ogni aspetto connesso all’ operatività della società medesima, in rispetto agli obiettivi fissati per il miglior conseguimento dell’oggetto sociale. E la competenza a stabilire le condizioni per il funzionamento della società, segnatamente sul fronte del tipo di impresa da esercitare in relazione all’oggetto sociale convenuto, appartiene ineluttabilmente ai soli soci, in quanto ‘proprietari’ dell’impresa gestita in forma societaria. Anche nel campo del diritto societario esiste, infatti, un rapporto giuridico tra persona (il socio) e bene (il patrimonio sociale utilizzabile per conseguire l’ oggetto sociale), che è caratterizzante dei diritti dell’organo e gli appartiene in via esclusiva ed essenziale, il cui esercizio non può essere né
delegato – dal socio – ad altri (per il suo tratto essenzialmente caratterizzante), né da altri organi esercitato senza alcuna autorizzazione da parte del primo, verificandosi in caso contrario un esercizio abusivo della funzione che non può essere tollerato dall’ ordinamento, per le conseguenze inaccettabili che esso comporta.
Il caso in esame può, sul punto, dirsi paradigmatico e consente di pervenire a conclusioni diverse da quelle tradizionalmente assunte da questa stessa Corte, come sopra brevemente richiamate.
Nella specie, infatti, si è certamente in presenza di un contratto (cessione di azienda) stipulato dall’amministratore (NOME COGNOME, all’ epoca del fatto socio accomandatario della RAGIONE_SOCIALE) con terzi.
Ma l’allegazione dedotta in lite dalle originarie attrici accomandanti, per come i giudici di merito l ‘ hanno concordemente qualificata, non era limitata alla semplice contestazione della validità del contratto di cessione di azienda stipulato dall’ accomandatario con terzi. Se così fosse, non vi sarebbe dubbio alcuno sulla carenza di legittimazione ad agire , secondo l’ insegnamento tradizionale di questa Corte, più volte richiamato.
In effetti, ciò che nella presente fattispecie è stato dedotto e valutato come sussistente nella fase di merito è la circostanza che, per effetto dell’atto di cessione di azienda, la RAGIONE_SOCIALE era rimasta del tutto inattiva, siccome completamente svuotata della capacità di perseguire il suo unico oggetto sociale, tanto che entrambi i giudici del merito sono giunti concordemente a stabilire che, per effetto del contratto impugnato, la RAGIONE_SOCIALE era in uno stato di liquidazione di fatto. In un’ ipotesi siffatta, appare evidente che si versa in una condizione assai diversa da quella tradizionale e sopra descritta. Qui non si pretende di sindacare da parte del socio non amministratore un
singolo atto dell’amministratore; qui il socio non amministratore deduce che l’amministratore ha compiuto un atto negoziale abnorme, il cui effetto è stato quello di impedire alla società di poter continuare a operare per il raggiungimento del proprio oggetto sociale. E la Corte territoriale , largamente condividendo l’ accertamento di primo grado, ha ribadito che i fatti e le prove allegate al processo conducevano a ritenere che la RAGIONE_SOCIALE avesse come unico oggetto sociale l’ esercizio dell’attività imprenditoriale alberghiera il NOME, per effetto della cessione di azienda, completamente ceduta a terzi, non poteva più essere proseguita (qui il riferimento della sentenza di appello alla ‘causa in concreto’ del contratto sociale).
11. Con tali premesse, appare evidente che, nel caso di specie, non si è trattato della contestazione da parte di un socio della mera validità di un atto a rilevanza esterna compiuto dall’ amministratore nell’esercizio dei suoi poteri gestori. Si è trattato, invece, di una contestazione della validità dell’atto a rilevanza esterna nei suoi immediati e diretti effetti di ripercussione sull ‘ operatività dell ‘ intera società. Ciò che va inquadrato nell’allegazione di un’abnormità dell’atto apparentemente di gestione posto in essere dall’amministratore che, per effetto di tale atto, unilateralmente posto in essere, ha determinato per la società amministrata una condizione fattuale di inattività e una conseguente condizione giuridica di scioglimento. Un ‘abnormità che non consente di qualificare l’atto compiuto come un semplice atto di gestione del socio amministratore, bensì come una violazione di quel perimetro di ‘essenzialità’ delle attribuzioni delle competenze tra gli organi societari, per effetto del NOME la società si è trovata in una condizione di scioglimento, senza che nessuno dei soci l’abbia in alcun modo deliberato, essendosi tale condizione determinata proprio come immediata conseguenza della
decisione di un solo socio, che assommava in sé anche la funzione di amministratore.
Ciò che, quindi, le due socie impugnanti hanno dedotto in lite non è, a ben vedere, la validità del contratto di cessione di azienda nei suoi rapporti con i terzi stipulanti, bensì la ricaduta endosocietaria che tale scelta gestionale ha avuto in relazione alla prosecuzione dell’ attività della società di cui erano socie la connessa violazione del riparto di competenze tra gli organi della società medesima. E a tanto ogni socio è legittimato per rivendicare l’essenzialità delle attribuzioni spettanti al proprio ruolo all’interno della società e ciò del tutto a prescindere e separatamente dall’eventualità , nella specie peraltro verificatasi, che la medesima condotta dell’ amministratore sia stata dedotta anche come fonte di sua diretta responsabilità per il fatto di gestione, circostanza che ha comportato, accanto alla declaratoria di nullità del contratto ab externo , anche la revoca della COGNOME NOME COGNOME carica di amministratore della RAGIONE_SOCIALE
Può, in definiva, ribaltarsi la prospettiva assunta dai ricorrenti principali: la presente controversia si inscrive a tutto tondo nell’ambito del diritto societario, laddove si tratta della deduzione di un’abusività della condotta dell’amministratore di RAGIONE_SOCIALE rispetto ai doveri suoi propri che gli derivano dallo svolgimento della carica, rispetto alla NOME la declaratoria di nullità del contratto posto in essere dall’ amministratore per conto della società con terzi è in posizione ancillare, essendo strumentale al recupero al patrimonio della società dei beni facenti parte dell’azienda indebitamente ceduta, per tal modo recuperando alla società le condizioni giuridicoeconomiche necessarie per garantire il suo going concern e quindi il recupero delle funzioni essenziali dell’organo sociale di cui tutti i soci,
per effetto dell ‘abnorme attività dell’ammi nistratore, sono stati espropriati.
Con tali premesse ricostruttive, il ricorso principale non può trovare accoglimento, laddove partitamente lamenta:
Primo motivo «I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e/o 100 c.p.c. e/o 1421 c.c. e/o 384 c.p.c., carenza di legittimazione attiva e di interesse ex art. 100 c.p.c. di NOME COGNOME all’azione di nullità EX ART . 360, COMMA 1 N. 3 C.P.C.» deducendo che la Corte di appello avrebbe errato nell’interpretare la giurisprudenza di questa Corte regolatrice che (segnatamente con la pronuncia n. 17961 del 2016) ha espressamente escluso qualsiasi legittimazione del socio di RAGIONE_SOCIALE a far valere la nullità di atti esterni della società, essendo a tanto legittimata la sola società e non i singoli soci, che subirebbero solo effetti di ripercussione di tali atti gestori.
Secondo motivo «II. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e 132, comma 2, c.p.c., 384 c.p.c. e 118 c.p.c. per motivazione illogica, perplessa, apparente oltre che estrinsecamente e intrinsecamente contraddittoria EX ART. 360, COMMA 1 N. 4 C.P.C.» deducendo che la Corte di appello avrebbe disapplicato il principio giurisprudenziale di questa Corte di cassazione citato nel primo motivo di ricorso.
I primi due motivi possono essere congiuntamente esaminati e risultano infondati: la sentenza impugnata, ben oltre il minimo costituzionale preteso per escludere la nullità della sentenza (a far data da Cass. S.U. n. 22232 del 2016), ha motivato le ragioni della ritenuta sussistenza della legittimazione attiva delle socie accomandanti a far valere nella specie l’invalidità del contratto. E in ciò ha espresso principi del tutto coerenti con quelli enucleati
nella superiore premessa, cui si rinvia per confermarne la piena legittimità.
Terzo motivo «III. Carenza di legittimazione attiva sotto altro profilo nonché violazione e falsa applicazione d ell’art. 112 c.p.c. nonché degli artt. 81 e/o 100 c.p.c. e/o 1421 c.c. e/o 164, comma 2 c.p.c. EX ART. 360, COMMA 1 N. 3 C.P.C.» deducendo che la Corte di appello avrebbe rielaborato ed esteso la prospettazione dell’originaria attrice NOME COGNOME, al fine di affermarne la legittimazione attiva.
Il motivo è infondato, atteso che ben spetta al giudice del merito il precipuo compito di interpretare la domanda e, nella specie, pervenire a inquadrarla giuridicamente nei termini sopra premessi . Un’opera ermeneutica che, del resto, il motivo in esame non censura con riferimento ai canoni dell’ interpretazione né in relazione al vizio motivazionale, di talché il relativo risultato non può che essere convalidato, appartenendo alla esclusiva competenza del giudice del merito.
Quarto motivo «IV. IV.1) Nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e 132, comma 2, c.p.c. EX ART. 360, COMMA 1 N. 4 C.P.C. – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1325, 1343, 1418, secondo comma c.c. -insussistenza dell’illiceità della causa infondatamente accertata EX ART. 360, COMMA 1 N. 3 C.P.C.» deducendo che la Corte di appello avrebbe reso una motivazione omessa o apparente e comunque illogica e perplessa e comunque errata laddove ha ritenuto sussistente la causa di nullità dell’atto di cessione di azienda per illiceità della causa.
Il motivo è infondato. Per quanto attiene alla pretesa nullità della sentenza, non ne sussistono i presupposti, posto che – come
argomentato nella superiore premessa – la nullità del contratto di cessione di azienda è stata accertata con motivazione del tutto riconoscibile, ben superiore al minimo costituzionale, e conseguente all’accertamento del difetto di causa in concreto del contratto, fatta risalire all’accertamento in fatto – riservato al giudice di merito e immune da critiche sotto tale aspetto nel motivo in esame – del totale svuotamento della società per effetto della cessione di tutti i beni aziendali, con conseguente stato di inattività della relativa impresa e connesso stato formale di liquidazione della relativa società. Per quanto attiene alla pretesa falsa applicazione delle norme invocate come lese, la censura è inammissibile, perché pretende da questa Corte una non consentita rivalutazione del fatto, in assenza di alcuna contestazione dei canoni di interpretazione del materiale probatorio, che appartiene in sé all’esclusiva competenza della fase di merito.
e. Quinto motivo «V. V.1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2298, 1372, 2252 e 1418 c.c. EX ART. 360, COMMA 1 N. 3 C.P.C. -V.2) Nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e 132, comma 2, c.p.c. EX ART. 360, COMMA 1 N. 4 C.P.C.» deducendo che la Corte di appello avrebbe reso una motivazione omessa o apparente e comunque illogica e perplessa e comunque errata laddove ha ritenuto ininfluente la circostanza che, nella specie, il socio accomandatario era dotato, per decisione unanime dei soci, di tutti i poteri di gestione, anche di straordinaria amministrazione; distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione dell’ amministratore di RAGIONE_SOCIALE che la
Corte territoriale avrebbe affermato per poi,
incomprensibilmente, abbandonarla, aderendo alla tesi della mera esorbitanza dell’atto di cessione dall’ oggetto sociale.
Il motivo è inammissibile, perché non si confronta con la motivazione resa sul punto COGNOME Corte territoriale che, a pag. 22, ben lungi che rendere affermazioni tra loro inconciliabili, correttamente afferma che, nella specie, non vi è alcuno spazio per la distinzione tra poteri di ordinaria o straordinaria amministrazione , atteso che l’atto posto in essere COGNOME COGNOME esorbitava rispetto all’ oggetto sociale e, come tale, non rientrava in assoluto nei poteri dell’accomandatario di RAGIONE_SOCIALE
Sesto motivo «VI. Violazione e falsa applicazione de ll’ art. 2195, 2251, 2252, 1418 c.c., nonché dell’art. 12 delle preleggi EX ART. 360, COMMA 1 N. 3 C.P.C.» deducendo che la Corte di appello avrebbe errato nell’ applicare analogicamente l ‘art. 2252 cod. civ. a modifiche all’ oggetto sociale non formali, bensì connesse all’attività concretamente svolta COGNOME società.
Il motivo è inammissibile, perché non si confronta con la motivazione resa COGNOME sentenza impugnata che, a proposito di distinzione tra atti formali e atti di gestione delle società, correttamente afferma (a pag. 23-24) che nella società di persone tale distinzione non ha pregio, atteso che la deformalizzazione del procedimento di adozione delle decisioni dei soci non consente, come avviene invece per le società di capitali, di effettuare una distinzione ai fini del rilievo della mitigazione del principio unanimistico, che presidia ogni legittima modificazione del contratto sociale; di talché nessuna indebita applicazione analogica può nella specie essere rilevata.
Settimo motivo «VII. Violazione e falsa applicazione d ell’art. 2252, 1418, 1372 c.c., nonché dell’art. 12 delle preleggi
EX ART. 360, COMMA 1 N. 3 C.P.C.» deducendo che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la violazione dell’art. 2252 c.c. sia sanzionabile di nullità.
Il motivo è inammissibile, posto che non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, più volte richiamata: la nullità del contratto è stata nella specie rilevata come conseguenza dell’abnormità dell’atto gestorio posto in essere dall’amministratore della RAGIONE_SOCIALE che, nei fatti, ha determinato l’ automatico stato di liquidazione della società stessa, deprivata per effetto del contratto di cessione di tutti i suoi beni necessari al perseguimento dell’oggetto sociale sino a quel momento oggetto di realizzazione.
h. Ottavo motivo «VIII. VIII.1) Violazione e falsa applicazione de ll’ art. 2697 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 2729 c.c. EX ART. 360, COMMA 1 N. 3 C.P.C. -VIII.2) Nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e 132, comma 2, c.p.c. EX ART. 360, COMMA 1 N. 4 C.P.C.» deducendo la nullità della sentenza impugnata e comunque la sua erroneità laddove avrebbe, con motivazione del tutto apparente, invertito l’onere della prova sulla mancanza o esistenza di unanimità dei soci sull’operazione oggetto di contestazione.
Il motivo è inammissibile in entrambe le sue articolazioni, siccome omette di confrontarsi con la motivazione resa COGNOME Corte territoriale: la sentenza impugnata non ha invertito in alcun modo l’onere della prova, ma ha chiaramente affermato (a pag. 21) che l’allegazione dell’ accomandataria secondo cui le due socie accomandanti sarebbero state informate dall’ amministratrice della sua intenzione di cedere l’intera
azienda e che avrebbero consentito in forma orale a tale operazione è rimasta indimostrata; tale ratio decidendi non viene attinta COGNOME censura in esame, che contiene considerazioni del tutto eccentriche, basate sul criterio astratto di riparto dell’onere della prova, e si astiene dal dedurre e dimostrare l’erroneità dell’ affermazione sul mancato raggiungimento della prova dell’avvenuto consenso che, NOME fatto impeditivo all ‘ invocata revoca, era certamente onere dell’ amministratrice dover fornire.
Nono motivo «IX. Nel solo interesse di NOME –NOME petita e violazione e falsa applicazione d ell’art. 112 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2259 c.c. Sulla errata dichiarazione di revoca di NOME NOME amministratrice di RAGIONE_SOCIALE EX ART. 360, COMMA 1 N. 3 C.P.C.» deducendo che l’ auspicabile accoglimento dei precedenti motivi di ricorso comporterebbe anche la illegittimità della declaratoria di revoca di NOME COGNOME COGNOME carica di accomandatario della RAGIONE_SOCIALE
Il rigetto dei precedenti motivi comporta il rigetto anche di quello in esame, atteso che la causa della revoca, come la stessa censura argomenta, è indissolubilmente connessa alle sorti dell’ accertamento della correttezza della declaratoria di nullità della cessione dell’ azienda che, per quanto sinora argomentato, resiste alle critiche mosse nel ricorso principale.
Decimo motivo «X. Nel solo interesse di NOME e RAGIONE_SOCIALE.1) Omesso esame circa un fatto deciso per il giudizio oggetto di discussione tra le parti EX ART. 360, COMMA 1 N. 5 C.P.C. -X.2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 2262, 2303, e 2259 c.c. nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. all’art . 112 c.p.c. EX ART. 360, COMMA 1 N. 3 C.P.C.» deducendo l’ erroneità della sentenza impugnata in tema di
determinazione dell’utile da corrispondere a NOME COGNOME, per aver omesso di rilevare che costei non aveva provato il credito e che, in ogni caso, nessuna contestazione al rendiconto della RAGIONE_SOCIALE era stata sollevata.
Il motivo è infondato per la parte in cui lamenta la mancata indicazione delle fonti del convincimento del giudice in relazione alla determinazione dell’utile da distribuire al socio, atteso che con chiarezza la Corte territoriale fa riferimento alle conclusioni dell’elaborato peritale ; laddove la stessa censura è inammissibile in relazione alla deduzione del vizio motivazionale poiché, ben lungi che lamentare l’ omissione di un fatto storico-naturalistico dedotto in lite, decisivo e discusso tra le parti, in effetti consiste in una critica all’operato dell’ausiliario del giudice, avulsa peraltro da ogni deduzione, ancor prima che dimostrazione, delle ragioni giuridiche che sorreggerebbero la critica in questa fase di legittimità, segnatamente con riferimento alla pretesa natura ‘ incontestata ‘ del rendiconto della gestione.
15. Il ricorso incidentale di NOME COGNOME lamenta:
Primo motivo «I° motivo -Vizio di motivazione della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di contraddittorio» deducendo l’ erroneità della sentenza laddove ha ridotto l’ utile attribuito alla ricorrente, sulla base di una c.t.u che sarebbe andata oltre il quesito posto e che comunque sarebbe stata erroneamente valutata nelle sue conclusioni.
Secondo motivo «II° motivo -Nullità della Sentenza o del procedimento ex art. 360, comma 1 n. 4 per mancata valutazione di una prova documentalmente offerta» deducendo che la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare la
documentazione versata in atti COGNOME ricorrente, basandosi solo sulle risultanze della c.t.u.
I primi due motivi del ricorso incidentale di NOME COGNOME sono inammissibili poiché tentano di indurre questa Corte a effettuare una non consentita rivalutazione del materiale istruttorio e dei fatti in esso dedotti, senza peraltro spiegare né le ragioni della pretesa ‘esorbitanza’ della c.t.u rispetto al quesito posto (censura peraltro impostata sub vizio di motivazione, non pertinente rispetto alle attività dell’ausiliario) né per NOME ragione la mancata valutazione di un documento conduca alla lamentata nullità della sentenza ai sensi dell’art . 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.
Terzo motivo «III° motivo di controricorso incidentale -Violazione o Falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.2 c.p.c. ex art. 360, comma 1 n. 3» deducendo l’ erroneità della sentenza impugnata laddove ha valutato la soccombenza della ricorrente in relazione ad alcune domande originariamente proposte in primo grado.
Il motivo è infondato atteso che l’unico limite che la regolazione delle spese impone al giudice è di non porle a carico della parte totalmente vittoriosa, potendo per il resto valutarsi una soccombenza reciproca parziale, con il solo onere -nella specie assolto in maniera insindacabile in questa sede -di spiegare le ragioni di quanto disposto.
Quarto motivo «IV° motivo di controricorso incidentale -Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 3» deducendo l’ erroneità della sentenza impugnata laddove ha revocato l’effetto restitutorio della declaratoria di nullità del contratto di cessione di azienda in base a valutazioni che non avrebbero
formato oggetto di contraddittorio, individuando all’uopo una ragione della decisione diversa da quella allegata dalle parti e comunque mai provata.
Il motivo, sostanzialmente analogo a quelli del ricorso incidentale di NOME COGNOME, è fondato a va accolto per le argomentazioni che saranno svolte a commento del relativo ricorso di NOME COGNOME, cui si fa rinvio.
«Ricorso incidentale condizionato, le questioni disattese e quelle non esaminiate Violazione ex art. 360 nn 4-5 c.p.c. nullità della sentenza per omessa pronuncia sul punto o vizio per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione» deducendo l’ erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe applicato analogicamente l’art. 2252 cod. civ. a modifiche all’ oggetto sociale non formali, bensì connesse all’attività concretamente svolta COGNOME società. Le questioni oggetto del ricorso incidentale condizionato, stante l’esito del presente giudizio, potranno essere riproposte nell’ eventuale fase di rinvio, sicché il motivo va dichiarato assorbito.
16. Il ricorso incidentale di NOME COGNOME lamenta:
«Primo mezzo del ricorso incidentale di NOME COGNOME: Violazione e falsa applicazione di norme di diritto; artt. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2033, 2251 e 2252 cod. civ.»
«Secondo mezzo del ricorso incidentale di NOME COGNOME: violazione e falsa applicazione di norme di diritto; artt. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2697 e 2033 cod. civ.» deducendo l’ erroneità della sentenza impugnata
laddove ha revocato l’effetto restitutorio della declaratoria di nullità dell’atto di cessione di azienda.
I due motivi, come pure il quarto motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME, sono fondati, per le considerazioni che seguono. Nella loro sostanza (ma il quarto motivo di NOME COGNOME è in tal senso rubricato anche formalmente in epigrafe) deducono l’incomprensibilità e l’ irriducibile contrasto tra affermazioni inconciliabili della sentenza impugnata, laddove essa ha revocato il capo n. 2 della sentenza del Tribunale che aveva condannato RAGIONE_SOCIALE a restituire alla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE l’azienda oggetto del contratto di cessione dichiarato nullo.
Ritiene questa Corte che, effettivamente, la motivazione resa sul punto COGNOME sentenza impugnata sia affetta da un irriducibile contrasto tra affermazioni tra loro inconciliabili e, sotto diverso aspetto, del tutto perplesse, tanto da determinarne in parte qua la nullità.
La Corte territoriale inizia (a pag. 24) con la corretta premessa che l’effetto restitutorio è ‘ conseguenza logica, prima ancora che giuridica, della nullità del trasferimento ‘ e che a esso sarebbe applicabile la disciplina dell’indebito ex art. 2033 cod. civ.
Sennonché, subito dopo, la sentenza individua una presunta prima causa impeditiva all ‘ adottabilità della relativa pronuncia restitutoria nella circostanza che il complesso aziendale sarebbe stato ceduto nel 2012, ovvero sette anni prima della pronuncia, ciò che determinerebbe una operazione di rivalutazione del valore dei beni tra l’attualità e
l’ep oca della cessione che non sarebbe ‘ compatibile con la fase processuale in cui si trova il presente giudizio ‘ (pag. 25). Le ragioni giuridiche di tale ultima affermazione non sono in alcun modo esplicitate. E tale omissione rileva ai fini della validità della sentenza sul punto, se considerata assieme alle ulteriori affermazioni contenute nell’immediato prosieguo, dove la Corte di appello aggiunge : ‘ Una tale conclusione non significa che le richieste restitutorie non possano mai essere formulate insieme a quelle di accertamento della nullità e che esigano l’esperimento di una nuova e ulteriore azione di ripetizione in contrasto con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 111 Cost. La Corte deve semplicemente dare atto che non sussistono nell’ambito del presente giudizio i presupposti processuali e gli indispensabili elementi istruttori che consentano la pronuncia richiesta, dovendosi ritenere che, stante il tempo trascorso, i beni aziendali ceduti siano stati trasformati con conseguente verosimile modificazione del loro valore rispetto al momento della cessione. ‘.
Tale motivazione si espone ai seguenti rilievi:
Il giudice di appello è giudice del merito: come tale, egli può ammettere d’ufficio una consulenza tecnica che possa fornirgli l’accertamento di fatti e circostanze, ritualmente versate agli atti del processo, rilevanti ai fini del decidere: non si comprende, quindi, NOME sia l’ impedimento legato alla ‘fase processuale ‘ , assunto come potenzialmente preclusivo di un simile accertamento istruttorio.
Se la stessa Corte territoriale afferma che ben può essere dedotta nel presente giudizio la questione della ripetizione dell’azienda , NOME effetto restitutorio collegato alla dichiarata nullità del relativo trasferimento, non si comprende quali siano i ‘ presupposti processuali ‘ dichiarati come ostativi alla relativa pronuncia, che restano meramente affermati, ma in alcun modo esplicitati in motivazione; né è dato comprendere NOME carenza di ‘ indispensabili elementi istruttori ‘ si sarebbe nella specie verificata tenuto conto, da un lato, che come detto ben poteva essere disposta una consulenza tecnica e, dall’a ltro, che la variazione dei beni che costituiscono l’azienda, per come definita dall’art. 2555 cod. civ., è assolutamente fisiologica, essendo ques t’ultima nient’altro che un ‘ universalità di beni legati tra loro dal vincolo di destinazione impresso dall’ imprenditore per l’esercizio dell’ impresa. Argomentare che la condizione di variabilità della consistenza dei beni aziendali sarebbe in assoluto ostativa all’accertamento della sussistenza dei presupposti per una restituzione, conseguente all’ accertata invalidità del negozio traslativo, da un lato finisce per contraddire l’affermata ammissibilità della domanda come conseguenza della declaratoria di invalidità appena pronunciata , dall’altro fini rebbe per frustrare inammissibilmente qualsivoglia domanda di ripetizione inerente all’azienda, posto che la quantità e qualità dei beni ivi immessi è, per definizione, cangiante nel tempo. Altro è, con ogni evidenza, procedere al relativo accertamento con i mezzi istruttori a disposizione
e, all’ esito, valutare nel caso concreto l’eventuale permanenza nell’azienda di beni compatibili con l’ esercizio dell’ attività di impresa della RAGIONE_SOCIALE; ciò che compete, per l’appunto, al giudice del merito effet tuare e all’esito valutare , in relazione alle risultanze del caso concreto e che, anche nella specie, dovrà essere effettuato nel prosieguo del giudizio.
La sentenza va, dunque, cassata in relazione ai soli motivi accolti e le parti rinviate innanzi alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà a rinnovare il giudizio secondo i principi sopra esposti e a regolare le spese della presente fase di legittimità.
18. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME; rigetta il terzo motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME; accoglie nei sensi di cui in motivazione il quarto motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato di NOME COGNOME; accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso incidentale di NOME COGNOME; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia le parti innanzi alla Corte di appello di Milano,
in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 maggio 2024.