Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10769 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10769 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7029/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, nonché i singoli soci RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE, che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE LA ROCCA NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e soci illimitatamente responsabili LA COGNOME NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di POTENZA n. 7/2020 depositata il 09/1/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7/4/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Duglia del Pollino di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno impugnato la sentenza dichiarativa del loro fallimento pronunciata dal Tribunale di Lagonegro su ricorso del creditore NOME COGNOME, fondato su un decreto ingiuntivo emesso in virtù di una ricognizione di debito e su una successiva sentenza del Tribunale di Pordenone.
Hanno proposto reclamo la società debitrice e i soci illimitatamente responsabili , deducendo l’insussistenza tanto della legittimazione attiva del creditore istante, quanto dello stato di insolvenza e dei requisiti soggettivi di assoggettamento a fallimento.
La Corte di Appello di Potenza, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato il reclamo. Ha ritenuto il giudice di appello -confermando la decisione di primo grado -che non vi fossero valide contestazioni al credito dell’istante, alla luce del decreto ingiuntivo e della successiva sentenza emessi dal Tribunale di Pordenone, richiamando, inoltre, l’orientamento di questa Corte secondo cui il giudice del procedimento prefallimentare deve effettuare un accertamento meramente incidentale ai fini della legittimazione dell’istante. Il giudice di appello ha, poi, ritenuto che il gravame fosse inammissibile per carenza dell’individuazione delle questioni e delle relative doglianze. Ha, poi, considerato sussistente lo stato di insolvenza, attesa l’esistenza di diversi debiti insoddisfatti e, in particolare, in ragione del l’inadempimento nei confronti del creditore istante, ritenendo, inoltre, non provata l’assenza dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1, secondo comma, l. fall.
Propongono ricorso per cassazione la società debitrice e i soci illimitatamente responsabili, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso il creditore istante, il quale deposita memoria. Il fallimento intimato non si è costituito in giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’ omesso esame di un fatto decisivo, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile il gravame della società ricorrente senza considerare che nel giudizio di appello avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone, di conferma del decreto ingiuntivo, era stato dedotto che il creditore istante non si sarebbe potuto avvalere dell’astrazione processuale di cui all’art. 1988 cod. civ., trattandosi di promessa di pagamento non titolata, per la quale non sarebbe stata data prova del rapporto fondamentale.
Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo, non può essere dedotta come fatto storico l’omessa valutazione da parte del giudice del reclamo della questione della mancata valutazione dell ‘ inapplicabilità dell ‘ astrazione processuale di cui all’art. 1988 cod. civ. alle promesse di pagamento non titolate , trattandosi di argomentazione giuridica non sussumibile nel paradigma di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., n. 13024/2022). In secondo luogo, il ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto di risolvere le contestazioni sull’esistenza del credito richiamandosi per relationem alla sentenza di fallimento, che ha valorizzato l’ accertamento giudiziale del credito (decreto ingiuntivo e sentenza del Tribunale di Pordenone), nonché alla giurisprudenza di questa Corte ( ex multis Cass., n. 4406/2025), secondo cui ai fini della legittimazione del creditore è sufficiente un accertamento incidentale del credito.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ ., a causa del carattere apparente della sua motivazione.
Il motivo è infondato, consentendo la sentenza impugnata la ricostruzione dell’iter logico giuridico che ha condotto alla decisione (Cass., Sez. U., n. 8053/2014). In particolare la decisione impugnata ha dato piena contezza sia della legittimazione attiva del creditore istante, confermando la sentenza dichiarativa di fallimento che si era richiamata, a sua volta, alle pronunce giurisdizionali che avevano accertato l’esistenza del credito, sia dello stato di insolvenza della società debitrice, per inadempimento alle proprie obbligazioni pecuniarie, sia del mancato assolvimento dell’onere della prova circa il mancato superamento delle soglie quantitative di cui all’art. 1, comma 2, l. fall.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma. n. 4, cod. proc. civ., la nullità della decisione per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., avendo la sentenza impugnata fatto erronea applicazione al giudizio di reclamo di tale disposizione.
Il motivo è infondato, posto che il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento ex art. 18 l. fall. deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione e le relative conclusioni, ancorché non sia richiesta l’indicazione degli specifici motivi richiesti dagli artt. 342 e 345 cod. proc. civ. (Cass., n. 31531/2021; Cass., n. 12706/2014). Sotto questo profilo la sentenza impugnata ha accertato che « l’impugnazione non contiene una chiara individuazione d elle questioni e delle relative doglianze, requisiti necessari per l’ammissibilità del gravame », ritenendo così carenti gli elementi di
diritto su cui si fonda l’impugnazione e facendo, pertanto, corretta applicazione del suddetto principio.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 8.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7/4/2025.