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Legittimazione creditore liquidazione: il caso Cass.

La Corte di Cassazione conferma che la legittimazione del creditore a richiedere l’apertura della liquidazione giudiziale sussiste anche in presenza di un credito contestato. Per avviare la procedura, è sufficiente un accertamento sommario da parte del giudice, senza necessità di un titolo esecutivo. La sentenza analizza anche la validità di un contratto di factoring non sottoscritto dalla società cessionaria e sanziona per mala fede il ricorso basato su argomentazioni palesemente smentite dalle prove documentali.

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Legittimazione creditore liquidazione: basta un credito contestato?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha fornito importanti chiarimenti sulla legittimazione del creditore nella liquidazione giudiziale, confermando un principio fondamentale: per avviare la procedura non è necessario un credito certo, liquido ed esigibile, ma è sufficiente una verifica sommaria da parte del giudice. Questa decisione rafforza la tutela dei creditori e velocizza l’accertamento dello stato di insolvenza, anche di fronte a contestazioni del debitore.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla richiesta di apertura della liquidazione giudiziale presentata da una società di factoring nei confronti di un’altra società. Il liquidatore di quest’ultima si opponeva fermamente, contestando la stessa titolarità del credito in capo alla società istante. In particolare, sosteneva che il contratto di factoring fosse in realtà una mera proposta non accettata e che, in ogni caso, il rapporto si fosse estinto a seguito di un recesso.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello rigettavano le difese del liquidatore, dichiarando aperta la liquidazione giudiziale. La Corte d’Appello, inoltre, condannava il liquidatore per lite in mala fede, ritenendo le sue argomentazioni palesemente infondate e contraddette dalle prove documentali, come le scritture contabili della stessa società debitrice e le notifiche di cessione dei crediti. Contro questa decisione, il liquidatore proponeva ricorso per Cassazione.

Legittimazione creditore liquidazione: la decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire principi consolidati in materia di accesso alle procedure concorsuali.

Il punto centrale è che la legittimazione del creditore nella liquidazione giudiziale non richiede un accertamento definitivo del credito. Il procedimento per l’apertura della liquidazione non ha lo scopo di risolvere la controversia tra singolo creditore e debitore, ma di verificare se l’impresa si trovi in uno stato di insolvenza a tutela di tutti i creditori. Di conseguenza, il giudice ha il potere-dovere di compiere un accertamento sommario e incidentale sull’esistenza del credito. Anche un credito contestato, illiquido o sottoposto a condizione può quindi fondare la richiesta di apertura della procedura.

Il Contratto di Factoring e la Prova della Cessione

Un aspetto interessante toccato dalla Corte riguarda la validità del contratto di factoring. Il ricorrente sosteneva che il documento prodotto fosse solo una proposta, in quanto mancava la firma della società di factoring (cessionaria). La Cassazione ha smontato questa tesi, ricordando che, per i contratti bancari e finanziari, la volontà dell’intermediario di avvalersi del contratto può essere desunta anche da comportamenti concludenti. In questo caso, le notifiche delle singole cessioni dei crediti al debitore erano una prova inequivocabile dell’accettazione e dell’efficacia del contratto di factoring, rendendo irrilevante la mancata sottoscrizione formale del documento da parte del factor.

La Sanzione per Lite Temeraria

La Corte ha infine confermato la condanna per responsabilità processuale aggravata (c.d. lite in mala fede). Ha ritenuto che il liquidatore avesse agito con la coscienza dell’infondatezza delle proprie tesi. Negare fatti evidenti, come l’iscrizione del debito nei propri libri contabili e la ricezione delle notifiche di cessione, costituisce una condotta processuale scorretta che giustifica pienamente la sanzione. Questo serve da monito: non si possono utilizzare gli strumenti processuali per negare l’evidenza documentale senza correre il rischio di subire conseguenze economiche.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano sulla distinzione tra l’accertamento del credito ai fini della legittimazione ad agire e l’accertamento del credito ai fini dell’ammissione al passivo. Per la prima fase, quella di apertura della procedura, è sufficiente che il creditore dimostri, anche in via sommaria, la propria qualità. La norma (art. 37 c.c.i.i.) parla genericamente di ricorso di “uno o più creditori”, senza richiedere che il credito sia stato preventivamente accertato in sede giudiziale.

La Corte ha inoltre sottolineato l’inammissibilità delle censure relative alla presunta cessazione del rapporto di factoring, poiché tale argomento era stato introdotto tardivamente dal reclamante solo con una memoria successiva al ricorso in appello, violando così i termini perentori stabiliti dalla legge. Questo ribadisce l’importanza del rispetto delle regole procedurali, il cui scopo è garantire un corretto e ordinato svolgimento del processo.

La motivazione sulla condanna per mala fede è netta: le allegazioni del ricorrente erano “smaccatamente sconfessate dai documenti prodotti dalle controparti e, prima ancora, da quelli versati in atti dalla stessa reclamante”. Tale comportamento processuale, che consiste nel negare un fatto che si sa essere vero, integra pienamente gli estremi della mala fede.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale volto a non appesantire la fase iniziale della procedura di liquidazione giudiziale con complesse verifiche sul credito. La priorità è accertare rapidamente lo stato di insolvenza per proteggere l’intero ceto creditorio. Per gli operatori economici, il messaggio è duplice: da un lato, i creditori sanno di poter agire tempestivamente anche senza un titolo esecutivo in mano; dall’altro, i debitori sono avvisati che opposizioni pretestuose e basate sulla negazione dell’evidenza possono comportare, oltre alla dichiarazione di liquidazione, anche pesanti sanzioni economiche.

È necessario avere un credito accertato in via definitiva per chiedere la liquidazione giudiziale di un’impresa?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che non è necessario un accertamento definitivo del credito né un titolo esecutivo. È sufficiente che il giudice, in via incidentale e sommaria, verifichi la probabile esistenza del credito, anche se questo è contestato dal debitore.

Un contratto di factoring deve essere firmato da entrambe le parti per essere valido ai fini della cessione del credito?
Secondo la sentenza, per i contratti bancari e finanziari come il factoring, la firma del cliente è essenziale. Tuttavia, la volontà della società di factoring di avvalersi del contratto può essere dimostrata da comportamenti concludenti, come la notifica della cessione dei crediti al debitore, rendendo irrilevante la mancata sottoscrizione da parte sua sul documento contrattuale.

Quando si rischia una condanna per lite in mala fede in un procedimento di liquidazione?
Si rischia una condanna quando si propone un ricorso basato su argomentazioni palesemente infondate e contraddette dai documenti agli atti. Nel caso di specie, il ricorrente ha negato fatti evidenti come le iscrizioni contabili nella propria contabilità e le notifiche di cessione ricevute, dimostrando una coscienza dell’infondatezza della propria domanda che la Corte ha qualificato come mala fede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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