Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22266 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22266 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
R.G.N. 21856/20
C.C. 10/07/2025
Vendita -Nullità -Legittimazione attiva -Rilevabilità d’ufficio
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 21856/2020) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , e RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentate e difese, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 683/2020, pubblicata il 15 maggio 2020, notificata a mezzo PEC il 19 maggio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 luglio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
viste le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, secondo periodo, c.p.c., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, terzo periodo, c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 13 gennaio 2013, Testa NOME conveniva, davanti al Tribunale di Pescara, la RAGIONE_SOCIALE, la Curatela fallimentare della predetta società nonché la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, al fine di sentire dichiarare l’inefficacia del trasferimento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, degli immobili già di proprietà della RAGIONE_SOCIALE in ragione della nullità degli atti pubblici di trasferimento del 18 dicembre 2002 ovvero della loro annullabilità ovvero, in subordine, della soggezione a risoluzione per grave inadempimento delle cessionarie, con la conseguente condanna alla restituzione alla RAGIONE_SOCIALE di tutti gli immobili indebitamente trasferiti alle società e al risarcimento dei danni
causati per la privazione dei beni e delle rendite del patrimonio trasferito ovvero all’indennizzo per indebito arricchimento.
Si costituivano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, le quali contestavano la legittimazione ad agire dell’attore nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE di cui difettava la qualità di socio già da oltre un ventennio, nonché l’estinzione dei diritti pretesi per intervenuta prescrizione. Nel merito, ne chiedevano il rigetto per infondatezza in fatto e in diritto delle azioni proposte.
Rimanevano contumaci le altre parti evocate in causa.
Nel corso del giudizio erano richiesti dall’attore provvedimenti cautelari assicurativi di sequestro giudiziario e conservativo, che venivano disattesi.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 64/2015, depositata il 20 gennaio 2015, dichiarava l’inammissibilità delle domande avanzate per difetto di legittimazione dell’istante e condannava l’attore alla refusione delle spese di lite nonché al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.
2. -Con atto di citazione notificato il 28 febbraio 2015, COGNOME NOME proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) la nullità della sentenza di primo grado per difetto della pronuncia in nome del popolo italiano e dell’intestazione ‘Repubblica Italiana’ nonché la sua irregolarità a seguito di discussione orale; 2) l’erronea dichiarazione del difetto di legittimazione attiva dell’attore per aver fatto valere un diritto della società di capitali, poiché, in ragione dell’estinzione di tale società, il socio sarebbe stato legittimato, quale successore nei
rapporti attivi e passivi che facevano capo alla società stessa, a far valere i relativi diritti; 3) l’erronea condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata, a titolo di responsabilità processuale aggravata.
Si costituivano nel giudizio d’impugnazione la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, che concludevano per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto dell’appello, con la conferma della sentenza impugnata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’impugnazione e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia appellata, condannando l’appellante alla refusione delle spese di lite e al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la pronuncia resa in primo grado all’esito della discussione orale svolta era regolare, poiché -come da relativo verbale -si era dato atto della sua lettura dopo la camera di consiglio, avvenuta alle ore 19:25, nonché del contestuale deposito anche per via telematica, senza che influisse sulla sua validità il fatto che il giudice avesse precedentemente disposto, revocando il precedente provvedimento, il mutamento del modello decisorio; b ) che la domanda era stata avanzata in proprio dal Testa a titolo personale, senza neanche spendere la qualità di successore della società, contro la società stessa e non contro gli altri soci, e senza che fosse affatto dedotto che al momento della liquidazione avvenuta all’esito di una procedura di concordato preventivo
( recte fallimentare) vi fossero ancora rapporti attivi e passivi pendenti trasmissibili ai soci (e non si vede come avrebbero potuto esserci); c ) che l’esistenza in fatto di tali rapporti non poteva certo essere desunta o addirittura creata dall’iniziativa giudiziaria di specie, ma avrebbe dovuto risultare quantomeno dal bilancio della società o da iniziative intraprese prima della cancellazione; d ) che, anche ove vi fossero stati i presupposti di fatto per il verificarsi del fenomeno successorio, l’azione avrebbe dovuto essere svolta da e contro i soci e non già rivolta nei confronti della società estinta; e ) che la censura avverso la condanna per responsabilità aggravata era inammissibile, poiché il motivo non aveva minimamente colto la ratio decidendi della decisione emessa dal Tribunale; f ) che sussistevano i presupposti per procedere, anche in grado d’appello, alla condanna ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., poiché le ragioni poste a fondamento dell’appello erano in totale contrasto in jure con la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte e con il diritto vivente, quale indizio dell’elemento soggettivo della colpa grave, in coerenza con il progressivo rafforzamento del ruolo di nomofilachia della Cassazione nonché con il mutato quadro ordinamentale, quale desumibile dai principi di ragionevole durata del processo e di necessità di un’interpretazione delle norme processuali che non comporti spreco di energie giurisdizionali.
3. -Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, NOME
Hanno resistito, con controricorso, le intimate RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
4. -Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte, come trascritte in epigrafe.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 ( recte n. 4), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 281quinquies , 281sexies e 161 c.p.c., con l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di merito disatteso i rilievi esposti avverso il modello decisorio adottato dal Tribunale, benché il giudice di prime cure avesse arbitrariamente mutato il modello decisorio da trattazione scritta in trattazione orale, adottando la decisione in un separato atto, anziché nel corpo stesso del verbale, non allegato alla sentenza né mai notificato o prodotto in giudizio dalla parte che intendeva avvalersene.
1.1. -Il motivo è infondato.
1.1.1. -Sotto il primo profilo, l’adozione, innanzi al tribunale in composizione monocratica, del modello a trattazione orale, con discussione della causa e pronuncia della sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ex art. 281sexies c.p.c., in luogo del modello decisionale a trattazione scritta ex art. 281quinquies , primo comma, c.p.c., cui inizialmente il giudice di merito aveva aderito, costituisce una facoltà rimessa al giudice e non è causa di nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio o di difesa, attesa l’equipollenza tra i detti modelli decisionali (Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 502 del 11/01/2017; Sez. 2, Sentenza n. 464 del 14/01/2016; Sez. 2, Sentenza n. 13226 del 20/06/2005).
1.1.2. -Quanto al secondo aspetto, la pronuncia depositata costituiva parte integrante del verbale sottoscritto (quale suo allegato), nel quale si dava atto dell’avvenuta discussione orale e della lettura in udienza all’esito della svolta camera di consiglio, con il contestuale deposito.
Pertanto, l’allegazione della pronuncia al verbale equivale alla redazione nel corpo del verbale che la contiene: alla stesura della sentenza nel corpo del verbale ai sensi dell’art. 281 -sexies c.p.c. deve essere equiparata la sua allegazione a verbale con atto separato (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5851 del 27/02/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 19338 del 17/09/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 2108 del 29/01/2018; Sez. 1, Ordinanza n. 18743 del 06/09/2007).
Ora, nel caso di sentenza redatta a verbale o allegata allo stesso ai sensi dell’art. 281 -sexies c.p.c., la sua pubblicazione, al fine della decorrenza dei termini ad opponendum , esige che la pronuncia sia stata letta in udienza e che di tale lettura, concernente motivazione e dispositivo, si sia dato atto nel verbale immediatamente sottoscritto dal giudice, il che è avvenuto nella fattispecie.
2. -Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in riferimento agli artt. 1421 e 2495 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che il ricorrente avesse agito in giudizio non come successore della società estinta, non avendo speso tale sua qualità nei gradi di merito,
mentre proprio il richiamo all’avvenuta estinzione di detta società avrebbe legittimato la sua azione, in ragione del fenomeno successorio, quale socio subentrato alla società estinta.
Obietta ancora l’istante che la società estinta non sarebbe mai stata posta in liquidazione, né avrebbe potuto esistere un bilancio di liquidazione, in quanto la sua cancellazione dal registro delle imprese era avvenuta d’ufficio, sicché avrebbe dovuto reputarsi che il socio avesse agito non solo nell’interesse proprio ma anche nell’interesse e a favore della società, il cui patrimonio immobiliare svanito gli apparteneva per oltre la metà.
E tanto con la conseguenza che la citazione in giudizio della RAGIONE_SOCIALE non avrebbe avuto affatto lo scopo di promuovere un’azione contro la società stessa, ma solo quello di consentire la sua partecipazione al giudizio, ove fosse stata ancora esistente, per adiuvare il socio nel recupero del patrimonio sociale illegittimamente sottratto.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
E ciò perché la censura non aggradisce il punto nodale della dichiarazione del difetto di legittimazione attiva dell’istante, ossia il fatto che la domanda era stata avanzata in proprio dal Testa a titolo personale, senza neanche spendere la qualità di successore della società, contro la società stessa e non contro gli altri soci.
In questa stessa prospettiva, la pronuncia impugnata ha richiamato le motivazioni della sentenza di primo grado, secondo cui difettava la prova della qualità di socio di NOME, qualità contestata efficacemente dalle convenute che avevano depositato i certificati comprovanti la vendita delle azioni da parte del Testa.
E lo stesso ricorrente, nel corpo dell’atto introduttivo del procedimento di legittimità, ha riconosciuto che al momento della dichiarazione di fallimento e dell’omologazione del concordato fallimentare ‘era’ titolare del 55% dei titoli azionari nominativi della S.G.C. S.p.A. (vedi pag. 4 del ricorso), ma non ha smentito l’assunto delle controparti circa l’avvenuta cessione delle azioni prima che fosse proposta la domanda di nullità.
3. -Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 c.c., in relazione ai principi della domanda ex art. 99 c.p.c., della disponibilità delle prove ex art. 115 c.p.c. e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., con l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte distrettuale mancato di pronunciare la nullità dei contratti di trasferimento del 18 dicembre 2002, conclusi tra il Curatore del fallimento e le tre società evocate in causa, benché fossero state espressamente indicate le cause della nullità e la violazione delle singole norme di legge e benché fosse stato sollecitato l’intervento del giudice per rilevare egli stesso d’ufficio la gravità delle violazioni commesse dagli organi fallimentari e le loro conseguenze patrimoniali.
Deduce l’istante che una procedura destinata fin dalla sua genesi a spogliare di ogni bene la RAGIONE_SOCIALE e, di riflesso, i suoi soci -per realizzare lo scopo di locupletare, senza giustificazione giuridica alcuna, il patrimonio delle tre società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -avrebbe legittimato la declaratoria di nullità.
3.1. -Il motivo è infondato.
3.1.1. -Infatti, la nullità -come invocata dall’istante non può essere dichiarata d’ufficio per rimediare al difetto di legittimazione (e in mancanza dell’emersione di un interesse concreto) della parte che aveva agito in giudizio per far valere tale nullità, con valenza surrogatoria dell’impossibilità di pronunciarsi sulla relativa domanda appunto per carenza di legittimazione di detta parte (e con la conseguente carenza della lesione attuale del proprio diritto e di un danno alla propria sfera giuridica).
In proposito, si rileva che la legittimazione generale all’azione di nullità prevista dall’art. 1421 c.c., in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed essere rilevata anche d’ufficio del giudice, non esime l’attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire secondo le norme generali e con riferimento all’art. 100 c.p.c., non potendo tale azione essere proposta sotto la specie di un fine generale di attuazione della legge e non potendo il giudice rilevare d’ufficio la nullità ove la pronunzia di questa non sia rilevante per la decisione della lite (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4372 del 25/03/2003; Sez. 3, Sentenza n. 338 del 11/01/2001; Sez. 2, Sentenza n. 1559 del 20/02/1997; Sez. 2, Sentenza n. 7717 del 12/07/1991; Sez. 2, Sentenza n. 1553 del 17/03/1981; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1897 del 23/01/2023; Sez. 2, Sentenza n. 2670 del 05/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 5420 del 15/04/2002; Sez. 2, Sentenza n. 2721 del 25/02/2002).
Ancora, si evidenzia che il requisito dell’attualità della lesione implica che non si può esperire l’indicata azione a tutela di un
interesse futuro ed eventuale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1475 del 09/03/1982).
Ebbene l’interesse ad agire sussiste solo rispetto alle azioni oggettivamente dirette a conseguire il bene della vita consistente nella rimozione dello stato di giuridica incertezza in ordine alla sussistenza di un determinato diritto e va identificato in una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto, rappresentato dal rilievo secondo cui, senza il processo e l’esercizio della giurisdizione, l’attore soffrirebbe il pregiudizio di una propria situazione giuridica protetta; sicché esso deve avere necessariamente carattere attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva, assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, viceversa restando escluso ove il giudizio sia strumentale alla soluzione, soltanto in via di massima od accademica, di una questione di diritto, in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009; Sez. 2, Sentenza n. 5635 del 18/04/2002; Sez. 2, Sentenza n. 3157 del 05/03/2001; Sez. U, Sentenza n. 565 del 10/08/2000; Sez. L, Sentenza n. 4444 del 20/04/1995).
Di questa incidenza sulla sfera giuridica dell’istante non si è dato affatto atto.
3.1.2. -A fortiori , le nullità negoziali che non siano state rilevate d’ufficio in primo grado sono suscettibili di tale rilievo in grado di appello o in cassazione, a condizione che i relativi fatti costitutivi siano stati ritualmente allegati dalle parti (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4867 del 23/02/2024; Sez. 3, Sentenza n. 34590
del 11/12/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 20713 del 17/07/2023; Sez. L, Sentenza n. 36353 del 23/11/2021).
Orbene, la deduzione circa la nullità dei trasferimenti per mancanza o illiceità della causa, motivo illecito comune ad entrambe le parti, difetto di forma -in ragione del fatto che il Tribunale aveva disposto espressamente, con sentenza irrevocabile di concordato, che il trasferimento del compendio immobiliare dovesse avvenire con distinti decreti del giudice delegato e non con rogito notarile -non è supportata da ragioni liquide, da cui emerga ictu oculi la patologia degli atti di trasferimento stipulati nella forma dell’atto pubblico notarile il 18 dicembre 2002.
Piuttosto le circostanze addotte dall’attore avrebbero richiesto una verifica sul piano probatorio, ammesso che esse avessero un’astratta incidenza sulla validità dell’operazione negoziale e non piuttosto sul piano del rapporto.
4. -Con il quarto motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., per avere la Corte del gravame disposto, su istanza degli appellati, la condanna dell’appellante al pagamento della somma equitativamente determinata di euro 6.125,00, a titolo di responsabilità processuale aggravata, per avere intrapreso un’azione temeraria nei confronti di società di cui si conosceva la già avvenuta estinzione, benché tale società risultasse ancora operativa in numerosi giudizi pendenti e in particolare proprio dinanzi alla medesima Corte d’appello e benché il Testa avesse agito non contro la società, ma anzi a favore della stessa.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
Infatti, la sentenza impugnata ha precisato che sussistevano i presupposti per procedere, anche in grado d’appello, alla condanna ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., poiché le ragioni poste a fondamento dell’appello erano in totale contrasto in jure con la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte e con il diritto vivente, quale indizio dell’elemento soggettivo della colpa grave, in coerenza con il progressivo rafforzamento del ruolo di nomofilachia della Cassazione nonché con il mutato quadro ordinamentale, quale desumibile dai principi di ragionevole durata del processo e di necessità di un’interpretazione delle norme processuali che non comporti spreco di energie giurisdizionali.
E ciò con precipuo riguardo al delibato difetto di legittimazione dell’istante.
A fronte di queste analitiche argomentazioni, come supportate dalle ragioni del rigetto del gravame, l’accertare se una parte abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave involge un’indagine di fatto, i cui risultati sono sottratti al sindacato di legittimità, se non inficiati da errori di diritto o vizi logici (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 32953 del 17/12/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 32580 del 14/12/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 1624 del 23/01/2018; Sez. 2, Sentenza n. 27528 del 30/12/2016; Sez. 3, Sentenza n. 1808 del 06/10/1970; Sez. 3, Sentenza n. 3950 del 11/12/1968).
5. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore delle controricorrenti, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda