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Legittimazione attiva cessionario: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28335/2025, ha rigettato il ricorso di una società immobiliare dichiarata in liquidazione giudiziale. La Corte ha stabilito che la legittimazione attiva del cessionario di un credito si considera provata se il debitore non la contesta nel primo grado di giudizio, ma anzi la riconosce implicitamente attraverso comportamenti processuali. Tale principio di non contestazione prevale, rendendo tardiva la successiva eccezione in appello.

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Legittimazione Attiva Cessionario: La Prova della Titolarità del Credito

La questione della prova della legittimazione attiva del cessionario di crediti è un tema centrale nel contenzioso bancario e fallimentare. Chi acquista un credito deve dimostrare di esserne il legittimo titolare per poter agire in giudizio? E cosa succede se il debitore non solleva subito la questione? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 28335 del 2025, offre chiarimenti fondamentali, valorizzando il principio di non contestazione e la condotta processuale delle parti.

I Fatti di Causa

Una società immobiliare veniva dichiarata in stato di liquidazione giudiziale dal Tribunale, su istanza di una società veicolo (SPV) che si affermava cessionaria di un ingente credito originariamente vantato da un istituto bancario. La società debitrice presentava reclamo alla Corte d’Appello, e successivamente ricorso in Cassazione, basando la propria difesa su un punto cruciale: la società creditrice non aveva mai fornito prova adeguata della propria legittimazione attiva, ovvero non aveva dimostrato in modo inequivocabile di essere la nuova titolare del credito. In particolare, lamentava che la sola menzione di una pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non fosse sufficiente a provare l’inclusione del suo specifico debito nel contratto di cessione in blocco.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso, stabilendo che la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i principi giuridici in materia di onere della prova e di comportamento processuale. La sentenza si fonda su un ragionamento chiaro: la condotta del debitore nel primo grado di giudizio aveva di fatto sanato qualsiasi potenziale incertezza sulla titolarità del credito.

Le Motivazioni: Il Principio di Non Contestazione e la Legittimazione Attiva del Cessionario

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione del principio di non contestazione, sancito dall’art. 115 del codice di procedura civile. La Cassazione ha evidenziato come la società immobiliare, durante tutto il giudizio di primo grado, non solo non avesse mai contestato la qualità di cessionaria della società creditrice, ma l’avesse addirittura implicitamente riconosciuta. Questo riconoscimento era avvenuto attraverso comportamenti inequivocabili, come l’aver coinvolto attivamente la società cessionaria in procedure di composizione negoziata della crisi d’impresa.

Secondo la Corte, richiamando un consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sent. n. 2951/2016), sebbene la titolarità del diritto sia una questione rilevabile d’ufficio dal giudice, l’onere della prova per l’attore viene meno se vi è un riconoscimento da parte del convenuto. Tale riconoscimento può essere esplicito o implicito, come nel caso di una difesa incompatibile con la negazione della titolarità altrui.

Di conseguenza, aver sollevato l’eccezione sulla legittimazione attiva del cessionario per la prima volta in appello costituisce un inammissibile cambio di strategia processuale. Il debitore, con il suo comportamento, aveva reso superflua la prova documentale del contratto di cessione, consolidando la posizione della controparte.

Le Motivazioni: Interesse ad Agire e Stato di Insolvenza

La Corte ha respinto anche gli altri motivi di ricorso. In primo luogo, ha confermato l’interesse ad agire della creditrice. Nonostante fosse già pendente una procedura esecutiva immobiliare, questa non aveva portato alla piena soddisfazione del credito. Pertanto, l’interesse a promuovere la liquidazione giudiziale per recuperare il residuo era concreto e attuale.

In secondo luogo, la Cassazione ha dichiarato inammissibili le censure relative all’accertamento dello stato di insolvenza, poiché si trattava di una valutazione di fatto, riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata. La Corte d’Appello aveva infatti basato la sua decisione su una pluralità di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, come l’ingente indebitamento, l’insufficienza dei beni pignorati e i falliti tentativi di risanamento.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica: la strategia difensiva deve essere coerente e tempestiva. Un debitore che intende contestare la legittimazione attiva del cessionario di un credito deve farlo fin dal primo atto difensivo. Omettere tale contestazione e, peggio ancora, tenere comportamenti che implicano un riconoscimento della controparte, preclude la possibilità di sollevare la questione nelle fasi successive del giudizio. Questa pronuncia rafforza la stabilità dei rapporti processuali e sottolinea come il comportamento delle parti possa avere un valore probatorio decisivo, anche su questioni che, in linea di principio, il giudice potrebbe rilevare d’ufficio.

Un cessionario di crediti è sempre obbligato a depositare il contratto di cessione per provare la sua legittimazione attiva?
No, non sempre. Secondo la Corte, se il debitore non contesta la qualità di cessionario della controparte o, addirittura, la riconosce implicitamente tenendo comportamenti processuali incompatibili con la sua negazione (come coinvolgerla in trattative), l’onere della prova può ritenersi assolto senza la necessità di produrre il contratto.

Il principio di non contestazione si applica anche alla legittimazione ad agire, che è una questione rilevabile d’ufficio dal giudice?
Sì. La Cassazione, richiamando le Sezioni Unite, ha chiarito che sebbene la carenza di titolarità del rapporto sia rilevabile d’ufficio, questo principio non confligge con quello secondo cui l’attore è esonerato dalla prova se la sua posizione è riconosciuta dalla controparte. La condotta processuale del convenuto può quindi rendere superflua la prova.

Un creditore può chiedere la liquidazione giudiziale di un debitore se ha già iniziato un’esecuzione forzata sui suoi beni?
Sì, può farlo. La Corte ha stabilito che l’interesse ad agire per la liquidazione giudiziale sussiste finché il credito non è stato interamente soddisfatto. Se la procedura esecutiva non ha coperto l’intero debito, il creditore ha un interesse concreto e attuale a utilizzare altri strumenti legali, come la liquidazione giudiziale, per recuperare la parte rimanente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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