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Legittimazione amministratore: può impugnare il fallimento?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9955/2024, ha stabilito che l’ex amministratore di una società fusa per incorporazione conserva la legittimazione a impugnare la sentenza di fallimento emessa contro la società estinta. Anche se la società non esiste più, l’amministratore ha un interesse personale, morale e patrimoniale, a contestare la dichiarazione di fallimento, soprattutto in presenza di possibili conseguenze penali o azioni di responsabilità a suo carico. La Corte ha quindi annullato la decisione della Corte d’Appello che aveva negato tale legittimazione all’amministratore.

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Legittimazione Amministratore: L’Ex Amministratore può Impugnare il Fallimento della Società Fusa?

La questione della legittimazione amministratore a impugnare la sentenza di fallimento di una società ormai estinta a seguito di fusione per incorporazione è un tema complesso che tocca i principi fondamentali del diritto societario e fallimentare. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per fare chiarezza, delineando i confini dell’interesse ad agire dell’ex amministratore e le conseguenze personali che possono derivare da una dichiarazione di fallimento.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla dichiarazione di fallimento di una società a responsabilità limitata, pronunciata dal Tribunale su istanza dell’Agente della Riscossione. La particolarità della vicenda risiedeva nel fatto che, quasi due anni prima della sentenza di fallimento, la società era stata fusa per incorporazione in un’altra società con sede all’estero, estinguendosi di fatto.

L’ex amministratore unico della società incorporata aveva proposto reclamo contro la sentenza di fallimento. La sua tesi era chiara: con la fusione, la società aveva perso la propria capacità giuridica e processuale. Di conseguenza, il contraddittorio prefallimentare avrebbe dovuto essere instaurato con la società incorporante, vera e unica erede di tutti i rapporti giuridici, e non con la società ormai estinta.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva dichiarato inammissibile il reclamo. Secondo i giudici di secondo grado, proprio a causa dell’effetto successorio della fusione, anche la legittimazione a proporre reclamo si era trasferita in capo alla società incorporante. Pertanto, l’ex amministratore della società cessata non aveva più titolo per agire in giudizio.

Le Motivazioni della Cassazione e la Legittimazione dell’Amministratore

Contro questa decisione, l’ex amministratore ha presentato ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha ribaltato completamente la prospettiva, accogliendo il ricorso e affermando un principio di fondamentale importanza pratica.

I giudici di legittimità hanno chiarito che, sebbene la fusione determini l’estinzione della società incorporata e un fenomeno di successione universale in capo all’incorporante, ciò non elimina l’interesse personale e concreto dell’ex amministratore a contestare la dichiarazione di fallimento. L’amministratore, infatti, non agisce in rappresentanza della società estinta, ma in proprio, per tutelare una sua posizione giuridica soggettiva.

Questo interesse è duplice:
1. Interesse Morale e Penale: La dichiarazione di fallimento può essere il presupposto per la contestazione di reati fallimentari (come la bancarotta fraudolenta). L’ex amministratore ha un indubitabile interesse a evitare le conseguenze negative, anche sul piano reputazionale e penale, che possono derivare da una sentenza di fallimento. Nel caso specifico, l’amministratore era già destinatario di una richiesta di rinvio a giudizio per reati correlati al fallimento.
2. Interesse Patrimoniale: Dal fallimento possono scaturire azioni di responsabilità contro gli amministratori per la loro gestione. L’impugnazione della sentenza di fallimento è quindi un modo per prevenire possibili azioni legali che potrebbero avere un impatto diretto sul suo patrimonio personale.

La Cassazione ha sottolineato che l’art. 18 della Legge Fallimentare consente a “ciascun interessato” di impugnare la sentenza, e l’amministratore cessato rientra a pieno titolo in questa categoria.

Conclusioni

La Corte di Cassazione ha quindi cassato la sentenza della Corte d’Appello, rinviando la causa per un nuovo esame. Il principio affermato è di grande rilevanza: la legittimazione dell’amministratore di una società estinta per fusione a impugnare la successiva sentenza di fallimento sussiste ed è fondata su un interesse personale, attuale e concreto. L’estinzione della società non cancella gli effetti potenzialmente pregiudizievoli, sia penali che patrimoniali, che una declaratoria di fallimento può produrre direttamente nella sfera giuridica di chi l’ha amministrata. Questa decisione rafforza la tutela individuale degli amministratori di fronte a procedure concorsuali che, seppur formalmente rivolte a un soggetto giuridico non più esistente, possono avere ripercussioni personali devastanti.

L’amministratore di una società fusa per incorporazione può impugnare la sentenza di fallimento dichiarata dopo la fusione?
Sì, secondo la Corte di Cassazione l’amministratore cessato della società estinta ha la legittimazione a impugnare la sentenza di fallimento, poiché agisce in proprio per tutelare un interesse personale e concreto.

Perché l’amministratore cessato ha un interesse personale a impugnare il fallimento?
L’interesse è sia morale, per elidere gli effetti negativi che possono derivare da eventuali contestazioni di reati fallimentari, sia patrimoniale, in relazione a possibili azioni di responsabilità per la sua gestione che potrebbero essere avviate a seguito del fallimento.

Cosa succede alla società incorporata dopo una fusione per incorporazione?
La società incorporata si estingue e la società incorporante subentra in tutti i suoi rapporti giuridici, sia sostanziali che processuali, determinando un fenomeno di successione universale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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