Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8864 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8864 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 20872/2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
.
– Ricorrente –
Contro
NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all ‘ AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Controricorrenti –
Nonché contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
COMPRAVENDITA
(CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) .
Controricorrente –
Nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1516/2019 depositata il 04/04/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 27 marzo 2024.
Rilevato che:
con atto di citazione notificato in data 16/07/2014, NOME COGNOME, assumendo di essere socio unico di RAGIONE_SOCIALE (‘ RAGIONE_SOCIALE , convenne davanti al Tribunale di Milano, RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore giudiziale NOME COGNOME, e NOME COGNOME, nella qualità di compratrice di alcuni immobili ad essa ceduti dalla società, per ottenere la declaratoria di nullità o di annullamento della compravendita notarile del 27/06/2012, o perché fosse dichiarata l’inefficacia dell’atto ai sensi dell’art. 2901 , cod. civ., o infine la sua rescissione per lesione ultra dimidium ex art. 1448, cod. civ;
i convenuti, costituendosi, chiesero il rigetto delle domande per difetto di legittimazione attiva dell’attore e, quanto alla domanda di rescissione, ne eccepirono la prescrizione.
RAGIONE_SOCIALE propose anche domanda riconvenzionale affinché venisse dichiarata l’inesistenza e/o la nullità della deliberazione dell’assemblea dei soci di RAGIONE_SOCIALE del 03/08/2004 che revocava il
liquidatore giudiziale, e occorrendo, la nullità e/o inesistenza dell’atto di cessione di quote stipulato in data 27/07/2005, con ordine di cancellazione dell’atto dal registro delle imprese.
NOME COGNOME e NOME COGNOME, germani dell’attore, nella loro veste di soci della RAGIONE_SOCIALE con una partecipazione del 60%, spiegarono intervento volontario e chiesero il rigetto della domanda del fratello e, in via riconvenzionale, l’accertamento che essi erano titolari della quota dichiarata;
il Tribunale di Milano, con sentenza n. 8909/2017, rigettò le domande dell’attore per carenza di legittimazione ad agire, a causa della mancanza della qualità di socio; dichiarò che si era formato il giudicato sulla titolarità in capo a NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella misura del 30% ciascuno, delle quote societarie, nonché sull’inefficacia della delibera zione assembleare del 03/08/2004 e dell’atto di cessione di quote del 21/07/2005 , e ordinò la cancellazione dal registro delle imprese dell’atto di revoca del liquidatore giudiziale NOME COGNOME, di cui al verbale dell’assemblea dei soci del 03/08/2004; infine, aderendo alle domande dei convenuti e intervenienti , condannò l’attore al risarcimento dei danni ex art. 96, cod. proc. civ.;
proposta impugnazione da l soccombente, la Corte d’appello di Milano, nella resistenza delle altre parti, ha respinto l’appello e ha condannato l’appellante al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96, cod. proc. civ., nella misura di € 10.000,00, in favore di ciascun appellato;
la decisione della Corte di Milano, per quanto qui rileva, in sintesi, si fonda sulle seguenti ragioni:
(a) NOME COGNOME ha agito in giudizio spendendo la qualità di socio unico della RAGIONE_SOCIALE, in forza dell’atto di cessione delle quote del 21/07/2005, atto la cui nullità, al contrario di quanto afferma
l’appellante, è stata accertata, con efficacia di giudicato, in numerosi giudizi: sentenze nn. 6673/2005, 2790/2005, del Tribunale di Milano; sentenza n. 4771/2015, anch’essa passata in giudicato, con cui la Corte d’ appello di Milano, quale giudice del rinvio (in esito a Cass. pen. n. 51174/2013, che aveva dichiarato estinti per prescrizione i reati di falso ideologico, contestati a NOME COGNOME e NOME COGNOME) ha (ri)affermato che, in ragione di quanto accertato dalla sentenza n. 2417/1991 del Tribunale civile di Milano (confermata dalla Corte d’ appello e dalla Cassazione), avente ad oggetto la divisione di eredità, doveva ritenersi accertata in capo a NOME COGNOME e a NOME COGNOME la titolarità del 60% delle quote societarie. La stessa Corte, sulla base di detto assunto, ha ribadito perciò la nullità dell’atto di trasferimento delle quote avendo con esso NOME COGNOME (anche quale procuratore speciale di NOME COGNOME e NOME COGNOME) falsamente dichiarato al notaio rogante di vendere a NOME COGNOME l’intero capitale sociale della società, dichiarazione della cui falsità era pienamente consapevole lo stesso NOME COGNOME.
La sentenza n. 4771/2015, nel confermare la condanna al risarcimento del danno patito da NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha affermato, altresì, non solo la nullità, ma l ‘illiceità dell’atto, ex art. 1418, cod. civ., che era il punto di approdo di una serie di condotte già sanzionate con le quali NOME COGNOME aveva cercato ‘di mettere le mani con mezzi illeciti sul patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, a danno dei proprietari della maggioranza del capitale sociale’, con ciò negando, in radice, per l’accertata nullità della causa, la possibilità di conversione del negozio sostenuta dall’appellante.
Del resto, spiega il giudice d’appello, anche a voler accedere alla tesi della prospettata e perdurante validità dell’atto per la parte non colpita da nullità, tale conclusione poggerebbe sull’investigazione e
sull’accertamento dell’effettiva volontà dei contraenti, ciò che nella specie non sarebbe consentito per l’assenza di specifiche deduzioni sul punto da parte dell’appellante, nulla essendo stato dedotto né chiesto di provare in prime cure, sicché difetterebbero comunque i presupposti per affermare, come sostenuto da NOME COGNOME, che egli sarebbe legittimato all’introduzione delle domande di nullità, rescissione, simulazione, in quanto socio al 40% della società.
Per di più , come già affermato dal giudice di prime cure, l’atto in questione non era mai nemmeno stato depositato né trascritto presso il registro delle imprese, rimanendo perciò inopponibile alla società a norma dell’art. 2470, cod. civ.
Il Tribunale ha inoltre accertato che si è formato il giudicato anche sull’inefficacia della deliberazione assembleare del 03/08/2004: l’accertamento è necessitato dalla domanda riconvenzionale della società , nonché dalla prospettazione dell’attore secondo cui il contratto di cessione dei beni della società oggetto del giudizio deve ritenersi invalido posto che, revocata con detta delibera la nomina del liquidatore giudiziale NOME COGNOME , quest’ultimo avrebbe agito in nome e per conto della società come falsus procurator ;
(b) è corretta la statuizione del Tribunale che ha negato l’asserito ‘accrescimento’ della propria quota sociale, rivendicato dall’a ttore, ex artt. 674 e 2949, cod. civ., per effetto del decorso del termine di cinque anni dall’iscrizione nei libro soci di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali titolari del 40% delle quote (come ordinato dal Tribunale di Milano con sentenza n. 2417/1991), in ragione del fatto che, nell’ottica di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME NOME non avrebbero mai chiesto l’iscrizione delle loro quote nel libro soci né avrebbero mai contestato l’accrescimento .
Ebbene, osserva la Corte di Milano, NOME COGNOME non ha indicato l’ipotetica fonte del potere che gli avrebbe consentito di annotare nel libro soci l’accrescimento delle quote, né ha esibito il libro soci, sicché non è nemmeno possibile desumere quando la prospettata annotazione sarebbe stata iscritta, anche ai fini del decorso di un’eventuale prescrizione . Peraltro, come sottolineato dal Tribunale, l’attore si è sempre rifiutato di mettere il libro soci a disposizione del liquidatore giudiziale e, quindi, in ogni caso, egli non si potrebbe avvantaggiare della dedotta inerzia degli altri soci, i quali non avevano accesso al libro soci;
(c) è condivisibile la condanna dell’attore al risarcimento dei danni ex art. 96, cod. proc. civ, disposta dal Tribunale: la parte ha agito in giudizio in mala fede, spendendo la qualità di socio unico della RAGIONE_SOCIALE, pur essendo consapevole che in numerosi giudizi, coperti da giudicato, tale sua qualità era stata esclusa e che, invece, era stata riconosciuta, sempre da sentenze passate in giudicato, la legittimazione di NOME COGNOME (indicato dall’attore come falsus procurator ) ad agire in nome e per conto della società;
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso;
Considerato che:
il primo motivo di ricorso -‘Violazione ed errato esame ed applicazione delle prove poste a fondamento della decisione in relazione all’articolo 360 c.p.c. n. 3 e 5 (artt. 11 5 e 116 cpc, 2697, 1419, 2949 e 674 c.c.) ‘ -lamenta che, al contrario di quanto asserisce la sentenza impugnata, non esiste alcun giudicato che abbia
stabilito che NOME COGNOME e NOME COGNOME sono titolari del 60% del capitale sociale.
Sotto altro profilo, anche a volere ammettere tale circostanza, la Corte d’appello, la cui motivazione sul punto è erronea e smentita dalla documentazione depositata dall’attore (procure speciali di NOME COGNOME e di NOME COGNOME a NOME COGNOME, affi nché quest’ultimo provvedesse alla vendita delle quote in favore di NOME COGNOME), avrebbe dovuto riconoscere la legittimazione attiva di quest’ultimo nella qualità di socio detentore del 40% del capitale sociale;
1.1. il motivo è inammissibile per le seguenti ragioni:
(i) in primo luogo, il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed+ esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall ‘ art. 360, cod. proc. civ.
Nella specie, il complesso motivo di ricorso, sussunto, contemporaneamente, nei diversi paradigmi della violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), e dell” omesso esame ‘ ( ibidem n. 5), contiene – in sostanza – una critica del tutto generica, inammissibilmente ampia e incerta nella fisionomia, che finisce col demandare a questa Corte, in modo non consentito, il compito di sostituirsi al ricorrente e di enucleare, dall’insieme indistinto delle doglianze congiuntamente proposte, autonomi profili di censura (Cass. 18/04/2018, n. 9486).
Si aggiunga che le critiche, formulate in maniera generica, riguardano la sta tuizione della Corte d’appello che , sulla base di una
motivazione ampia e puntuale, afferma che la qualità di socio dell’attore è stata esclusa da numerose pronunce passate in giudicato, compresa la sentenza della Corte d’appello n. 4771/2015, che, da un lato, conferma che NOME e NOME COGNOME sono titolari del 60% delle quote della società; dall’altro, ribadisce la nullità (o, meglio, la palese illiceità) d ell’atto di cessione delle quote del 21/07/2005, dal quale l’attore avrebbe tratto (appunto, in quanto socio) la propria legittimazione ad agire;
(ii) in secondo luogo, è stato chiarito ( ex multis , Cass. 29/10/2018, n. 27415) come «l ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall ‘ art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell ‘ ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all ‘ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l ‘ omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un ‘ fatto ‘ , agli effetti dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una ‘ questione ‘ o un ‘ punto ‘ , ma un vero e proprio ‘ fatto ‘ , in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U, 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa,
‘ fatti ‘ , il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il ‘ vario insieme dei materiali di causa ‘ (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439).».
È quindi inammissibile il riferimento, da parte del ricorrente, al vizio di cui al n. 5, dell’articolo 360, a supporto della tesi difensiva del l’insussistenza di un giudicato che abbia accertato che egli non è socio della RAGIONE_SOCIALE e che perciò (per quanto qui rileva) è privo di legittimazione attiva;
(iii) terzo, sempre con riferimento al vizio di cui al n. 5, dell’art. 360, cod. proc. civ., si verifica l’ipotesi della c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell’articolo 348 -ter , quarto e quinto comma, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità della doglianza di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., quando la sentenza di appello «conferma la decisione di primo grado» e risulta «fondata sulle stesse ragioni», inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’). Nella specie, detto che entrambe le sentenze di merito hanno negato la legittimazione ad agire dell’attore sul rilievo che plurimi giudicati hanno sancito che egli non è socio della RAGIONE_SOCIALE, la doglianza è inammissibile perché il ricorrente non indica, nel rispetto dell’art. 366, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., sotto quale profilo siano tra loro diverse le ragioni di fatto su cui si fondano, rispettivamente, la decisione di primo grado e quella di appello ( ex multis , Cass. n. 5947 del 2023);
il secondo motivo -‘ Violazione ed errato esame ed applicazione delle prove poste a fondamento della decisione (artt. 115 e 116 cpc, 2697, 1419, 2949 e 674 c.c.) -omissione e
travisamento di fatti in relazione a punti decisivi della controversia. Omessa o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (Art. 360, nn. 3 e 5 cpc) ‘ -censura la sentenza impugnata che, con motivazione generica, si limita ad affermare che le sentenze menzionate dalla decisione di prime cure, le quali non vengono neppure riportate dalla sentenza d’appello, benché riferite a delibere successive a quella del 03/08/2004 di revoca del liquidatore (NOME COGNOME), coinvolgerebbero anche tale delibera, senza considerare che, in verità, la deliberazione del 03/08/2004, con la quale l’assemblea dei soci aveva revocato il liquidatore, non è stata mai impugnata e, pertanto, è rimasta valida ed efficace;
2.1. il motivo è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse;
2.2. infatti, una volta appurato che è corretta la decisione dei giudici di merito che hanno negato la legittimazione ad agire dell’attore e che in conseguenza di ciò hanno respinto le sue domande, diventa superfluo discettare sulla validità o meno della deliberazione assembleare del 03/08/2004, che revoca il liquidatore giudiziale, la quale , ovviamente, non è idonea ad incidere sull’esito del giudizio;
il terzo motivo -‘Violazione/erronea applicazione dell’art. 96 cpc nonché contradditoria motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360, nn. 3 e 5 cpc)’ censura la sentenza che, con motivazione contraddittoria e illogica, ha reputato legittima la condanna dell’attore al risarcimento dei danni ex art. 96, cod. proc. civ.;
3.1. il motivo è inammissibile per le stesse ragioni indicate al punto 1.1. ed è anche infondato.
Il giudice di merito, con motivazione congrua e priva di vizi logici, ha reputato legittima la condanna per responsabilità aggravata (art.
96, cod. proc. civ.), sul rilievo, conseguente all’ accertamento di fatto che è prerogativa del giudice di merito, che egli abbia agito in mala fede, spendendo la qualità di socio unico della RAGIONE_SOCIALE benché tale sua qualità fosse stata esclusa (pag. 13 della sentenza) ‘in plurimi giudizi’ ;
in conclusione, rigettato il terzo motivo, dichiarati inammissibili il primo e il secondo motivo, il ricorso è rigettato;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza; tuttavia, non ricorrono i presupposti per la condanna ex art. 96, cod. proc. civ., sollecitata dai controricorrenti;
6. a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in favore di NOME COGNOME e di NOME COGNOME in € 5.000,00, più € 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge; in favore di NOME COGNOME in € 5.000,00, più € 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge; in favore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione in € 5.000,00, più € 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2024.