Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25603 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25603 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20405/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO
pec:
-controricorrente-
nonchè contro COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME e domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, pec:
-controricorrente-
nonchè contro COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME e domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 681/2021 depositata il 07/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente utilizzatrice in RAGIONE_SOCIALE di una barca a motore e fideiussore, proposero opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Pesaro su richiesta della RAGIONE_SOCIALE e per essa della mandataria RAGIONE_SOCIALE intimante il pagamento della somma di € 85.460,83, a titolo di canoni scaduti e non corrisposti, oltre l’ indennizzo, chiedendo, in via principale di revocare il decreto ingiuntivo per inesistenza del credito della concedente, e in via riconvenzionale di accertare l’intervenuta stipula di un contratto di RAGIONE_SOCIALE traslativo, con applicazione dell’art. 1526 c.c. , condannando la concedente a restituire i canoni corrisposti dagli opponenti per un totale di € 64.573,1, e dichiarando la nullità della clausola contrattuale in ragione della quale la concedente poteva richiedere, oltre alla già ottenuta restituzione del bene, anche il pagamento dei canoni insoluti
e di quelli non ancora scaduti alla data della risoluzione ed il prezzo dell’eventuale acquisto finale a titolo di indennizzo;
la convenuta, nel costituirsi in giudizio, eccepì la tardività dell’opposizione e comunque la sua infondatezza; nelle more del giudizio diede atto del l’avvenuta rivendita del bene a terzi, con la conseguente riduzione della domanda monitoria;
il Tribunale di Pesaro, dichiarata inammissibile per tardività l’opposizione del COGNOME, ritenne che il RAGIONE_SOCIALE non fosse traslativo, che non potesse dirsi nulla la clausola contrattuale che prevedeva il diritto della concedente alla corresponsione dei canoni non ancora scaduti al momento della risoluzione, e che non potesse riconoscersi il diritto della utilizzatrice alla restituzione dei canoni versati -con la conseguente condanna della COGNOME al pagamento della somma intimata di € 85.460,83 , detratto l ‘importo di € 25.000, ottenuto dalla rivendita del bene; il giudice ritenne infatti che la clausola penale non potesse ritenersi eccessiva, avendo le parti espressamente previsto che il prezzo incassato dalla vendita dell’unità da diporto (€ 25.000) fosse imputato a deconto delle ragioni di credito della parte concedente;
a seguito di appello dei soccombenti la Corte d’Appello di Ancona con sentenza n. 681 pubblicata in data 7/6/2021, in parziale accoglimento del gravame, ha revocato il decreto ingiuntivo soltanto nei confronti della COGNOME e, in accoglimento della domanda riconvenzionale della medesima, ha condannato la società di RAGIONE_SOCIALE a restituire la somma di € 64.573,10 versata in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi legali; a base della decisione, ha posto la qualificazione del contratto di RAGIONE_SOCIALE quale RAGIONE_SOCIALE traslativo, anche in ragione della lenta obsolescenza del bene e della tipologia del canone pattuito, che rendeva il valore residuo del bene di gran lunga superiore al prezzo di opzione finale o di riscatto, essendo le rate comprensive sia del canone di locazione sia del pagamento di una parte del prezzo del bene; ha considerato, ai fini della
qualificazione del contratto, la sproporzione tra l’esiguo importo del prezzo previsto per l’opzione di acquisto e il rilevante costo della locazione; ha poi riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rigettato la domanda riconvenzionale della utilizzatrice volta ad ottenere la restituzione dei canoni già versati, ritenendo che al RAGIONE_SOCIALE traslativo dovesse trovare applicazione la disciplina inderogabile dell’art. 1526, primo comma c.c.
avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito, propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi;
RAGIONE_SOCIALE aderisce al ricorso con proprio controricorso;
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con distinti controricorsi;
Considerato che:
con il primo motivo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1526 comma secondo c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. – la ricorrente impugna la sentenza nella parte in cui la stessa ha accolto la domanda riconvenzionale dell’opponente alla restituzione di tutti i canoni medio tempore versati in attuazione dell’art. 1526, 1° comma c.c. senza considerare l’art. 1526, 2 comma secondo cui è possibile convenire che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo di indennità, come previsto dall’art. 21 delle Condizio ni Generali di contratto; quindi riconoscere il diritto della utilizzatrice ad ottenere l’integrale restituzione delle ra te pagate contravveniva a quanto espressamente previso dall’art. 1526, secondo comma c.c. che consente propriamente di pattuire la irripetibilità dei canoni già versati;
il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha, in ragione del potere di interpretazione del contratto rimesso al giudice del merito, qualificato la fattispecie quale RAGIONE_SOCIALE traslativo, cioè quale RAGIONE_SOCIALE funzionale al trasferimento della proprietà del bene il quale è suscettibile di conservare alla scadenza del rapporto un valore residuo
particolarmente apprezzabile e superiore al prezzo di riscatto, per cui tale riscatto non costituisce un’eventualità marginale e accessoria ma rientra nella funzione dalle parti assegnata al contratto; l’imbarcazione, infatti, per sua natura non è soggetta a rapidi logorii e disfacimenti, sia in caso di uso che di fermo, né rientra tra quei beni a rapida obsolescenza come ad esempio quelli di tipo tecnologico; coerente con la qualificazione del contratto è anche la previsione contrattuale dell’applicazione dell’art. 1526 c.c. e dunque la restituzione dei canoni già versati con trattenimento di un equo compenso per l’utilizzo dei beni che possa remunerare il solo godimento; la soluzione è conforme al più recente indirizzo di questa Corte che, pronunciando su una questione di massima di particolare importanza con la sentenza delle sezioni unite n. 2061 del 2021, ha ritenuto che, non avendo la legge n. 124 del 2017 (che ha tipizzato il RAGIONE_SOCIALE) carattere retroattivo, ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore continua ad applicarsi la distinzione tra RAGIONE_SOCIALE di godimento e RAGIONE_SOCIALE traslativo, con applicazione analogica, per questa seconda tipologia di contratti, della disciplina della vendita con riserva di proprietà di cui all’art. 1526 c.c.; questa soluzione è l’unica compatibile con il principio di irretroattività delle norme, con la tutela del legittimo affidamento e con la salvaguardia dei diritti quesiti (Cass., U, n. 2061 del 2021); in tal senso si pongono numerose pronunce a sezioni semplici (ad eccezione della recente Cass. 7527/2024, rimasta peraltro isolata, ed emessa, peraltro, in relazione a fattispecie del tutto peculiare) che hanno fatto seguito alla richiamata pronuncia; si veda a titolo esemplificativo Cass., 3, n. 26531 del 30/9/2021 ‘ In tema di RAGIONE_SOCIALE finanziario, per i contratti risolti anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 124 del 2017, che non ha effetti retroattivi, resta valida la distinzione tra RAGIONE_SOCIALE di godimento e RAGIONE_SOCIALE traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento
dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente l’art. 72 quater l.fall.; ne consegue l’esclusione della declaratoria di nullità della clausola cd. di confisca (volta a consentire al concedente di ottenere, quale penale, sia i canoni riscossi sia il mantenimento della proprietà del bene) e la necessità della deduzione dell’omesso esercizio del potere di riduzione della penale da parte del giudice di appello cui spetta il potere officioso di applicare l’art. 1384 c.c., il cui rilievo può avvenire a istanza di parte e, integrando un’eccezione in senso lato, può avvenire anche da parte giudice di legittimità, a condizione che non siano necessari accertamenti di fatto ‘; Cass., 3, n. 1581 del 24/1/2020: ‘ L’applicazione al RAGIONE_SOCIALE traslativo della disciplina di carattere inderogabile di cui all’art. 1526 c.c. in tema di vendita con riserva della proprietà comporta, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione dei canoni già corrisposti e il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni, tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi. Ne consegue che il concedente, mantenendo la proprietà della cosa ed acquisendo i canoni maturati fino al momento della risoluzione, non può ottenere un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene ‘;
con il secondo motivo -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1526 comma 1 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. -la ricorrente lamenta che, anche nell’ipotesi di applicazione dell’art. 1526 primo comma c.c., la sentenza sarebbe da cassare per non aver previsto la determinazione dell’equo compenso in favore della concedente a fronte della restituzione dei canoni versati;
il motivo è anch’esso infondato , per avere la sentenza impugnata debitamente motivato circa la decisione di non riconoscere l’equo compenso dell’uso del bene in quanto pretesa avulsa dal presente giudizio, nel quale la società appellata si è limitata a chiedere il rigetto
dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto, senza neppure ipotizzare gli effetti di una eventuale riforma della sentenza e proporre appello incidentale condizionato;
non facendo dunque parte della domanda e in assenza di appello incidentale, la questione dell’equo compenso non può essere scrutinata in questa sede, alla luce dei principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo i quali ‘il diritto all’equo compenso, così come quello al risarcimento del danno, costituiscono autonome pretese che, se esercitate nel corso del giudizio, necessitano di apposita tempestiva domanda (Cass., n. 19287 del 2010); e ancora ‘l’entità dell’equo indennizzo è questione che implica apprezzamenti di fatto di esclusiva pertinenza del giudice del merito e, in presenza di congrua motivazione, non possono essere oggetto di riesame in sede di legittimità’ (Cass., 3, n. 6578 del 2013);
conclusivamente il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore di ciascuna parte controricorrente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore di ciascuna parte controricorrente, che liquida in € 5.200 (di cui € 200 per esborsi), oltre accessori e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione