Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14989 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14989 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9344-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DI RAGIONE_SOCIALE;
– intimato – avverso il DECRETO N. 105/2019 DEL TRIBUNALE DI MODENA, depositato in data 11/2/2019;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 16/4/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. RAGIONE_SOCIALE ha chiesto di essere ammessa al passivo del RAGIONE_SOCIALE, per la somma dovuta dalla società fallita per canoni di leasing scaduti ed insoluti al momento della risoluzione del contratto.
1.2. Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha rigettato la domanda.
1.3. Il tribunale, in particolare, dopo aver evidenziato che ‘ l ‘ avvenuta risoluzione del contratto di leasing in epoca ante fallimento costituisce dato pacifico tra gli odierni contendenti ‘, essendosi verificata in data 24/3/2015, laddove il fallimento è stato dichiarato con sentenza del 14/11/2017, ha ritenuto che, a fronte della risoluzione del contratto in epoca precedente alla dichiarazione di fallimento, non trova, di conseguenza, applicazione la norma prevista dall ‘ art. 72 quater l.fall., e che, trattandosi di leasing traslativo, il contratto in questione è assoggettato alla disciplina dettata dall ‘ art. 1526 c.c., con la conseguenza che il concedente deve restituire i canoni riscossi ma ha il diritto di percepire dall ‘ utilizzatore un equo compenso e il risarcimento del danno.
1.4. L ‘ opponente, infatti, ha osservato il tribunale, non ha fornito alcun elemento idoneo ad escludere la natura non traslativa del leasing in questione, laddove, al contrario, la curatela ha fornito elementi, non contestati, di sicuro rilievo, come ‘ l ‘ assetto economico delineato (con riferimento all ‘ importo della rata finale, parametrato a quello delle singole rate), e la natura del bene oggetto di locazione (stabilimento industriale) ‘.
1.5. D ‘ altra parte, ha aggiunto il tribunale, neppure può essere invocata, a sostegno della domanda di ammissione proposta dall ‘ opponente, la clausola prevista dall ‘ art. 19 del contratto, secondo la quale ‘ in tutte le ipotesi di (risoluzione) resta convenuto che il concedente avrà diritto … a pretendere il rimborso in unica soluzione ‘, trattandosi , invero, di una pattuizione che, per la ‘ sua vaghezza e indeterminatezza ‘ , non appronta una completa disciplina degli effetti risolutivi del contratto tale da poter escludere l ‘ applicazione dell ‘ art. 1526,
comma 1°, c.c., che riconosce alla concedente unicamente il diritto all ‘ equo indennizzo e il risarcimento del danno, e che, se non è nulla, dev ‘ essere nondimeno interpretata, nel dubbio, in senso sfavorevole alla predisponente, vale a dire nel senso che il termine ‘ rimborso ‘ previsto dalla stessa fa rifer imento proprio all ‘ equo indennizzo e al risarcimento del danno previsto dalla norma comune dell ‘art. 1526, comma 1°, c.c., e ‘ non ad altre poste economiche, quali, ad esempio, i canoni scaduti, o quelli a scadere, o altre ancora ‘.
1.6. RAGIONE_SOCIALE, con ricorso notificato il 13/3/2019 e illustrato da memoria, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto.
1.7. Il RAGIONE_SOCIALE è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione dell ‘ art. 72 quater l.fall., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che il contratto stipulato con la società poi fallita doveva essere qualificato come un leasing traslativo e che lo stesso, essendo stato risolto prima della dichiarazione di fallimento dell ‘ utilizzatrice, era assoggettato non alla norma prevista dall ‘ art. 72 quater l.fall. ma a quella di cui all ‘ art. 1526 c.c., senza, tuttavia, considerare che: – il contratto in questione non presenta alcun elemento dal quale desumere l ‘ originaria e comune intenzione delle parti di stipulare un contratto di leasing traslativo; – l ‘ art. 72 quater l.fall. non distingue tra leasing traslativo e leasing di godimento, dando rilievo esclusivo alla funzione di finanziamento, e trova applicazione anche nel caso di anticipata risoluzione del contratto ad opera del concedente rispetto al fallimento dell ‘ utilizzatore inadempiente; -la concedente, a fronte
dell ‘ intervenuta risoluzione del contratto, ha, comunque, maturato, quand ‘ anche fosse applicabile l ‘ art. 1526, comma 2°, c.c., oltre all ‘ equo compenso, il diritto al risarcimento del danno in misura pari ai canoni scaduti e insoluti al momento della risoluzione del contratto.
2.2. Il motivo è inammissibile. Escluso, invero, ogni rilievo alla dedotta impossibilità di qualificazione del contratto in termini di leasing traslativo, non avendo la ricorrente indicato, in ricorso, con la riproduzione della relativa emergenza dagli atti del giudizio, gli elementi fattuali che ne avrebbero imposto la qualificazione come leasing di godimento, dev ‘ essere, in effetti, solo ribadito che: – in materia di leasing , la disciplina di cui all ‘ art. 1, commi 136-140, della l. n. 124/2017 non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l ‘ entrata in vigore della legge stessa; – per i contratti anteriormente risolti (come quello in esame) resta, pertanto, valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con la conseguente applicazione analogica, a quest ‘ ultima figura, della disciplina dell ‘ art. 1526 c.c., e ciò anche se la risoluzione sia stata (come nel caso di specie) seguita dal fallimento dell ‘ utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente l ‘ art. 72 quater l.fall. (Cass. SU n. 2061 del 2021; conf., Cass. n. 26531 del 2021; Cass. n. 28037 del 2023).
2.2. Con il secondo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione dell ‘ art. 1526, comma 2°, c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che la concedente, a fronte dell ‘ intervenuta risoluzione del contratto prima della dichiarazione di fallimento, non avesse maturato il diritto al pagamento dei canoni scaduti e insoluti, senza,
tuttavia, considerare che il contratto in questione contiene, all ‘ art. 19, una clausola penale la quale prevede, in conformità a quanto stabilito dall ‘ art. 1526, comma 2°, c.c., che, in caso di risoluzione anticipata, la concedente ha il diritto, oltre che di trattenere i canoni pagati, anche di chiedere, a titolo di risarcimento dei danni, il pagamento dei canoni scaduti e insoluti al momento della risoluzione nonché di quelli a scadere e del prezzo d ‘ opzione, detratto da tale debito tutto quanto fosse stato ricavato dalla concedente medesima con la vendita o il riutilizzo del bene. La concedente, quindi, ha concluso la ricorrente, ha il diritto all ‘ ammissione al passivo in misura pari ai canoni scaduti e insoluti al momento della risoluzione del contratto anche perché tale somma corrisponde, di fatto, all ‘ equo compenso spettante alla stessa per l ‘ uso del bene da parte della società fallita.
2.3. Il motivo è inammissibile, al pari dell ‘ ultima censura contenuta nel primo. La ricorrente, infatti, non si confronta con il decreto che ha impugnato: il quale, invero, non ha affatto escluso, come la stessa pretende, che la concedente avesse il diritto, in forza della clausola penale contenuta nell ‘ art. 19 del contratto, di ottenere, a titolo di risarcimento dei danni, il pagamento dei canoni scaduti e insoluti al momento della risoluzione, ma ha, più semplicemente, affermato, con statuizione rimasta incensurata, che la clausola in questione, secondo la quale ‘ in tutte le ipotesi di (risoluzione) resta convenuto che il concedente avrà diritto … a pretendere il rimborso in unica soluzione ‘, d oveva essere interpretata, per la ‘ sua vaghezza e indeterminatezza’ , nel (solo) senso che il termine ‘ rimborso ‘ previsto dalla stessa fa esclusivo riferimento all ‘ equo indennizzo e al risarcimento del danno previsto dalla norma comune dell ‘art. 1526, comma 1°, c.c., e ‘ non ad altre
poste economiche, quali, ad esempio, i canoni scaduti, o quelli a scadere, o altre ancora ‘.
2.4. Il sindacato di legittimità, del resto, non pu ò, com’è noto, vertere sul risultato interpretativo in s é (che appartiene all ‘ ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito), afferendo lo stesso alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con la conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca (come, implicitamente, pretende la ricorrente) in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati. Ne consegue che la denuncia in cassazione di un errore di diritto nell ‘ interpretazione di una clausola contrattuale non può limitarsi al richiamo (nella specie neppure svolto) delle regole di cui agli artt. 1362 e s. c.c., essendo necessario specificare i canoni che in concreto assuma violati e, in particolare, il punto e il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, giacch é le doglianze non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l ‘ interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, non dovendo quest ‘ ultima essere l ‘ unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni. Pertanto, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l ‘ interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che è stata privilegiata l ‘ altra (Cass SU n. 2061 del 2021, in motiv.).
2.5. D ‘ altra parte, non v ‘ è dubbio che, nel leasing traslativo (come tale dovendosi, ormai definitivamente, qualificare il contratto stipulato tra l ‘ opponente e la società poi fallita), in ipotesi di risoluzione anticipata per inadempimento dell’utilizzatore, le parti possono convenire, con pattuizioni
aventi natura di clausole penali, il diritto del concedente di trattare i canoni già versati dall’utilizzatore (art. 1526, comma 2°, c.c.) ovvero l’obbligo di quest’ultimo di versare una somma corrispondente ai canoni scaduti e/o a scadere (art. 1382 c.c.), con la detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito, essendo tali clausole coerenti con la previsione contenuta nell’art. 1526, comma 2°, c.c. (cfr., rispettivamente, Cass. n. 10249 del 2022, Cass. n 7367 del 2023 e Cass. n. 28022 del 2021).
2.6. Il concedente che voglia far valere il credito (risarcitorio) previsto da tali clausole (al pari di quello relativo all’equo compenso) ha, tuttavia, l’onere (che, nel caso in esame, non risulta, alla luce di quanto esposto in ricorso, adempiuto) di proporre la relativa domanda di ammissione al passivo in seno alla quale, invocando ai fini del risarcimento del danno l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, dovrà offrire al giudice delegato la possibilità di apprezzare (anche in via ufficiosa) se detta penale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1526, comma 2°, c.c. e, più in generale, dell’art. 1384 c.c. (di cui la predetta norma costituisce applicazione), sia equa ovvero manifestamente eccessiva, indicando la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, allegando alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa (Cass. SU n. 2061 del 2021, in motiv.).
Il ricorso, per l’inammissibilità di tutti i suoi motivi, è, a sua volta, inammissibile : e come tale dev’essere dichiarato.
Nulla per le spese di giudizio, in difetto di costituzione del RAGIONE_SOCIALE, rimasto intimato.
5. La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima