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Leasing traslativo: regole pre-fallimento e clausole

Una società di leasing ha richiesto l’ammissione al passivo fallimentare per canoni insoluti derivanti da un contratto di leasing traslativo risolto prima del fallimento. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che in tali casi si applica l’art. 1526 c.c. e non la legge fallimentare, e ha sottolineato l’onere del creditore di provare gli elementi per la valutazione delle clausole penali.

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Leasing Traslativo e Fallimento: la Cassazione fa chiarezza sulla risoluzione anticipata

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 14989 del 28 maggio 2024 affronta un tema cruciale per le società di leasing: la disciplina applicabile ai contratti di leasing traslativo risolti per inadempimento prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore. La decisione ribadisce principi consolidati e sottolinea gli oneri probatori a carico della società concedente che intende far valere i propri crediti.

I Fatti di Causa: la richiesta della società di leasing

Una società finanziaria aveva stipulato un contratto di leasing immobiliare per uno stabilimento industriale con un’altra società. A seguito dell’inadempimento dell’utilizzatrice, il contratto era stato risolto. Successivamente, la società utilizzatrice veniva dichiarata fallita.
La società di leasing ha quindi chiesto di essere ammessa al passivo del fallimento per una somma corrispondente ai canoni scaduti e non pagati fino al momento della risoluzione.
Il Tribunale ha respinto la domanda. I giudici di merito hanno qualificato il contratto come leasing traslativo e, poiché la risoluzione era avvenuta prima della dichiarazione di fallimento, hanno ritenuto applicabile la disciplina dell’art. 1526 del Codice Civile. Secondo tale norma, il concedente deve restituire i canoni riscossi, ma ha diritto a un equo compenso per l’uso del bene e al risarcimento del danno. Il Tribunale ha inoltre interpretato una clausola contrattuale, che prevedeva un “rimborso in unica soluzione”, in modo restrittivo, ritenendola troppo generica per giustificare il pagamento di tutti i canoni scaduti.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso della società di leasing inammissibile, confermando di fatto la decisione del Tribunale. I motivi del ricorso sono stati ritenuti infondati o non correttamente formulati, portando a una chiusura definitiva della questione per questo specifico caso.

Le Motivazioni: la disciplina del leasing traslativo pre-fallimento

La Corte ha basato la sua decisione su alcuni principi giuridici fondamentali.

La distinzione cruciale nel leasing traslativo antecedente al fallimento

Il punto centrale della controversia era stabilire quale legge applicare. La società ricorrente invocava l’art. 72-quater della Legge Fallimentare, che disciplina gli effetti del fallimento sui contratti di leasing. La Cassazione, tuttavia, ha ribadito un orientamento consolidato (richiamando le Sezioni Unite n. 2061/2021): la disciplina fallimentare si applica solo se il contratto è ancora in corso al momento della dichiarazione di fallimento.
Se, come nel caso di specie, il contratto è stato risolto prima, si ritorna alla disciplina civilistica generale. Qui emerge la distinzione tra:
1. Leasing di godimento: la cui funzione è solo concedere l’uso del bene. In caso di risoluzione, si applicano le regole generali sulla locazione.
2. Leasing traslativo: in cui lo scopo finale è il trasferimento della proprietà. Per questo tipo di contratto, si applica in via analogica l’art. 1526 c.c., previsto per la vendita con riserva di proprietà.
La Corte ha specificato che la nuova legge sul leasing (L. 124/2017), che ha superato questa distinzione, non è retroattiva e non si applica ai contratti risolti prima della sua entrata in vigore.

L’interpretazione della clausola penale e l’onere della prova

Un altro motivo di ricorso riguardava l’interpretazione di una clausola del contratto (art. 19) che, secondo la società di leasing, le dava diritto a ottenere il pagamento dei canoni scaduti e insoluti come risarcimento del danno.
La Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile perché la società non ha contestato correttamente l’interpretazione data dal Tribunale. Il sindacato di legittimità, infatti, non può sostituire l’interpretazione del giudice di merito con una diversa, ma può solo verificare che siano stati rispettati i canoni legali di ermeneutica contrattuale (art. 1362 e ss. c.c.).
La Corte ha colto l’occasione per ricordare un principio fondamentale: anche quando una clausola penale è validamente pattuita, il concedente che agisce in giudizio ha un onere specifico. Deve fornire al giudice tutti gli elementi per valutare se la penale sia equa o manifestamente eccessiva (come previsto dagli artt. 1526 e 1384 c.c.). In particolare, deve allegare una stima attendibile del valore di mercato del bene al momento della restituzione, per permettere al giudice di calcolare il danno effettivo e, se necessario, ridurre la penale.
Nel caso in esame, la società ricorrente non aveva adempiuto a questo onere, rendendo la sua pretesa risarcitoria non accoglibile.

Le Conclusioni: implicazioni pratiche per le società concedenti

L’ordinanza offre importanti indicazioni operative per le società di leasing:
1. Attenzione al momento della risoluzione: La disciplina applicabile cambia radicalmente a seconda che il contratto sia risolto prima o dopo la dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore.
2. Chiarezza delle clausole penali: Le clausole che stabiliscono l’indennizzo in caso di risoluzione devono essere formulate in modo chiaro e specifico, per evitare interpretazioni restrittive da parte dei giudici.
3. Onere della prova: Quando si chiede l’adempimento di una clausola penale, non è sufficiente invocarla. È essenziale fornire al giudice la prova del valore del bene recuperato (o una stima attendibile), per consentirgli di valutare l’equità della pretesa e prevenire riduzioni o rigetti.

Quale norma si applica a un contratto di leasing traslativo risolto prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore?
Si applica la disciplina dell’art. 1526 del Codice Civile in via analogica. Non si applica la norma speciale prevista dalla legge fallimentare (art. 72 quater l.fall.), poiché quest’ultima presuppone che il contratto sia ancora pendente al momento del fallimento.

La società concedente può ottenere il pagamento di tutti i canoni scaduti e insoluti in caso di risoluzione di un leasing traslativo?
In base all’art. 1526 c.c., il concedente deve restituire i canoni già riscossi e ha diritto a un equo compenso per l’uso del bene e al risarcimento del danno. Il diritto a trattenere o richiedere canoni specifici può derivare da una clausola penale, la cui validità ed equità deve essere valutata dal giudice.

Cosa deve fare una società di leasing per far valere una clausola penale in un giudizio di ammissione al passivo fallimentare?
Deve proporre una domanda di ammissione al passivo in cui, oltre a invocare la clausola, offre al giudice gli elementi per valutarne l’equità. In particolare, deve indicare la somma ricavata dalla riallocazione del bene o, in alternativa, fornire una stima attendibile del suo valore di mercato al momento della restituzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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